Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile IL CAOS ATTUALE PERMETTE A TUTTE LE PARTI DI CONTINUARE I LORO AFFARI SULLA PELLE DEI POVERACCI
Alla fine, ti viene il sospetto, o forse capisci, che a loro va bene così: trascinare avanti la pantomima d’una trattativa e d’una sequela di litigi, che d’improvviso divengono scaramucce di guerra imbrattate da schizzi di sangue, senza mai arrivare a un’intesa e senza mai tornare alla guerra civile.
Perchè, così, ciascuno conserva la sua fetta di potere: il generale Haftar dai tanti passati e il premier al Sarraj senza popolo e senza territorio e i signori delle milizie lungo la costa e dentro il deserto, ben pagati per tenere i barconi in secco e per proteggere i pozzi di petrolio degli uni — gli italiani — e degli altri — i francesi.
Se invece la macchina della pace e della stabilizzazione, messa in moto dall’Onu e dalla comunità internazionale, dovesse funzionare, loro rischiano, il giorno che si votasse, di perdere influenza, potere e soldi.
E allora meglio continuare a resistere al cambiamento senza troppo darne l’impressione, accettando, magari, di fare tre passi avanti per poi farne subito due indietro, come a Palermo.
Chè, più o meno, dopo la Conferenza di Palermo voluta e organizzata dall’Italia e avallata da Onu e Ue, da Usa e Russia, da vicini di casa della Libia come l’Egitto e da Paesi che ci ficcano il naso come la Francia, ci si ritrova al punto di partenza, ma avendo guadagnato qualche mese, verso la riconciliazione e poi le elezioni.
Intitolato “per la Libia e con la Libia”, l’appuntamento di Palermo s’è svolto tra enormi difficoltà , lunedì e martedì.
Fino a un’ora prima dell’inizio, non c’era una lista dei partecipanti. Il problema non erano i 30 Paesi presenti — 10 a livello di capi di Stato e di governo e una ventina di ministri o vice-ministri — e le organizzazioni internazionali, quanto le delegazioni libiche: difficile mettere insieme i leader delle fazioni che da anni s’affrontano nel Paese, spesso in armi.
Ma screzi, dispetti, incidenti di percorso non mancano. Così, nella sessione plenaria, c’è uno scontro teatrale tra le delegazioni libiche: quelle di al Sarraj e del presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al Meshri, escono dalla sala quando deve parlare il portavoce di Haftar. A loro dire, il consigliere politico del generale, Fadel al-Dib, non era “un rappresentante sufficientemente qualificato”. E Ali Saidi, deputato della Camera di Tobruk, numero due della sua delegazione, molto vicino ad Haftar, se n’era andato prima, non volendo “essere falso testimone” del suo Paese, dopo avere scoperto — spiega — “i veri fini della Conferenza”, “una sceneggiata”.
Scaramucce cui i libici sono abituati e ci hanno assuefatti
Deluse le organizzazioni umanitarie, soprattutto perchè il tema migranti è stato sostanzialmente ignorato.
L’Oxfam denuncia: “Ancora una volta, a Palermo, si è girato la testa dall’altra parte, senza assumere nessun impegno concreto per il rispetto dei diritti umani di migliaia di migranti, uomini, donne e bambini ogni giorno vittime delle più orrende torture e di abusi nei centri di detenzione libici”.
La pace, la stabilità , la democrazia, e i migranti, possono attendere.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile APPUNTAMENTO PER IL 21 NOVEMBRE, AUSTRIA E OLANDA I PRIMI A CHIEDERLA… E LO SPREAD VOLA A 310
La prima reazione ufficiale arriva via tweet. 
Nel giorno in cui la Commissione europea riceve la risposta dell’Italia alla bocciatura del documento programmatico di bilancio avvenuta lo scorso 23 ottobre, il lettone Valdis Dombrovskis scrive in pochi caratteri tutta l’insoddisfazione europea per il comportamento di Roma.
La decisione del governo italiano di non modificare il piano di bilancio, dice il vicepresidente della Commissione responsabile per l’Euro, è “controproducente per l’economia italiana”. Non ci sono margini: l’Europa si prepara ad aprire una procedura di infrazione contro l’Italia per debito eccessivo.
“Già ora, in percentuale, gli interessi sul debito pubblico sono una volta e mezzo più alti di un anno fa”, continua Dombrovskis.
L’impatto “è evidente anche nella disponibilità di finanziamenti e nel costo del credito per l’economia reale, che sta iniziando a danneggiare gli investimenti”.
“Quando si è nella famiglia dell’eurozona, bisogna rispettare regole che noi stessi ci siamo dati”, dice l’altro vicepresidente della Commissione europea Andrus Ansip, responsabile del mercato digitale.
“Fare debito con i soldi dei contribuenti non è un’idea intelligente – aggiunge Ansip, ex premier dell’Estonia – In Italia c’è un governo intelligente e spero che saranno in grado di trovare buone soluzioni per l’Unione europea e anche per gli italiani. Sono stato il primo ministro dell’Estonia. Anche durante la crisi, abbiamo sempre seguito le regole del Patto di stabilità e crescita. Abbiamo deciso noi stessi queste regole. Se il livello del debito nel Paese è alto, la fiducia pubblica è bassa. C’è questo tipo di correlazione. I governi che pensano che sia possibile comprare il sostegno delle persone usando soldi a credito si sbagliano. Le persone non si possono comprare, si fidano molto di più dei governi responsabili”.
Dichiarazioni che sono l’anticamera di quello che succederà a partire dalla prossima settimana. Il 21 novembre la Commissione darà le opinioni sulle leggi di bilancio di tutti i paesi della zona euro. E probabilmente sarà quella l’occasione per annunciare la procedura contro l’Italia: formalmente verrà aperta a gennaio 2019. Potrebbe avere un costo di 60 miliardi l’anno, potrebbe raggiungere il livello massimo di un aggiustamento strutturale pari allo 0,5 per cento del pil.
Intanto lunedì 19 novembre è in programma anche una riunione straordinaria dell’Eurogruppo. All’ordine del giorno, la riforma dell’Unione Bancaria.
Ma qui a Strasburgo, dove è in corso la plenaria del Parlamento Europeo e dove ci sono anche i commissari europei come avviene ogni mese, tutti scommettono che l’appuntamento di lunedì diventerà un altro ‘processo’ all’Italia.
E’ prevista anche la presenza del ministro dell’Economia Giovanni Tria: facile immaginare che sarà esposto al fuoco di fila dei suoi omologhi degli altri paesi, tutti schierati col pollice verso su Roma. Vogliono che la Commissione agisca. E la Commissione ha gioco facile a mandare avanti loro contro l’Italia.
“Sono tutti arrabbiati contro Roma – ci dicono fonti alte del Ppe – Pensa cosa possono dire quei paesi come l’Irlanda, la Spagna, il Portogallo che hanno dovuto sopportare le cure europee sui conti pubblici, hanno dovuto stringere la cinghia? E pensa cosa può dire l’Olanda, che si impegna a ridurre un debito al 70 per cento invece di usare quei soldi per altre spese…”.
Settanta per cento è niente rispetto al debito italiano che ormai viaggia a 131,8 per cento del pil.
Non a caso, proprio il ministro delle Finanze olandese è il primo a sfogarsi contro Roma. Wopke Hoekstraha chiede alla Commissione europea di prendere “ulteriori provvedimenti” contro l’Italia e si dice “molto deluso dal fatto che l’Italia non modifichi il proprio bilancio.
Le finanze pubbliche dell’Italia – continua – non funzionano e i piani del governo italiano non portano a una crescita economica solida. Questo bilancio non rispetta gli accordi che abbiamo stipulato in Europa. Sono molto preoccupato al riguardo…”.
Preoccupazione è anche la parola più in voga nei commenti qui a Strasburgo.
Perchè l’Italia non è la Grecia e nemmeno la Spagna. Il fatto che sia Roma e non Atene a mostrare i muscoli contro Bruxelles, costringendola ad agire, semina anche timori, oltre a propositi di vendetta.
“Ne va delle fondamenta dell’Unione Europea, l’Italia è uno dei paesi fondatori”, ci dice una fonte ben consapevole dei rischi che si corrono. In quanto l’Ue in questo momento non è una costruzione forte con il caso italiano come unica palla al piede. “E’ minacciata da est e da ovest”, non fa che ripetere anche il presidente dell’Europarlamento
Antonio Tajani che da ieri ha lanciato appelli affinchè il governo di Roma cambiasse la manovra economica e non arrivasse ad uno scontro con la Commissione. Ora non può che concludere: “E’ una manovra sbagliata nei contenuti, perchè la procedura di infrazione è anche un brutto segnale per le banche e per chi vuole investire in Italia…”.
Colpire Roma per evitare che l’Ue faccia differenze tra figli e figliastri, per difendere insomma l’Unione: questa è anche una storia di orgoglio e realismo senza possibilità di scelta. Via obbligata.
Lo chiede anche il ministro delle Finanze di Vienna, il Popolare Hartmut Loeger: “Più che mai dobbiamo pretendere disciplina da Roma, non si tratta solo di una questione italiana, ma di una questione europea. L’Italia corre il rischio di scivolare verso uno scenario greco”, continua, dicendosi pronto ad appoggiare la procedura d’infrazione contro Roma. Eppure a Vienna il Ppe del giovane cancelliere Sebastian Kurz governa con l’Fpoe, il partito dell’ultradestra populista guidato da Heinz-Christian Strache, ‘amico’ di Salvini. Eppure…
A Strasburgo gli eurodeputati del M5s confidano in un aiuto da Berlino. Perchè qualche giorno fa, il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz ha riconosciuto che “nel programma (del governo italiano ndr.) ci sono parti che si possono comprendere. Un’assicurazione per i disoccupati, ad esempio, esiste in Germania, in Francia. E non è affatto inusuale per un paese sviluppato come l’Italia”.
Però lo stesso Scholz ha aggiunto che “chi ha alti debiti deve stare più attento di chi ha solide finanze statali”. E ieri proprio qui a Strasburgo Angela Merkel ha richiamato l’Italia alla “responsabilità ” sui conti, pur non citando esplicitamente Roma ma facendo un ragionamento sugli effetti delle decisioni dei singoli stati su tutta l’Ue.
E’ proprio questo il punto. Per questo il piano di Roma non convince gli europei.
C’è il lato tecnico, il fatto che i 18 miliardi provenienti dal piano di privatizzazioni inserito in corsa ieri nella lettera per Bruxelles “non incidono sul deficit strutturale e, se non riguardano gli immobili, nemmeno su quello nominale”, ci dice Roberto Gualtieri, presidente della Commissione economica del Parlamento europeo.
E poi c’è il lato politico: Roma non può farla franca perchè il resto dell’Unione non lo perdonerebbe, perchè l’Unione forse non reggerebbe. Ma anche se – come avverrà – non la farà franca, continua a impensierire i partner europei che si vedono proiettati ad un futuro con un alleato ‘zoppo’ nel Mediterraneo. Sempre che resti ‘alleato’.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile LA CASTA CORRE IN SOCCORSO
La Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato lascia a bocca asciutta il Tribunale di Roma.
Che avrebbe voluto processare Maurizio Gasparri per gli epiteti da lui riservati allo scrittore Roberto Saviano.
E invece no: l’organismo di Palazzo Madama, di cui lo stesso Gasparri è presidente, ha negato semaforo verde ai giudici della Capitale.
Con l’eccezione dei senatori del Movimento 5 Stelle (e dell’ex presidente Pietro Grasso) che al momento del voto si sono trovati in minoranza: anche il Carroccio, così come il Pd, ha negato l’autorizzazione a procedere per l’esponente forzista.
Scena destinata a ripetersi, probabilmente, prossima settimana. Quando si deciderà il caso di Cinzia Bonfrisco della Lega che il tribunale di Verona accusa di aver favorito con la sua attività da senatrice un imprenditore che, tra l’altro, le avrebbe pagato una vacanza in Sardegna.
Il rinnovato asse Lega-Forza Italia sulla giustizia ha intanto “graziato” Gasparri.
Con buona pace di Saviano che lo ha denunciato lo scorso gennaio per tre cinguettii al vetriolo che avevano preso di mira la sua ospitata in tv nella trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio.
Pure lui trattato non proprio con i guanti bianchi dal senatore. Ma che cosa aveva cinguettato il Nostro? Tra il 7 e l’8 ottobre 2017 si era infervorato non poco, per la verità . In un primo tweet Gasparri aveva scritto: “Ma @fabfazio che prende milioni dei cittadini, è un verme o ricorderà a #Saviano che è pregiudicato con condanna definitiva?”. E ancora: “Cambiare canale, evitare @fabfazio che fa parlare il pregiudicato #Saviano, discaricheRai #chetempochefa”. E infine, tanto per ribadire il concetto: “Lo strapagato @fabfazio ospita a #chetempochefa il pregiudicato #Saviano che ha subito una condanna definitiva in Cassazione #Rai approva?”.
Esternazioni che avevano naturalmente provocato la reazione di Saviano. Che nella sua querela aveva precisato non aver mai riportato condanne penali.
Sentitosi diffamato per il termine “pregiudicato”, si era dunque rivolto alla magistratura.
Che qualche mese fa ha chiesto l’autorizzazione a procedere al Senato per essere sicuri che nel caso in questione non si applicasse l’articolo 68 della Costituzione, secondo il quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni.
Un’insindacabilità che per essere riconosciuta, anche per le dichiarazioni fatte per esempio sulla stampa o sui social, deve avere necessariamente “un nesso funzionale con l’esercizio del mandato parlamentare”.
Nesso riconosciuto ieri dalla Giunta che dunque ha ritenuto Gasparri improcessabile. Pure se aveva sparato a pallettoni contro Saviano. Sui social, certo. Ma anche in un paio di interrogazioni parlamentari.
“L’offensività o meno dell’espressione usata nei tweet è del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni che la Giunta è demandata a compiere dovendo necessariamente essere circoscritto alla valutazione della circostanza se le dichiarazioni rese extra moenia (ossia fuori da Palazzo Madama, ndr) siano o meno correlate funzionalmente con l’attività parlamentare” ha sostenuto il relatore della pratica, ossia Giuseppe Cucca del Pd.
E poco importa se Saviano non sia “pregiudicato”. Gasparri sempre nella sua memoria difensiva ha dovuto ammettere che nel linguaggio corrente il termine viene riferito a un soggetto condannato definitivamente in sede penale. Ma “è altresì vero” — ha spiegato —, che il giudice civile ha condannato al risarcimento dei danni Saviano per le “copiature”, accertando “di fatto” l’esistenza del reato di plagio.
Insomma, sempre secondo lui, l’uso che si può fare del termine, “pregiudicato”, rientra nell’ambito delle “opinioni lessicali”.
Su cui, comunque, il Tribunale di Roma non potrà mettere becco.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile TANTO PER NON FARSI MANCARE NULLA: NON SIA MAI CHE IL PARTITO STIA DALLA PARTE DELLA LEGALITA’
Dopo aver mandato sotto per la prima volta la maggioranza, ora il dl Genova divide anche
Forza Italia.
“L’irresponsabile azione di alcuni senatori di FI in commissione Lavori Pubblici al Senato pone a noi che abbiamo con lealtà e coerenza sostenuto le ragioni dei cittadini di Ischia e della Campania, a partire dall’abusivismo per passare alle vicende degli abbattimenti e dei condoni, la necessità di una approfondita riflessione politica”.
Così i parlamentari di Forza Italia De Siano, Carbone, Pentangelo, Russo, Sarro e Cesaro, che hanno annunciato l’autosospensione dal gruppo di Palazzo Madama, in protesta contro l’emendamento al decreto relativo al condono su Ischia.
“Per questo – aggiungono i senatori di FI – crediamo necessario auto sospenderci per non imbarazzare Forza Italia che pure si è spesa in questa direzione da 15 e passa anni ai massimi livelli persino con il Presidente Silvio Berlusconi, che ha ripetutamente espresso sostegno alle nostre ragioni”.
“Da oggi il gruppo di Forza Italia al Senato ed alla Camera non potrà contare su di noi che ci riteniamo sin da subito sospesi”, concludono.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile LA BALLA PROVIENE DA UN SITO NEONAZISTA SLOVENO VICINO A ORBAN… IN ITALIA LA DIFFONDONO LA MELONI, LIBERO E COMPAGNI DI MERENDE
Il 12 novembre, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha diffuso un video sul proprio profilo Facebook (min. 0.15) in cui chiede nuovamente conto “di una cosa che è stata scritta sui giornali nelle ultime settimane: cioè che la polizia croata alla frontiera con la Croazia avrebbe trovato dei richiedenti asilo in possesso di una carta di credito che ha il logo della Mastercard, il logo della Unhcr e, da una serie di approfondimenti, parrebbe finanziata dalla fondazione di George Soros, cioè il famoso finanziere internazionale che fa di tutto per favorire l’immigrazione incontrollata”.
La stessa questione era stata sollevata dal parlamentare di Fdi Carlo Fidanza il 9 novembre, nel corso di un dibattito televisivo in cui era presente anche la rappresentante italiana dell’Unhcr Carlotta Sami.
Nel suo video Giorgia Meloni critica (min. 1.45) l’Unhcr (l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati) per aver scritto al presidente della Camera Roberto Fico, in seguito allo scontro tra Fidanza e Sami, avanzando la richiesta alla politica di “moderare il linguaggio per non creare spazio per abusi e violenze”, invece di dare risposta sulla questione delle carte di credito per i migranti.
Quella delle carte di credito “pagate da Soros” è però una notizia falsa, un caso da manuale di disinformazione dove vengono mischiate questioni differenti per attaccare bersagli precisi (i migranti, l’Onu, Soros).
È già stata smentita dall’Unhcr e da numerosi fact-checker italiani e stranieri: si tratta infatti di una bufala che è arrivata in Italia dopo aver avuto ampia diffusione in altri Paesi europei.
Ma andiamo con ordine. Come nasce questa notizia?
Secondo numerosi media, italiani e internazionali, la “notizia” originale proverrebbe dal sito sloveno Nova24, un noto diffusore e fabbricatore di bufale che è conosciuto per i suoi contenuti xenofobi, complottisti, di estrema destra e antisemiti, tra cui la negazione dell’Olocausto.
Un sito che oltretutto, secondo il New York Times, apparterrebbe a una galassia di media finanziati da uomini d’affari vicini al presidente ungherese nazionalista e xenofobo, Viktor Orbà¡n, per diffondere contenuti di estrema destra in Europa.
Il 30 ottobre Nova 24 ha scritto nel suo articolo, citando come fonte un reportage di inizio settembre della testata croata kamenjar.com, che un non meglio identificato esponente della polizia croata avrebbe riscontrato che «un gran numero di questi immigrati clandestini è ben vestita e attrezzata – scarpe nuove, telefoni cellulari moderni, armi bianche, e molti hanno carte di credito MasterCard. Senza nome, ci sono scritti sopra solo il numero e il marchio Unhcr».
Non si tratta dunque di una fonte ufficiale della polizia croata, ma di una testimonianza verbale riportata in forma anonima.
In ogni caso, qui ancora non si parla di Soros, ma l’aggiunta del ruolo del finanziere spesso al centro delle teorie complottiste dell’estrema destra non tarda ad arrivare.
Il primo novembre il sito americano di estrema destra infowars.com, altro noto diffusore di notizie false e complottismo, ha ripreso nella sua edizione europea la notizia di Nova24 aggiungendo il dettaglio del supposto ruolo di Soros, che pagherebbe carte prepagate per i migranti. Dalla nostra ricerca ci risulta che sia stato il primo a farlo.
Nei giorni successivi altri siti della galassia dell’estrema destra hanno ripreso la nuova versione della notizia.
Il 5 novembre la notizia è arrivata anche su alcuni siti e testate italiani, ad esempio Gli Occhi della Guerra e Libero, che di nuovo citano Nova24 come propria fonte.
A questo punto la storia ha assunto le caratteristiche di cui parlano anche da Fidanza e Meloni.
Scrive ad esempio Libero: “Carte di credito prepagate e senza nome date in regalo ai migranti, in modo che possano circolare liberamente per l’Europa. A distribuire tali carte sarebbero l’Unhcr e l’Ue in collaborazione con MasterCard e il magnate ungherese George Soros”.
L’Italia, in ogni caso, è in buona compagnia: la bufala negli stessi giorni è rimbalzata su moltissimi siti esteri di estrema destra e di controinformazione, venendo talvolta ripresa anche da testate giornalistiche, in tutta Europa. Possiamo citare ad esempio la Germania (qui il fact-checking di Ard) e la Svezia (qui la notizia falsa).
In questa notizia falsa vengono mischiate tre notizie distinte e viene creato un caso ad arte per attaccare dei bersagli precisi.
Nel 2011, l’Unhcr ha lanciato in Moldavia un programma che ha permesso ai beneficiari dei sussidi offerti dall’agenzia dell’Onu di accedere ai propri soldi (tre euro al giorno, 30-36 al mese) tramite bancomat.
In questo modo, si voleva velocizzare e semplificare la distribuzione dei sussidi che normalmente l’Unhcr assegna ai richiedenti asilo. Il programma è stato inoltre potenziato nel 2016. Un’altra iniziativa del genere è poi stata lanciata in Grecia nel 2017.
Vicenda separata è invece la partnership che nel 2016 è stata stretta tra Mastercard e il Ministero del lavoro della Serbia, per far sì che agli aventi diritto allo status di rifugiato (siriani, iracheni e afghani) venisse dato un bancomat per far fronte alle spese necessarie quotidiane.
E questa è un’altra iniziativa, non collegata con la precedente, visto che l’Unhcr non ha qui alcun ruolo.
Nel 2017, poi, sempre Mastercard ha annunciato un piano per esplorare la possibilità di avviare un’iniziativa comune con Soros (probabilmente con la sua fondazione Open Society, ma questo non è specificato nel comunicato di Mastercard), per aiutare le comunità più vulnerabili, in particolare migranti e rifugiati. L’iniziativa dovrebbe chiamarsi Humanity Ventures.
Questa è un’altra iniziativa ancora, diversa dalle precedenti: dalle prime, in quanto l’Unhcr non ha qui alcun ruolo, e dalla seconda, in quanto qui si tratta di un progetto che — stavolta sì — coinvolge Soros ma che non ha ancora visto la luce.
Prima ancora che, il 12 novembre, Giorgia Meloni diffondesse il proprio video su Facebook, il sito americano di debunking Snopes aveva già smontato la notizia e ricostruito l’accaduto il 6 del mese.
Così anche il debunker italiano David Puente e il sito anti-bufale Butac, oltre alle testate francesi e tedesche — tra le altre — che abbiamo citato prima.
La vicenda era quindi già sufficientemente chiara da giorni: i migranti hanno in tasca delle carte di credito o debito (eventualmente anche Mastercard) con il logo dell’Unhcr perchè, grazie a varie iniziative dell’agenzia Onu, tramite questo mezzo gli vengono dati i 3 euro al giorno che spettano loro per le spese minime necessarie quotidiane.
È poi possibile che, in alcuni casi, avessero anche una carta Mastercard separata, se il migrante avesse beneficiato del programma del Ministero del Lavoro serbo.
George Soros non c’entra nulla in entrambi i casi, in quanto l’iniziativa con Mastercard al momento non risulta abbia visto la luce.
Questa versione è stata ribadita anche dall’Unhcr in un comunicato seguente allo scontro tra il parlamentare di Fdi Carlo Fidanza e la rappresentante italiana dell’agenzia dell’Onu Carlotta Sami.
Nel comunicato inoltre si specifica come queste carte non possono essere utilizzate fuori dai confini nazionali: un migrante con in tasca una carta dell’Unhcr utilizzabile in Grecia non se ne farebbe nulla se in Italia.
Le parole di Giorgia Meloni si fondano dunque su una notizia falsa, nata nei siti di disinformazione dell’estrema destra, arricchitasi di dettagli mentre ne aumentava la diffusione, e già smentita — quando la presidente di Fratelli d’Italia ne chiedeva conto — da numerose e autorevoli testate di fact-checking italiane, europee e americane.
I migranti richiedenti asilo sono in possesso di carte di credito con il logo Unhcr perchè con questo mezzo l’agenzia Onu gli ha fatto avere la disponibilità dei sussidi che gli spettano normalmente (3 euro al giorno).
Queste stesse carte oltretutto perdono di utilità una volta che il richiedente asilo cambia Paese attraversando un confine.
George Soros infine non c’entra niente: esiste un’iniziativa proposta con Mastercard, ma non è collegata a quelle dell’Unhcr e oltretutto non risulta che al momento sia operativa
(da Globalist)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile NELLA LETTERA A BRUXELLES, PER NON SMENTIRE LE CAZZATE SU REDDITO DI CITTADINANZA E QUOTA CENTO, SI INVENTANO UN’ALTRA BUFALA: RICAVARE 18 MILIARDI DALLE ODIATE PRIVATIZZAZIONI
Un piano (teorico) di privatizzazioni per 18 miliardi di euro e una clausola anti-sforamenti:
nella lettera che il governo ha inviato ieri a Bruxelles in risposta a quella della Commissione Europea che minacciava una procedura d’infrazione ci sono solo queste due “concessioni” alle richieste dei commissari, che quindi ora potranno muoversi per il nostro disavanzo già da novembre secondo un percorso già tracciato.
Al momento il deficit programmatico del 2019 rimane al 2,4%, con l’obiettivo di crescita dell’economia che resta confermato all’1,5%: il MEF nei giorni scorsi aveva parlato della possibilità di limarla all’1,2% per andare incontro alla Commissione Europea, ma alla fine — e nonostante i segnali dall’economia siano chiarissimi — ha lasciato andare anche questa possibilità di mediazione.
C’è però un segnale sul deficit: un nuovo capitolo di spesa inserito ieri dall’esecutivo riguarda gli interventi per far fronte al dissesto idrogeologico e al maltempo, valutati in 5 miliardi, e che il governo chiederà di scomputare dal disavanzo in quanto «eccezionali».
Il deficit potrebbe così essere ridotto dal 2,4 al 2,2% del prodotto interno lordo.
Poi c’è il piano di privatizzazioni. L’obiettivo è di fare 18 miliardi di euro nel triennio, per accelerare la flessione del debito (al 126 % del pil nel2021).E c’è l’impegno a tenere bloccato il deficit con una clausola automatica di controllo sulla spesa.
Inutile dire che da anni il MoVimento 5 Stelle si batte contro le privatizzazioni.
Un post sul Blog delle Stelle nel 2013 le contestava: “Invece di tagliare le spese inutili e i privilegi con la cessione delle aziende si rinuncia alle quote future di dividendi e si cede il controllo di pezzi dello Stato al mercato. Chi ha dato il permesso a Capitan Findus Letta di dismettere dei beni che appartengono ai cittadini? Questo personaggio non è stato eletto da nessuno. Non ha neppure partecipato alle primarie del suo partito. Non ha legittimità popolare. Se ne deve andare. No alle privatizzazioni. Lo Stato e i suoi beni sono dei cittadini, non dei politicanti. In alto i cuori!”.
Nel programma presentato agli elettori per le urne del 4 marzo la linea veniva ribadita para para: “Il Movimento non crede che le privatizzazioni possano ridurre in maniera efficace lo stock di debito pubblico per questo vogliono “subordinare il processo di privatizzazione sia di Ferrovie dello Stato S.p.A. che delle altre società a controllo pubblico ad un ampio confronto tra Governo e Parlamento e ad una seria e verificabile analisi dei possibili esiti e degli effetti economici, industriali, occupazionali e sociali attesi dai processi di privatizzazione in corso, anche al fine di rivedere la decisione di vendere asset vincenti del patrimonio pubblico per il solo fine di pervenire ad una minima riduzione dello stock di debito pubblico, scelta perdente nel medio e lungo periodo”.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile ALLA CAMERA CI SONO RIMASTI I FANTASMI: NEI PRIMI 100 GIORNI DEL GOVERNO SOLO DUE PROVVEDIMENTI E DIECI SEDUTE AL MESE
Siamo arrivati, cent’anni dopo, al bivacco sui divanetti. Fuori dall’Aula – più o meno sorda e grigia – direttamente fuori.
Ma che ci fosse un difetto originario di prospettiva, un pervicace torcersi delle cose nel loro opposto, poteva essere chiaro fin dall’inizio.
Quando, inaugurando la nuova Aula della Camera, il 20 novembre 1918, Giuseppe Marcora, presidente della Camera dei deputati del Regno d’Italia, cominciò il suo discorso «Per la vittoria», conquistata due settimane prima nella Prima guerra mondiale, con queste parole: «Onorevoli colleghi, l’Italia è compiuta».
Complimenti per la previsione. Quel giorno, raccontano le cronache dell’epoca, anche le tribune in cima all’Aula erano piene fino all’orlo.
Rappresentanti dei mutilati di guerra, delle terre redente, gente comune in attesa per ore per assistere all’evento.
Cent’anni dopo, Montecitorio, pur avendo in teoria nell’era giallo-verde forse più senso che mai, si ritrova di fatto svuotato: di persone, di leggi, si direbbe di vita.
I deputati si aggirano come sperduti in corridoi rimbombanti.
Le statistiche hanno detto che i più assidui sono 90. Il simbolo di questa epoca può essere il velista Andrea Mura: eletto con i Cinque Stelle, in piena estate ha chiarito essere più utile fuori del Parlamento che dentro. Una Camera zombie.
Dove capitano settimane nelle quali non si sappia cosa scrivere sugli ordini del giorno (esempio: la terza di luglio. Altro esempio: la terza di settembre). Le statistiche dicono infatti che questo è il Parlamento più inoperoso della storia repubblicana: e lo è, per paradossale che possa sembrare, nel momento in cui a conquistare la maggioranza è proprio un movimento che predicava di aprire i Palazzi come «una scatoletta di tonno».
I numeri sono implacabili: due leggi votate nei primi cento giorni del governo, il decreto dignità e il mille proroghe, sedute al ritmo di dieci al mese (67 tra metà marzo a metà ottobre, i dati più recenti), 15 leggi definitivamente approvate, di cui 9 conversioni di decreti legge.
Ma forse, anche viste e considerate le circostanze eccezionali di quest’avvio di legislatura (quasi novanta giorni senza governo) vi è anche da dire come quest’esiguità sia forse solo la punta dell’iceberg – per un universo che più che mole di numeri sembra aver perso centralità .
Nell’emiciclo costruito cent’anni fa sul progetto dell’architetto Ernesto Basile, quell’Aula che Benito Mussolini, appena nominato capo del governo, presentando la sua squadra il 16 novembre del 1922 chiamò «sorda e grigia» minacciando (come poi avrebbe fatto) di trasformarla in un «bivacco di manipoli», si aggirano infatti parlamentari che, dopo aver trionfato a cavallo del mito dell’anticasta, mangiano sì tutti insieme alla mensa dei dipendenti invece che al ristorante dei deputati per far vedere che non sono omologati (ma vi sono precedenti anche in questo senso: dai deputati di Rifondazione comunista agli ex missini), si stupiscono tuttavia che i funzionari del Palazzo – incarnazione del male assoluto da scardinare, secondo la logica grillina – oltre a dar loro tutti gli strumenti e il supporto necessari a lavorare, non gli scrivano anche materialmente i discorsi da pronunciare, in Aula e in Commissione: «Ma come, non ce li scrivete voi i discorsi?», è stata la domanda stupita e quasi delusa della scolaresca neodeputata a Cinque Stelle.
Voci che il Palazzo fa rimbombare come un tam tam, di quelli invisibili e spietati.
Ma, appunto, la torsione è come iscritta nella storia di un palazzo costruito là dove una volta, in epoca romana, si cremavano gli imperatori (Ustrinum), e ampliato secondo la visione novecentesca e laica di un architetto che aveva immaginato con un uso tutto diverso, a partire dall’ingresso (vedi box).
Anche il film della fin qui breve legislatura lo racconta. Pochi i giorni lavorati, pochissime le leggi discusse: d’altra parte, i primi cento giorni della legislatura passano con i deputati privi pure di uffici assegnati, assisi perciò principalmente sui divanetti del Transatlantico e al massimo intenti a presentare proposte di legge (dopo tre mesi se ne contano 1.259). Ma soprattutto un approccio generale davvero inedito.
Lo si vede ad esempio nei question time (le interrogazioni a risposta immediata ai membri del governo): in questa legislatura sono i primi della storia con claque e applausi a scena aperta a sostegno della maggioranza.
È fine giugno, Matteo Salvini viene interrogato sui beni confiscati ai Casamonica dal leghista Gianluca Vinci che, al termine, dopo ripetuti applausi da parte dei deputati della maggioranza, si dichiara «sinceramente soddisfatto» della risposta: «Finalmente, signor Ministro, dopo tanti anni, nel suo scranno è tornato a sedersi un uomo che, come lei, tiene al proprio Paese e che rende onore al suo Ministero. I cittadini aspettavano veramente da tanto tempo questo momento, e la ringrazio ancora».
Più soddisfatto di così. È lo stesso Salvini a stupirsene: «È la prima volta che al question time c’è più maggioranza che opposizione».
Ed ecco, da strumento di controllo sul governo l’interrogazione diventa strumento di elogio del governo.
Lo stesso trattamento, manco a dirlo, tocca anche a Luigi Di Maio.
Interrogazione a risposta immediata sulle pensioni, di Sebastiano Cubeddu e Davide Tripiedi dei Cinque Stelle. Alla fine Tripiedi dichiara solenne al microfono: «Siamo veramente soddisfatti della risposta e me lo faccia dire, Ministro, siamo veramente orgogliosi di lei. Perchè glielo dico proprio da giovane, figlio di una gioventù distrutta da una politica che ha pensato solo ai propri tornaconti. Finalmente il Parlamento e il Ministro si occupano delle ingiustizie: stiamo ripristinando un po’ di giustizia sociale, Ministro». Applausi: ed è fine giugno.
Non si è ancora cominciato a lavorare, i presidenti di commissione sono stati appena nominati: ma la «giustizia sociale» è già un pezzo avanti.
Altro caso che spiega bene come lavorino oggi alla Camera è nella discussione del decreto sul Tribunale di Bari.
Siamo a metà luglio: è il primo provvedimento che ha forza di legge, è la prima rissa della legislatura, con schiaffoni tra Fratelli d’Italia e leghisti. Ma se il parapiglia è un grande classico delle Aule parlamentari di prima, seconda e terza Repubblica, a essere nuove sono certe modalità di presenza.
Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ripetutamente chiamato in causa durante la seduta per dare spiegazioni sulla scelta del nuovo palazzo in cui collocare il Tribunale, invece che presentarsi tra i deputati scrive un post su Facebook.
Comodo, no? A leggerlo in Aula è, integralmente, il deputato di Leu Federico Fornario, dal telefonino. Mentre, dai banchi del governo, il sottosegretario Vittorio Ferraresi, forse dimentico dell’esistenza dell’articolo 68, cioè dell’insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle funzioni, dice di aver sentito «inesattezze gravi» di cui ciascuno «si prende la responsabilità ».
Come se dall’Aula di Montecitorio si dovesse finire in tribunale. «È un simulacro di ministro della giustizia», attacca l’azzurro Francesco Paolo Sisto, avvocato barese. «Un avatar», dicono da Fratelli d’Italia. Copie digitali.
Del resto anche l’opposizione non è, di media, così vivace: sembra, anche lei, una copia sbiadita di se stessa. Una morta vivente.
Obiezioni sbilenche, approssimazioni, pasticci. Dell’Aula di Montecitorio si fa volentieri a meno.
E del resto, come si diceva, la direzione sta nell’incipit. Inaugurata con la prospettiva di celebrare il trionfo degli ideali risorgimentali, già un anno dopo nel 1919 l’Aula avrebbe visto approvare la riforma elettorale proporzionale, poi i nuovi regolamenti parlamentari con l’introduzione del sistema dei gruppi politici: insomma il rapido superamento di se stessa, fino allo schianto della marcia su Roma.
Adesso, nel 2018, in piena estate, c’è chi – a proposito di utilizzo degli spazi – è arrivato a chiedere un’area di meditazione per fare yoga direttamente a Montecitorio e «consentire di superare il pensiero superficiale e inutilmente violento del dibattito politico».
Mentre, sempre nell’estate 2018, uno dei provvedimenti più significativi per segnare la linea è quello portato avanti con strenua determinazione dallo stesso presidente della Camera, Roberto Fico: il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari.
Che si sostanzia però, ancora una volta, non in un provvedimento d’Aula: avviene tutto attraverso una delibera dell’Ufficio di Presidenza. E viene poi celebrato direttamente in piazza. In piazza Montecitorio, un po’ come la cremazione degli imperatori in epoca romana. Senza passare dall’Aula, appunto.
Non è questa, in fondo, l’essenza del Casaleggio-pensiero?
Recita parlando con un quotidiano l’imperatore del Movimento Cinque Stelle, il presidente dell’Associazione Rousseau, Davide Casaleggio: «Oggi grazie alla rete e alle tecnologie esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile». E prevede, nella stessa intervista, che «al Parlamento resta il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Tra qualche lustro è possibile che non sia più necessario nemmeno in questa forma». Quali anticorpi l’istituzione propone?
Ancora una volta, è il presidente della Camera Roberto Fico a rispondere: «Credo fortemente nella centralità del Parlamento e ritengo che il suo operato vada valorizzato nell’interesse collettivo», ribadisce di fronte alle parole di Casaleggio.
E in pratica che fa? Riunisce i presidenti delle commissioni parlamentari, e fa sapere che intende proporre alla giunta del regolamento una rivoluzionaria novità . Questa: presentare gli emendamenti solo in formato digitale, con gran risparmio sulla spesa per la carta. Orgoglio Camera.
Per chi resta, almeno. Secondo i dati di Openpolis, gli eroi quasi sempre presenti nei lavori d’Aula sono in Novanta. Tipo Termopili.
Una istituzione semideserta, nella quale il deputato velista Andrea Mura, 96 per cento di assenze, ha buon gioco a rivendicare: «Sono più utile alla patria e ai destini degli oceani andando in barca a vela. E poi noi Cinque Stelle a Montecitorio siamo più di 200. Io a che cosa servo, visto che la maggioranza ce l’abbiamo già ampiamente?». Espulso dal M5S e dimesso da deputato con una rapidità degna di miglior causa – in una Camera dove il decreto per Genova arriva 40 giorni dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri.
È vero che, nella seconda Repubblica, la consuetudine di bocciare le dimissioni dei parlamentari faceva sì che anche gli incompatibili conservassero la carica. Ma, come si vede, quanto ai drammi e ai dilemmi dello stare o non stare in Aula, da qualsiasi Aventino si è lontanissimi.
(da “L’Espresso”)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile IL PIU’ NOTO RESTA MARTINA.. IPOTESI 3 MARZO PER IL VOTO… LE CORRENTI SI SCHIERANO:: FRANCESCHINI E FASSINO CON IL GOVERNATORE DEL LAZIO
Colpa delle due tornate di amministrative e regionali del 10 e il 24 febbraio prossimo, se il Pd
farà slittare le primarie alla prima settimana di marzo del 2019.
Probabilmente il 3 marzo, ma anche un po’ più in là .
Nulla è ancora certo tra i Dem, che sabato prossimo riuniscono l’Assemblea dei mille delegati (“il parlamentino”), che prenderà atto delle dimissioni del segretario Maurizio Martina e avvierà il congresso dove il partito si gioca il tutto per tutto dopo la pesante sconfitta alle politiche del 4 marzo.
Dopo l’Assemblea, sempre sabato sarà convocata la Direzione che elegge la commissione per il congresso: a restare in carica e garantire la continuità è il presidente del partito, Matteo Orfini.
Sono queste le procedure formali in cui si stabiliscono regole, tempi e il limite massimo entro cui si può presentare la candidatura alla guida del Pd.
Martina deciderà se scendere in campo per le primarie solo dopo l’Assemblea, quindi domenica o lunedì prossimi. Marco Minniti a giorni.
Mentre Nicola Zingaretti è in piena campagna e venerdì in un incontro alla stampa estera dirà la sua proposta sul voto di maggio per l’Europa.
Intanto ci sono i sondaggi a fotografare i sentimenti del popolo di sinistra e non solo. Euromedia Research, la società diretta da Alessandra Ghisleri, ha rilevato tra il 7 e l’8 novembre notorietà e fiducia anche dei leader e dirigenti dem in corsa, o pronti a correre, per le primarie.
A sorpresa Martina è al primo posto per notorietà con l’86,3%, tallonato da Zingaretti all’82,2% e da Minniti al 79%.
Sulla fiducia poi, secondo Euromedia, c’è un testa a testa tra Minniti e Zingaretti (39,5 e 38,1%), mentre Martina è terzo.
Il sondaggio commissionato dalla trasmissione tv Omnibus (con metodo Cati, Cawi, Cami) è stato fatto su mille intervistati. Sempre sul fronte notorietà , dopo i tre big c’è Francesco Boccia, quindi Matteo Richetti, Cesare Damiano e Dario Corallo.
Boccia lancia il tesseramento online: “Il partito non deve essere controllato, deve essere una rete di persone libere. E per renderlo libero dobbiamo attivare un tesseramento online”.
E attacca le correnti che vorrebbero frenare sul congresso: “Le correnti che oggi sostengono i principali candidati pensano di continuare a far politica controllando il partito, hanno paura di fare il congresso perchè pensano che non controllando più il partito non sopravvivano politicamente. Ma il congresso lo faremo”.
E si chiarisce chi si schiera con chi. Dario Franceschini, un tempo azionista di maggioranza di Matteo Renzi, ha riunito la sua corrente Area dem e ha reso ufficiale l’appoggio a Zingaretti.
Lo aveva già detto, ma ora si sono espressi un centinaio di esponenti politici e parlamentari, tra cui Piero Fassino, Marina Sereni, Roberta Pinotti, Paolo Baretta, Luigi Zanda, Davide Sassoli.
“Attorno a Zingaretti – dice Sereni – si può costruire una nuova fase non solo della vita del Pd, coinvolgendo forze vitali della società civile e disegnando così anche un’area progressista e democratica più ampia”.
Ma Carlo Calenda, l’ex ministro dello Sviluppo economico, avverte: se si va alla resa dei conti non resto nel Pd.
Spiega: “Il Pd deve presentarsi con una lista aperta che comprenda le intelligenze migliori, dal sindacato alla società civile. Se succede questo io sarò in prima linea candidandomi alle europee. Se invece il Pd diventa il luogo del conflitto permanente e della zuffa congressuale la cosa non avrebbe più senso e lo considererei un errore disastroso”.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2018 Riccardo Fucile ELETTA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE LA PUCCIARELLI, NOTA PER IL LIKE SUL POST “FORNI PER I MIGRANTI”
Pochi giorni fa aveva elogiato l’intervento delle ruspe per sgomberare un campo rom. Nel 2017, invece, aveva messo un mi piace a un commento – postato sul suo profilo Facebook – in cui si leggeva “vogliono la casa popolare, un forno gli darei”. Quel like dopo fu tolto ma le valse una querela.
Oggi, 14 novembre, la senatrice leghista Stefania Pucciarelli, è stata eletta presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani.
La Lega si complimenta con lei attribuendole “uno spiccato senso di responsabilità ” e una “comprovata esperienza politica” grazie alla quale, dicono, “saprà attendere ai compiti cui è chiamata dedicandosi con imparzialità , rispetto istituzionale e grande attenzione verso una tematica trasversale e di fondamentale importanza per la convivenza civile delle moderne democrazie”, ma sui social è già partita la polemica.
Il presidente dell’associazione 21 luglio, Carlo Stasolla, ricorda la ragione per cui Stefania Pucciarelli è stata convocata il 3 ottobre 2018 in Tribunale.
Si tratta, si legge nel post del reato “che riguarda coloro che propagandano “idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e/o per chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Stasolla poi ricorda una frase detta dalla senatrice pochi giorni prima di essere eletta a successore di Luigi Manconi: “Le ruspe nei campi rom sono da sempre una battaglia della Lega”, e ricorda che la sua nomina è arrivata “anche grazie ai voti del Movimento 5 Stelle
(da “Huffingtonpost”)
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