Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
GIOVANNA AMMATURO SI ERA OPPOSTA ALL’INGRESSO DEI TRANSFUGHI DELLA MELONI… I PROBIVIRI HANNO CACCIATO LEI
L’assalto alla barchetta che Salvini vorrebbe trasformare in bastimento non richiede coerenza: si prende di tutto, raccolta indifferenziata.
L’esposizione dell’«omicidio politico» che segue è l’esempio esemplare di una aggregazione che si va formando unicamente all’insegna dell’«oggi di quanti siamo aumentati?».
Giovanna Ammaturo è la sola consigliera comunale della Lega, fondatrice del partito di Salvini a Guidonia Montecelio.
Con i suoi 100mila abitanti, si descrive la città più grande della provincia di Roma. Dal 22 giugno 2009 al 13 giugno 2016 amministrata da una coalizione di destra. Liquidata dall’arresto del sindaco Eligio Rubeis (Forza Italia) il 20 luglio 2015, al quale ne sono seguiti altri, per iniziativa della Procura della Repubblica di Tivoli.
La prima «retata» direzione Rebibbia richiese la disponibilità di 19 posti auto a sedere
Allora: Forza Italia-Ccd-Fratelli d’Italia l’aggregazione.
Le persone? Per il partito dei congiunti, Alessandro Messa in Consiglio, Morena Bollo assessore. Nessuna indagine a loro carico, nè costituisce reato non essersi accorti di quel che succedeva nel loro governo.
Come giusto che sia, quando assumevi la difesa degli indagati iscritti a Fratelli d’Italia, il segreto professionale vietava la pur minima intromissione della politica.
L’apostasia non ha riguardato soltanto i Fratelli.
Si prenda Vincenzo Tropiano, consigliere comunale a Tivoli, in passato assessore di Forza Italia, coordinatore della Lega nel comprensorio a est della provincia di Roma. Scrive: «Si comunica che in data 13-11-2018, il Proboviro Regionale della Lega Lazio, avvocato Senatra, ha adottato il provvedimento di espulsione dalla Lega della Sig.ra Giovanna Ammaturo, già Coordinatore comunale di Guidonia, in quanto ha rilasciato dichiarazioni e assunto atteggiamenti lesivi dell’immagine della Lega. La suddetta è diffidata all’utilizzo del simbolo e ad agire in nome e per conto della Lega. La Lega Salvini Premier è una e tutti devono lavorare per lo stesso obiettivo. In particolare l’esempio deve arrivare da chi ha ruoli dirigenziali. Sono certo che gli ultimi spiacevoli episodi non pregiudicheranno il lavoro che a Guidonia la Lega sta svolgendo attraverso il lavoro del Coordinatore Comunale Alessandro Messa e del Capogruppo in Consiglio Comunale Arianna Cacioni»
Di quale «lavoro» si tratti non è dato sapere nè si rinvengono tracce. Il neo-coordinatore comunale era decisamente scomparso dopo le ultime elezioni cittadine di un anno fa. Ora il «rilancio».
Forse dovuto — è ancor meno di un’ipotesi — alla diceria che vuole il giovanotto vogare verso le prossime elezioni di maggio, a bordo del bastimento di Salvini rotta-Bruxelles.
Anche una rivincita per assorbire la «botta» conseguente alla candidatura a sindaco della città l’anno scorso: annunciata ufficialmente il giorno prima, mancata quello successivo.
Forse per «ultimi spiacevoli episodi», Tropiano voleva intendere le proteste della Ammaturo per l’ingresso nella Lega di appartenenti organicamente alla coalizione protagonista della serie «Guidonia Tangentopoli 2», quella appunto liquidata dalla magistratura (già superata la fase delle condanne, almeno in primo grado).
Ciò a parte, vale la pena dare un’occhiata altresì alle modalità che hanno condotto all’espulsione dalla Lega di Giovanna Ammaturo.
A seguito di un processo privo di contraddittorio. Istruito da Claudio Senatra, proboviro regionale della «Lega Lazio» (ulteriore denominazione), avvocato di Monte Porzio Catone
Il quale nelle «politiche» del 2013 venne candidato alla Camera per la Destra di Francesco Storace. Capolista Teodoro Buontempo, posizione numero 6 sopravanzata al numero 3 da Vittorio Messa, il papà di Alessandro
Dal che si ricava la domanda se non sarebbe stato opportuno che l’avvocato dei Castelli si fosse astenuto dal giudicare Giovanna Ammaturo. Il fatto che ne ricavasse beneficio il figlio di un suo collega — di lunga frequentazione partitica — non depone certo a favore dell’esito
Adoperando parametri propri, giudicando liberamente, a favore o contro, è indiscutibile la qualifica di Giovanna Ammaturo di più «feroce» oppositrice del sindaco Michel Barbet, il grillino da un anno al vertice di Guidonia Montecelio.
Così come la coerenza. Averla buttata fuori dalla Lega offre uno scampolo di narrazione decisamente illuminante.
Perchè sgombra il campo da un feticcio che Matteo Salvini va propagandando a piene mani: la «diversità ».
Da cosa? L’annessione di questo circolo degli ex-Fratelli d’Italia narra una storia effettivamente diversa. Da quello che il leader racconta. Aggravata dal fatto che nel Lazio, con l’attiva complicità del sindacato Ugl, la Lega sta finendo di raschiare il partito di Giorgia Meloni
A seguire, i riflessi del «contratto» in periferia. Dove 5stelle e Lega neanche si parlano. Nei palazzi della Roma amministrativa si insiste sul «contratto» alternativo alla coalizione di governo, poichè nè 5stelle nè Lega riescono a giustificare lo stare insieme. Ciascuno per la sua parte se ne vergogna.
Però sostengono di governare…
(da Globalist)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
UNA PARTE DEI CONSIGLIERI GRILLINI: “STUPITI DALLE SUE PAROLE”
“Non ritengo, oggi, di coinvolgere nella manifestazione dell’8/12 simboli istituzionali che, per la
loro stessa natura, rappresentano la sensibilità di un’intera comunità “.
Lo ha detto la sindaca Chiara Appendino interpellata in merito all’ipotesi che al corteo No Tav la Città di Torino si presenti con il gonfalone.
Appendino ha comunque precisato di “condividere” la posizione del consiglio comunale sul Tav
Ma le sue parole spaccano il movimento, pochi minuti dopo arriva la replica del presidente del consiglio comunale, i pentastellato Fabio Versaci: “Sono stupito dalla scelta della sindaca e non condivido la non partecipazione della Città alla manifestazione dell’8 dicembre perchè la Città nei 2 anni precedenti ha sempre partecipato”.
La sindaca era intervenuta sostanzialmente per smentire Damiano Carretto, consigliere comunale M5S, il quale a commento di un post su Facebook in cui compare il manifesto dedicato dal fumettista Zerocalcare all’iniziativa del movimento scrive: “Il Comune di Torino
“La Città – prosegue il post di Carretto – partecipa alle manifestazioni No Tav in relazione a un preciso programma elettorale e ad atti votati dal consiglio comunale. I rappresentanti della città sfilano con la fascia assieme ai sindaci della valle di Susa e di altre città (Venaria e Pinerolo ad esempio)”.
I commenti sono contenuti alle risposte di Carretto alle “domande” di un internauta iscritto al gruppo «Sì Torino va avanti» ispirato dalle sette donne che hanno indetto la manifestazione del 10 novembre.
“Il Movimento 5 Stelle – scrive ancora Carretto – non va mai alle manifestazioni con le bandiere. Che sia il corteo del 1° maggio o una marcia NoTav. E una marcia Notav è per definizione apartitica. Le misure di sicurezza – ha inoltre precisato il consigliere – sono in capo a prefetto e a questore. Non di certo al sindaco”.
L’idea di Carretto non piace neanche un po’ al deputato torinese e consigliere comunale di Forza Italia, Osvaldo Napoli: “L’ipotesi del Gonfalone della Città di Torino presente alla manifestazione No-Tav dell’8 dicembre è da respingere da parte di tutte le forze politiche. Primo fra tutti, dovrebbe essere il sindaco Chiara Appendino (che interviene poco più tardi, ndr) a smentire un coinvolgimento del Comune sulla vicenda”.
Alza il tiro il portavoce dei gruppi azzurri di Camera e Senato, il deputato Giorgio Mulè: “Non v’è una sola ragione per umiliare la città di Torino portando il gonfalone al corteo dei No Tav l’8 dicembre. Il gonfalone è un segno che unisce e non divide, rappresenta la città e non una parte di essa: tra coloro che manifesteranno, tra l’altro, c’è gente che deliberatamente non riconosce l’autorità dello Stato e ne attacca i suoi servitori anche con il rischio di ucciderli”.
In questa giornata tumultuosa per il Mopvento 5 stelle si inseriscono anche le promotrici della manifestazione Sì Tav di sabato 10 novembre: poche ore fa hanno presentato il loro manifesto in sette punti a sostegno dell’opera.
Sul fronte No Tav è invece da registrare anche l’ennesimo tentativo di assalto la cantiere di Chiomonte dell’opera, in Val Susa, che si è concluso con 15 denunce.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
“HANNO APPLAUDITO SOLO I DELEGATI DI SERIE B COME ME”… “NOI E I BIG SEPARATI DA UN CORDONE, MA NON ERAVAMO TUTTI UGUALI?”
“Mi hanno chiesto: scusi, dove sta andando? Perchè stavo spostando il cordone che separava i big dagli altri delegati. Poi mi hanno fatto passare e sono riuscita ad andare a salutare Delrio. Ci mancherebbe altro”.
Katia Tarasconi, consigliera regionale dell’Emilia Romagna già assessore a Piacenza, era all’assemblea del Pd.
Ha parlato dopo Maurizio Martina, segretario uscente, e il suo intervento è rimbalzato sui social della base dem. Toni accesi, sguardo negli occhi di chi siede al tavolo della presidenza, concetti chiari: “Ritiratevi tutti, ripartiamo dalle idee. A nessuno, là fuori, interessa delle vostre correnti e delle vostre liti”.
Un discorso che online replica la viralità di quelli di Debora Serracchiani del 2009, ma in sala il copione è un altro.
Gli applausi “sono arrivati soltanto da chi era dietro il cordone dei big, dai ‘delegati di serie B’. Dalle prime file zero”.
Ed era proprio quel cordone che segnava la differenza tra chi era più importante e chi meno. “Fisicamente la sala era divisa. Perchè devi tenere separate le persone se è vero che all’assemblea siamo tutti uguali? Tra delegati non ha senso”.
Che le cose fossero così non era una novità neanche per Tarasconi. “La differenza è che prima non mi sono mai permessa di dirlo. Se sei in una comunità cerchi di capire come funziona, quali sono le regole. Però ieri sono sbottata. Fra l’altro non mi aspettavo che mi chiamassero a parlare dopo il segretario. Avevo anche la cicca in bocca, una cosa orrenda. L’ultima volta ero andata al tavolo della presidenza tre volte per chiedere di potere intervenire e ce l’ho fatta solo dopo il voto. Per l’assemblea di ieri invece avevo mandato una mail chiedendo di parlare prima del voto, anche se era solo quello per la commissione di garanzia“.
Chiamarla dopo l’intervento del segretario, forse, aveva un significato. “A essere cattivi, era un invito alla collaborazione. Nell’ambiente si sa che sono arrabbiata, e che lo sono da tanto tempo. Magari pensavano che mi sarei calmata”.
E invece no: il tono è stato tale e quale a quello che aveva pensato. Il testo lo stesso che aveva sottoposto “qualche giorno prima a un consigliere regionale di Modena, per sapere se lo condividesse. Mi aveva detto di sì, che era quello che pensavano in tanti”. Quei quattro minuti erano fatti delle parole che aveva previsto, tra l’invito a ritirarsi “tutti” e a smettere di essere “ostaggio di qualcuno”.
Reazioni? “Sì, dai delegati di serie B, diciamo. Un segretario di circolo è venuto da me e mi ha ringraziato perchè avevo detto quello che tanti pensavano, tante strette di mano quando sono tornata al mio posto”.
Eppure si era rivolta direttamente anche al tavolo della presidenza, guardando in faccia Martina per ricordargli che quello statuto, tutti insieme, non avevano mai provato a modificarlo.
“Ma il loro silenzio non mi ha stupita. Non ho nessuna capacità di mettere in discussione il sistema partito e lo sanno. Avranno pensato ‘ok, dai, hai fatto il tuo sfogo’. Non si sono sentiti toccati, non rappresento nessuno che è il partito”. Un’indifferenza che Tarasconi aveva già toccato con mano in assemblea il 7 luglio, “quando avevo detto: ‘siete affamati e siete folli’. Ma non come la intendeva Steve Jobs. Io volevo dire che sono affamati di potere e folli perchè ci stanno portando a sbattere contro un muro. Basta andare al bar, al supermercato e ascoltare. Cosa che costa fatica. Si renderebbero conto che la strada del Pd è quella sbagliata. Si pensa alle correnti legate alle persone, a chi sta con Franceschini, Zingaretti, Minniti e Renzi. Col risultato che di idee non si parla”.
Eppure lei stessa viene dalla corrente dell’ex segretario. “È vero, ma per me Renzi non era dio sceso in terra, ma una serie di idee e valori che condividevo. Nel 2012 ci ho messo l’anima, ma quello che ha perso negli anni è ammettere gli errori fatti. E sui territori le persone hanno bisogno di sentirsi parte della squadra. Nessuno vince da solo. Ha fatto quello che sa fare, il leader. Ma intorno servono anche persone che la pensino diversamente”.
E proprio Maria Elena Boschi era davanti alla Tarasconi durante l’intervento, in prima fila. “C’erano lei e la Bellanova sedute di fronte. Cosa hanno pensato? Boh. Bisognerebbe chiederlo a loro. Di sicuro da lì non è venuto nessun applauso”.
Ma neanche da Delrio quando è andata a salutarlo? “Ci sono andata prima di parlare. Mi ha abbracciato e mi ha detto: ‘stai calma’”. Poi il silenzio.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
FINO ALL’EPIFANIA IL BORGO STORICO INACCESSIBILE A CHI NON PAGA E SCOPPIA LA POLEMICA
Primo fine settimana con il centro storico di Polignano a Mare a pagamento: cinque euro per
passare i varchi in zona Arco Marchesale e accedere alle luminarie di Meraviglioso Natale, l’iniziativa ispirata alle Luci d’artista di Salerno alla sua prima edizione.
Sarà così il sabato e la domenica, dal 17 novembre e fino al 7 dicembre. Tutti i giorni dall’Immacolata all’Epifania, sempre dalle 15 alle 22.
Ed è bagarre. Sui social prevale il dissenso e qualcuno invita a boicottare l’iniziativa; fra gli operatori commerciali serpeggia scetticismo; entusiasmo nelle file delle associazioni di albergatori e commercianti; gli intellettuali storcono il naso.
Prima dei commenti, ecco come funziona. Il turista che arriva nel comune di Domenico Modugno troverà due infopoint: “Uno in largo Gelso, nei pressi della statua dedicata al cantautore pugliese, l’altro nei pressi del museo Pino Pascali”, spiega Nicola Allegro, il responsabile delle informazioni turistiche designato dall’organizzazione (l’associazione GPuglia).
È lì che si potranno acquistare le GCard, quindi l’accesso al borgo antico, insieme con una serie di prodotti alimentari in omaggio: “Zucchero filato e altri prodotti, soprattutto per i bambini”.
Altri due infopoint sono nell’area del borgo. Quelli in cui sarà possibile ricaricare la carta per acquistare i prodotti, tipici e non, in vendita negli stand dell’organizzazione (ingresso escluso).
“L’unico metodo di pagamento accettato per comprare i prodotti delle casette è la card, non il denaro contante”, ricorda Allegro.
Con una postilla: “Chi non ha speso il credito aggiuntivo potrà chiedere il rimborso in uno qualsiasi degli infopoint allestiti”.
L’accesso è unico, quello di Arco Marchesale. Come unico è il varco d’uscita di via Roma, sempre “presidiato”.
E senza la card? Ci si potrà fermare nelle vicinanze del ponte di Lama Monachile, della statua di Modugno o in piazza Aldo Moro, dove l’organizzazione ha piazzato una pista di ghiaccio. Tutto il resto è off limits.
Salvo per i residenti di Polignano e Conversano, che avranno un’altra scheda. E per i bambini al di sotto dei sei anni d’età .
Quanto basta per far saltare dalla sedia un urbanista di fama come Dino Borri, già docente di ingegneria del territorio al Politecnico di Bari. “Le città sono libere, non sono cose che si possono vendere. Sono fatte di persone, non di merci”, commenta lui. E non c’è nulla che possa derogare a questo principio. Neanche il controllo dei flussi per ragioni di sicurezza.
Non a Polignano, almeno: “Con tutto il rispetto non si tratta di Venezia”. Il riferimento è ai varchi piazzati nella città lagunare e alle polemiche che ne sono scaturite per preservare piazza San Marco e dintorni dall’assalto dei turisti.
“Ma almeno quella è una città unica al mondo, non ce n’è un’altra. E parliamo di flussi importanti, non paragonabili a quelli di Polignano, che invece possono essere governati benissimo”.
Tutt’altra musica dagli operatori commerciali. “Credo sia una cosa giusta, è un modo per regolare i flussi e non far girare soldi in contanti all’interno della manifestazione” dice Eugenio Eugeni. È il presidente dell’Unione commercianti Polignano (Ucp), poco meno di 80 esercenti, per lo più concentrati fuori dal borgo. “Ci sono solo titubanze legate all’esordio di questa iniziativa, siamo all’inizio e va tarata”.
Stesso ragionamento per Alberto Nistrio, a capo dell’associazione degli albergatori (una cinquantina): “Siamo a favore, non è un deterrente per noi, anzi: quest’anno i tempi sono risicati, ma magari l’anno prossimo avremo un ritorno.”
Nicola Chiantera, presidente di Confcommercio fino al 2012, ammette: “Sono d’accordo, così si crea movimento. I tornelli servono a tenere sotto controllo l’afflusso delle persone per una questione di sicurezza”. Un mantra, o quasi.
Invece, per Francesco Gravina, che con la famiglia gestisce un ristorante nel cuore del centro antico, “non è tanto normale privatizzare un luogo pubblico. Sarebbe stato meglio contare gli accessi senza ticket, anche – sostiene lui – per il target a cui è rivolta l’iniziativa”.
Sui social dilaga la critica. “Mettetevi nei panni di chi non ha neanche i cinque euro”, scrive Nico Greco.
“Peccato che a Matera, capitale della cultura, è tutto gratis”, aggiunge Alessandro Cirillo.
Sono solo alcuni degli oltre 100 commenti al post pubblicato sulla pagina Facebook Polignano a mare. Il cui borgo antico, da sabato 17 novembre, potrà essere accessibile a cinque euro. Per ogni accesso.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL SUCCESSO DI FELICE TERRACCIANO, 24 ANNI DI POZZUOLI: “NON HO NESSUNA INTENZIONE DI CONDIVIDERE IL MIO SUDORE CON UN SISTEMA CHE NON MI HA MAI AIUTATO”
Quando aveva 18 anni Felice riuscì a iscriversi all’Università Federico II di Napoli, facoltà di Scienze politiche.
“La mia era una famiglia di operai e io volevo essere economicamente indipendente. Durante l’estate, dopo la maturità , iniziai a lavorare in un ristorante riuscendo a mettere da parte soldi per l’iscrizione e per i primi libri”.
Non aveva fatto i conti, però, con la stagione invernale: “Qui senza alcun preavviso e senza alcun contratto che ti protegga ti ritrovi senza lavoro”.
C’erano due modi per impiegare gli ultimi mille euro rimasti da parte: tirare avanti con gli studi o investirli in un viaggio a Londra.
“Fu così che capii che il mio futuro non era in Italia”. Oggi Felice Terracciano, 24enne originario di Pozzuoli, vive e lavora in Kuwait, dove insieme a uno sceicco gestisce un marchio di pizzerie napoletane: “Vogliamo portare la tradizione in tutto il golfo Persico”, sorride.
Felice ha lasciato l’Italia il 3 febbraio 2014 e da allora non è più tornato.
“Ricordo bene quel giorno — racconta —. Ero triste perchè dovevo lasciarmi tutto alle spalle. La mia famiglia, i miei amici. Ma, soprattutto, avevo capito che in Italia un giovane non sa come fare per realizzare i suoi sogni. Ero ambizioso e allora ho pensato che forse meritavo altro”.
Dopo un’esperienza prima in Grecia e poi in Olanda, Felice torna a Londra per gestire una pizzeria di una compagnia inglese per due anni. “Un giorno venne ad assaggiare la pizza lo sceicco Nasser AlSabah e mi parlò del suo progetto. Decisi di provarci. Lo portai in visita a Napoli per far incontrare le nostre due culture”.
Dopo un anno di lavoro Felice si è spostato stabilmente a Kuwait City: “Mi sono sentito subito accolto. Qui le persone sono socievoli e altruiste”.
Insieme ad AlSabah Felice sta avviando un marchio legato alla cucina napoletana: si parte da Kuwait City con l’obiettivo di espandersi nelle principali città del Medio Oriente.
Ogni mattina Felice si ritrova nella sua pizzeria: “Mentre i miei colleghi accendono il forno e preparano la sala io sono in ufficio ad occuparmi dei conti, del raggiungimento degli obiettivi, dell’analisi dei dati. Mi metto in contatto con diversi fornitori locali, specie napoletani — sorride —. Quando inizia il turno sono lì ad aiutare e a gestire il team. Vogliamo che i clienti si sentano in una piccola Napoli del Medio Oriente”.
La vita in Kuwait è molto diversa da quella in Italia. Anche dal punto di vista economico.
“Qui appare tutto semplice perchè il governo supporta molto i suoi cittadini — spiega Felice — L’assistenza sanitaria e l’educazione scolastica, ad esempio, sono gratuite. Tutti i residenti ricevono sovvenzioni significative per acqua, benzina ed elettricità ; ogni famiglia riceve aiuti dallo Stato in alimenti primari, lo Stato provvede ad un prestito ad interesse zero per i matrimoni e le madri senza un lavoro hanno diritto ad un salario da parte del governo. E qui non si paga neanche l’1 % di tasse. Zero”.
Per Felice il Kuwait è “il Paese più democratico del Medio Oriente e il più liberale del Golfo”. Anche l’alloggio e il trasporto “per legge vengono retribuiti dall’azienda per la quale lavori: così hai la possibilità di mettere da parte gran parte dello stipendio. Con una delle valute più forti al mondo”.
E l’Italia? Per ora questo giovane pizzaiolo campano la vede con gli occhi di un turista. “E mi piace guardarla sotto questo punto di vista”, dice. Tornare? Un giorno, magari. Ma da imprenditore.
Felice è chiaro sul punto: “Non ho nessuna intenzione di condividere il mio sudore con un sistema che non mi ha mai aiutato, a differenza dei diversi Paesi dove sono stato”.
In Kuwait “la gente è di un’apertura e di un altruismo che mai avevo immaginato di trovare in Medio Oriente”, racconta. E poi c’è un motivo in più per restare. “Sto per diventare papà . Sono sicuro che mio figlio crescerà qui senza tabù e dubbi sul suo futuro”.
Dell’Italia manca l’affetto della famiglia. E il prosciutto di Parma.
“Sì, c’è una cosa che cambierei del mio Paese: l’organizzazione dell’educazione scolastica. Vorrei che lo Stato investisse sui giovani e che non ci si accontentasse di un sistema marcio. Mi sono sentito costretto ad andare via — conclude — perchè ero stanco degli italiani. Senza orizzonti, limitati, che si lagnano ma preferiscono star seduti per ore a bere un caffè senza preoccuparsi del futuro”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
CON LA CASSA IN DEROGA NON VENGONO COPERTI TUTTI I POSTI DI LAVORO COINVOLTI DALLA CRISI… E LA DURATA E’ APPENA DI 12 MESI E NON DI 24 COME RICHIESTO
Ampliare le aree di applicazione, possibilmente anche fuori dall’area metropolitana di Genova.
Concordare i parametri che individuano le aziende che potranno accedere agli ammortizzatori sociale e, allo stesso tempo, vigilare contro possibili abusi da parte delle imprese.
La “cassa in deroga” prevista dal decreto Genova e dedicata ai lavoratori che rischiano di perdere il posto a causa del crollo di Ponte Morandi, sarà messa in piedi a partire dalla prossima settimana.
L’obiettivo dei due commissari, Giovanni Toti e Marco Bucci, è arrivare alla definizione completa entro tre settimane, prima dell’Immacolata.
Sindaco e governatore hanno già annunciato di voler coinvolgere le parti sociali, a cominciare dai sindacati, con una prima riunione operativa che dovrebbe tenersi già a metà della settimana entrante.
I punti critici da chiarire non mancano, a cominciare dalla platea di riferimento.
I 27 milioni stanziati dal governo – più altri 3 di contributi una tantum di 15mila euro per circa 200 lavoratori autonomi e partita Iva – dovrebbero soddisfare tra le 1.500 e le 1.700 richieste.
Le stime dei sindacati, però, individuano tra 2.000 e 2.500 i lavoratori potenzialmente coinvolti dalla crisi dovuta al crollo del viadotto sul Polcevera.
Uno scarto che preoccupa le sigle sindacali, così come la durata del provvedimento: 12 mesi, a fronte dei 24 richiesti da Cgil, Cisl e Uil.
Altro fronte aperto riguarda i criteri di applicazione: sul punto, il decreto individua il tetto di 100 dipendenti come limite massimo per le aziende per poter accedere alla “cassa”.
(da “Il Secolo XIX”)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
TRAVAGLIO: “IL CAZZARO VERDE CERCA PRETESTI PER ROMPERE E ANZICHE’ GOVERNARE PENSA SOLO ALLE ELEZIONI EUROPEE PER POI RIMETTERSI CON BERLUSCONI, MEGLIO CHIUDERE AL PIU’ PRESTO”
Nelle ultime settimane ci sono state diverse frizioni tra Lega e M5S. A metà ottobre Luigi Di Maio è insorto contro una «manina» che avrebbe modificato il decreto fiscale: le norme contestate dal M5S sono state poi modificate dopo un vertice a tre con Conte e Salvini.
Poi sono arrivate le tensioni per il decreto Sicurezza con lunghe trattative sugli emendamenti e contrasti in seno al Movimento con un drappello di 5 senatori che ha preso le distanze dal testo.
La Lega, invece, ha contestato la norma sulle prescrizioni contenuta nella riforma Anticorruzione voluta dal M5S: altro braccio di ferro concluso con il rinvio dell’entrata in vigore della legge insieme alla riforma del processo penale.
Di questi giorni infine lo scontro sui rifiuti. Il ministro dell’Interno ha annunciato la necessità di realizzare un inceneritore per ogni provincia della Campania. Cosa che ha provocato le ire di Di Maio e Roberto Fico.
E soprattutto ha fatto comprendere ai grillini con certezza una parte della strategia leghista.
Che consiste nel rilanciare le tematiche sulle quali loro sono per il no e sedersi lì, in attesa che gli altri (ovvero: l’elettorato) notino la differenza.
La tematica dei termovalorizzatori e degli inceneritori cade a proposito per permettere a Salvini di rimarcare le differenze anche se il leader leghista non si sogna neppure di mettere in pericolo il governo proprio mentre la legge di bilancio comincia il suo iter parlamentare.
Il motivo è facile da comprendere: uno degli elementi di attrattiva del popolo grillino nei confronti di Salvini è il fatto che quest’ultimo abbia mollato Berlusconi per fare il governo con il MoVimento 5 Stelle.
E quindi tornare a stringere nell’abbraccio il Cavaliere porterebbe a pericoli ben più pericolosi di un calo nei sondaggi.
Se questa è la base di partenza, ne consegue che la Lega continuerà ad essere nervosa ma per chiudere con l’esperienza di governo ci vuole un casus belli ben definito. Possibilmente uno in cui il Carroccio faccia la figura del partito responsabile e i grillini quella dei matti estremisti.
Un buon argomento potrebbe essere la TAV, ma qui Salvini è invece stranamente prudente visto che invita al silenzio i suoi parlamentari che si schierano a favore dell’opera.
Ma forse perchè su questo l’end game è già scritto: invece che fermare l’opera il MoVimento 5 Stelle si accontenterà di robusti ridimensionamenti del progetto e della testa della classe dirigente che è invisa ai No TAV.
Sperando che non si finisca come con il TAP.
In questo quadro di riferimento vanno visti i retroscena di queste ore, che dipingono una Lega sempre più insofferente nei confronti dell’alleanza mentre i grillini cercano di tenere tutti assieme.
Il leader della protesta è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che sembra pronto a chiudere tutto secondo il retroscena di Ilario Lombardo sulla Stampa:
«Fosse per me — avrebbe detto — questo governo sarebbe già finito».
La Lega, secondo il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dovrebbe passare all’incasso, oppure tornare dentro l’area tradizionale del centrodestra.
«Ma Matteo — è stata la conclusione di Giorgetti — non vuole… ».
Ed è un po’ la stessa risposta che Salvini ha dato agli spazientiti parlamentari leghisti che, soprattutto alla Camera, dopo appena due mesi di lavori in commissione si chiedono: «Ma davvero dobbiamo continuare con questi?».
Le lamentele arrivano a Giorgetti tramite il suo fidatissimo Guido Guidesi, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, uno che deve fare il lavoraccio di tenere in piedi un canale continuo tra le camere e il governo.
La fotografia della maggioranza in Parlamento è quella di un campo di battaglia, con eserciti che danno prove opposte di disciplina. «Dovete avere pazienza — è la risposta di Salvini ai deputati — da gennaio tutto sarà più semplice».
E, guarda un po’, è la stessa risposta che Di Maio dà ai suoi.
Dal punto di vista dei grillini infatti il problema è diverso ma di ancora più difficile soluzione.
Nell’intervista rilasciata oggi a Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera il vicepremier predica tranquillità e “concede” che Salvini incontri Berlusconi, purchè non gli chieda niente a suo nome.
Indica invece il nemico interno alla folla grillina, puntando il dito sui dissidenti e sostenendo di non aver paura di perdere voti decisivi per l’esecutivo.
Marco Travaglio sul Fatto però suggerisce al MoVimento 5 Stelle la linea durissima:
Ora però è impensabile che i 5Stelle trascorrano i prossimi quattro anni a lottare ogni giorno col sedicente alleato per realizzare ciò che avevano concordato nel Contratto, stracciato da Salvini senza neppure interpellare il “comitato di conciliazione”, previsto per dirimere le controversie. Il Cazzaro Verde posseduto da B., anzichè a governare pensa solo alle elezioni europee. E cerca pretesti per rompere.
Tanto vale che i 5Stelle lo anticipino: approfittino dei pochi mesi che mancano per piazzare, se ci riusciranno, qualche altro colpo; e poi lo lascino al suo destino.
Che probabilmente sarà un nuovo voto per il Parlamento, seguìto da un bel governo Salvini-B. (così quanti oggi gridano al fascismo lo rimpiangeranno). O magari niente elezioni e subito un governo di restaurazione Lega-FI-Pd.
Dopo avere sfilato a braccetto a Torino per il Tav e combattuto insieme contro l’Anticorruzione e l’anti-prescrizione, è giusto che i tre partiti dell’Ancien Règimes m e t t ano di vedersi di nascosto e ufficializzino il partouze.
Giggetto è in mezzo al guado.
(da “NextQuotidiano”)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
ARRIVA LA “VOCE DEL PADRONE” E I GRILLINI METTONO LA CODA TRA LE GAMBE… MA SENZA CONTRACCETTIVI SARANNO PIU’ LE DONNE ARIANE CHE FARANNO FIGLI CON GLI IMMIGRATI, COSI’ I CAZZARI RAZZISTI OTTERRANNO PURE L’EFFETTO CONTRARIO
Il Movimento Cinque stelle fa retromarcia e ritira l’emendamento alla manovra che
concedeva gratis i contraccettivi ai giovani sotto i 26 anni ed ai migranti richiedenti asilo e beneficiari di protezione umanitaria.
L’emendamento è al centro di una polemica con il Partito democratico, primo presentatore in commissione Affari Sociali, che accusa i grillini di avere prima bocciato la proposta, insieme alla Lega, per ripresentarla poi come propria in commissione Bilancio.
Adesso però non se ne fa più niente. “L’idea di fornire preservativi gratis anche ai migranti beneficiari di protezione internazionale o richiedenti asilo merita attenzione, ma per il momento è destinata a non avere riscontro”, annuncia in una nota il capogruppo alla Camera, Francesco D’Uva.
Il motivo è semplice. Si tratta – spiega D’Uva – di un emendamento proposto da alcuni esponenti del Movimento 5 stelle, che hanno autonomamente preso una iniziativa importante, sulla quale però non c’è accordo con la Lega”.
Quindi, per non aprire un altro fronte di scontro con gli alleati del Carroccio, il M5S fa marcia indietro.
La proposta originaria del Pd, caldeggiata dalla deputata Giuditta Pini, non si riferiva ai soli condom, ma a tutti i contraccettivi e prevedeva di coprire le spese per la contraccezione a tutti i giovani sotto i 26 anni e alle persone che non raggiungono i 25.000 euro annui di reddito.
L’agevolazione era estesa alle donne che hanno partorito da poco o che hanno avuto un’interruzione volontaria di gravidanza entro sei mesi, alle persone affette da Hiv o da altra malattia sessualmente trasmissibile e anche ai profughi richiedenti asilo o detentori di protezione internazionale.
Tutti i soggetti beneficiari della misura erano stati ricompresi anche nell’emendamento M5s di cui D’Uva annuncia ora il ritiro.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
BONIFICHE A RILENTO E LA PRESCRIZIONE SALVA GLI IMPUTATI… 50.000 TONN DI RIFIUTI TOSSICI SEPOLTI, L’AZIENDA E’ FALLITA, LA SPAZZATURA E’ RIMASTA… REGIONE VENETO LATITANTE
Più di 50mila tonnellate di rifiuti anche tossici e pericolosi, ammassati da 14 anni in due capannoni fatiscenti, a ridosso delle case e vicino a un canale.
Sembra lo scenario di uno degli angoli più degradati della Terra dei fuochi e invece il sito della ex C&C si trova nella ricca provincia di Padova, tra i comuni di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carrare.
Nei primi anni Duemila è stato il fulcro di un lucroso traffico illecito di monnezza finita sepolta in opere pubbliche e private, compresa la linea ferroviaria dell’Alta velocità .
Ora, mentre i condannati in primo grado si sono visti condonare le pene o hanno beneficiato della prescrizione, i cittadini aspettano invano la bonifica, ammorbati dall’odore acre che a distanza di anni i rifiuti continuano a sprigionare e preoccupati per le conseguenze sulla salute e sull’ambiente.
Qui, ci sono stati in questi anni un inizio di incendio sedato in tempo e una tromba d’aria a 100 metri di distanza, mentre il vicino canale, le cui acque arrivano al fiume Brenta e da lì al mare, ha rischiato più volte di esondare. Se non ci sono state conseguenze drammatiche si deve soprattutto alla fortuna. Meno alle istituzioni, che tra lentezze e mancanza di risorse sono riuscite in questi anni ad avviare solo i primi interventi. Presto grazie a fondi regionali 4500 tonnellate di monnezza dovrebbero essere portate via dal capannone. Ma le altre 45mila rimarranno.
Monnezza sepolta nelle opere pubbliche
La storia comincia nel 2002, quando Fabrizio Cappelletto mette in piedi la C&C, un’attività per produrre conglomerati cementizi dai rifiuti in due stabilimenti, uno nel Padovano e l’altro in provincia di Venezia.
L’azienda però, come riveleranno le indagini del Corpo forestale di Treviso con l’inchiesta “Il mercante di rifiuti”, è il centro di un traffico illecito di monnezza.
Nello stabilimento, infatti, secondo gli investigatori arrivano rifiuti di ogni tipo, compresi scarti pericolosi e contaminati da alti livelli di idrocarburi e metalli pesanti. Nonostante siano inadatti a finire nei sottofondi stradali, vengono impastati con sabbia e cemento in miscele puzzolenti e inviati in cantiere, mettendo in piedi, scrive il giudice nella sentenza di primo grado indulgendo a una citazione letteraria, un “enorme e immondo commercio di anime morte”.
Così, con l’aiuto di complici e ditte conniventi pagate per ricevere l’impasto, il “Conglogem” inventato dall’azienda finisce sotto la linea dell’Alta Velocità Padova-Venezia, e viene usato nella costruzione di uno svincolo stradale a Padova, così come in altri cantieri pubblici e privati in Veneto, Emilia Romagna e Lazio.
“Il composto era così tossico da aver inquinato l’ambiente nei cantieri dove è stato usato. In teoria i siti noti sono già stati bonificati, ma di fatto è impossibile sapere tutti i luoghi dove è stato usato, perchè nessuno degli imputati ha mai fatto dichiarazioni in merito”, spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Miazzi del comitato Lasciateci respirare, che insieme all’associazione la Vespa e al comitato Sos C&C porta avanti la protesta da anni.
“Puzza terribile, moriremo tutti con un cancro”
Le indagini sulla C&C cominciano nel 2004, dopo le proteste dei cittadini. “Una puzza terribile, c’è ammoniaca. Moriremo tutti con un cancro da qualche parte”, dice un’impiegata dell’azienda a Cappelletto in una telefonata intercettata dagli inquirenti nello stesso anno. Odore che, secondo il giudice del tribunale di Venezia, non poteva non sentire chi accettava il Conglogem in cantiere e che tutt’oggi, nelle giornate di vento, la gente continua ad avvertire intorno alla ex fabbrica, poi messa sotto sequestro nel 2005.
A preoccupare non è solo la puzza in sè: “I due capannoni hanno le pareti spanciate, quando piove ci sono infiltrazioni d’acqua e si formano pozzanghere di percolato, con il rischio concreto di diffusione degli inquinanti nell’ambiente”, dice Miazzi. “Dentro i cumuli arrivano anche a 7 metri di altezza e sono addossati ai pilastri in metallo e alle pareti in lamiera, mettendo a rischio la struttura visto che potrebbero risultare corrosivi”, aggiunge il sindaco di Battaglia Terme Massimo Momolo. “Se viene un’alluvione, una bufera o tromba d’aria è un problema. Dal canale vicino al sito l’acqua poi va a finire in laguna”, spiega il collega di Pernumia, Luciano Simonetto.
Per i rifiuti chi paga? Le casse pubbliche
I lavori per ripristinare l’area, invece, sono partiti molto tempo dopo: nel 2009 il sito è stato incluso tra quelli di interesse regionale da bonificare e nel 2010, cinque anni dopo il sequestro dei capannoni, sono state rimosse le 3.500 tonnellate di rifiuti anche pericolosi ammassati all’esterno.
Le spese, si legge nella relazione sul Veneto della commissione bicamerale Ecomafie del 2016, sono state coperte “solo in parte dalle fideiussioni che la società C&C, per legge, avrebbe dovuto prestare a favore dell’amministrazione provinciale per poter operare”.
L’azienda era già stata dichiarata fallita nel 2005, mentre anche la Cedro, proprietaria dei capannoni dove operava la C&C è uscita di scena grazie a una sentenza del Tar secondo il quale — al contrario di ciò che sostenevano Comune e Provincia — non c’è stata responsabilità della Cedro per abbandono dei rifiuti e inquinamento.
Presto nuovi lavori, ma nessun piano per la bonifica
Nel frattempo, nel 2009, gli 11 imputati sono stati condannati in primo grado complessivamente a 40 anni di reclusione, ma a causa della prescrizione intervenuta nel 2012 il processo è sfociato in un nulla di fatto. Gli altri nove imputati, tra cui Cappelletto, hanno patteggiato: come si legge nella relazione della commissione Ecomafie, per tutti la pena è stata condonata.
Oggi, mentre alcuni dei personaggi coinvolti nell’inchiesta invocano il diritto all’oblio chiedendo di cancellare il proprio nome da alcuni siti web, la collettività si trova a portare sulle spalle tutto il peso delle oltre 50mila tonnellate di rifiuti rimaste nella ex C&C.
Tra poco dovrebbero iniziare i lavori, finanziati dalla Regione con 1,5 milioni di euro, per rimuovere 4500 tonnellate. A preoccupare è però quello che rimarrà : una montagna da circa 44mila tonnellate di monnezza contaminata e un’area da bonificare, con costi stimati per oltre 10 milioni di euro e nessun segnale chiaro di nuove risorse stanziate dal bilancio regionale.
La Regione non risponde a sindaci e consiglieri
“Nei tre Comuni”, spiega Momolo, “a fine ottobre abbiamo approvato all’unanimità tre mozioni per chiedere alla Regione un piano di intervento pluriennale da 2 milioni di euro all’anno”.
Pochi giorni dopo il consiglio regionale del Veneto ha approvato all’unanimità una mozione presentata dal consigliere di Liberi e Uguali Piero Ruzzante, che impegna la giunta a elaborare un piano per la completa bonifica, finanziandolo nel 2019 con 2 milioni di euro delle risorse previste dalla legge speciale per Venezia.
“In sede di discussione di bilancio, tra poche settimane, verificheremo che tale impegno venga mantenuto. Dopo quindici anni le 50mila tonnellate di rifiuti tossici sono ancora lì, è inaccettabile che non ci sia ancora un piano per la bonifica del sito. La giunta Zaia è avvisata: la salute dei cittadini non può più aspettare”, ha detto Ruzzante.
Alla domanda se intenda stanziare le risorse chieste dai tre sindaci e dai consiglieri, la Regione non risponde a ilfatto.it.
Da Venezia si limitano a ricordare la mozione e spiegare che “potrebbero essere necessari dagli 11 ai 15 milioni di euro per smaltire il tutto”. Il sindaco Simonetto si dice fiducioso e attacca i comitati dei cittadini, che pure hanno contribuito a scrivere le tre mozioni comunali: “Sto cercando di fare quello che è possibile, ma non posso chiedere alla Regione di darmi domattina un altro milione. Tra comitati e rompiscatole ce ne sono dappertutto, i soldi però sono riuscito a portarli a casa io. Tutti questi soloni sono andati anche a Bruxelles ma non ho visto il risultato. Io con la Regione del Veneto ho un buon rapporto, sono sicuro che mi daranno risposte”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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