Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
COSA DICONO I NUMERI… DIETRO LA GUERRA IDEOLOGICA C’E’ UN VUOTO DI STRATEGIA INDUSTRIALE… OGGI GLI IMPIANTI SONO 41
Da una parte c’è il partito dei termovalorizzatori in ogni provincia. Dall’altra quello degli
inceneritori zero.
È una guerra ideologica che rifiuta, a partire dal linguaggio utilizzato, un terreno comune di discussione.
In tutta Europa si usa l’espressione “inceneritori” e si dà per scontato che il recupero di energia ci sia (solo gli impianti più vecchi sprecano il calore della combustione).
In Italia, viste le scarse perfomance e l’alto livello di dispute giudiziarie della prima generazione di inceneritori, spesso si usa la parola “termovalorizzatore” per dare una connotazione più positiva alla scelta.
Ma, al di là della disputa terminologica, bisogna costruire molti inceneritori come propone Salvini o rifiutare di parlarne come replica Di Maio?
In realtà la risposta dipende dal tipo di Paese che si immagina.
Un’Italia che rallenta fino a bloccarsi sul livello di innovazione attuale, che fa la guerra all’Europa anche sull’ambiente, che boicotta le vecchie direttive sui rifiuti e le nuove sull’economia circolare ha bisogno di molti inceneritori per ridurre i danni di un’emergenza continua.
Un’Italia che scommette sulla nuova economia, sul recupero dei materiali, sulle competitività ha bisogno di molti impianti di riciclo e di qualche inceneritore.
Quanti sono gli inceneritori?
Oggi gli inceneritori sono tra 40 e 50. Dipende se nel calcolo si inseriscono quelli autorizzati ma non più attivi, o quelli per i rifiuti pericolosi.
L’Ispra ne conta 41 distribuiti in modo asimmetrico sul territorio. In testa c’è il Nord: la Lombardia con 13 impianti, l’Emilia Romagna con 8, il Veneto con 2 (Piemonte, Trentino Alto Adige e Fiuli Venezia Giulia ne hanno uno a testa). Altri 8 si trovano nel Centro (Toscana, Umbria, Marche e Lazio). Al Sud ce ne sono 7 (la Sicilia è tra le poche regione a quota zero).
Ma non tutti gli impianti sono uguali. Gli inceneritori di Brescia e Acerra hanno una capacità di smaltimento rispettivamente di 880mila e 600mila tonnellate annue, altri hanno dimensioni di rilievo, una decina girano al minimo e in modo precario. È meglio ammodernarli e integrare i punti deboli del sistema o disseminare inceneritori in tutto il Centro Sud?
La proiezione al 2030
“La strada scelta dall’Unione europea è molto chiara: l’economia circolare”, ricorda Edo Ronchi, padre della legge del 1997 che ha rilanciato il sistema di riciclo dei rifiuti e presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “I vantaggi ambientali sono evidenti, il problema è che quelli energetici ed economici sfuggono a molti. Ad esempio si parla spesso dell’incenerimento come soluzione per i rifiuti di plastica. Ma non si tiene conto di fatti concreti. Primo: la plastica può essere solo una quota del materiale bruciato, altrimenti l’impianto si blocca. Secondo: per la plastica, così come per la carta e per altri materiali, l’energia ottenuta dai processi di termovalorizzazione è inferiore a quella necessaria a produrre la materia vergine, dunque c’è uno svantaggio anche dal punto di vista energetico. Terzo: le nuove direttive europee renderanno la plastica in larga parte riciclabile. E non si può ridurre il problema alla plastica: gli scenari disegnati dal Circular Economy Network, che abbiamo promosso assieme a 13 imprese e associazioni di imprese, disegnano la convenienza economica della transizione verso un’economia che tende ad azzerare i rifiuti”.
Mentre le polemiche sull’impatto sanitario degli inceneritori si riducono (il problema vero è la qualità degli impianti e dei controlli), le distanze tra le parti in causa aumentano proprio sulla questione dell’economicità degli inceneritori.
La battaglia tra i due vicepremier nasce dal caso Napoli.
Se è vero che la città è solo al 38% di raccolta differenziata e che manda rifiuti a Nord al costo di 150 euro a tonnellata, è anche vero che la Campania ha oltrepassato quota 50% superando regioni del Nord e, come ha precisato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, dovrebbe arrivare al 75% al 2025.
Servono impianti per il ricicl
Dietro la guerra dei due vicepremier c’è un vuoto di strategia industriale. Si parla solo del presente ma, visto che la realizzazione di un inceneritore richiede tra i 5 e i 7 anni e ha un ciclo di vita di 30 anni, la scelta su quanti impianti costruire deve essere presa in base a uno scenario immaginato in prospettiva.
È quello che ha fatto il Was, l’osservatorio sui rifiuti creato da Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys che pubblicherà un rapporto la prossima settimana.
“Bisogna partire dai numeri, dai circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani che produciamo ogni anno”, spiega Marangoni.
“Esaminiamo il migliore degli scenari possibili al 2030, la data alla quale, per rispettare gli obiettivi Ue, la raccolta differenziata deve raggiungere l’80% in modo da arrivare, con gli scarti, al 65% di materiali riciclati. Supponiamo che l’intero Paese si collochi ai livelli del Veneto: scarsa produzione pro capite di rifiuti e alta raccolta differenziata. E che non ci siano ostacoli per l’entrata in funzione degli impianti di trattamento dei rifiuti già previsti. Si arriverebbe a un saldo leggermente positivo per gli inceneritori, con una capacità autorizzata di 6,54 milioni di tonnellate a fronte di una richiesta di 6,15 milioni di tonnellate. Ma se lo scenario è quello di un’alta produzione di rifiuti la richiesta sale a 6,8 milioni di tonnellate e il sistema va in rosso per 260 mila tonnellate”.
Lo stesso, secondo i calcoli del Was, avviene per gli impianti di trattamento della frazione umida dei rifiuti urbani, con numeri molto più netti: un leggerissimo attivo (22 mila tonnellate) nella migliore delle ipotesi, un deficit di un milione e 24 mila tonnellate nell’altra.
“La conclusione è che se non si costruiscono nuovi impianti per adattare il Paese alle scelte più convenienti dal punto di vista economico e ambientale, con un ragionevole equilibrio tra le aree territoriali, si resta impantanati nell’emergenza”, conclude Marangoni.
(da “La Repubblica“)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
LA CAPITALE PERDE 22 POSIZIONI… BOLZANO E’ LA PROVINCIA DOVE SI VIVE MEGLIO
È Bolzano la provincia dove si vive meglio in Italia, seguita da Trento e Belluno. Balzo indietro della capitale: Roma retrocede di 22 posizioni. Male anche Venezia. Stabili Napoli (in terzultima posizione) e Palermo (al 106 posto).
Fanalino di coda Vibo Valentia.
Insomma la provincia altoatesina, come era stato nel 2017, si conferma luogo del miglior vivere. Si evince dall’indagine sulla Qualità della vita nelle province italiane realizzata da Italia Oggi con l’Università La Sapienza di Roma, giunta alla 20esima edizione.
La ricerca fotografa modelli virtuosi, criticità e cambiamenti in atto nelle province e nelle principali aree del Paese. Sono nove le ‘griglie’ dell’analisi: affari e lavoro, ambiente, criminalità , disagio sociale e personale, popolazione, servizi finanziari e scolastici, sistema salute, tempo libero e tenore di vita, con 21 sotto dimensioni e 84 indicatori di base.
Dalla quarta alla decima posizione si trovano tutte città che hanno recuperato rispetto all’anno scorso, salvo una, Treviso, che è passata dalla sesta alla nona posizione.
Al quarto posto Siena, che ha recuperato sette posizioni (era undicesima), seguita da Pordenone, che passa dalla nona alla quinta, e da Parma, che ha guadagnato una posizione rispetto al 2017 (era settima).
In forte ascesa Aosta e Sondrio, rispettivamente al 7/o e 8/o posto, partendo dal 18/o e dal 16/o della passata edizione. Decima Cuneo, che ha guadagnato tre posizioni.
Il 2018 è l’anno delle conferme, sia di alcune performance sia di alcune tendenze emerse nelle precedenti indagini: dallo sfumare del contrasto Nord-Sud in termini di buona qualità di vita legata al benessere economico, all’acuirsi del divario fra piccoli centri (in cui si vive meglio) e grandi centri urbani, in cui la vita è invece sempre un pò più difficoltosa.
Fenomeno testimoniato, fra l’altro, dal brusco scivolone della capitale, scesa dal 67/o all’85/o posto della classifica. Elevato il calo anche a Bari (dal 96/o al 103/o posto) e a Firenze (dal 37/o al 54/o posto).
Tendenzialmente, comunque, nei capoluoghi di regione la qualità della vita è aumentata, salvo che in sette città . Oltre che a Bari e a Firenze, a Catanzaro (dal 92/o al 95/o posto), all’Aquila (dal 68/o al 72/o), a Potenza, che ha perso 20 posizioni (ora è 64esima), arretramento simile a Venezia (al 62/o dal 41/o posto).
Di Roma si è già detto, Torino ha perso una posizione, ed è 78esima. Stabile invece la qualità della vita a Napoli (108) e a Palermo (106), che si mantengono sui medesimi livelli del 2017.
Come si vive in Italia? Nell’insieme, un pò meglio: nel 2018 sono infatti 59 su 110 le province in cui la qualità della vita è risultata buona o accettabile, rispetto alle 56 del 2016 e del 2017: si tratta del migliore dato registrato negli ultimi cinque anni.
Stabile la situazione del Nord Ovest e del Mezzogiorno, in netto miglioramento quella del Nord Est e del Centro (Roma a parte).
Le migliori performance sono delle piccole città : ottime le posizioni di Siena, Pordenone, Parma, Aosta, Sondrio, Treviso e Cuneo. Treviso, in particolare, risulta la provincia più sicura d’Italia.
Trento, Bolzano e Bologna le realtà più positive per affari e lavoro. Parma, Siena, Trento e Piacenza quelle con la migliore offerta finanziaria e scolastica; Isernia, Pisa, Ancona, Siena e Milano quelle con il più efficiente ‘sistema salute’.
Maglia nera alla calabrese Vibo Valentia, in coda alla classifica in compagnia di Catania, Napoli, Siracusa e Palermo: cinque province ricche di bellezze architettoniche e naturali che tuttavia non riescono a fare il ‘salto di qualità ‘.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
E LA BREXIT CERCO’ SOLDI NEGLI USA TRAMITE BANNON E CAMBRIDGE ANALYTICA
Loro parlano di Soros, invece le cose di cui accusano gli altri le fanno loro: Arron Banks,
il controverso miliardario britannico che finanziò l’Ukip ai tempi di Nigel Farage e fu fra i fondatori della campagna Leave in vista del referendum del giugno 2016 sulla Brexit, avrebbe cercato finanziamenti negli Stati Uniti per quella campagna, appoggiandosi a Cambridge Analytica, e per questo cercò di scomodare anche il futuro stratega della Casa Bianca, Steve Bannon.
Lo scrivono la Cnn e l’Observer, il domenicale del britannico Guardian, che affermano di aver preso visione della corrispondenza filtrata di email di Banks, sotto inchiesta in Gran Bretagna per aver ricevuto 8 milioni di sterline di finanziamenti da fonti non chiare per la campagna referendaria, sulla base del fatto che nel Regno Unito la legge elettorale proibisce finanziamenti stranieri a campagne politiche.
Le email, scrive la Cnn, mostrano che Banks era in contatto con Alexander Nix, il Ceo di Cambridge Analytica, la società che verrà poi accusata di aver raccolto i dati personali di milioni di utenti di Facebook per conto della campagna elettorale di Trump, fin dall’ottobre 2015
Le email in questione, scrivono Cnn e Observer, erano indirizzate per conoscenza a Steve Bannon.
(da Globalist)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
IL 18 NOVEMBRE DEL 1928 DEBUTTAVA SULLO SCHERMO CON STEAMBOAT WILLY IL TOPO PIU’ FAMOSO DEL MONDO
Con il cuore ancora gravido di dolore per la recente perdita del leggendario Stan Lee (che immaginiamo sfrecciare nelle profondità cosmiche appollaiato sulla tavola di Silver Surfer), la nutrita ed eterogenea comunità dei fumettari festeggia oggi i 90 anni di una delle creazioni più straordinarie del mondo dei cartoons: Mickey Mouse, ovvero Topolino.
Era infatti il 18 novembre 1928 quando il topo antropomorfo ideato da Walt Disney apparve nel cortometraggio “Steamboat Willie”, proiettato al Colony Theater di New York e diretto dallo stesso creatore e dall’altrettanto geniale Ub Iweks. In realtà si trattava del terzo cortometraggio d’animazione della serie Mickey Mouse, distribuito dalla Celebrity Productions: l’esordio era avvenuto il 15 maggio dello stesso anno con “Plane Crazy” (“L’aereo impazzito”), in versione muta. Poichè “Steamboat Willie” fu il primo a venire distribuito, viene di solito considerato l’esordio di Topolino e della sua bella, Minni.
Si tratta a tutti gli effetti di un capolavoro del genere, tra i primi cartoni animati con colonna sonora e dialoghi completamente sincronizzati. E da allora, Topolino si è rivelato uno dei personaggi di fantasia più longevi di sempre, capace di rinnovarsi nel tempo, o meglio, di entrare in quella dimensione mitica che lo ha reso immortale.
Leggenda vuole che Disney concepì la sua creatura durante un viaggio da New York a Hollywood.
In seguito, reduce dal successo riscosso al cinema, decise di trasporla su carta, e dal 13 gennaio al 31 marzo 1930 sul New York Mirror apparve la prima avventura a fumetti in strisce: “Lost on a Desert Island” (“Topolino nell’isola misteriosa”), in cui Disney, con i disegni di Iwerks e poi di Win Smith, serializzò le ispirazioni fondamentali che lo avevano guidato nei lungometraggi.
Era però un Topolino diverso da come lo conosciamo, dai modi infantilizzati per ammorbidirne certe spigolosità e renderlo ancor più accettabile alle aspettative del pubblico.
Nei due anni di vita Topolino, che era diventato una sorta di simbolo americano, punto di riferimento per i bambini, assunse un atteggiamento giocoso e spensierato, a cui si accompagnava la trasformazione del tratto, con una modifica di gambe, pupille, lunghezza del muso, lasciando però inalterata l’iconica forma delle orecchie. Un’ulteriore metamorfosi Topolino la subì grazie al fondamentale apporto di Floyd Gottfredson: con una profonda evoluzione psicologica e narrativa, divenne complesso, sfaccettato, inserito in ambientazioni più realistiche e meno fanciullesche, in contesti squisitamente avventurosi, ed affiancato da nuovi comprimari e nemici.
Ecco quindi apparire il commissario Basettoni, Macchia Nera, Eta Beta, il Professor Enigm e il cavallo Orazio, primo tentativo di affiancargli una spalla ideale. Ma fu soltanto con il personaggio di Pippo, creato da Pinto Corving e Johnny Cannon nel 1932, che quel ruolo di spalla ebbe la sua consacrazione.
Grazie a Gottfredson, il buffo cane divenne infatti il suo miglior amico, conferendo una nota allegra e scanzonata al rigore razionalista e borghese del topo.
Nel 1932 i tempi erano maturi per una autonomia fumettistica: nasce il Mickey Mouse Magazine, rivista su cui venivano pubblicate le storie dei vari personaggi, la cui popolarità cominciava a travalicare i confini nazionali per sbarcare in Europa.
Il 31 dicembre di quello stesso anno infatti Topolino giunse in Italia con l’editore Nerbini, che ne pubblicò le storie con il caratteristico formato a giornale, al prezzo di 20 centesimi.
Nella prima striscia, di appena sei vignette, “Topolino e l’elefante”, oggi bramata dai collezionisti, appariva un Topolino dai tratti ben diversi da quelli moderni, eppure riconoscibilissimo.
Riscosse un immediato successo, e il nome originario venne italianizzato, seguendo le direttive fasciste che intendevano bandire ogni anglicismo, destino condiviso da altri personaggi del fumetto americano, a cominciare da Superman, arrivato in Italia nel 1939 con il nome di Nembo Kid. Nel 1949, per contenere i costi di produzione Nerbini rilanciò Topolino in edicola nel formato tascabile, e il resto è storia odierna: la pubblicazione settimanale ha da tempo superato il numero 3000.
Su Topolino si è scritto di tutto, e il suo contrario, e in questo ha seguito il destino del suo creatore. A Walt Disney sono state attribuite simpatie bolsceviche, filonaziste, esoteriche, qualcuno lo ha tacciato di satanismo, molti altri di essere un criptomassone, un informatore dell’FBI.
Probabilmente lo zio Walt se ne sbatteva di coloriture politiche e ideologiche. Artista geniale, aveva la grande intelligenza di lasciare liberi i suoi creativissimi sceneggiatori: il gruppo impiegava i materiali a disposizione, rielaborandoli ingegnosamente per costruire le trame, reiventando così fiabe immortali.
Questa prodigiosa capacità di servirsi della materia mitica per leggere, se non anticipare, la modernità ha dato vita ad un universo immaginario che in Topolino trova una sintesi superba, in una sorta di conservatorismo avanguardista di complicatissima definizione: non a caso, come si diceva, Topolino è stato oggetto di analisi di ogni tipo, ideologiche, sociologiche, psicoanalitiche, filosofiche, antropologiche; è stato visto come il tipico rappresentante dell’ottimismo borghese statunitense post-New Deal, o, per converso, come il portatore di un messaggio anticapitalista, venato di nostalgie primitivistiche.
La questione è poi complicata dal fatto che in ogni paese il personaggio ha avuto una sua caratterizzazione; ad esempio nella produzione italiana è discernibile una certa attitudine moralista, persino luddista.
Le storie ideate dai soggettisti nostrani hanno non di rado il sapore delle favole morali, talvolta intessute di una vena di anarchica che si è irriverentemente e creativamente confrontata con i classici della letteratura, l’arte moderna, la politica e i suoi protagonisti, con temi sociali quali il femminismo, l’ecologismo, il fenomeno beat, e così via. Come che sia, l’intima sostanza del personaggio rimane forse inattingibile, com’è del mito.
Ma senza troppi intellettualismi basta lasciarsi andare al magico incanto delle storie che continuano ad apparire, e magari curiosare nelle tante attività editoriali in corso per festeggiare l’anniversario, come l’albo numero 3284, offerto anche in edizione da collezione con una splendida copertina celebrativa opera del maestro dell’arte disneyana Massimo De Vita. In questo numero appare la storia “Tutto questo accadrà domani”, sequel di “Tutto questo accadrà ieri”, in cui il Topolino del passato e quello odierno si incontrano grazie alla sceneggiatura e ai disegni di Casty (al secolo Andrea Castellan) e Bonfa (Massimo Bonfatti).
Altro albo da collezione è il numero 3286, da qualche giorno in edicola, che lancia una mini-saga in otto episodi, a cui metteranno mano grandi nomi del fumetto disneyano del nostro paese
E ancora, “La Guida di Topolinia”, raccolta delle avventure del ciclo omonimo con inserti e approfondimenti, e l’albo brossurato “Il Grande Mickey”, che presenta otto aspetti del personaggio associati ad altrettante storie tra cui “Topolino e il villino di sogno”, risalente al 1976 su testi e disegni del geniale Romano Scarpa, e “Topolino e il surreale viaggio nel destino”, firmata da Roberto Gagnor e Giorgio Cavazzano, in cui Topolino, Paperino e Pippo sono alle prese con l’immaginario di Salvador Dalì. Sono solo alcune delle pubblicazioni in uscita per celebrare questa icona transgenerazionale che ha saputo conquistare il cuore di persone di ogni età , catalizzare sogni, ambizioni e talenti di artisti e creatori di ogni genere.
Un personaggio dotato di una grande curiosità intellettuale, un irriducibile senso dell’avventura, un marcato senso della giustizia, mai prono a compromessi, che ci indica con leggiadra ironia la strada da seguire per realizzare un mondo migliore
Dunque, auguri e lunga vita a Topolino
(da Globalist)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
INIZIA LA STRAGE DEI POVERI MENTRE LA POLITICA PENSA A COME FARE FAVORI AI RICCHI
L’ipotesi più probabile è che a ucciderlo sia stato il freddo, quella prima ondata di aria
gelida che nelle ultime ore ha abbassato drasticamente le temperature a Milano.
Un senzatetto di 47 anni di origini albanesi è stato trovato senza vita questa mattina su una panchina in via Sidoli, zona piazza Novelli: a segnalare il corpo un passante. Sul posto sono arrivati i carabinieri della Compagnia Monforte e del nucleo Radiomobile e gli uomini del 118, che hanno potuto solo constatare il decesso
Nei giorni scorsi, secondo le prime testimonianze raccolte dai carabinieri, l’uomo (su cui pendeva un mandato di espulsione) si sarebbe presentato più volte nella parrocchia della zona proprio per cercare un po’ di riparo dal freddo.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2018 Riccardo Fucile
L’OMELIA PER LA GIORNATA MONDIALE DEI POVERI: “ANZIANI SOLI, CHI FUGGE DALLA SUA CASA, I RAGAZZI ABITUATI ALLE BOMBE”
“Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male. Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no”.
Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia per la Giornata Mondiale dei poveri, da lui celebrata nella Basilica di San Pietro, con una messa alla quale seguirà il pranzo per tremila non abbienti.
Francesco ha dunque dato la sua voce “al grido dei poveri: è il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anzichè agli allegri schiamazzi dei giochi. E’ il grido di anziani scartati e lasciati soli. E’ il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. E’ il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. E’ il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. E’ il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti. L’ingiustizia è la radice perversa della povertà “.
“Il grido dei poveri – ha scandito il Papa – diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui”.
“Presso Dio – ha assicurato – il grido dei poveri trova ascolto”. “Ma in noi?”, si è chiesto Papa Bergoglio con voce accorata. “Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare?”, ha aggiunto per poi concludere: “Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Ci chiede di riconoscerlo in chi ha fame e sete, è forestiero e spogliato di dignità , malato e carcerato”.
(da agenzie)
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