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CORLEONE MANDA IN TILT IL M5S

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

DI MAIO ANNULLA PARTECIPAZIONE AL COMIZIO E ANNUNCIA ESPULSIONE DEL SUO CANDIDATO SINDACO E DEL DEPUTATO DI ZONA DOPO IL POST CON IL NIPOTE DI PROVENZANO

Michele Giarrusso è in auto direzione Corleone quando sul suo smartphone compare la foto del candidato sindaco Maurizio Pascucci con Salvatore Provenzano, nipote di Bernardo capo di Cosa Nostra dal 1995.
Nella frazione di un secondo Giarrusso fa inversione a U e torna indietro. Decide che al comizio non ci sarà  così come non parteciperà  Luigi Di Maio, anche lui quasi sul posto.
I due si sentono, sono sbalorditi, increduli. Il capo politico non chiede neanche spiegazioni al diretto interessato.
La linea è chiara e non lascia scampo. Pascucci non è più il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle nel comune già  sciolto per infiltrazioni mafiose “e chi ha partecipato alla decisione di pubblicare quella foto dovrà  vedersela con i probiviri”, fa sapere Giarrusso che nel frattempo ha licenziato Pascucci, suo collaboratore in Senato.
L’aspirante primo cittadino che resta in corsa tira in ballo un deputato nazionale, Giuseppe Chiazzese, eletto nel collegio di Corleone, che con lui ha preso la decisione di pubblicare quell’immagine per aprire un dialogo con i parenti dei mafiosi “che pur non rinnegando la parentela, prendono le distanze dagli omicidi commessi e dai guai”.
Giorni fa è successo questo.
Pascucci e Chiazzese sono andati insieme al York bar di Salvatore Provenzano ed ecco lo scatto pubblicato su Facebook: “Un buon caffè con Salvatore. Delusione per i maldicenti… – scrive il candidato – abbiamo aperto un dialogo nel quale è stato messo al centro, da parte sua, il non voler rinnegare la parentela, ma al tempo stesso il non avere nulla a che fare con quello che ha rappresentato, prendendo le distanze dagli omicidi commessi, dai guai e dalle tante lacrime che i mafiosi hanno fatto consumare a tanti cittadini di questo Paese”.
Parole inaccettabili per il Movimento. “Questa sera avremmo dovuto ricordare le vittime di Cosa nostra, non possiamo accettare che il nostro candidato sindaco apra un dialogo con i parenti dei mafiosi”, dice Giarrusso che premette provvedimenti anche nei confronti di Chiazzese.
Nessuno nel Movimento mette in dubbio l’impegno dell’aspirante primo cittadino contro la mafia, “forse è caduto in una trappola”, viene spiegato, “ma è ingiustificabile. Hanno sbagliato tempi, modi, tutto.
Di Maio per non dare adito a fraintendimenti inizia una diretta Facebook: “Ho aperto il cellulare e tra le news c’era questa notizia data dal nostro candidato sindaco M5S che voleva aprire il dialogo con i parenti dei mafiosi (..) Sono sicuro che quella dichiarazione sia stata fatta in buona fede ma quel concetto è pericolosissimo. I voti di quelli non li vogliamo e ci fanno schifo”.
Tra l’altro da pochissimi giorni il Movimento 5 Stelle guida la commissione Antimafia con Nicola Morra presidente e tutto ciò diventa ancora più paradossali: “Le parole di Di Maio dimostrano come il Movimento abbia come priorità  la lotta alle mafie ed il supporto alle vittime innocenti delle stesse, vittime che purtroppo sono tantissime. Non possiamo accettare nessun cedimento o ambiguità ”
La trappola consisterebbe, raccontano gli attivisti del Paese, nel fatto che da qualche giorno a Corleone si era sparsa la voce che Pascucci volesse mettere in ginocchio anche le attività  dei parenti dei mafiosi perchè un tempo “nei campi di Libera si diceva di non frequentare il bar del nipote di Provenzano.
“Siamo andarti in quel bar – dicono – per dimostrare che noi siamo inclusivi, per prenderci un caffè”. Ecco quindi la foto con il titolare.
“È assurdo – continua a dire Giarrusso, componente già  della scorsa legislatura della commissione antimafia – per noi la lotta alla criminalità  organizzata viene prima di ogni altra cosa. Non facciamo foto con i parenti dei mafiosi. Non si fa così. Non è questa la nostra antimafia”.
Dopo che l’intero Movimento va in tilt, Pascucci prova a motivare il suo gesto cambiando anche versione perchè nella prima scriveva che i parenti non erano stati rinnegati: “Il messaggio è stato interpretato male. Con la foto volevamo trasmettere il messaggio che i parenti dei mafiosi che prendono le distanze dai proprio congiunti non possono essere esclusi dalla comunità “.
Poi durante il comizio rivendica la scelta. Nel frattempo interviene anche la moglie di Salvatore Provenzano: “Noi siamo gente per bene. Ogni mattina ci alziamo alle cinque per venire ad aprire il bar. Non ho proprio niente da dire a Di Maio, ognuno è libero di fare ciò che vuole. E se non vuole i nostri voti, pazienza. Ne faremo a meno. Quella foto mica l’abbiamo voluta fare noi – spiega- l’ha voluta fare lui con quelli del suo staff”.
Nel racconto della giornata torna Chiazzese che sale sul palco: “Non salire è un atto di codardia”. Questa parole arrivano a Roma.
Anzi, sono già  sul tavolo dei probiviri

(da “Huffingtonpost”)

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L’ORO ALLA PATRIA LO DANNO LE BANCHE: ALTRO CHE LE FAMIGLIE ITALIANE, L’AIUTINO A SALVINI ARRIVA DAI POTERI FORTI

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

INVESTITORI STRANIERI IN FUGA DAI TITOLI DI STATO, BANCHE IN SOCCORSO DEL GOVERNO… NON SENZA RISCHI

L’oro alla Patria, quello che Matteo Salvini si aspettava dalle famiglie e che le famiglie si sono ben guardate dal donare nell’ultima asta del Btp Italia, per ora continuano a darlo le banche, uno dei pezzi dell’establishment meno simpatetici con la maggioranza gialloverde.
Se qualcuno aveva dubbi su chi fosse infatti il compratore misterioso che nelle ultime settimane ha inchiodato lo spread in uno stretto intorno di quota 300 punti base, il Rapporto sulla stabilità  finanziaria diffuso ieri dalla Banca d’Italia li ha fugati tutti.
Il passaggio chiave delle oltre 60 pagine del documento è questo: “Come avvenuto in altri periodi di forte tensione finanziaria, tra maggio e settembre le banche italiane hanno effettuato ingenti acquisti di titoli sovrani per 39 miliardi. Questi investimenti contribuiscono a stabilizzare i prezzi dei titoli…”.
A conferma di quanto scritto dalla Banca d’Italia l’esito della seconda fase del collocamento dei Btp Italia riservata agli investitori istituzionali. Il Mef ha infatti spiegato che il collocamento “ha visto una presenza predominante di investitori domestici, che ne hanno sottoscritto circa il 93%. Hanno partecipato alla sottoscrizione anche investitori residenti nel Regno Unito (circa il 5% ) ed in Francia (circa il 2%)”.
Ma il soccorso rosso bancario, che nessuno può dire con certezza se sia stato in qualche modo sollecitato dal governo, non è senza costi e rischi per gli istituti di credito (soprattutto piccoli) che nonostante i progressi dell’ultimo anno, sul piano della riduzione del peso degli Npl e della redditività , continuano a camminare sul filo di una lama di rasoio.
Il punto infatti è questo. Inariditasi la fonte della raccolta di fondi sull’interno il cui costo è aumentato e quasi prosciugatosi il ricorso all’emissione di obbligazioni sul mercato (le famose subordinate), alle banche non è rimasto che indebitarsi verso l’Eurosistema, cioè quell’Europa che i nazional populisti considerano matrigna ma che in questo caso torna comoda per finanziare l’investimento in Btp.
Il Rapporto sul punto è chiaro: “Le banche hanno aumentato notevolmente la posizione debitoria netta nei confronti dell’estero per finanziare a tassi contenuti gli acquisti di titoli di Stato”.
Il debito netto verso gli istituti esteri che ad aprile era ancora di circa 40 miliardi è più che raddoppiato ed oggi supera quota 80.
D’altra parte altra soluzione non si intravedeva. Se gli istituti italiani hanno comprato titoli per 39 miliardi, l’estero ha disinvestito tra maggio e settembre per 68 miliardi e ormai partecipa al mercato nella misura di un quarto del totale.
Secondo l’agenzia di rating Moody’s, che un mese fa ha ridotto di un gradino la valutazione del debito italiano con outlook stabile, i prossimi mesi continueranno ad essere caratterizzati dalla latitanza dell’estero e saranno i risparmiatori privati a comprare affiancando il modo del credito.
Mentre lo scontro con l’Europa, dice Moody’s, “continuerà  a pesare sullo spread e aumenterà  i rischi di rallentamento dell’economia”. L’equilibrio insomma è instabile e le banche si trovano al centro di un’operazione non esente da gravi pericoli. Il maggiore dei quali si chiama rischio di liquidità .
È ancora la Banca d’Italia a parlare: “Il calo del valore dei titoli impiegati come collaterale per il rifinanziamento presso l’Eurosistema ha ridotto la posizione netta di liquidità  delle banche di due punti”.
L’aumento dello spread intanto riduce il patrimonio e ciò a catena si riflette sull’offerta di credito ad imprese e famiglie ed amplia la djstanza tra gli istituti italiani e i concorrenti stranieri. Il governo è servito. Il volume dei titoli di Stato detenuto dalle banche nazionali è arrivato in settembre a oltre 320 miliardi.
Ma il sistema continua a correre sul filo di una lama di rasoio..

(da “Huffingtonpost”)

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LA PRESSIONE DEL NORD: I GOVERNATORI SPINGONO PERCHE’ SALVINI STACCHI LA SPINA AL GOVERNO

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

IL TIMORE CHE DILAGHI LO SCONTENTO DI CHI VOTA CON LE TASCHE PER L’ALLEANZA CON IL M5S… MA SALVINI FINO A MARZO NON SI MUOVE… IL PROBLEMA MATTARELLA

Il problema è Mattarella. “Se non ci fosse Mattarella al Quirinale Matteo avrebbe fatto saltare il tavolo su Tav o inceneritori” così racconta chi ha parlato in questi giorni con Salvini.
In molti lo sollecitano a passare all’incasso, forte dei sondaggi, alla prima occasione utile. La settimana di tregenda sulla giustizia, che non è un dettaglio per un partito come la Lega, ha avuto l’effetto di moltiplicatore del malessere.
Perchè “quanto altro possiamo reggere così”, gli ripetono in parecchi, con una coalizione che è diventata un condominio litigioso, e un contratto di governo che, nella quotidianità  di questi mesi, ha cancellato il contratto col Nord stipulato negli elettori: la flat tax, il tema fiscale, una politica per le imprese.
E, perchè no, anche un po’ di garantismo per un partito che incappa in qualche incidente con la giustizia.
Ed è un segnale l’intervista che il governatore Lombardo Attilio Fontana ha rilasciato a un quotidiano romano, il Messaggero, per dire che “io lavoro bene con Forza Italia” e invece “dentro i Cinque stelle vedo una deriva giustizialista”.
Non è poco, dentro un partito para-leninista come la Lega, dove la comunicazione e centralizzata e la discussione riservata. Non deve essersi stupito Salvini più di tanto perchè sono giorni che proprio i suoi governatori del Nord gli spiegano che il “blocco sociale è in sofferenza”.
Lo hanno fatto sia Fontana sia Zaia in un incontro di qualche giorno fa: “Quanto possiamo reggere così?” è la domanda che è stata posta al Capitano, insolitamente preoccupato.
Non è solo questione di Confindustria e Assolombarda, intese come vertici, è il tessuto profondo delle piccole e medie imprese che è entrato in sofferenza. Poco incline alla narrazione del governo gialloverde, e alle sue crociate ideologiche, allergico al reddito di cittadinanza, preoccupato per i mutui e la salute delle banche, è un mondo che, da sempre, vota con le tasche e poco si appassiona alle polemiche con Juncker.
E se è vero che i sondaggi dicono che proprio nel Nord e nel Nord Est la Lega è al massimo, il polso suggerisce prudenza. In politica accade spesso così, che la rabbia parte proprio dove prima c’era grande speranza.
“I piccoli imprenditori si stanno incazzando”, se n’è accorto anche il ministro Lorenzo Fontana, uno dei più freddi in questa esperienza gialloverde, al termine dell’ennesimo incontro nel Nord che lavora e che produce.
E all’ordine del giorno c’è il problema del che fare. Secondo la famosa “bestia”, la struttura che cura la comunicazione a Salvini, si è arrivati al “bottom up”, nei sondaggi. Ha cioè funzionato quella strategia benedetta anche da Steve Bannon: apparire non ostile all’elettorato dei Cinque Stelle, anzi quasi amico, perchè questo avrebbe favorito un “assorbimento”.
Ora però il rischio è che l’acquisizione dell’elettorato altrui metta a rischio il proprio, soprattutto perchè il Nord vuole concretezza.
È un warning che arriva da una classe dirigente esperta. La fine della luna di miele si avverte a livello popolo. Quel popolo che sembrava quasi predisposto a una sorta di Pup — Partito unico populista — l’altra sera a Nuoro chiedeva a Matteo di “staccare la spina” perchè “con quelli non si va avanti”.
Il problema è che ciò che è facile a dirsi è difficile a farsi: come rompere, quando, e poi il che succede.
Il problema è Mattarella, tanto che Salvini ha chiesto di capire un po’ meglio come la pensa il Quirinale. La sua sensazione è che un governo nasce in un minuto.
Perchè i Cinque Stelle hanno la regola del secondo mandato e, dunque, le urne sono la fine di Di Maio e il ritorno a lavoro per molti.
E poi c’è il Pd in pieno congresso, senza una linea, una leadership che farebbe di tutto per non prendere un’altra batosta.
Questo pensa Salvini, che quando parla di Quirinale pensa a una spectre di poteri: la Bce, la Commissione, Juncker, con Mattarella come terminale. È questa la ragione per cui il leader della Lega si è dato una deadline per valutare il da farsi a dopo le regionali di gennaio e febbraio, in Abruzzo e Sardegna.
Sarà  a quel punto che deciderà  se provare a incassare un vantaggio verificato sul campo, con i voti veri. E tentare la spallata.
Perchè l’altra alternativa non viene neanche presa in considerazione, nonostante le lusinghe di Berlusconi. E anche di qualcuno dei suoi: tentare la via di palazzo Chigi senza passare per le urne sarebbe un boomerang. Neanche se ne parla.
Se non ci fosse Mattarella, ripete Salvini, sarebbe già  fatta.

(da “Huffingtonpost”)

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L’ULTIMA BUFALA DI DI MAIO: “HO DATO MANDATO DI STAMPARE SEI MILIONI DI TESSERE PER IL REDDITO DI CITTADINANZA”

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

PECCATO CHE MANCHI IL DISEGNO DI LEGGE CHE LO ISTITUISCA E NESSUNO AUTORIZZEREBBE UNA SPESA ILLEGALE, QUINDI RACCONTA BALLE COME AL SOLITO… E NON PRECISA LA PLATEA DEI BENEFICIARI, PERCHE’ I SOLDI NON BASTANO

«Ho già  dato mandato di stampare le prime cinque o sei milioni di tessere elettroniche per il reddito di cittadinanza»: Luigi Di Maio era in vena di annunci ieri sera a Piazzapulita su La7 e ha deciso di movimentare la serata di Corrado Formigli con un annuncio roboante che serviva soprattutto a coprire l’indeterminatezza del provvedimento, a novembre e a pochi mesi dalla sua entrata in vigore “Avrete tutti i parametri a breve”, dice riguardo le regole che accompagneranno la legge.
E sulla distanza da casa per le offerte di lavoro spiega che non sarà  definita per “raggio di chilometri” ma “in macroaree”.
L’annuncio dei sei milioni di tessere già  stampate per il reddito di cittadinanza sono evidentemente serviti a Di Maio per districarsi dalla domanda più interessante: quella sulla definizione della platea di beneficiari.
Non è un segreto che i conti finora non tornino, come è stato fatto notare da molti anche non pregiudizialmente ostili al governo Lega-M5S.
Ma soprattutto non si capisce a cosa servano adesso le tessere elettroniche dopo che per giorni è stato pubblicizzato il metodo del professor Mimmo Parisi per il Mississippi che prevede l’utilizzo di un’app.
Che l’affermazione sia più una sboronata o una bufala, poi, è testimoniato dal fatto che finora non ci sono leggi che istituiscono il RdC, che secondo la Nota di Aggiornamento al Documento Economico Finanziario dovrebbe arrivare tramite un disegno di legge collegato mentre lo stesso Di Maio in più occasioni ha parlato di decreto legge.
Ma senza strumenti di legge è escluso che un ministro possa dare il via a un programma di stampa di sei milioni di “tessere” (saranno card come quella di Tremonti?), se non altro perchè dovrebbe poi andare a giustificare la spesa.

(da “NextQuotidiano”)

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I COMPAGNI DI MERENDE DI SALVINI LO LASCIANO IN BRACHE DI TELA: “STA TENENDO IN OSTAGGIO IL SUO POPOLO”

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

MANOVRA ITALIANA BOCCIATA, ARRIVANO LE BASTONATE DI UNGHERIA, SLOVACCHIA E AUSTRIA

Il governo italiano fa la voce grossa a Bruxelles, ma quello che i gialloverdi speravano potesse diventare un coro contro le regole di bilancio imposte dall’Unione europea, per ora si è rivelato un assolo.
Dopo la bocciatura della legge di bilancio, tutti, anche gli alleati storici in tema di immigrazione, hanno voltato le spalle a Roma: lo ha fatto l’Austria, che sul controllo dei flussi si è dimostrato uno dei Paesi più vicini alle rivendicazioni italiane, ma lo hanno fatto anche e soprattutto gli alleati del Gruppo di Visegrà¡d, uno su tutti l’Ungheria di Viktor Orbà¡n che solo pochi mesi fa aveva definito Matteo Salvini “il mio idolo”: “Le regole dell’Ue ci sono — ha dichiarato il portavoce del premier ungherese — e vanno rispettate”.
Se, dopo il no di Bruxelles, la tattica del “non facciamo passi indietro” doveva avere lo scopo di creare un fronte che si opponesse al parere della Commissione, l’obiettivo può al momento definirsi fallito.
Parole dure sono arrivate, prima di tutti, da Vienna: “Non abbiamo riscontrato alcun movimento da parte dell’Italia, quindi ci aspettiamo una chiara reazione da parte della Commissione”, aveva dichiarato il 16 novembre il ministro delle finanze austriaco, Hartwig Loeger, appena arrivato all’Ecofin, il Consiglio di Economia e Finanza.
Già  nei giorni precedenti l’incontro, il titolare del dicastero aveva detto che, se il governo italiano non avesse rimesso mano alla manovra, sarebbe stato giusto avviare una procedura d’infrazione: “Contrariamente a quanto sostiene (il ministro Tria, ndr), non si tratta di un affare italiano, ma europeo. C’è bisogno di un approccio equo e comune a queste regole che devono essere rispettate”.
Poi ha concluso dicendo che il governo italiano sta “tenendo in ostaggio il suo stesso popolo”.
Ma il voltafaccia più significativo è certamente quello di una parte dei membri del Gruppo di Visegrà¡d, soprattutto quello del grande alleato, il premier ungherese Viktor Orbà¡n, anche lui punito dal suo stesso gruppo politico europeo, i Popolari, con il voto di settembre del parlamento Ue sull’applicazione dell’articolo 7 dei Trattati.
Colui che più di tutti ha appoggiato Salvini e che anche in materia economica, il 15 ottobre, aveva sostenuto l’esecutivo gialloverde, oggi fa marcia indietro e invita Roma a rispettare le regole Ue. “Riteniamo che gli italiani siano abbastanza adulti da prendere decisioni per il futuro del loro Paese, quindi sta alla responsabilità  dell’attuale governo e parlamento che tipo di bilancio approvare. Auspicherei che questo fosse l’approccio generale nell’Ue: il rispetto reciproco, e lasciare che i parlamenti ed i governi prendano le proprie decisioni, invece di fare commenti senza conoscere”, aveva dichiarato poco più di un mese fa il ministro degli Esteri, Peter Szijjà¡rtà³.
Mercoledì, però, il portavoce del primo ministro, Zoltà¡n Kovà¡cs, ha inaugurato la nuova stagione delle relazioni tra Ungheria e governo italiano: “Le regole dell’Unione europea ci sono e vanno rispettate — ha detto — Non siamo abituati a intrometterci nelle vicende degli altri governi. Ma la recente storia del nostro Paese insegna che è possibile rilanciare la crescita economica e ridurre la disoccupazione rispettando il patto di stabilità  che tutti abbiamo sottoscritto in Europa”.
Un dietrofront che è più preoccupante per l’esecutivo Lega-M5s se si pensa che Budapest è alla testa di quel gruppo di Paesi dell’Est con i quali il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, vorrebbe legarsi ulteriormente in vista delle prossime elezioni europee, formando quel Fronte della Libertà  sovranista sognato dall’ex stratega della Casa Bianca, Steve Bannon.
La chiusura, quindi, potrebbe creare un effetto emulazione anche tra gli altri Visegrà¡d, uno su tutti la Polonia, il Paese che più di tutti beneficia dei fondi Ue.
Il 5 novembre, intanto, ci aveva già  pensato la Slovacchia che, per voce del suo ministro degli Esteri, Peter Kazimir, aveva chiesto al suo omologo Tria di rispettare gli accordi europei: “Temo che l’approccio e i passi assunti dal governo italiano stiano mettendo a rischio gli obiettivi del completamento dell’architettura dell’Eurozona, questa è la mia preoccupazione”, aveva dichiarato. Poi aveva concluso dicendosi “convinto che facciamo parte di un club basato sulle regole. Spetta alla Commissione Ue farle rispettare e la Commissione ha il mio pieno sostegno“.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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I SOLDI TRUFFATI DALLA LEGA SERVONO A PAGARE I SITI DI SALVINI?

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

INTERROGAZIONE DEL DEPUTATO LUCIANO NOBILI

“Le pagine Facebook Matteo Salvini, Noi con Salvini, Matteo Salvini premier, Lega-Salvini premier o la struttura comunicativa Sistema intranet snc guidata da Luca Morisi o altre strutture riconducibili al ministro Matteo Salvini hanno avuto un sostegno diretto o indiretto dal finanziamento pubblico scomparso di 49 milioni di euro, confiscati dal tribunale di Genova dopo la condanna per truffa del fondatore della Lega Bossi e del tesoriere Belsito?”.
E’ quanto chiede l’interrogazione presentata dal deputato del Pd, Luciano Nobili, rivolta al ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini.
Nell’interrogazione si ricorda che la Cassazione ha stabilito “l’esistenza di disponibilità  monetarie della Lega nord che si sono accresciute del profitto di reato, legittimando così la confisca diretta del relativo importo, ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico”.
“Ai sensi dell’articolo 640 del codice penale – si legge ancora nel testo – viene disposto che chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore procura a sè o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno viene punito con reclusione e multa; la pena assume carattere di gravità  se la truffa è operata ai danni dello stato. Inoltre – si ricorda nell’interrogazione – ai sensi della costituzione italiana il principio giuridico della trasparenza si qualifica come espressione del principio democratico, che è alla base della sovranità  popolare”.

(da agenzie)

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“I PICCOLI COMUNI RINASCONO GRAZIE AI MIGRANTI, CON IL DECRETO SALVINI DANNI ALLE AUTONOMIE LOCALI”

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

IL DOSSIER DI LEGAMBIENTE: IL LABORATORIO DI SARTORIA DI LATINA… “PER OGNI 7 RICHIEDENTI ASILO SI CREA UN POSTO DI LAVORO PER UN ITALIANO”

Con un investimento da 600 a 800 milioni all’anno, l’accoglienza diffusa ha funzionato da volano sia per riattivare economie locali in crisi, sia per rivitalizzare imprese e servizi sociali. Alla vigilia del passaggio alla Camera del decreto Sicurezza, Legambiente presenta il dossier ‘L’accoglienza che fa bene all’Italia’.
Una raccolta di 28 storie che coinvolgono 100 comuni e che raccontano come (bene) funziona l’accoglienza diffusa, che ha nel sistema Sprar il modello di riferimento. Un’accoglienza che favorisce lo sviluppo, attraverso concreti percorsi di integrazione e che il dl 113 vuole smantellare.
“Quasi mai si parla di ciò che funziona — dice Vittorio Cogliati Dezza, responsabile migrazioni di Legambiente — di quella accoglienza che mentre risolve un’emergenza, favorisce lo sviluppo e dà  beneficio al territorio”.
Secondo l’associazione le prime “vittime” della svolta che il governo intende imprimere riguardo all’accoglienza, sono i migranti, ma i principali danneggiati, soprattutto sul piano economico, sono gli italiani. Perchè le nuove regole impediscono “ogni tentativo di avere nei migranti un alleato in più per affrontare alcune delle principali emergenze nazionali: la crisi demografica, il bilancio dei conti dell’Inps, la crisi delle aree interne, la messa in sicurezza del territorio, il recupero di superfici agricole abbandonate e il decoro urbano”.
I CENTRI SPRAR
L’Atlante Sprar 2017, il rapporto annuale prodotto dal Servizio Centrale Sprar realizzato da Ministero dell’Interno ed Anci, mostra un sistema in crescita su tutti i fronti.
Nel 2012 i posti messi a disposizione erano 3.979 e 7.823 i beneficiari. Nel 2017 i posti sono diventati 31.340 e 36.995 i beneficiari coinvolti in 776 progetti. In crescita anche il numero di enti locali coinvolti a vario titolo, arrivati ormai a 1.549, e la diffusione territoriale con la presenza in 103 province.
L’evoluzione positiva ha consentito anche il trasferimento dai Cas (Centri di accoglienza straordinaria) agli Sprar di 12.985 beneficiari nel 2017 (erano poco più di 4mila nel 2016).
Aumentano anche tutte le attività  e i servizi offerti dagli Sprar, in primis l’apprendimento della lingua italiana e l’ospitalità  per minori non accompagnati e persone vulnerabili, ma anche le attività  di formazione professionale, i tirocini formativi e l’inserimento lavorativo.
IL DECRETO LEGGE 113 SMONTA IL SISTEMA SPRAR
Il dl 113, convertito in legge dal Senato, smonta il sistema Sprar in quattro mosse: la cancellazione della protezione umanitaria e l’impossibilità  di chiedere asilo se si è entrati illegalmente, per ridurre del 70% gli aventi diritto alla protezione; la limitazione dell’accesso agli Sprar ai titolari di protezione, escludendo quindi i richiedenti asilo che sono la stragrande maggioranza dei migranti ospitati dal sistema di accoglienza; il prolungamento dei tempi di permanenza nei Centri di accoglienza e nei Centri per il rimpatrio (fino a 210 giorni) e la costruzione di nuovi grandi centri, anche in deroga al codice degli appalti. Infine, l’ampliamento delle ragioni che possono determinare la revoca della protezione internazionale e l’espulsione. A tutto ciò si aggiunge la recente riduzione della diaria, che varierà  tra 26 e 19 euro, nei Cas e nei Centri di prima accoglienza, con l’eliminazione dell’obbligo di istituire corsi di lingua e altri servizi di assistenza.
CHI PERDE
A pagare le conseguenze della nuova politica saranno per primi i migranti. “Ma pagheranno, anche e da subito — spiega Legambiente — le economie locali” che hanno beneficiato dei progetti dell’accoglienza diffusa (sistema Sprar e i Cas della microaccoglienza).
Secondo la Fondazione Moressa i lavoratori stranieri regolarizzati nel 2016 hanno versato 3,3 miliardi di euro di Irpef, 320 milioni per i permessi di soggiorno e le richieste di cittadinanza e 11,9 miliardi per contributi previdenziali.
Per un introito totale nelle casse dello Stato di 19,2 miliardi, a fronte di una spesa pubblica per gli immigrati pari a 17,5 miliardi, con un bilancio positivo che oscilla tra 1,7 e 3 miliardi.
“Pagheranno i moltissimi piccoli comuni — si prevede del rapporto — che grazie ai progetti di accoglienza diffusa hanno potuto rialzare la testa”.
Sono arrivati giovani e famiglie con figli, che hanno ripopolato paesi a prevalente presenza di anziani (dal 2011 al 2016 la popolazione è cresciuta dello 0,26%, mentre la popolazione straniera è cresciuta del 20% circa), hanno fatto riaprire scuole, hanno portato a riattivare servizi sociali e sanitari, utilizzati da tutta la popolazione, hanno creato circuiti virtuosi di nuova cultura e circuiti economici.
“E poi pagheranno le città , medie e grandi — si legge nel dossier — dove si riverseranno gran parte dei 600mila clandestini previsti, alla ricerca di qualche risorsa per sopravvivere”.
La contromisura annunciata consisterebbe in un aumento dei rimpatri. Secondo una stima di Open Migration sui dati forniti da Frontex, un rimpatrio può costare tra 6mila e 8mila euro a migrante. Per rimpatriare 600mila irregolari servirebbero tra i 3 miliardi e mezzo e i 5 miliardi, ma il decreto stanzia solo 1,5 milioni l’anno per il 2019 e 2020.
LE STORIE
Dietro questi numeri, ci sono le storie e quello che si è potuto fare, invece, grazie all’accoglienza diffusa.
C’è Mohamed Momo Sissoko, un ragazzo maliano di 25 anni, ex-beneficiario del progetto Sprar di Alghero.
Mohamed ha terminato le scuole, ha iniziato a lavorare stagionalmente come animatore ed è riuscito a farsi assumere nel Cas dove era stato ospitato.
Gioca in una squadra di basket e si è iscritto anche a un corso di laurea in cooperazione allo sviluppo.
Mezzago, nella provincia di Monza e Brianza, è uno dei 29 comuni consorziati nell’azienda speciale Offertasociale, ente gestore di uno Sprar che ospita 50 persone. “Con il nuovo decreto Sicurezza — spiega nel rapporto il sindaco Giorgio Monti — noi perdiamo tanto, perchè abbiamo costruito delle cose che adesso non resteranno più in piedi. Se parliamo di indotto — prosegue il primo cittadino — l’accoglienza è un settore che negli ultimi anni in Italia ha occupato quasi 15mila operatori”.
A Latina, il progetto Sprar è partito nel 2014 con 31 posti, diventati 81 nel 2017. Nell’ambito di questa esperienza, è nato un laboratorio di sartoria artigianale gestito dalla cooperativa Astrolabio — uno dei soggetti attuatori del progetto — e avviato inizialmente solo con donne rifugiate.
“Oggi — racconta Legambiente nel rapporto — quando si entra nell’Atelier Acanthus, la prima cosa che colpisce è la bellezza del luogo, la cura del dettaglio, i colori delle stoffe”.
Donne e uomini rifugiati lavorano alla confezione di vestiti e accessori di alta sartoria, ma non solo. “Ci sono i bambini, si dipinge, si fa musica, è un centro polifunzionale, dove si fa anche arte” spiega l’assessore comunale alle Politiche di welfare Patrizia Ciccarelli.
A Comerio, paese di poco più di 2.800 abitanti che affaccia sul lago di Varese, l’avvio dell’esperienza di accoglienza, nel 2015, non passò inosservato. Non solo perchè questa parte di Lombardia è ad ampia prevalenza leghista, ma anche perchè il sindaco Silvio Aimetti prese alla lettera chi gli diceva di ospitare i migranti a casa sua. Mise a disposizione un suo appartamento a titolo gratuito, chiedendo alla Cooperativa lotta contro l’emarginazione che avrebbe gestito l’accoglienza di devolvere la cifra dell’affitto, circa 800 euro al mese, a un progetto di reinserimento lavorativo per i cittadini disoccupati.
Qual è la ricaduta economica del progetto sul territorio? “Indicativamente — spiega il sindaco — per ogni 7-8 persone richiedenti asilo si crea un posto di lavoro per un italiano, sia esso un educatore, un mediatore culturale. Sono posti di lavoro finanziati tramite il Ministero, ma sempre posti di lavoro che si creano. Oltre al fatto che anche i profughi poi possono trovare un impiego”.
Chiusano d’Asti è il comune capo la del progetto Agape, di cui fanno parte anche Castellero, Cortandone, Monale e Settime.
È nato nel 2015 con 21 posti disponibili e oggi ne ha 45, sparsi sul territorio dei cinque comuni. Non sono tutti occupati perchè, revocata la protezione umanitaria, il ministero dell’Interno non ha più mandato richiedenti. Situazione nella quale si trovano diversi comuni.

(da agenzie)

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I 18 GRILLINI SI ARRENDONO E RITIRANO GLI EMENDAMENTI

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

VITTIME DEL RICATTO RECIPROCO: I LEGHISTI TRANGUGIANO IL DECRETO ANTICORRUZIONE E I GRILLINI SI TAPPANO IL NASO SUL DECRETO SICUREZZA (INCOSTITUZIONALE)

Alla fine si sono arresi. I 18 deputati pentastellati che avevano inviato una mail al capogruppo Francesco D’Uva per rivendicare la possibilità  di apportare modifiche al testo del dl Sicurezza targato Salvini, oggi hanno infatti inserito la retromarcia e ritirato i 5 emendamenti presentati nei giorni scorsi.
A riferirlo, la capogruppo M5S in Commissione, Anna Macina. Ora l’Aula dovrà  votare entro le 19 gli oltre 600 emendamenti presentati dai cari gruppi al decreto sicurezza e immigrazione.
Ed è rivolta nell’opposizione. “Hanno trovato un punto di accordo. La Lega ha dato il via libera all’anticorruzione che non voleva e il M5S ha blindato il dissenso interno sul dl sicurezza. Le opposizioni – spiega Stefano Ceccanti del Pd – stanno intervenendo per dire che ci hanno convocato per fare una sceneggiata… Hanno deciso che si approva il testo senza modifiche”, aggiunge il costituzionalista.
Proteste anche dal deputato di +Europa Riccardo Magi: “L’ufficio di presidenza della commissione Affari Costituzionali ieri ha deciso che l’esame e il voto degli emendamenti (oltre 600) sul cosiddetto decreto Sicurezza, terminerà  in ogni caso oggi alle 19. È stato chiesto alle opposizioni di diminuire il numero degli emendamenti e i tempi di intervento. Abbiamo allora chiesto al presidente e relatore Brescia e alla maggioranza se ci fosse la disponibilità  a modificare il provvedimento che tutti i soggetti auditi hanno giudicato pessimo. Nessuna risposta”.
“Lunedì mattina inizierà  l’esame in aula e sicuramente verrà  messa la fiducia sulla conversione del decreto, com’è avvenuto anche al Senato. Di fatto – lamenta Magi – è stato completamente impedito l’esame e la discussione di questo schifo di legge sia in commissione che in aula”.
“Si sono impiegati giorni – continua il deputato radicale – per approvare un’altra legge pessima, cosiddetta ‘anticorruzione’, che stava a cuore al M5S che voleva incassarla prima di garantire alla Lega – di cui non si fida – l’approvazione di quest’altro capolavoro di incostituzionalità  e malgoverno che è il dl Sicurezza-Immigrazione. Ora anche la Lega può andare all’incasso, ai danni di tutti e con l’accondiscendenza del M5S”, conclude.

(da agenzie)

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IL FALLIMENTO DELL’ASTA BTP ITALIA, ANTICAMERA DEL TERRORE IN ARRIVO A GENNAIO

Novembre 23rd, 2018 Riccardo Fucile

QUANDO CI SARANNO 260 MILIARDI DI NUOVI TITOLI DA EMETTERE A FRONTE DI SCADENZE PER 200 MILIARDI DI EURO E VERRA’ A MANCARE IL SUPPORTO DELLA BCE

I Btp Italia sono titoli di Stato pensati per i piccoli risparmiatori, che assicurano il recupero dell’inflazione più un premio di rendimento.
Per questo vengono offerti ai privati prima che agli investitori istituzionali e per questo l’andamento dell aste su questi strumenti finanziari viene spesso monitorato per comprendere la percezione del rischio di un paese.
E ieri, a conclusione dell’ultima asta di Btp Italia, si è registrato il peggior collocamento di Btp dal giugno 2012, ovvero dalle settimane del contagio greco.
Il titolo con scadenza novembre 2022 ha raccolto 1,3 miliardi dagli investitori istituzionali per un totale di appena 2,16 miliardi, contro una previsione di 7-8 miliardi.
Un fallimento che è evidentemente causato dal panico in continua diffusione sui mercati per i conti dell’Italia e per la crescita dello spread, che il governo gialloverde non ha ancora trovato il modo di fronteggiare se non con la tattica del rimanda, rimanda cara ai democristiani.
Il punto però non è il 2018, visto che ormai gran parte del fabbisogno di liquidità  è coperto. Il vero problema è il 2019.
Le emissioni previste il prossimo anno sono nell’ordine dei 400 miliardi di euro. Escludendo i BoT ci sono 260 miliardi di nuovi titoli da emettere a fronte di scadenze per 200 miliardi di euro.
E da maggio 2018 in poi — ha certificato Bankitalia — gli investitori istituzionali hanno ridotto la loro esposizione in BTp di 68 miliardi di euro.
Un vero e proprio esodo come non si vedeva dal 2011-2012 che è stato compensato in parte della BCE, la cui esposizione in BTp è cresciuta di 16,4 miliardi da maggio, e soprattutto dalle istituzioni finanziarie domestiche che hanno aumentato i BTp in portafoglio per 73,6 miliardi.
E non è un caso che sia maggio 2018 la data di partenza: all’epoca uscì la famosa bozza del contratto di governo che prevedeva il referendum sull’euro che poi, complice anche la scelta di Savona come ministro dell’Economia, diede il via a un buon numero di retroscena sulle intenzioni, mai nascoste prima da parte di interi settori della maggioranza gialloverde, di portare l’Italia fuori dalla moneta unica.
La Manovra del Popolo e i richiami di Bruxelles, che l’esecutivo Conte ha pateticamente tentato di addossare ai governi precedenti, è la ciliegina su una torta che rischia di diventare indigesta non per la Lega o per il M5S, ma per tutta l’Italia.
E così, mentre si rincorrono voci (non si sa se vere o false) sulle dimissioni di Savona, non stupisce che nei resoconti si dipinga il ministro come pronto ad andarsene prima delle aste di gennaio: ricorda oggi Andrea Franceschi sul Sole 24 Ore che nel 2019 verrà  a mancare il supporto della Bce che a dicembre smetterà  di acquistare titoli nell’ambito del Qe e, con un contributo minore da parte dei fondi esteri e la freddezza manifestata fin qui dai risparmiatori retail, l’unica opzione rimasta (escludendo l’improbabile contributo di Paesi solidali alla causa sovranista come la Russia di Putin) è che il fardello ricada sulle istituzioni finanziarie domestiche.
L’esposizione in BTp delle “main financial istitution”(gli istituti più grossi) è ampia ma in diminuzione proprio a causa del diverso valore dei Titoli di Stato.
Qualcuno, come Generali, ha già  annunciato l’intenzione di diminuire le quote in portafogli. Lo scenario che comincia a farsi sempre più reale per gennaio è quello dei flop nelle aste dei titoli di Stato. L’anticamera del dramma.

(da “NextQuotidiano”)

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