Destra di Popolo.net

ALLARME DELLA BANCA D’INGHILTERRA: “CON LA BREXIT RISCHIAMO LA PEGGIORE CRISI DAL 1945”

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

UN MONITO AI CAZZARI SOVRANISTI CHE VOGLIONO DIFENDERE I CONFINI DELLA LORO PSICHE MALATA

“Potrebbe aspettarci la peggiore crisi dopo la Seconda Guerra mondiale”.
Lo psicodramma della Brexit oggi ha raggiunto un’altra, paurosa vetta in Regno Unito e ha segnato un’umiliazione con pochi precedenti per tutti i predicatori dell’uscita dall’Europa.
La Banca d’Inghilterra ha infatti pubblicato le stime sulle conseguenze della Brexit in caso di “no deal”, cioè “nessun accordo”, caso che potrebbe verificarsi qualora il Parlamento britannico bocciasse il piano che May ha raggiunto faticosamente con l’Europa per trascinare Londra fuori dall’Ue.
Le cifre sono apocalittiche.
In caso di “no deal”, nella peggiore delle ipotesi, l’economia britannica si contrarrà  dell’8 per cento soltanto nel 2018, secondo la Banca d’Inghilterra, e Londra perderà  10,5 punti di Pil in meno in cinque anni.
Una voragine enorme, se pensiamo che durante la devastante crisi del 2008 il Pil britannico scese “soltanto” di 6,25 punti.
Non solo: la sterlina potrebbe crollare del 25 per cento (sbriciolando il suo valore già  oggi ai minimi), il prezzo delle case capitolerebbe di un altro 30 per cento, mentre la disoccupazione raddoppierà .
Roba che neanche la crisi di Suez. Per tornare a una catastrofe simile, ha fatto notare il governatore della Banca d’Inghilterra Carney, bisogna appunto tornare al 1945, dopo la guerra contro Hitler.
La premier May ha incassato il durissimo colpo e in serata ha ammesso: qualsiasi piano di uscita, incluso il suo, renderà  il Regno Unito più povero, rispetto a ora come membro dell’Ue.
È una presa di coscienza drammatica, che fa capire lo stato attuale del Paese. L’accordo di May, sempre secondo la Banca d’Inghilterra e sempre qualora passi in Parlamento, comunque eroderà  il 3,9 per cento di Pil britannico nei prossimi 15 anni.
Non solo. Gli economisti dello stesso governo May oggi hanno svelato altre scomode verità : la capacità  di stringere accordi commerciali con altri blocchi mondiali (una delle terre promesse dei brexiters) non porterà  alcun vantaggio rispetto al mercato unico Ue; le finanze di Londra avrebbero molto più denaro in Europa; e, ultimo sonoro schiaffo ai messia dell’uscita dall’Ue, l’economia britannica sarà  meno prospera senza i migranti dell’Unione Europea.
Il momento è così tragico che persino Jeremy Corbyn e il suo vice John McDonnell, i leader del Labour ultrasocialista, stamattina avevano cambiato improvvisamente idea. Forse perchè erano già  a conoscenza delle conclusioni dalla Banca d’Inghilterra.
In un’intervista alla Bbc, McDonnell ha accantonato ufficialmente l’obiettivo laburista di andare al voto qualora May cadesse in Parlamento: “Un secondo referendum sarebbe inevitabile”.
Un cambio radicale di strategia, perchè fino a qualche giorno fa una nuova consultazione popolare era l’ultima soluzione.
Segno che anche Corbyn ha capito di aver scherzato troppo con il fuoco.

(da agenzie)

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TRATTATIVA FERMA, IL GOVERNO STA ANDANDO A SBATTERE

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

PENSAVANO DI CAVARSELA CON LO SCONTO DELLO 0,2% E RINVIANDO LA PROCEDURA D’INFRAZIONE A DOPO LE EUROPEE, MA IN EUROPA NON SONO FESSI

Giuseppe Conte e Giovanni Tria sono partiti per il G20 di Buenos Aires lasciando a Roma una manovra immutata. Non c’è traccia di nuove carte.
Il vertice pomeridiano a palazzo Chigi, prima della partenza, non ha prodotto ritocchi, a dispetto delle promesse di dialogo fatte con Bruxelles.
Anzi, fonti ufficiali del governo dicono che di manovra non si è proprio parlato. E allora? La trattativa con l’Unione europea si è fermata di nuovo.
Nessun avanzamento su quella che appena due giorni fa l’esecutivo aveva disegnato come la strategia di riavvicinamento a Bruxelles: sgonfiamento delle misure cardine della manovra, cioè reddito di cittadinanza e quota 100, e apertura a rivedere, seppure in misura limitata, l’asticella del deficit fissata al 2,4 per cento.
Ne fa le spese il testo della manovra, all’esame della commissione Bilancio della Camera. Il suo iter, spiegano fonti parlamentari, proseguirà  senza scossoni fino a lunedì, al massimo martedì, quando passerà  all’aula per il voto. Ancora intatto, senza modifiche cioè ai capitoli di spesa che sono al centro della diatriba tra Roma e la Commissione europea. Il via libera arriverà  settimana prossima, quindi, proprio nei giorni in cui Tria sarà  a Bruxelles per il doppio appuntamento dell’Eurogruppo e dell’Ecofin.
A Roma si aspetta. Eventuali modifiche saranno apportate solo durante il passaggio al Senato, ammesso che succeda. Il condizionale è d’obbligo ed è legato all’esito della trattativa politica con Bruxelles.
Nelle agende dei leader italiani sono cerchiati in rosso due appuntamenti: il Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre e la data del 19, quando la Commissione potrebbe produrre le sue raccomandazioni per l’Italia da sottoporre all’Ecofin del 22 gennaio. Ecofin che a sua volta potrebbe aprire formalmente la procedura di infrazione per deficit eccessivo basato sul debito. §
E il dialogo di cui si continua a parlare dalla cena di Conte e Tria con Jean Claude Juncker, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis sabato scorso a Bruxelles? Per ora è solo enunciato.
Fermo ai propositi del governo di Roma che non sono sufficienti a fermare la macchina europea che punta dritto alla procedura di infrazione.
Tra Palazzo Chigi e il Viminale, dicastero del ‘peso massimo’ di governo il vicepremier Matteo Salvini, se ne sono convinti ancora di più oggi, leggendo le dichiarazioni di Dombrovskis.
“Secondo la decisione del Consiglio del luglio scorso – ha detto il vicepresidente della Commissione europea in conferenza stampa a Bruxelles – l’Italia dovrebbe fare uno sforzo strutturale pari allo 0,6% del Pil. Invece, sta programmando un peggioramento pari allo 0,8%, che per le previsioni della Commissione sono in realtà  l’1,2%. Il divario è molto grande: è chiaro che dev’esserci una correzione sostanziale della traiettoria di bilancio, non marginale”.
Insomma è chiaro che alla Commissione non basterebbe nemmeno un’eventuale riduzione dello 0,2 per cento del deficit impostato nella manovra bocciata da Bruxelles al 2,4 per cento.
Tra l’altro, Dombrovskis oggi ha anche adombrato rischi per la tenuta delle banche italiane, un po’ come ha fatto Daniele Nouy, ex capo della vigilanza della Bce, la scorsa settimana nella sua ultima audizione al Parlamento europeo prima di lasciare il testimone all’italiano Andrea Enria.
È “importante” che il governo corregga la rotta sulla manovra economica, è il ragionamento di Dombrovskis, anche per “minimizzare” le conseguenze negative per il settore bancario. “Certamente — continua – vediamo che l’aumento degli spread per i titoli di Stato sta avendo ripercussioni sulle aziende italiane, comprese le banche. Quindi è importante che la traiettoria di bilancio venga corretta, che il deficit e il debito pubblico vengano portati di nuovo su una traiettoria discendente, e che, di conseguenza, gli effetti negativi sull’economia italiana siano minimizzati”.
Per questo a Roma ha prevalso ancora una volta la linea dei due vicepremier Salvini e Di Maio, i più restii a fare concessioni a Bruxelles.
Ore di valutazioni per capire come ma soprattutto se riprogrammare la strategia vista la reazione negativa di Dombrovskis. Chi prova a fare breccia nel muro dei due è Tria. Il ministro dell’Economia, secondo quanto riferiscono fonti di governo, sarebbe ritornato a insistere sulla necessità  di dare un segnale più netto, portando il deficit al 2 per cento.
Solo così, sarebbe la convinzione di Tria, l’Europa potrebbe avere una reazione diversa. Ma è un muro contro muro perchè Salvini e Di Maio non intendono cedere. La resa, infatti, avrebbe un costo elevatissimo. Perchè abbassare il deficit di 0,4 punti significa togliere 7,2 miliardi al reddito di cittadinanza e alla quota 100.
Un’ipotesi, questa, che va ben oltre l’apertura ritenuta accettabile e cioè sgonfiare le due misure di 3-4 miliardi.
Significherebbe, inoltre, rinviare le misure ancora più in avanti rispetto a un avvio che oramai è già  dato oltre marzo. Ma a maggio ci sono le elezioni europee e lo scenario che si vuole assolutamente evitare è quello di arrivare al voto a mani vuote davanti agli elettori.
Conte e Tria sperano molto nei bilaterali che avranno a margine del G20 di Buenos Aires, con lo stesso Juncker e anche con Moscovici, e con i ministri dell’Economia degli altri Stati forti dell’Unione, come il francese Bruno Le Maire e il tedesco Olaf Scholz, che è stato ieri in missione a Roma per un colloquio con il titolare del Tesoro. “Il G20 di Buenos Aires darà  ulteriore passo avanti nella trattativa con l’Ue – dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora – Il premier Conte parlerà  con il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker e non sarà  una cena, sarà  un incontro di lavoro vero”.
Ma ad oggi la trattativa è ferma. Mentre a Bruxelles l’iter della procedura di infrazione va avanti. Domani i tecnici del Tesoro degli altri Stati membri si riuniranno in teleconferenza nel Comitato economico e finanziario che fa capo all’Ecofin.
Il loro sarà  il primo disco verde alla relazione della Commissione: ok alla procedura contro l’Italia. La prossima settimana se ne parlerà  all’Eurogruppo e all’Ecofin, lunedì e martedì, proprio mentre a Roma l’aula di Montecitorio discuterà  e approverà  la manovra.
Il 13 e 14 dicembre ne parleranno i capi di Stato e di governo al Consiglio europeo di fine anno a Bruxelles, tra l’altro un consiglio denso di argomenti, dalla Brexit ai destini (alquanto incerti) della missione Sophia sui migranti nel Mediterraneo.
A Roma hanno scelto di aspettare queste tappe, di monitorare nel frattempo spread e mercati. E andare avanti senza inviare a Bruxelles alcun nuovo documento che modifichi quello bocciato. Proprio come ha annunciato Salvini ieri mattina.
Se la situazione dovesse precipitare, l’esame della manovra in Senato potrà  rivelarsi passaggio utile per adottare delle modifiche.
Ma ad oggi l’aria non è questa a Roma, dove sono disposti a concedere molto poco a Bruxelles, comunque nulla che modifichi il corso degli eventi. Tria l’ha ribadito davanti al Senato nel corso della sua informativa: si punta a una “soluzione ottimale” ma senza rinunciare alle “priorità “.
A Bruxelles anche oggi Moscovici insiste a dire che “il debito pubblico è nemico dell’economia”, anche se “le nostre regole sono sicuramente troppo complesse, vanno semplificate” e sono “molto difficili da comunicare” soprattutto verso l’Italia. “Ma — continua il commissario europeo agli Affari Economici – ridurre il deficit strutturale è la sola strada per controllare il debito pubblico: quando vado dai miei amici italiani e spiego che il deficit strutturale non va bene, mi dispiace che non posso convincere ogni italiano…”.

(da “Huffingtonpost”)

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GLOBAL COMPACT, CONTE DISERTA IL VERTICE DI MARRAKECH MA IL M5S CI SARA’ CON LA DELEGAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

DON ABBONDIO CAMBIA IDEA DOPO LE MINACCE DEI BRAVI

“A Marrakech il governo non parteciperà , riservandosi di aderire o meno al documento solo quando il Parlamento si sarà  pronunciato”, annuncia in una nota il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo 24 ore di discussioni nel governo sul Global Compact, l’accordo Onu sull’immigrazione che verrà  sottoscritto il 10 e 11 dicembre prossimi in Marocco.
Il governo italiano non sarà  lì, schiacciato alla fine sulla linea del no al Global Compact dettata da Matteo Salvini e schierato con i paesi prevalentemente dell’est Europa: Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Croazia, e poi Austria e Svizzera, più Israele e Australia e l’America di Donald Trump per parlare dei paesi fuori dall’Ue.
Eppure, a quanto apprende Huffpost, a Marrakech il M5s ci sarà : con la delegazione del Parlamento europeo.
A rappresentare il gruppo Efdd nella delegazione composta da 9 europarlamentari ci sarà  Laura Ferrara del Movimento cinquestelle.
A meno di cambi di programma alla luce della nuova posizione del governo italiano, Ferrara sarà  a Marrakech insieme ai colleghi degli altri gruppi: da Cecile Kyenge del Pd (Socialisti e democratici) fino a Judith Sargentini, la pasionaria dei Verdi autrice dalla relazione su Viktor Orban che portò al voto di condanna del go
Naturalmente, la presenza di un europarlamentare dei cinquestelle alla conferenza Onu in Marocco è un altro segnale delle divisioni nel governo sul tema del Global Compact: più precisamente delle spaccature interne al Movimento cinquestelle che soffre sempre più il protagonismo della Lega nella maggioranza gialloverde.
Basti vedere anche le dichiarazioni di Giuseppe Brescia, deputato pentastellato, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera.
“Il Global compact va sottoscritto assolutamente”, scrive su Facebook dopo aver appreso della scelta di Conte di non andare a Marrakech. “Non cadiamo nelle trappole dell’opposizione su un atto, tra l’altro, non vincolante — insiste Brescia – Abbiamo bisogno di una gestione globale dell’immigrazione. L’Europa ha fallito e ha lasciato da soli i singoli Stati. Ora che facciamo? Rifiutiamo un tentativo più ambizioso? Non vedo perchè non si debbano valutare ora attentamente le proposte del Global compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare. Il Ministro Enzo Moavero Milanesi ha spiegato cosa prevede: nel documento ‘sono recepiti principi di responsabilità  condivisa, principi di partenariato con i Paesi di origine e di transito e la necessità  di contrasto ai trafficanti di esseri umani’. Sono esattamente le stesse cose che chiediamo all’Unione Europea”.
Eppure Conte è costretto a seguire la linea di Salvini. Anche se continua a pensare che il Global Compact sia “assolutamente compatibile con la nostra strategia multilivello sull’immigrazione”, spiega il premier in conferenza stampa a Palazzo Chigi.
“Non ho affatto cambiato idea. Pur essendo un documento di carattere programmatico non vincolante ha un rilievo politico: c’è molta attesa in vista della scadenza di Marrakech, mi arrivano segnalazioni. C’è molto fermento”.
Ma l’Italia non ci sarà . Perchè l’ha deciso Salvini.
Spiega Conte: “Ho convocato ieri un vertice nel corso del quale, con il ministro degli Esteri e con i vicepresidenti, anche se Di Maio non poteva esserci ed era rappresentato dal sottosegretario Di Stefano, abbiamo convenuto dopo una serena e franca valutazione delle rispettive opinioni che è giusto creare un passaggio parlamentare in cui confrontarsi ed esprimere in modo molto disteso e ampio. Questo viene consentito perchè Marrakech è sicuramente un appuntamento ma non l’ultima occasione per potersi esprimere”.
Intanto il Movimento cinquestelle da Bruxelles manderà  una sua rappresentante all’iniziativa di Marrakech. Non solo.
Domani mattina la mini-plenaria in corso all’Europarlamento affronterà  un dibattito proprio sul Global Compact. Lo hanno chiesto i Socialisti: la richiesta è passata con il voto a favore degli europarlamentari del M5s, contrari i leghisti.
Del resto, il Global Compact è figlio di un’epoca che sembrerebbe passata. I negoziati sull’accordo Onu per una “migrazione sicura, ordinata e regolare” furono avviati quando alla Casa Bianca c’era ancora Barack Obama.
L’anno scorso i primi a ritirarsi furono proprio gli Stati Uniti, ormai governati da Donald Trump. E man mano che si avvicina la data di Marrakech, l’elenco di chi diserta si allunga.
Oggi si è aggiunta anche l’Italia, insieme a un ‘club’ di paesi che fino a ieri non erano alleati strategici: alleati quando si tratta di alzare muri in fatto di immigrazione, per niente solidali con uno Stato di frontiera come il Belpaese, esposto ai flussi migratori del Mediterraneo.
Succede, quando a prevalere è la propaganda a fini di politica interna: ovunque.

(da “Huffingtonpost”)

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LA CAMUSSO: “DI MAIO MANDI GLI ISPETTORI DEL LAVORO NELL’AZIENDA DI SUO PADRE”

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

LA SINDACALISTA METTE IN EVIDENZA UN POTENZIALE CONFLITTO DI INTERESSI: UN MINISTRO DEL LAVORO NON PUO’ ANCHE ESSERE LEGATO A UN’AZIENDA CON LAVORATORI IN NERO

“Credo che il ministro del lavoro abbia il dovere istituzionale di mandare gli ispettori a verificare la situazione perchè solo su quella base potranno essere dati giudizi”: a dirlo la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, rispondendo oggi a Perugia alla stampa che gli chiedeva un suo giudizio sulla posizione di Luigi Di Maio in merito alla vicenda che coinvolge l’azienda del padre.
A fronte di tre ex dipendenti che denunciano di aver lavorato in nero, semmai c’e’ da stupirsi che nessuno, fino ad oggi, abbia provveduto ad aprire un fascicolo per porre in essere gli opportuni accertamenti-
Rappresenta altresì un’anomalia il potenziale conflitto di interessi tra un ministro del lavoro e un’azienda prima parterna, poi che lo vede socio al 50%, con denunce pubbliche di lavoro irregolare senza che ui si senta in dovere di mandare un’ispezione.
Ispezione che peraltro avrebbe dovuto essere automatica da parte delle strutture locali, ma che evidentemente nessuno si è sentito di fare.
Troppe cose atipiche per non destare sospetti.

(da agenzie)

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DOMANI LA VERIFICA DELLA POLIZIA MUNICIPALE SUL TERRENO “FANTASMA” INTESTATO PER IL 50% AL PADRE DI DI MAIO

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

SE I MANUFATTI RISULTASSERO ABUSIVI LA PALLA PASSERA’ ALLA PROCURA DI NOLA

«Si stanno facendo degli accertamenti sull terreno a Mariglianella con tanto di “immobile fantasma”, ovvero non censito dall’Agenzia del Territorio e sotto ipoteca per un debito pari a 176 mila e 724,59 euro.
La storia è collegata a quella di Salvatore Pizzo e degli altri operai in nero della ARDIMA S.R.L. perchè a quanto pare attualmente il terreno e i manufatti vengono usati come deposito per gli attrezzi.
La polizia municipale del comune guidato dal sindaco Felice Di Maiolo ha avviato accertamenti effettuando un sopralluogo e convocando per giovedì mattina il papà  di Luigi Di Maio e una zia, Giovanna, che risiede a Reggio Emilia, per effettuare il «controllo edile presso la proprietà ».
Domani, scrive l’agenzia di stampa AGI, i vigili si presenteranno per effettuare di verifiche. Ai cancelli di via Umberto I civico 69 ci sarà  proprio Antonio Di Maio, padre del vicepremier ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico.
Dovrà  aprire i cancelli perchè la polizia locale, inviata dal sindaco Felice Di Maiolo, di Forza Italia, vuole tecnicamente “conoscere lo stato dei luoghi”, vedere cioè se i dati catastali sono conformi a quanto è riscontrabile nella proprietà .
Se questi risultassero abusivi, tutta l’informativa passerebbe alla Procura di Nola che dovrebbe indagare per abusi edilizi.
I vigili, racconta ancora l’AGI, erano stati al terreno di via Umberto a Mariglianella già  lunedì mattina. Ma c’erano i lucchetti al cancello e non avevano il mandato per entrare in una proprietà  privata.
Così hanno notificato all’interessato l’invito per domani mattina alle 9.
Nel rudere, composto da due particelle catastali, sono presenti tre manufatti. Uno in fondo all’appezzamento, con mura di tufo e chiuso da una porta. Un altro con finestre rotte e probabilmente in disuso. Un altro di colore grigio che ha una cancellata in ferro. Sono tutti con i tetti. In tutto il terreno ci sono materiali di risulta sparsi, oltre che attrezzature da muratura.
Nel 2000 Antonio Di Maio, padre del ministro, firma davanti un notaio l’acquisto di due terreni e un fabbricato nel Comune di Mariglianella.
Ne acquista però solo il 50 per cento, sia dei terreni che del fabbricato. Al 18 novembre, Di Maio senior risulterebbe (dagli atti depositati in Conservatoria) ancora proprietario dei terreni.
I due appezzamenti ricadono in un’area che il Piano regolatore generale del 1983 del Comune di Mariglianella (ancora vigente) destina alla realizzazione di attrezzature sportive ed edifici scolastici. Al momento del passaggio di proprietà  non risulterebbero immobili realizzati sui due terreni.
Qual è l’anomalia che emergerebbe dai documenti visionati da il Giornale?
Nel database in possesso degli uffici dell’Agenzia del Territorio (ex catasto), Di Maio padre sarebbe titolare solamente delle due particelle di terreno: la n.1309 e n.811.
Sia nei documenti in mano al notaio che in quelli depositati agli uffici dell’ex catasto non emergerebbero immobili o manufatti sui due terreni.
L’immobile già  esisteva al momento del passaggio di proprietà  ma non è stato inserito nell’atto notarile? In questo caso la legge prevede l’annullamento dell’atto.
E dunque l’azzeramento del passaggio di proprietà .
L’immobile, in muratura, sarebbe stato costruito successivamente? Però, in questo caso non risulterebbe nel database dell’Agenzia del territorio. Se il padre del vicepremier avesse costruito dopo l’immobile avrebbe avuto l’obbligo di darne comunicazione all’Agenzia del Territorio.
Perchè il Comune per l’applicazione dei tributi (Imu, tassa sui rifiuti) si aggancia ai dati registrati al catasto.
La seconda presunta anomalia. Per costruire il manufatto, il genitore del ministro avrebbe avuto bisogno di un’autorizzazione edilizia.
E pare che al Comune non risulterebbero licenze edilizie rilasciate negli ultimi anni su quella particella di terreno. E qualora fosse stata rilasciata una licenza, i paletti sarebbero stati molto ristretti: strutture scolastiche o edifici di interesse sportivo e collettivo.
Ma l’immobile non sarebbe nè una scuola nè una struttura sportiva ma dal rilievo fotografico sembrerebbe un deposito per attrezzi di lavoro.
Attrezzi per un’attività  edile. Potrebbe aver in tasca una pratica di condono in corso? Ma quale?
La Campania non ha aderito all’ultimo condono mentre le altre sanatorie risalgono agli anni antecedenti al passaggio di proprietà  dei terreni. E quindi, la richiesta di condono pendente andava inserita nell’atto notarile. Il padre del vicepremier potrebbe essere titolare di una licenza? Licenza che però al momento non risulterebbe nei documenti ufficiali in mano agli uffici del Comune.
Il Giornale sostiene di aver chiesto spiegazioni all’ufficio stampa di Di Maio, senza ricevere risposta.

(da “NextQuotidiano”)

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IN LOMBARDIA E VENETO COLATA DI ASFALTO E CEMENTO TARGATA LEGA

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

CONSUMO DEL SUOLO, CONTRIBUTI PUBBLICI E GUADAGNI PRIVATI… LA PEDEMONTANA LOMBARDA HA PERDITE PER 58 MILIONI, LA BREBEMI PER 190 MILIONI

Senza far troppo rumore, per non disturbare l’alleato di governo, la Lega è protagonista della più grande colata di asfalto e cemento mai registrata in Pianura Padana.
E proprio in quelle terre, già  soffocate da un’infrastrutturazione selvaggia (e rigorosamente bipartisan) si giocherà  la resa dei conti con l’alleato pentastellato, ben presente nei comitati locali contro le nuove opere e geneticamente avverso al consumo di suolo. Epicentro del mega progetto viabilistico, due regioni a trazione leghista per eccellenza: Lombardia e Veneto.
LOMBARDIA
Partiamo dalla prima, campione nazionale della “cura dell’asfalto” e prima in Italia per consumo di suolo, cresciuto dal 2012 del 18%. Era il settembre 2016 quando la giunta Maroni varò il primo Piano regionale dei trasporti, dopo 34 anni di vuoto legislativo.
Con tanto di Valutazione ambientale strategica, lo strumento più evoluto di analisi ambientale a livello europeo, salvo poi ignorarne i risultati. Tutte, ma proprio tutte le nuove autostrade passarono l’esame, per un totale di 331 km su 715 di dotazione esistente.
Gap infrastrutturale? Macchè, la Lombardia è la terza regione in Europa per densità  autostradale. Spiazzando le previsioni, vennero riesumate arterie come la Cremona-Mantova, estinta naturalmente per mancanza di finanziamenti, o la Broni-Mortara, autostrada del Gruppo Gavio bocciata in sede di valutazione ambientale (primo caso in Italia) vista la contaminazione che continua a mietere vittime in quella zona, già  ferita dall’amianto della Fibronit.
Poi c’è la Tirreno-Brennero, 84 km tra Fontevivo e Nogarole Rocca, nel cremonese, in un quadrilatero già  percorso da quattro autostrade. Qui tra contributo pubblico (900 milioni) e indennizzo di fine concessione (1,7 miliardi) Gavio potrebbe vedersi ripagata l’intera opera, appaltata al costruttore Pizzarotti.
E ancora, la Pedemontana, la Verese-Como-Lecco, la Valtrompia, la Corda Molle (Brescia sud), la Bergamo-Treviglio. Costo complessivo: 11 miliardi, in buona parte destinati a Gavio, di cui 3,5 a carico di Stato, Regione e Anas.
Per non parlare delle superstrade, come la Rho-Monza o la Vigevano-Malpensa. Più della metà  dei soldi stanziati per le ferrovie, invece, andranno diritti all’alta velocità  Treviglio-Verona e Milano-Genova (Terzo valico) per 8,2 miliardi, o ad opere contestate come il traforo del Mortirolo (300 milioni).
Tutti progetti, non dimentichiamolo, passati senza uno straccio di valutazione costi-benefici indipendente, trasparente e comparabile, pratica introdotta solo di recente dal ministro Toninelli (prima erano gli stessi concessionari a valutare le proprie infrastrutture). Con poche eccezioni, i partiti hanno sempre visto come fumo negli occhi valutazioni super partes, perchè avrebbero bloccato troppi progetti e interrotto la spirale elettoral-affaristica dalla quale hanno attinto a piene mani.
Emblema della nuova corsa all’asfalto è diventata, suo malgrado, la Pedemontana Lombarda. Osannata in egual misura da Formigoni e Penati, l’autostrada è ora un vessillo leghista a tutto tondo. Non importa che tra perdite e svalutazioni stia affossando pezzi importanti dell’impresa pubblica lombarda, che pagheranno i cittadini. “Nessuno stop all’autostrada, se il governo dovesse decidere di non finanziarla e non sostenerla, sarà  sicuramente realizzata da Regione Lombardia”, ha tagliato corto il governatore Attilio Fontana
A un terzo del tracciato (mancano altri 60 km) in 5 anni ha collezionato perdite per 58 milioni, malgrado potenti iniezioni di denaro pubblico.
Non sono bastati 1,2 miliardi statali a fondo perduto, defiscalizzazioni per 380 milioni e garanzie regionali per 450 milioni: dopo tre decenni mancano ancora all’appello 235 milioni di capitale sociale e soprattutto 2,4 miliardi di finanziamenti privati, che le banche si guardano bene dal mettere.
Sarà  che il traffico è tuttora la metà  delle previsioni e il pedaggio il più caro d’Italia. La capogruppo Serravalle, un tempo gioiello dell’imprenditoria pubblica, si sta dissanguando per ricapitalizzare la società  e assorbire le perdite, mentre al piano superiore Asam (la finanziaria della Regione che ha in pancia Serravalle) ha chiuso i battenti con un buco di oltre 100 milioni.
Il conto è presto fatto. Tra svalutazioni, perdite, contributi e defiscalizzazioni, i 90 km di Pedemontana sono già  costati più di 2 miliardi alla collettività , senza contare le garanzie regionali, i futuri aumenti di capitale e i contenziosi. Per inciso, questi ultimi hanno generato oltre 2 milioni di spese legali in quattro anni, di cui 50mila incassati dall’avvocato di Maroni, Domenico Aiello, già  difensore delle Regione in altre cause.
Dopo l’ok del Cipe nel gennaio scorso, la Lega non vuol nemmeno sentir parlare di sospensioni o moratorie.
Lo scontro con i 5 Stelle in regione è continuo e dopo l’esposto all’Anac del senatore Gianmarco Corbetta potrebbero riaprirsi i giochi. Stesso scenario — più probabile — se entro 12 mesi dall’ok delle Corte dei Conti non arrivassero i finanziamenti, come previsto dal 2° atto aggiuntivo della Convenzione. A quel punto la palla passerebbe al governo e verrebbe ridiscusso il piano finanziario con sviluppi inediti, nazionalizzazione compresa (ipotesi avanzata a suo tempo dal ministro Delrio). Certo è che il conflitto in seno alla maggioranza uscirebbe come un fiume carsico.
Un altro caso clinico è la Brebemi, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano, che fa il paio con la perpendicolare Tangenziale Esterna (Teem), entrambe fortemente volute dalla Lega. Inaugurata nel luglio 2014, ha accumulato perdite per 190 milioni in quattro anni, nonostante 330 milioni di contributi pubblici (60 dalla giunta Maroni). Il traffico continua ad essere la metà  del previsto ma a fine concessione la società  — controllata dal Gruppo Intesa Sanpaolo con forte presenza di Gavio sugli appalti — potrà  contare su una “buonauscita” di 1,2 miliardi, che sommata ai soldi pubblici ripaga quasi interamente il costo di costruzione. Un po’ meglio i conti di Teem (-68 milioni in due anni), aperta nel maggio 2015 e passata recentemente sotto il controllo di Gavio.
“Brebemi è un’altra eccellenza lombarda, oltre che un’operazione veramente innovativa poichè si tratta del primo progetto autostradale italiano finanziato in project financing e premiato a livello europeo”, ha ripetuto con tono ipnotico il governatore Maroni.
In cambio la società  — benchè interamente privata — ha sempre riservato alla Lega un posto nel Cda, come fece in passato a seconda delle giunte e dei governi in carica. Una prassi da Prima Repubblica mai morta nel mondo delle concessionarie, utilizzate dalla politica come serbatoi di consenso, di cariche e di finanziamenti. Intorno a un’infrastruttura vive e prospera una lunga filiera (costruttori, consulenti, banche, studi legali e società  di tutti i settori) che per la controparte politica sono fonte di voti e talora di soldi, visto che i due terzi del finanziamento privato ai partiti viene dal cemento e dall’asfalto.
Fatto sta che su Pedemontana, Brebemi e Teem i cittadini hanno sborsato 1,9 miliardi di contributi diretti, destinati a coprire perdite e interessi, quando ne bastava uno e mezzo per rimettere a nuovo le ferrovie locali, e alleviare le pene dei 700.000 pendolari lombardi.
VENETO
Sul fronte veneto la furia asfaltatrice della Lega, al governo da un decennio, avrebbe fatto anche di più se l’inchiesta sul Mose non avesse tirato il freno a mano. Nogara Mare, Nuova Romea, Valdastico, prolungamento dell’A27, Nuova Valsugana, Meolo-Jesolo, terza corsia della Venezia-Trieste, Pedemontana, Grande raccordo anulare di Padova, tangenziali venete, avrebbero srotolato 660 km di nuova rete a pedaggio, per la cifra monstre di 18 miliardi di euro.
Opere anch’esse varate allegramente senza valutazioni costi-benefici indipendenti, se qualcuno avesse dei dubbi. Per non parlare di progetti faraonici come Veneto City, 750.000 metri quadri a uso commerciale tra Dolo e Pianiga, o il mega polo logistico di Dogaletto. E ovviamente il Mose.
Tutto ruotava intorno a un sistema di potere collaudato e riconducibile ad alcune figure chiave come l’onnipresente Mantovani, società  di costruzioni guidata da Piergiorgio Baita, il potente assessore alle infrastrutture Renato Chisso e il suo collaboratore Stefano Vernizzi, non meno potente e titolare di una sfilza di cariche ai vertici della Regione, tra cui quella di amministratore delegato di Veneto Strade. Chisso, detto “l’asfaltatore di Quarto d’Altino“, fu l’anello di congiunzione tra le giunte Galan e Zaia, garantendo piena continuità  nella politica infrastrutturale. Fino a quando i magistrati fecero saltare il banco e cadere molte teste, mentre Chisso fini agli arresti nel 2014.
L’anno dopo una commissione di esperti tirò una riga nera su molti progetti, in gran parte per mancanza di coperture. Restano in piedi la Pedemontana, la Valdastico Nord, il prolungamento dell’A27 e la terza corsia della Venezia-Trieste.
Soprattutto sulle prime due la giunta non intende fare marcia indietro. Ma è sulla prima che si consuma lo scontro più acceso con i consiglieri pentastellati, tanto più dopo le esternazioni del ministro Toninelli sulla dubbia sostenibilità  dell’opera e dopo i rilievi della Corte dei Conti. Ma non occorra essere esperti per capire che qualcosa non gira in quel contratto, orgoglio della giunta Zaia. Dal 2003 i costi sono triplicati a quota 2,7 miliardi e l’intero impianto finanziario si regge su contributi e garanzie pubbliche, con un rischio traffico che nella peggiore delle ipotesi — non così lontana — potrebbe affossare le finanze regionali.
Al contributo pubblico di 900 milioni (300 dalla giunta regionale) si aggiunse un prestito obbligazionario di 1,6 miliardi al 5% garantito dalla stessa Regione, comunque insufficiente a coprire i due terzi delle opere complementari.
Ma è sulla gestione che i conti rischiano di saltare. Fino al 2059 sono previsti costi per 12,1 miliardi e ricavi di poco superiori, da girare al concessionario. L’incognita tuttavia è il traffico.
I ricavi sono infatti plausibili a fronte di almeno 46.000 transiti giornalieri (terza e ultima convenzione, maggio 2017), ma le stime di traffico di Cassa depositi e prestiti segnalano un ribasso del 44%.
Qui il rischio è tutto della Regione mentre il concessionario (SIS, controllato dal costruttore Dogliani e dagli spagnoli Sacyr) incasserà  utili netti per 5,7 miliardi, comunque vadano le cose. Cifre mai viste, nemmeno tra i big del settore.
“Si spera erroneamente di sottrarre traffico alla A4 con il secondo pedaggio più caro d’Italia, spiega Massimo Follesa, attivissimo portavoce del Covepa (Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa), senza contare il probabile aumento dei costi di manutenzione, visto il territorio ricco di acque superficiali. I recenti crolli nei cantieri della Valle dell’Agno lo dimostrano”. E proprio questi intoppi rendono improbabile il completamente dei lavori (ora al 50%) nel settembre 2020 e rischiano di far salire il conto
Difficile prevedere anche l’esito della Valdastico Nord, che fa capo ad A4 Holding (Brescia-Padova), un tempo controllata dal Gruppo Intesa Sanpaolo con forti entrature leghiste (l’esponente del Carroccio Attilio Schneck fu presidente nel triennio 2013-2015) e ora passata alla spagnola Abertis. I più informati parlano di una revisione dell’intero progetto, già  ampiamente modificato e oggetto di numerosi rilievi critici.
Il tracciato attraversa la provincia di Trento in un territorio alpino sfavorevole, che rischia di far lievitare i costi. E poi dovrà  passare al vaglio del Cipe e dei nuovi criteri di valutazione: un ulteriore fardello sulla tenuta della coalizione.
Frenata sull’asfalto, la Lega ha ampiamente compensato con il cemento. Seconda regione in Italia per consumo di suolo, cresciuto del 15% dal 2012, nell’ultimo ventennio il Veneto è stata terra di conquista per i costruttori. La recente legge sul consumo di suolo (14/2017) è talmente blanda da rasentare l’irrilevanza. Dopo aver posto dei limiti all’azione dei comuni, che oggi dispongono di qualche strumento in più per fermare il cemento, ha annacquato il provvedimento con una lunga serie di deroghe.
Ad esempio, sono escluse dalla legge le opere pubbliche, l’edilizia pubblica e, naturalmente, strade e autostrade, indicate dall’Ispra come prima fonte di consumo di suolo. Gli articoli sulla rigenerazione urbana, invece, sono stati neutralizzati dalla mancanza di fondi. Ma il colpo di grazia potrebbe venire dal “piano casa” in discussione, spiegano in Legambiente, che liberalizza ulteriormente il settore a vantaggio dei privati.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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SUL BLOG GRILLINO INSULTI SESSISTI ALLA DEPUTATA DI FORZA ITALIA

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

BAGARRE ALLA CAMERA, LA DIFESA DEI GRILLINI E’ RIDICOLA: “NON POSSIAMO CONTROLLARE I COMMENTI”… BALLE, BASTA TOGLIERLI… FICO SI SMARCA: “SOLIDARIETA’ ALLA DEPUTATA”

Scintille tra M5S e Forza Italia alla Camera durante l’esame degli ordini del giorno al dl sicurezza. Francesco Paolo Sisto (Fi) contesta che su un blog del M5S è stato pubblicato il video dell’intervento in Aula della collega di gruppo Matilde Siracusano in cui, dopo l’informativa del presidente del Consiglio sulla Manovra, la deputata messinese rivendicava il valore dell’esperienza politica di Silvio Berlusconi.
«C’è stata una serie di vili commenti sessisti», ha detto Sisto reclamando le scuse di M5S.
Vola qualche parola grossa, insulti, forse anche qualche minaccia tra forzisti e pentastellati e la vicepresidente Mara Carfagna fatica non poco a riportare l’ordine.
E se a Siracusano arriva la solidarietà  di tutti i gruppi, il capogruppo M5S Francesco D’Uva dice: «Insulti non ce ne sono stati. Capiamo che ci chiediate conto e ragione su quello che è scritto nel blog, ma sui singoli commenti c’è poco da fare», sottolinea.
Laura Boldrini coglie la palla al balzo per attaccare il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che segue in Aula i lavori. «La pratica del sessismo è troppo frequente, anche da parte di chi sta seduto ai banchi del governo. Da parte del ministro Salvini che paragona la donna a una bambola gonfiabile e che ha esposto alla gogna tre povere minorenni».
Salvini la guarda sbigottita, poi si rivolge verso la presidenza e dice: «Ma come!». Mentre Carfagna chiede silenzio, Lucia Azzolina di M5S ribadisce che «qualsiasi commento sconcio va condannato».
Nel frattempo Salvini lascia i banchi del governo e va verso quelli di M5S, dove si sfoga brevemente con i vertici del gruppo alleato, allarga le braccia e torna al suo posto.
Il presidente della Camera, il pentastellato Roberto Fico, esprime solidarietà  alla deputata Siracusano: «Ogni forza politica deve farsi carico con fermezza e senza tentennamenti di contrastare questo orribile atteggiamento culturale», ha detto. «Bisogna combattere la visione di una società  maschilista, un atteggiamento generale sessista che si manifesta in molteplici settori del nostro Paese. E vanno condannate in modo forte e senza appello tutte quelle persone che invece di rispondere politicamente alle questioni poste dalle nostre deputate si lasciano andare a commenti di stampo puramente sessista che niente hanno a che fare con i temi sollevati».
Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi di Camera e Senato di Forza Italia puntato invece il dito contro i Cinque Stelle: «Ancora una volta i 5Stelle hanno rivelato la loro natura intrinsecamente e vergognosamente antidemocratica. La deputata Matilde Siracusano di Forza Italia, colpevole di aver dato in aula una lezione di storia sul l’esperienza politica di Silvio Berlusconi, è da una settimana bersaglio di insulti e minacce indegni di un Paese civile a corredo di un post del blog dei 5Stelle: ancora stamattina quei commenti schifosi non sono stati rimossi e, come è stato ribadito in aula, il movimento non ne ha alcuna intenzione. I grillini sono i mandanti morali di questa volgarissima aggressione e chi ha aggredito Matilde Siracusano è un vigliacco al pari di chi lo copre».

(da “La Stampa”)

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I TRENTA CONGIURATI NEL M5S

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

SONO I NUOVI “RESPONSABILI” PRONTI A SOSTENERE UN GOVERNO DI CENTRODESTRA IN CASI DI CRISI DI GOVERNO

Ci sono trenta parlamentari pronti ad abbandonare il MoVimento 5 Stelle con   due ex cacciati — Salvatore Caiata e Catello Vitiello — che stanno lavorando sotto traccia al progetto. Che ha anche un nome: “Sogno Italia”.
Lo sostiene oggi Salvatore Dama su Libero, che però non spiega il collegamento tra Caiata e Vitiello e gli altri parlamentari grillini, ma in compenso dice che se il governo gialloverde finirà  su un binario morto, se le liti quotidiane tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio diventeranno insanabili, allora potrebbe emergere in Parlamento una strada alternativa alle urne anticipate per risolvere una crisi di governo che ormai in tanti danno per scontata prima o dopo le Europee.
Una strada alternativa di centrodestra, visto che anche oggi sul Corriere della Sera rimbalzavano le voci della buvette che vedono il M5S a rischio implosione e pronosticano la comparsa dei Responsabili.
Sempre secondo il racconto di Libero, Caiata nelle scorse settimane ha registrato il marchio Sogno Italia: il logo è costituito dalla scrittta “Sì” con la s maiuscola e la i minuscola con il puntino triccolore. A questo gruppo si dovrebbero aggiungere i trenta:
Mollando i Cinquestelle, i “neoresponsabili” si libererebbero dall’obbligo delle “restituzioni”e dall’obolo mensile che va versato all’Associazione Rousseau. In mano agli ex grillini c’è già  una lista di una trentina di deputati, manovalanza parlamentare poco nota ai riflettori, classe politica selezionata dalla cosiddetta società  civile che non ha un percorso di militanza tale da giustificare remore o crisi di coscienza in caso di salto della quaglia.
Anche la storia della multa di 100mila euro per chi tradisce non fa più paura a nessuno. Vitiello, l’avvocato penalista che ha mandato a gambe all’aria il governo con il suo emendamento sul peculato, ha spiegato ai colleghi più sprovveduti che quella sanzione è incostituzionale, nessun Tribunale riconoscerebbe mai il diritto del Movimento 5 Stelle a incassare una penale da chi tradisce.

(da “NextQuotidiano”)

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LA PARABOLA DELLA FETECCHIA GIALLOVERDE

Novembre 28th, 2018 Riccardo Fucile

QUOTA CENTO E REDDITO DI CITTADINANZA? LE VEDRANNO IN POCHI

Sono partiti da : “Il 3% di deficit non è un tabù, potremmo anche sfondarlo”; sono passati all’ 1,6% proposto inizialmente dal contabile della banda, si sono attestati sul Piave del 2,4% festeggiato (come se un debito fosse da festeggiare) sul balcone di Palazzo Chigi con tanto di finta manifestazione a sostegno.
Hanno poi proseguito, con altezzoso petto in fuori, fino al fatidico: “La manovra non si tocca di una virgola” e infine si sono piantati contro il palo del “Non ci impicchiamo ai decimali [senza sapere che quei decimali sono svariati miliardi di spesa in deficit] — L’importante sono le misure”.
Tradotto: vi hanno bombardato di minkionate per mesi per poi giustamente (per fortuna) calarsi le braghe davanti al buon senso dell’Europa matrigna e di tutte le istituzioni economiche nazionali ed internazionali: FMI, Commissione Europea, BCE, Banca d’Italia, Istat, Inps, Confindustria, Assolombarda, Ufficio parlamentare di bilancio, Corte dei Conti.
Eppure rimane da chiedersi come faranno i gialloverdi a ridurre la spesa e quindi il deficit per il 2019?
Semplice: rinvieranno l’effettiva attuazione delle misure sbandierate a squarciagola con stratagemmi puerili. Insomma fingendo che l’arrivo dei soldi sia imminente in modo da turlupinare l’elettorato fino alle elezioni europee.
1) La fatidica “quota 100” sul fronte pensionistico verrà  depotenziata attraverso “finestre” cervellotiche che nessuno sa quando si apriranno, permettendo in realtà  a pochi “fortunati” di usufruirne con una decurtazione sino al 30% dell’assegno. Senza contare che le previsioni di spesa per gli anni successivi rimangono senza copertura nel Def, e con più finestre, quindi con una platea di “fortunati” decurtati ancora più ampia
2) Il Reddito di cittadinanza verrà  elargito attraverso un percorso a ostacoli, quindi alla fine in grado di soddisfare pochi amici intimi.
Rimarranno i danni fatti in questi 5 mesi, ma continueranno a mancare gli investimenti strutturali veri.
Quindi la crescita sana e sostenibile, non quella drogata dagli sprechi pubblici, rimarrà  solo un numero fasullo sui documenti patacca di un governo inetto.
Quando la manovra dovrà  passare il vaglio del parlamento verrà  rimaneggiata e stravolta a colpi di emendamenti e interventi di manine misteriose.
Durante il guazzabuglio la colpa del rinvio e della presa per il culo verrà  attribuita all’Europa che ci ha costretti ad usare il cervello.
Non a caso Gig-Inetto mette le zampe avanti: “Dobbiamo parlare della legge di Bilancio, degli emendamenti presentati dal governo e dal parlamento. Ci sono tante iniziative che stiamo portando in legge di bilancio e anche per questo il premier Conte ha detto all’Ue che la manovra sarà  approvata dal parlamento e dovete darci il tempo di farla discutere ai parlamentari, perchè il parlamento è sovrano e potrà  innovarla, migliorarla e perfezionarla”.
In parole povere il governo con una raffica di emendamenti correrà  ai ripari sulle minkiate che aveva scritto, proclamato e festeggiato.
Rimane da chiedersi per quanto tempo il pubblico telelobotomizzato continuerà  a nutrire fiducia in simili cialtroni.

(da “NextQuotidiano”)

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