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CI HANNO RACCONTATO DI 38 FURTI SUBITI, MA NON E’ VERO NIENTE, I CARABINIERI SMENTISCONO FREDY PACINI

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

E LA MAGISTRATURA CONFERMA: “I FATTI NON SONO ANDATI COME CI HA DETTO, IN CORSO ALTRI ACCERTAMENTI”

Trentotto furti subiti, oppure quattro, o sei, non sono la stessa cosa. Come non è la stessa cosa sparare cinque colpi oppure nessuno.
Non è la stessa cosa sparare in aria o a qualcuno che scappa nel cortile della tua azienda oppure ti affronta con una bomba a mano stretta nel pugno in camera da letto. Difendere le proprie idee a scapito della verità  è da cretini.
La gente per bene non distorce i racconti, e non lascia punti oscuri nella narrazione delle notizie. Dobbiamo imparare a odiare chi esaspera le notizie, e chi usa quell’esasperazione per abbreviare i tempi di approvazione di una legge.
Sulla legittima difesa vi ci siete buttati come cani, difendendola a prescindere dalla vita. Avete usato l’ennesimo uomo armato, ieri a Monte San Savino, un uomo che ha sparato e ucciso un altro uomo, probabilmente ladro, sicuramente disarmato.
redy Pacini, ieri notte, dall’interno della sua azienda nella quale dormiva, ha sparato a due presunti ladri in fuga, nel piazzale della sua ditta.
Ha sparato più colpi, cinque, due sono arrivati a segno, uno ha reciso l’arteria, l’uomo ha fatto pochi passi, si è accasciato al suolo ed è morto. L’uomo ha un nome e un cognome: Vitalie Tonjoc, e aveva 29 anni ed era incensurato.
Il Ministro degli Interni avvia immediatamente la sua macchina comunicativa: social, dichiarazioni tv, comunicati stampa. “Faremo una legge per la difesa sempre legittima”, tuona.
Neanche la sua legge, però, salverebbe Fredy Pacini secondo la ricostruzione di spari a uomini disarmati e in fuga.
Fredy Pacini, alcune ore dopo, dichiara di aver subito già  38 furti. Trentotto furti, converrete, sono davvero tanti, soprattutto in un arco temporale così ristretto.
Faccio qualche domanda a giro e scopro che non è vero che Fredy Pacini abbia subito 38 forti, o almeno è vero il fatto che Fredy Pacini tutti quei tentativi di furto non li ha mai denunciati. Telefono al capitano dei carabinieri Monica Dallari e conferma: “No, non risultano neanche a noi”
Riassumendo: dal 2014 a oggi risultano soltanto sei denunce fatte da Fredy Pacini, e di queste solo due per furto.
Le altre quattro sono invece tentativi di furto.
In totale, comunque, non trentotto denunce ma solo sei. Il capitano dei carabinieri dice: “Si è un po’ gonfiato il numero”. E sì, si è un po’ gonfiato. Chissà  a favore di chi
Non solo: in tutta la zona di Monte San Savino, nell’ultimo anno, risultano secondo il capitano dei carabinieri, soltanto sei furti. Cioè “in tutti i capannoni della zona industriale dove lavora Fredy Pacini, solo sei furti nell’ultimo anno. Sei furti in totale, sommati fra tutte le aziende. Questo non è il Far West come qualcuno ha provato a raccontare”.
La mia idea è che si voglia cavalcare ancora una volta l’onda della paura — non giustificata dai numeri — per alzare il livello di scontro nel Paese.
Un gioco macabro, che ci fa precipitare — questa volta sì — davvero, nell’insicurezza, alimentando la paura non giustificata. La mia idea è che si accarezzino gli atavici timori per un tornaconto in termini di Governo. Perchè sempre, quando si usa un fatto di cronaca per comprimere i tempi di approvazione di una legge, si è sempre sul filo del burrone.
A questo punto è necessario fare un passo indietro e ripercorrere la storia dall’inizio, perchè qualcosa non quadra, e lo zampino della politica — che si è gettata su questa storia, azzannandola quando già  perdeva sangue — non aiuta a dipanare la matassa.
Ora dovrà  indagare la magistratura e capire fino a che punto una questione umana, il terrore dei furti, abbia effettivamente inciso sul gesto, e quanto il gesto avesse una reale motivazione di legittima difesa.
Stando ai numeri sembra ne avesse poca, anche se certa politica ha gridato “hai fatto bene a sparare”. Tutto questo, però, lo dovrà  decidere un processo.
Ieri invece il Ministro degli Interni Matteo Salvini, con un cadavere in terra ancora caldo e le indagini in corso, ha dichiarato “le istituzioni sono con te”, così ci ha riferito Alessandra Chelli, che con il Ministro ha parlato al telefono.
E io penso che sostituirsi alle indagini, parlare a nome delle Istituzioni del Paese rispetto a un’azione su cui la magistratura ha appena iniziato a indagare, sia grave come sparare.
E alla fine di tutto, ma anche al principio di questa storia, rimane inevasa la più importante delle domande: quanti pneumatici, secondo voi, vale la vita di un uomo? In altre parole: dopo quante gomme da strada rubate si può uccidere una persona?
Una o cento? Secondo me neanche tutti i pneumatici del mondo moltiplicati per tre valgono la vita di un Uomo.

(da “il Post”)

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L’AZIENDA DI MAIO? E’ DELLA MADRE, CHE PER LEGGE NON POTREBBE RICOPRIRE INCARICHI PRIVATI

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

IL PADRE NON E’ TITOLARE DI ALCUNA AZIENDA, ECCO I DOCUMENTI UFFICIALI.. LA SOCIETA’ ERA GIA’ INTESTATA A PAOLINA ESPOSITO CHE, IN QUANTO INSEGNANTE E DIPENDENTE PUBBLICO, NON POTEVA RICOPRIRE INCARICHI AZIENDALI

Il padre di Luigi Di Maio avrebbe fatto lavorare in nero degli operai. Non è vero.
A voler essere precisi, è la madre di Di Maio ad averlo fatto.
Il fatto sarebbe ancora più grave perchè la donna, che è preside in una scuola pubblica napoletana e quindi incarna il ruolo di pubblico ufficiale, oltre ad aver violato la legge facendo lavorare in nero delle persone, avrebbe omesso una delle regole fondamentali del dipendente pubblico, cioè l’esclusività .
Perchè, salvo una deroga speciale, «i dipendenti della pubblica amministrazione non possono svolgere alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società  costituite a fine di lucro», dice l’articolo 58 del Decreto legislativo 29 del 1993.
Ma andiamo con ordine e ricostruiamo la complicata storia della Di Maio Industry. Tutto è partito da un’inchiesta delle Iene, che hanno intervistato un uomo, Salvatore Pizzo, che ha dichiarato di aver lavorato in nero per l’azienda edile del padre del ministro, che si chiama Ardima.
Il padre dell’attuale ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, si chiama Antonio Di Maio, classe 1950, nato e cresciuto a Pomigliano d’Arco, che non possiede alcuna azienda. Proprio così.
Dalla visura camerale effettuata da l’Espresso si scopre che Di Maio padre non ha azioni o quote di società . In passato è stato titolare firmatario della Di Maio Antonio, una ditta individuale di Pomigliano, specializzata nella realizzazione di tetti, che è stata cancellata nel 1995.
Ed è stato, a partire dal 1997, sindaco supplente del Consorzio Regionale di Edilizia Artigiana, che realizzava edifici residenziali, finito in liquidazione.
Inoltre ha un conto in sospeso con Equitalia, a cui dovrebbe versare 176 mila euro.
La titolare dell’attività  di famiglia e di alcuni terreni a Pomigliano d’Arco è invece Paolina Esposito.
Ovvero la madre di Luigi Di Maio, che nel 2006 ha fondato l’impresa individuale Ardima Costruzioni diventandone titolare firmatario, tanto che nelle carte camerali viene qualificata come piccola imprenditrice,
Il 30 dicembre 2013 dona la proprietà  dell’azienda ai figli Luigi e Rosalba. L’Ardima costruzioni, che ha due soli dipendenti, si occupa della demolizione di edifici e sistemazione del terreno, della posa in opera di coperture e costruzione di tetti, della tinteggiatura, posa in opera di vetri e in generale, di lavori edili di costruzione. Poichè non è una società  di capitali, la Ardima non ha l’obbligo di depositare bilanci, quindi non è dato sapere se goda di buona salute o meno.
Parallelamente, la Di Maio family crea a marzo 2012 una seconda società , la Ardima Srl, di proprietà  del ministro e della sorella Rosalba in egual misura (50 per cento ciascuno).
L’azienda non solo ha lo stesso nome, ma ha praticamente lo stesso oggetto sociale, cioè si occupa delle stesse attività  della Ardima costruzioni intestata a mamma Esposito.
A giugno 2014 la Ardima Srl, quella del vicepremier e della sorella, acquisisce la ditta della madre, che cede un patrimonio di 80.200 euro ai figli, facendo quindi salire il valore complessivo del capitale sociale della nuova Ardima a 100.200 euro.
Inizialmente Rosalba è amministratore delegato della nuova società , ma nel 2017 gli subentra Giuseppe, il fratello minore (classe 1994).
Tuttavia quel ruolo da amministratore unico dell’azienda di famiglia non sembra essere particolarmente remunerativo: lo stesso Luigi Di Maio, nella sezione amministrazione trasparente, dichiara che il fratello Giuseppe Di Maio nel 2017 non ha percepito redditi e aggiunge che «sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero».
Forse il 2017 è stato un anno complesso, visto che ad oggi l’azienda non ha ancora depositato il bilancio 2017.
E negli anni precedenti? Nel 2016 l’azienda ha dichiarato poco più di dieci mila euro di utili, per un giro d’affari di poco superiore ai 200 mila euro.
Tra l’altro, dalla documentazione depositata alla Camera, si scopre che nel 2013 l’allora deputato Di Maio non ha segnalato nell’apposita dichiarazione patrimoniale la sua partecipazione al 50 per cento nella Ardima. Lacuna colmata l’anno successivo.
Ma torniamo alla madre di Di Maio.
Paolina Esposito è un dirigente scolastico, preside dell’Istituto Comprensivo Giovanni Bosco di Volla, provincia di Napoli, e fin dal 1980 professoressa in Istituti scolastici di primo e secondo grado del circondario.
In particolare dal 2001 al 2015 è stata docente di ruolo al Liceo Imbriani di Pomigliano d’Arco e, nello stesso periodo, è stata titolare dell’azienda di famiglia. Eppure la legge italiana non lo permette.
L’articolo 60 del Decreto del Presidente della Repubblica del marzo 1957 e l’articolo 53 del testo unico del pubblico impiego (decreto legislativo 29 del 1993) stabilisce che i dipendenti pubblici non possono svolgere attività  imprenditoriale, oppure assumere impieghi presso datori di lavoro privati, assumere cariche in società  con scopo di lucro, esercitare attività  di carattere commerciale o industriale e svolgere incarichi retribuiti non attribuiti dall’amministrazione di appartenenza.
I dipendenti pubblici possono diventare imprenditori solo a patto di ottenere un’autorizzazione speciale dall’amministrazione di appartenenza.
Ma si tratta di casi rari ed è molto difficile che Paolina Esposito l’abbia ottenuto. Infatti per i lavoratori pubblici a tempo pieno — come lo è Esposito – si presume che questi non abbiano il tempo necessario per svolgere un doppio lavoro senza compromettere l’efficienza dell’impiego pubblico: in questi casi si parla infatti di incompatibilità  assoluta.
Riassumiamo: Paolina Esposito, che è un’insegnante, è stata la titolare dell’azienda Ardima nel periodo in cui sarebbe stato denunciato l’abuso di lavoro nero.
Se questo fosse confermato, avrebbe quindi violato le norme di legge in materia fiscale e contributiva, sottraendo imposte e contributi all’Erario, all’Inps e all’Inail a vantaggio del proprio patrimonio che, successivamente, è stato donato ai figli Luigi e Rosalba.
Dunque, Luigi di Maio e sorella sarebbero i veri beneficiari del lavoro sporco fatto dall’ex azienda di mamma che, tecnicamente, non avrebbe potuto ricoprire quell’incarico.
La docente e madre del ministro, infatti, avrebbe violato le norme sulla incompatibilità  derivante dal suo ruolo di pubblico dipendente.

(da “L’Espresso”)

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BRUXELLES HA IL DITO SUL GRILLETTO: ALTRA BOCCIATURA, LA PROCEDURA DI INFRAZIONE VA AVANTI

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

DISCO VERDE DEL COMITATO DEI DIRETTORI DEL TESORO DI TUTTI GLI ALTRI STATI EUROPEI

Il passo formale è arrivato: il Comitato economico e finanziario, composto dai direttori del Tesoro degli altri Stati dell’eurozona, si è riunito oggi a Bruxelles e ha approvato l’analisi della Commissione Europea sulla legge di bilancio italiana.
È il disco verde che mancava per la procedura di infrazione per deficit eccessivo legato al debito, l’ok necessario alla Commissione per cominciare a formulare la sua raccomandazione all’Italia: arriverà  prima di Natale, prevedibilmente il 19 dicembre, nella settimana che segue il Consiglio europeo di fine anno.
L’Ecofin ha spiegato la sua decisione, ritenendo “un fattore aggravante che in risposta all’opinione della Commissione che chiedeva di sottomettere un Documento programmatico di bilancio aggiornato, l’Italia ha inviato un piano che conferma i target di bilancio del 2019”.
Per gli sherpa del comitato inoltre, “il debito pubblico italiano resta una grande fonte di vulnerabilità  per l’economia”, che potrebbe essere aggravata dalle “misure sulle pensioni (quota 100)”, in grado di “toccare negativamente il trend positivo generato dalle riforme delle pensioni passate e indebolire la sostenibilità  a lungo termine delle finanze”.
Tuttavia, l’Efc tiene aperti alcuni spiragli sul fronte della trattativa Roma-Bruxelles: “Ulteriori elementi potrebbero emergere dal dialogo in corso tra la Commissione e il Governo italiano”.
Come previsto dunque, l’Europa va avanti. Anche se tutti gli attori in campo, sia gli europei che gli italiani, continuano ad auspicare il dialogo.
L’ok del comitato economico e finanziario, sulla base dell’articolo 126.4 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, step tecnico fondamentale per la procedura di infrazione, arriva mentre Giuseppe Conte è a Buenos Aires insieme a Giovanni Tria per un G20 che sarà  occasione anche per bilaterali importanti sulla manovra economica.
Stasera (stanotte in Italia), il ministro dell’Economia vedrà  ancora Pierre Moscovici alla cena con i ministri del Tesoro dei paesi del G20. Domani Conte avrà  un altro incontro con il presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker.
Tria, che sta cercando di convincere il resto del governo — soprattutto i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio — a ridurre il deficit al 2 per cento (dal 2,4 che ha fatto infuriare gli altri Stati dell’Ue), non si sbilancia: “I numeri si fanno nella trattativa, non si dicono in giro prima…”.
Questo all’Europa non basta. Bruxelles continua a tenere il dito sul grilletto .
Tanto che, si ragiona in ambienti diplomatici, il punto di caduta di tutta questa trattativa tanto enunciata ma senza atti concreti, potrebbe essere solo il rallentamento di una procedura di infrazione che appare scontata. Non lo stop, dunque.
O anche una negoziazione per renderla meno pesante in termini di sanzioni.
Dunque un dialogo a procedura aperta, visto che finora Roma non ha inviato un documento di bilancio rivisto e corretto che sostituisca quello bocciato.
Anzi, lunedì prossimo, proprio mentre sarà  riunito l’Eurogruppo che discuterà  ancora con Tria del caso italiano (argomento che è nell’ordine del giorno della riunione), a Roma la manovra approderà  nell’aula di Montecitorio, pronta per essere approvata così com’è con voto di fiducia entro metà  settimana.
Le modifiche semmai verranno apportate nella lettura del testo al Senato. Semmai.
Certo, le raccomandazioni della Commissione, vale a dire i compiti da fare per raddrizzare la traiettoria del debito italiano ora a 131 punti percentuali sul pil, arriveranno in tempo: prima che la manovra venga licenziata da Palazzo Madama, sembrerebbe il 19 dicembre appunto.
Insomma, se il governo vuole, può correggere. Formalmente la procedura dovrebbe scattare alla riunione dell’Ecofin del 22 gennaio: i ministri del Tesoro dell’Unione si riuniranno anche martedì prossimo a Bruxelles, ma non discuteranno del caso italiano, punto non inserito nell’ordine del giorno.
Insomma, ci sono ancora quasi due mesi di tempo per rivedere la rotta: l’Europa va avanti ma non con velocità  sostenuta.
“Passo dopo passo”, ha sempre detto Moscovici. Resta il fatto che, senza novità  di sorta, pur lentamente, la procedura si avvicina. §
Tradotto in sanzioni, significa un obbligo per l’Italia di ridurre il debito di 3,5 punti percentuali ogni anno a partire dall’anno prossimo, cioè un ventesimo del 71 per cento, vale a dire lo scarto che c’è tra la regola europea del debito — 60 per cento del pil — e l’attuale debito italiano — 131 per cento del pil.

(da “Huffingtonpost”)

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“ACCERTATI MANUFATTI ABUSIVI” SUL TERRENO DEL PADRE DI DI MAIO

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

IL COMANDANTE DELLA POLIZIA MUNICIPALE CONFERMA E ORA GLI ATTI PASSERANNO ALLA MAGISTRATURA

Il comandante della Polizia municipale di Mariglianella, al termine di un sopralluogo avviato nella mattinata di oggi alla presenza di tre agenti della Polizia municipale stessa, dei responsabili dell’ufficio tecnico comunale e di un rappresentante della famiglia Di Maio, all’interno della proprietà  del padre del vice premier, ha dichiarato:
“Dopo una denuncia giornalistica, è stato fatto un sopralluogo iniziato lunedì mattina, quando non è stato possibile entrare perchè non erano presenti i proprietari. Sono stati convocati e stamattina è stato fatto il sopralluogo e sono stati accertati dei manufatti abusivi”.
Lo ha detto a Sky TG24 il Sindaco di Mariglianella Felice Di Maiolo a proposito degli accertamenti della Polizia Locale all’interno di un terreno di proprietà  del padre e di una zia del vicepremier Luigi Di Maio.
“Inoltre – ha continuato il Sindaco – è stato rilevato l’abbandono di rifiuti su tre piazzole e anche su questo è stato fatto un sequestro. Tutto sarà  notiziato alla Procura della Repubblica nelle prossime ore”.

(da agenzie)

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TUTTE LE VERSIONI DI DI MAIO SULLA STAMPA DELLE TESSERE DEL REDDITO DI CITTADINANZA: TRE IN SEI GIORNI

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

E L’APPALTO ALLE POSTE NON E’ SCONTATO… IN REALTA’ NON HA FATTO STAMPARE UNA MAZZA, UN PATETICO BLUFF PER I GONZI

Sono bastati sei giorni, al ministro del Lavoro Luigi Di Maio, per derubricare un “ordine di stampa” in un “ho dato mandato al mio staff di lavorare con Poste…”. Insomma, l’annuncio in grande stile a Piazza Pulita di Corrado Formigli s’è rivelato un bluff.
In quell’occasione Di Maio aveva detto, testuale: “Abbiamo già  dato mandato di stampare i primi 5-6 milioni di tessere elettroniche che arriveranno a casa e saranno carte di credito come tutte le altre”.
L’annuncio aveva sollevato interrogativi e dubbi: a chi è stato dato il mandato, sulla base di quale bando, quali le specifiche tecniche e i capitolati dell’appalto?
Domande, queste, rivolte ieri alla sottosegretaria all’Economia Laura Castelli (M5s), ospite a Otto e mezzo su La7, “Le tessere per il reddito di cittadinanza e altre cose sono dettagli che renderemo noti tutti assieme. È vero che le tessere si stanno stampando”, conferma.
Il giallo-tessere si ripropone oggi: Castelli viene incalzata in commissione Bilancio della Camera dai deputati Pd che poi si precipitano al Ministero del Lavoro per presentare un accesso agli atti.
Fratelli d’Italia presenta una interrogazione a Di Maio e al ministro dell’Economia Giovanni Tria per sapere se sono “già  in stampa in una non precisata tipografia milioni e milioni di tessere per l’erogazione del reddito di cittadinanza”.
Nel tentativo di riportare chiarezza in questo vero e proprio vespaio di polemiche interviene nuovamente il vicepremier grillino che, da Bruxelles, dichiara: “Visto il giallo delle tessere, preciso che io già  da due settimane ho dato ordine al mio staff di lavorare con Poste per avviare tutto il progetto del reddito di cittadinanza, che include anche la stampa delle tessere”.
Nessuno ordine di stampa, dunque. Solo un tavolo, un confronto, un panel tra lo staff di Di Maio e Poste, con magari Inps, Caf, Centri primo impiego e altri attori coinvolti nel reddito di cittadinanza.
La dichiarazione del Ministro del Lavoro tuttavia non chiarisce il punto principale della questione.
Per un appalto superiore ai duecentomila euro, secondo l’articolo 35 del Codice degli appalti, occorre rispettare il codice e seguire una procedura comunitaria che prevede un bando pubblico europeo.
Il bando va pubblicato per circa un mese, bisogna istituire una commissione aggiudicatrice che affiderà  il lavoro all’offerta economicamente più vantaggiosa. Bisogna fare una gara aperta a tutti gli stati d’Europa, dunque. E non è affatto detto che vincano le Poste.
L’affidamento diretto a Poste potrebbe esserci solo se si trattasse di un appalto inerente alla distribuzione postale non certo a un appalto che prevede la stampa di tessere elettroniche.
Un affidamento diretto sarebbe possibile invece a aziende in house come il Poligrafico dello Stato. Ma dagli annunci di Di Maio e di Castelli non risulta, a oggi, che il Poligrafico sia stato interpellato.

(da agenzie)

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QUELLO CHE DI MAIO E CASTELI NON VI HANNO DETTO SULLA TIPOGRAFIA DEI SEGRETI

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

UN SINDACO PER UNA MINIMA SPESA NECESSITA DI 15 AUTORIZZAZIONE, DI MAIO ORDINA DI STAMPARE 5 MILIONI DI TESSERE DI CITTADINANZA SENZA CHE ESISTA NEANCHE UNA LEGGE CHE LO ISTITUISCA

Per tracciare la mappa dell’arcipelago di idiozia circondato dal vasto oceano di ignoranza su cui galleggia il governo minkiostellato partiamo da una notizia riportata dal Resto del Carlino e ripresa dal Buongiorno di Mattia Feltri (dal titolo leggiadramente evocativo “Un Mazzo Così”).
Il sindaco di Pesaro voleva omaggiare con un mazzo di fiori una giovane atleta che aveva vinto una competizione internazionale di atletica.
Per procedere all’acquisto (costo totale 24,20 euro Iva inclusa), si è reso necessario nell’Italia dei turbo azzeccagarbugli compiere alcuni semplici adempimenti burocratici:
1) Richiesta di preventivo al fioraio
2) Valutazione della congruità  del medesimo
3) Invio del codice di acquisto all’Anac di Cantone
4) Verifica con l’INPS che il fioraio versi i contributi ai dipendenti
5) Verifica dei debiti presso l’Inail
6) Trasferimento del carteggio ai revisori
7) Nomina del responsabile del procedimento
8 ) Verifica di assenza di conflitto di interesse]
9) Comunicazione all’Anac (di cui sopra) del conto corrente su cui verranno pagati i 24,20 euro
10) Attestazone che la Consip non preferisca altri fiorai
11) Attestazione che l’acquisto non preveda un bando europeo
12) Compatibilità  con l’assestamento di bilancio
13) Verifica della copertura finanziaria
14) Conformità  al piano anticorruzione del Comune
15) Acquisto tramite sistema SartCig con il codice ZF324FFD7
Invece il cosiddetto vice-premier che risponde al nome di Giggino di Maio, a suo dire (e dietro conferma in diretta TV del genio dell’economia in gonnella Laura Castelli) — colto da un irrefrenabile impulso di efficientismo — ha impartito ad una tipografia segreta l’ordine governativo di stampare 5 o 6 milioni di tessere per il reddito di cittadinanza.
Senza l’ombra di una legge che istituisca il suddetto reddito di cittadinanza, senza uno straccio di stanziamento in bilancio, senza una gara europea, senza che la Consip ne sappia una mazza.
Insomma secondo la penta-stronzata, una bella mattina Giggino dopo che mammà  gli aveva portato o’ zuppone a letto ha telefonato al tipografo (magari amico del cugggino) e quello si è messo subito al lavoro.
Senza contratto, senza un preventivo, senza un timbro. Così, sulla parola.
Morale della favola (o più propriamente della pagliacciata): solo un politicante nominato grazie ad un software farlocco gestito da un’azienda privata può immaginare nella sua fervida fantasia che i contratti pubblici si gestiscano come gli ordini della pizzeria dove aveva svolto la nobile funzione di webmastèr.
Solo uno che non ha neanche la minima nozione delle procedure per un appalto pubblico può lontanamente illudersi di sparare una tale panzana galattica in TV senza fare la figura di uno tuffatosi nella cloaca maxima dop averla scambiata per una piscina olimpionica.
Ma se nella cloaca ci si tuffasse da solo, in fondo poco male.
Il problema è che ci sta trascinando il Paese. Con tutti gli abitanti, inclusi i suoi elettori.

(da “NextQuotidiano”)

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LAURA CASTELLI VUOLE “UCCIDERE” IL FAKE CHE LA SFOTTE

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

IL SENSO DELLA CASTELLI PER LA LIBERTA’ DI SATIRA… VUOLE AVERE IL MONOPOLIO DELLA COMICITA’ ED ESSERE L’UNICA A POTER FAR RIDERE GLI ITALIANI

La viceministra dell’Economia Laura Castelli non ha tempo per gli scherzi.
Ci sono da stampare cinque milioni e mezzo di tessere per il Reddito di Cittadinanza e non può farsi distrarre dalle cose dell’Internet.
Proprio per questo motivo l’onorevole Castelli ha deciso di andare all’attacco contro un account Twitter colpevole di essere la sua parodia.
Un account che vanta la bellezza di 23 follower e che sicuramente può essere scambiato per quello originale della viceministra.
Invece che occuparsi di cose serie Laura Castelli oggi ha fatto sapere di voler segnalare alle autorità  preposte l’autore che si cela dietro il profilo @lacastelli6s, un account parodia nato a gennaio 2018 che prende in giro l’originale che è @LaCastelliM5S.
Non è certo l’unico account “fake”, ma dichiaratamente satirico e umoristico, dedicato ad un politico o ad un membro del governo.
Tra Facebook e Twitter ce ne sono parecchi in giro. Anche Rocco Casalino ha un suo fake molto attivo che in queste ore è intervenuto a difesa dell’account satirico.
Se qualcuno per caso avesse la curiosità  di voler leggere i pericolosissimi cinguettii twittati dal terribile fake della Castelli scoprirebbe che non c’è davvero nulla di preoccupante, tanto meno un attentato all’onorabilità  della ministra.
Senza il provvido intervento su Facebook e le minacce di denunce ben pochi si sarebbero accorti dell’esistenza del “profilo falso”.
Davvero qualcuno può pensare che un tweet al profilo (satirico) del Mastro Yoda possa rispecchiare il pensiero di Laura Castelli?
Già  il fatto che Laura Castelli si sia posta il problema la dice lunga. Ma sappiamo già  la risposta: questo lo dice lei!
L’uscita dell’onorevole pentastellata però rivela l’esistenza di un nervo scoperto per il M5S. Come se non bastassero le liste di proscrizione verso i giornalisti servi e gli editori impuri si scopre ora che non si può fare satira su chi è al potere.
Anzi, chi la fa rischia — pur se non ha superato alcun limite — addirittura una denuncia. Senza dimenticare che Laura Castelli è un politico eletto in un partito fondato da un comico che, anche oggi che ha un ruolo politico spesso e volentieri quando dice qualcosa di “sbagliato” si giustifica dicendo che in quel momento non era il Garante del M5S le sue erano solo battute.
L’account satirico dedicato alla Castelli non è certo di inestimabile valore, probabilmente se verrà  cancellato ne spunterà  un altro. Forse però la viceministra vuole avere il monopolio della comicità  ed essere l’unica a poter far ridere elettori e cittadini.

(da “NextQuotidiano”)

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TERREMOTO AQUILA, META’ DEI LAVORI FERMI, ALTRI DIECI ANNI PER RICOSTRUIRE

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

E DA UN MESE MANCA CHI AUTORIZZA LE SPESE, 400 PRATICHE ARRETRATE… ARCHITETTI IN STATO DI AGITAZIONE, EDILI IN ALLARME

Dopo sei mesi, il governo ha nominato Vito Crimi sottosegretario alla ricostruzione delle aree sismiche. La notizia arriva dopo decine di appelli e sollecitazioni di sindaci, sindacati e associazioni di categoria proprio dall’Aquila dove — a quasi dieci anni dal sisma — la ricostruzione pubblica è al palo e la sua sconfitta sotto gli occhi di tutti. Tanto che, ai ritmi attuali, potrebbero servire dieci e più anni per chiudere i cantieri, ben oltre le promesse dei governi che si sono susseguiti dal 6 aprile 2009, il giorno in cui la terra prese a tremare mietendo 309 vittime.
Nel frattempo, si sta alzando il livello di guardia anche per l’ambito privato della ricostruzione, che sembrava invece correre speditamente verso l’impresa della normalità .
L’allarme chiama in causa ancora il governo, stavolta per la mancata nomina, da un mese a questa parte, dei suoi bracci operativi, i responsabili degli Uffici speciali per la ricostruzione dell’Aquila e quelli del cratere sismico: sono le figure che autorizzano la spesa che apre i cantieri, in loro assenza si processano pratiche ma nessuna spesa viene autorizzata.
“C’è ormai un blocco di 400 permessi arretrati, che non sono riferiti a singole abitazioni, perchè si tratta anche di interi complessi e ambiti urbani”, denuncia al fatto.it il presidente dell’Ordine degli architetti che ha incontrato la stampa per sollecitare la Presidenza del Consiglio: “La situazione non può che peggiorare — sostiene Edoardo Compagnone — Sono le uniche figure deputate a firmare i progetti e gli atti in uscita, le approvazioni per contributi, gli stati di avanzamento delle imprese, le parcelle e le liquidazioni. Perfino l’acquisto di carta e cartucce delle stampanti, gli stipendi e i rinnovi contrattuali del personale degli uffici. E’ una disattenzione che l’Aquila non può permettersi”.
L’appuntamento degli architetti con i giornali è stato in un luogo simbolo dello stallo: davanti all’ex liceo classico, alla biblioteca provinciale, al convitto nazionale e all’ex sede della Camera di commercio che — insieme all’ex ospedale San Salvatore — è l’aggregato pubblico più grande del post terremoto, fermo da aprile del 2009. Gli architetti apporranno adesivi ai pali che segnalano lo stato di agitazione della categoria.
Nel pubblico anche il censimento dei lavori è incerto
Da un’inchiesta del Corriere della Sera si è appena scoperto quanto sia magro il bilancio della ricostruzione per il Centro Italia: a due anni dal sisma, solo 350 case ricostruite.
Dopo nove anni, oltre 3.500 giorni, i numeri sull’Aquila lasciano di sasso: devono essere erogati quasi tre miliardi di euro per arrivare agli 8,8 di opere ammesse a finanziamento.
Secondo la banca dati del Gran Sasso Science Institute, in collaborazione con l’Università  dell’Aquila, il Comune dell’Aquila, gli Uffici Speciali per la ricostruzione ed ActionAid su 1.038 interventi i conclusi sono solo 358, metà  dei quali nella città  dell’Aquila. In fase di collaudo ce ne sono 207. Un terzo delle opere è fermo alla fase di programmazione/progettazione.
Siamo dunque al 34 per cento sul totale degli interventi previsti: di questo passo, potrebbero servire davvero decenni per completare la ricostruzione.
Anche perchè, come fa rilevare l’ex titolare dell’Ufficio Raniero Fabrizi, recentemente nominato a capo della struttura di missione della Presidenza del Consiglio, “mentre sul privato si hanno una quantificazione e una tempistica piuttosto certe, desumibili dai tempi medi delle statistiche degli ultimi anni, sul pubblico questa certezza non c’è.
Molti interventi devono essere ancora presentati, definiti e finanziati. Altri sono finanziati, ma ancora devono partire. Specie nel centro storico, dove massima è la complessità  e consistenza. Le opere sono sottoposte a bandi, autorizzazioni e iter complessi, ci sono più soggetti attuatori”. Di tutto questo, dovrà  occuparsi il neo-sottosegretario Crimi. Che ha un problema in più.
Una verità  è sotto gli occhi di tutti
Anche la ricostruzione privata, come detto, dà  segni di rallentamento e false partenze. Non a caso a novembre c’è stata una ripresa di mobilitazioni che non si vedeva da tempo.
Due settimane fa, le donne dell’Alta Valle dell’Aterno hanno marciato per 50 chilometri fino a raggiungere il centro storico dell’Aquila per essere ricevute dal Prefetto. L’ex sindaco di Montereale, Lucia Pandolfi, e il sindaco di Cagnano Amiterno, Iside Di Martino hanno spiegato che nel loro territorio non ci sono stati interventi neppure nelle case leggermente lesionate nel sisma più recente, con il risultato che il 70 per cento della popolazione vive all’Aquila nelle abitazioni antisismiche, mentre l’alta valle dell’Aterno “rischia la morte sociale ed economica”. L’Aquila e il suo centro non se la cavano meglio, lo hanno potuto constatare coi loro occhi i deputati della commissione Ambiente che il 23 novembre scorso hanno raggiunto il capoluogo. Sono tornati indietro constatando che, uscita dai riflettori, L’Aquila rischia la paralisi.
Costruttori in allarme
Ne sanno qualcosa gli edili. L’Ance ha recentemente rielaborato i dati dell’Ufficio speciale per la ricostruzione su tutti e 59 i Comuni del cratere rilevando come oltre metà  (il 51 per cento) dei lavori pubblici finanziati con la delibera Cipe del 2012 sia rimasta al palo, a fronte di 126 milioni di euro per 230 interventi.
Una percentuale che si ritrova sul fronte delle scuole, dove 74 interventi sui 136 previsti dal Piano “Scuole d’Abruzzo — Il futuro in sicurezza” — che ha stanziato 153 milioni di euro — sono ancora bloccati.
La cifra vera dello stallo generale la offre la legenda delle sintesi dell’Ufficio speciale per la ricostruzione, dove affluiscono i dati dei diversi soggetti attuatori, ovvero il Comune, la Provincia, Giunta regionale, Mibact, Protezione Civile e altri: i dati in questione sono fermi al 31 agosto 2018, tre mesi fa.
Nel complesso, la ricostruzione pubblica prevede 612 interventi e meno della metà , per esattezza 297 che equivale al 48,5 per cento, risultano conclusi. “La nomina del sottosegretario alla ricostruzione è una buona notizia, ma non basta”, dice a ilfatto.it il presidente dell’Ance Adolfo Cicchetti.
“Occorre al più presto quella dei responsabili degli Uffici speciali, che sono poi i bracci operativi della ricostruzione. Le procedure sono in corso, ma la situazione di stallo è tale che se si dovesse prolungare ancora, potrebbe avere effetti negativi sull’indotto e sulla filiera della ricostruzione”.
Il dossier dell’Ance, diffuso ai primi di novembre, stima in 4.948 le pratiche del cratere ancora da evadere e 647 i cantieri attualmente aperti.
Le pratiche private rimaste bloccate
L’allarme sul rischio rallentamenti nel privato è condiviso dai piccoli imprenditori della provincia dell’Aquila. “Gli uffici essenziali Usra e Usrc non hanno figure apicali che possono firmare il rilascio di pratiche per aprire cantieri e per il pagamento di Sal ad aziende e parcelle a professionisti” sostiene il presidente dell’Aniem, Danilo Taddei. Le due sigle, come detto, indicano gli uffici da cui arriva il nullaosta per aprire il cantiere. Da un mese, quei nullaosta sono fermi e tocca ora agli architetti ribadire la preoccupazione.
“La nomina deve arrivare prima possibile — insiste il loro presidente Compagnone — anche perchè non sarà  subito operativa, ci saranno i tempi tecnici della firma, la Corte dei Conti, il bollino di Bankitalia, alla fine si rischia di avere un imbuto anche nella parte di ricostruzione che funzionava”.
La strozzatura in corso si vede nei numeri: nel 2014-2015 sono stati emessi oltre 700 pareri l’anno, nel triennio successivo è stato un calare fino ai 418 di quest’anno (manca i dato di dicembre). Tra i motivi, anche la graduale erosione degli organici degli uffici deputati: la dotazione tra Uffici speciali di L’Aquila (Usra) e cratere (Usrc), Comune dell’Aquila ed ex uffici territoriali (Utr) si è ridotta del 20 per cento, per un totale di 67 unità  in meno.
Il dirigente: “Fermi i pareri finali, ma le istruttorie proseguono”
“E’ vero, la mancanza temporanea di un responsabile dei passaggi finali impatta sugli elenchi delle istruttorie e dei pareri in uscita, che vengono pubblicati di mese in mese, e che sono necessari a mettere a disposizione le risorse per i nuovi interventi, che dunque si arrestano”, spiega il dirigente coordinatore dell’ufficio in questione, Francesco Lucarelli.
“Ma — precisa — l’attività  istruttoria continua ai ritmi di sempre perchè, all’indomani della nomina, gli atti siano disponibili per la firma. In generale non parlerei di arretrato. Abbiamo istruito quasi 25mila pratiche, circa 500 l’anno in media, per le quali abbiamo sbloccato oltre il 70 per cento delle risorse per 5,2 miliardi grazie alle quali sono stati chiusi 8.200 cantieri. Resta un’attività  residua pari al 30 per cento. Ma siamo in linea coi tempi medi di ricostruzione. E’ fisiologico che, in mancanza del responsabile, ci sia un rallentamento. Ma mi risulta sia in corso la procedura di selezione e in ogni caso non è una questione riconducibile a questioni di efficienza dell’ufficio”.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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DECRETO SICUREZZA, COME AGGRAVARE I PROBLEMI INVECE CHE RISOLVERLI

Novembre 29th, 2018 Riccardo Fucile

PREPARATEVI A 100.000 DISPERATI IN STRADA… HANNO INVENTATO UN NEMICO INESISTENTE CHE SERVE COME CAPRO ESPIATORIO PER COPRIRE LA LORO INETTITUDINE A GOVERNARE

Alla fine è riuscito nel suo capolavoro, il ministro Matteo Salvini. Rendere legge dello Stato un provvedimento chiamato “sicurezza”, ma che in realtà  mina le basi dei diritti umani, del diritto internazionale e del concetto stesso di umanità .
Il Decreto Sicurezza, infatti, non affronta in alcuna misura quelle che sarebbero le reali emergenze del Paese.
Un testo che lascia inascoltate le paure vere che andrebbero affrontate: la paura di mandare i figli in scuole non a norma, pericolanti e tenute in piedi in barba ad ogni regolamento antisismico; la paura di infrastrutture inadeguate e fatiscenti che cadono a pezzi; il terrore di morire sul lavoro — un’emergenza sociale ormai relegata in un angolo della memoria, ma che continua a mietere oltre due vittime al giorno — e il terrore di morire senza lavoro; la paura e la solitudine delle donne vittime di violenza di genere (scese in 200mila sabato in piazza, a Roma, ad urlarlo), lasciate sole senza strumenti e senza neanche più la forza di denunciare; la paura di essere discriminati per il proprio orientamento sessuale e di essere per questo picchiati per strada, come sempre più spesso accade; la paura di morire come mosche in un territorio inquinato da decenni di malaffare, come all’Ilva di Taranto, come nella Terra dei Fuochi; il terrore di morire per una pioggia un po’ più insistente o per un vento che tira più forte del solito.
Sarebbero tantissime le misure da adottare per la sicurezza effettiva del nostro Paese e del nostro territorio.
Ma si è scelto, scientemente, di andare in ben altra direzione. Nulla di quanto sopra è stato affrontato dal governo e dal ministro — nonchè premier di fatto — Matteo Salvini: si è preferito creare in laboratorio un nemico inesistente — il “clandestino” – per poi renderlo reale a norma di legge.
Un lavoro durato mesi, anni, di propaganda violenta, urlata ovunque fino allo sfinimento.
“Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà  una verità “, diceva Joseph Goebbels. E quella “lezione”, purtroppo, sembra esser stata ben ascoltata. Fino a diventare percezione comune.
La percezione per cui tutti mali del mondo, o quantomeno quelli dell’Italia, sono imputabili ai migranti. Agli stranieri. Ai poveri. Agli ultimi.
Ed è esattamente questo, quello che fa il decreto sicurezza e immigrazione di Salvini. Punta il fucile con precisione contro i migranti. E basta.
Migranti da discriminare e condannare a prescindere, nonostante quanto previsto da Costituzione e leggi internazionali.
Viene cancellato di fatto il permesso umanitario di soggiorno, sostituito da “permessi speciali temporanei” vincolati a delle regole stringenti e rigidissime.
Persone che un tempo potevano denunciare e uscire da una condizione di caporalato, di schiavismo, di sfruttamento, e ottenere una protezione umanitaria, non potranno più farlo.
I tempi di detenzione — perchè di detenzione si tratta — nei centri di permanenza si dilatano incredibilmente, come se fosse normale che una persona — bambini compresi — che non ha commesso alcun reato possa esser trattenuta per 210 giorni.
Di rimando si svuotano, con l’obiettivo di chiuderli, gli SPRAR che, invece, si sono dimostrati strumento utile ad un’accoglienza e ad un’integrazione positiva. Il tutto per favorire grandi centri dove ammassare le persone, cioè quelli più appetibili per le mafie, creando ghetti inutili separati dalle comunità .
I servizi essenziali (i famosi 35 euro al giorno, per intenderci) sono illogicamente tagliati diminuendo della metà , come tristemente accade già  da due mesi al Cara di Mineo, troppe volte già  cavia di politiche di questo tipo negli anni.
Soldi che, cosa da ripetere fino allo sfinimento, non sono erogati ai migranti ma messi a bando per le strutture e le cooperative che si occupano di loro, in tutto e per tutto. Soldi utilizzati, prevalentemente, per generare un indotto lavorativo che vede impiegati in prevalenza nostri connazionali — avvocati, mediatori, infermieri e via dicendo — e che, adesso, vedranno a serio rischio la loro occupazione. Altro che prima gli italiani!
L’introduzione del “procedimento accelerato davanti alla Commissione territoriale”, poi.
All’Articolo 10 del ddl si introduce infatti un procedimento immediato davanti alla autorità  amministrativa che si occupa di valutare le domande di asilo, per cui coloro che sono sottoposti a procedimento penale per alcuni reati — oppure condannati non in via definitiva — potranno essere immediatamente espulsi. E lo Stato di diritto che va a farsi allegramente benedire.
Un disegno pericoloso, dove le buone pratiche di inclusione, come è successo ad esempio con Riace e col sindaco Mimmo Lucano, vengono messe al bando per favorire l’illegalità , la marginalità  sociale e rendere gli stranieri ricattabili di fronte alle mafie.
Secondo una proiezione dell’Ispi, infatti, questo secreto genererà  solo nei prossimi due anni oltre 100mila irregolari.
Persone, donne e uomini, che diventano fantasmi di carne e sangue. Che non potranno essere rimpatriati, perchè non ci sono accordi — e difficilmente ci saranno — con i Paesi di origine. E che vagheranno, come successo dopo lo sgombero del Baobab a Roma, per le città . Come fantasmi, appunto.
Senza tutele, senza diritti, senza possibilità  di riscatto. Senza nulla. Soli, in balia della criminalità  organizzata. Perchè per legge non potrebbero esistere.
Questo è il decreto sicurezza. La più gigantesca frottola mai architettata.
Puntare il dito contro un nemico inesistente e poi crearlo, in maniera subdola e disumana. In modo da continuare a utilizzarlo come capro espiatorio per i problemi sociali che non sanno come risolvere, stimolando i sentimenti più pericolosi e violenti del Paese. Solo e soltanto per propaganda.
Un cane che si morde la coda, affamato di potere. Questo è. Altro che sicurezza.

(da “Huffingtonpost”)

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