Dicembre 14th, 2018 Riccardo Fucile
ALBERTO BRAMBILLA: “E’ SOLO UNA PEZZA, UN MECCANISMO LIMITATO A TRE ANNI SCATENERA’ LA CORSA ALLE DOMANDE, SBAGLIATE LE FINESTRE”
Il rischio che i tre anni di meccanismo scatenino una corsa alla pensione. E quello, conseguenziale, delle finestre da rimandare di volta in volta.
Alberto Brambilla, esperto di pensioni della Lega, in un’intervista al Corriere della Sera fa a pezzi Quota 100:
«C’è il rischio che prevedere questo meccanismo solo per tre anni scateni una corsa alle domande perchè oggi le regole sono queste, domani chissà . Ma nel 2019 ci si dovrebbe stare. Solo a patto di introdurre una serie di paletti per rallentare le uscite, come le finestre di tre mesi, e per sfoltire le domande, come il divieto di cumulo. Non proprio il massimo».
In che senso?
«In nessun Paese civile ci sono le finestre, perchè quando maturi i requisiti per andare in pensione è giusto che la pensione ti venga data subito. Stesso discorso per il divieto di cumulo perchè non puoi dire a chi va in pensione che si deve sedere ai giardinetti altrimenti arriva la polizia a casa. Ricordo che in Italia, su 16 milioni di pensionati, ce n’è un milione che lavora».
Quindi la soluzione non la convince?
«No, anche se credo che la strada sarà quella. Io, però, ho proposto una soluzione alternativa. Partire da quelle persone che avranno raggiunto la quota 100 già al 31 dicembre di quest’anno. E dare la precedenza a chi è rimasto bloccato più a lungo dalla riforma Monti-Fornero: quelli che, come somma di età anagrafica e contributi versati, hanno una quota ancora più elevata, ad esempio 105. Poi, a regime, introdurre una flessibilità che consenta di uscire fino a 71 anni, con almeno 64 anni d’età e 39 di contributi. Questa sarebbe una riforma strutturale».
Quella voluta dal governo non lo è?
«Direi proprio di no. Mi sembra una pezza a colori».
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 14th, 2018 Riccardo Fucile
ISPEZIONE DEI NAS IN 224 SCUOLE
Una mensa scolastica su 3 presenta delle irregolarità e su 224 mense ispezionate sul territorio nazionale sette sono state chiuse per la grave situazione igienico-strutturale rilevata.
Sono questi i primi risultati del monitoraggio di controllo condotto dai carabinieri del Nas dall’inizio di questo anno scolastico.
Sanzioni pecuniarie sono state erogate per oltre 576mila euro e sequestrate oltre 2 tonnellate di alimenti. “Cibi scaduti, gravi carenze igieniche, perfino topi e parassiti: un film dell’orrore”, afferma Grillo.
Il Comando per la Tutela della Salute Nas, d’intesa con il ministero della Salute, ha avviato fin dall’inizio dell’attuale anno scolastico un monitoraggio di controllo, tuttora in corso, sui servizi di ristorazione nelle scuole di ogni ordine e livello.
L’obiettivo è accertare le condizioni d’igiene e strutturali dei locali, la rispondenza dei menù ai capitolati d’appalto, la corretta gestione e preparazione degli alimenti, anche in relazione alle esigenze nutrizionali e salutistiche dei ragazzi.
Ad oggi, sono state ispezionate 224 mense presenti negli istituti scolastici del territorio nazionale, delle quali 81 hanno evidenziato irregolarità , tra queste 7 presentavano una grave situazione igienico-strutturale e ne è stata disposta la sospensione del servizio.
Alle 81 irregolari sono state contestate 14 violazioni penali, 95 infrazioni amministrative alle normative nazionali e comunitarie con il deferimento di 15 persone alle competenti Autorità Giudiziarie oltre alla segnalazione di 67 soggetti alle Autorità Amministrative.
Sono stati inoltre individuati e sottoposti a sequestro oltre 2 tonnellate di derrate alimentari (prodotti ittici, carni, formaggi, frutta, verdura, olio, pane) poichè prive di indicazioni di tracciabilità e provenienza dei prodotti, detenute in ambienti e condizioni inadeguati nonchè scadute di validità .
“La maggioranza delle violazioni rilevate in questo piano di controlli sono di tipo amministrativo come la mancata applicazione dei sistemi di autocontrollo e prevenzione del rischio, carenze igieniche e strutturali delle aree adibite alla lavorazione, irregolarità sull’etichettatura e sulla tracciabilità degli alimenti – precisa il Generale Adelmo Lusi, Comandante dei Carabinieri per la Tutela della Salute (Nas)generale del Nas – Gli illeciti penali hanno interessato reati quali la frode e le inadempienze nelle pubbliche forniture, dovute al mancato rispetto agli obblighi contrattuali assunti dalle aziende di catering all’atto dell’assegnazione delle gare di appalto, la detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione e l’omessa applicazione delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro ed a tutela degli operatori”.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2018 Riccardo Fucile
IL PADRE DELLA VITTIMA: “GLI AUGURO UN FELICE SOGGIORNO IN CARCERE”
Ergastolo per Alessandro Garlaschi, il tranviere che lo scorso febbraio uccise con 85 coltellate Jessica Valentina Faoro, la ragazza di 19 anni che aveva ospitato a casa sua, in via Broschi, in cambio di piccoli lavori domestici
A condannare Garlaschi è stato il gup di Milano Alessandra Cecchelli, che ha accolto in pieno la richiesta del pm Cristiana Roveda
Garlaschi è stato ocndannato oltre che per omicidio anche per vilipendio di cadavere in quanto ha bruciato parti del corpo della giovane, e per sostituzione di persona, in quanto ha sempre fatto credere a Jessica che sua moglie fosse sua sorella.
Il giudice, che depositerà le motivazione entro 90 giorni, ha disposto anche risarcimenti di 25mila euro ciascuno per il padre e la madre della vittima, di 50mila euro per il fratello Andrea e di 10mila euro per il Comune di Milan
Al momento della sentenza Garlaschi era in aula. “Sono felice, di più non si poteva dare, auguro a Garlaschi un felice soggiorno nella sua nuova residenza” ha dichiarato Stefano Faoro, padre di Jessica.
“Non lo odio – ha aggiunto Faoro – provo indifferenza per lui, è un uomo inutile, è un omuncolo”.
E ancora: “Questa sentenza non mi ridarà mia figlia, non mi ridarà un futuro”. Parole ribadite con commozione dalla madre della giovane: “Tutti aspettavamo questo ergastolo, ma nessuno ci ridarà indietro Jessica”.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2018 Riccardo Fucile
SCONTO DI SETTE ANNI PER LIBERARSI DEI DIPENDENTI PIU’ COSTOSI
Era nell’aria il regalo di fine anno per agevolare il passaggio dei dipendenti Alitalia – ma non solo – dalla cabina alla pensione.
E il governo ha inserito nella bozza del provvedimento sulla previdenza, che include la fatidica “quota 100”, un super regalo di Natale a tutti i naviganti.
In sostanza piloti e assistenti di volo potranno lasciare nel prossimo biennio il posto di lavoro a 60 anni. Infatti il requisito anagrafico scende di sette anni invece dei cinque già previsti.
Al netto dei cinque anni di sconto già previsti da una precedente norma del 1997 che tagliava di 5 anni anni i requisiti necessari per andare in pensione, dal prossimo anno si aggiungeranno altri due anni per una riduzione complessiva di 7 anni.
Dunque, si tratta di un cadeau che riguarderà solo gli iscritti al fondo volo, ovvero per i piloti, gli assistenti di volo e i tecnici di volo, per i quali il requisito anagrafico per accedere all’assegno previdenziale sarà ridotto di sette anni per gli anni 2019 e 2020 e quindi si fermerà a 60 anni a fronte dei 67 previsti per il resto dei lavoratori.
Questo almeno è quanto inserito nella bozza del provvedimento sulla previdenza (che include quota 100).
Ecco il testo: “Per gli anni 2019 e 2020, la riduzione del requisito anagrafico previsto dall’articolo 3 comma 7, lettera a) del decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 164 (cinque anni, ndr) è elevato a 7 anni”.
(da agenzie)
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Dicembre 14th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO PARLA A RUOTA LIBERA MA NON DICE CHE I SOLDI NON CI SONO (SALVO TROVARLI NELLE TASCHE DEGLI ITALIANI)
Luigi Di Maio ieri è tornato a parlare della sua presunta soluzione per Alitalia, dopo il prolungamento dell’agonia e del prestito che ha fatto guadagnare tempo, ma non altro, al dossier.
Secondo il vicepremier ci sono due compagnie straniere, easyJet e Delta, disposte a indicare la rotta del rilancio al socio Ferrovie dello Stato .
E poi aerei nuovi di zecca, comperati o noleggiati da Boeing grazie a Cassa Depositi e Prestiti come garante.
Infine, una quota di partecipazione di poco inferiore al 15% per il MEF nella veste di controllore del consorzio che dovrebbe mettere insieme tutte queste aziende.
In tutto quello che ha raccontato Di Maio manca soltanto un dettaglio: ma i soldi chi ce li mette?
Quella di qualche giorno fa è infatti la terza proroga del prestito concesso la prima volta il 2 maggio 2017, quando Alitalia fu commissariata.
La somma iniziale del “prestito ponte” era di 600 milioni e avrebbe dovuto essere restituita dopo sei mesi, ma il governo Gentiloni incrementò il prestito a 900 milioni e allungò la scadenza.
Con la seconda proroga, lo scorso aprile, la scadenza del rimborso è stata fissata al 15 dicembre prossimo.
Alitalia non ha i soldi per rimborsare il prestito (a fine settembre in cassa c’erano 606 milioni, esclusi i depositi in garanzia) e la procedura di cessione è ancora lontana dalla conclusione.
Compresi gli interessi del 10% annuo circa, la somma che la società deve restituire è salita a un miliardo.
Tra due settimane, poi, verranno a mancare all’appello i soldi che alimentano il fondo di solidarietà che paga le crisi del comparto aereo. In tutto ciò nessuno ha detto da dove verranno i soldi per l’ennesimo rilancio.
Non è che verranno per l’ennesima volta dalle tasche dei contribuenti italiani?
(da “NextQuotidiano“)
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Dicembre 14th, 2018 Riccardo Fucile
IL SILENZIO ASSORDANTE DEL MINISTRO DEL LAVORO SULLA VERTENZA
Il primo appello a Luigi Di Maio i lavoratori di Valtur lo avevano lanciato il 4 giugno, il giorno dopo l’insediamento del governo Conte e la nomina del ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico.
C’era da scongiurare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo per oltre un centinaio di addetti della sede milanese della storica azienda italiana (Valtur sta per Valorizzazione Turismo) fondata nel 1964.
Dopo essere stata acquisita nel 2016 dal Fondo Investindustrial di proprietà della famiglia Bonomi a marzo del 2018 la società era stata messa in concordato liquidatorio e per i dipendenti era iniziato l’incubo.
Ma c’era ancora un barlume di speranza, se solo il MISE avesse risposto ai lavoratori.
L’incontro promesso c’è stato il 13 giugno. Il ministro Di Maio non c’era ma al funzionario del MISE lavoratori e sindacati hanno avanzato due richieste: bloccare la procedura di licenziamento per concedere ancora qualche tempo per trovare una soluzione che salvasse i posti di lavoro.
Il Ministero però, al di là dell’apertura del tavolo di trattativa, non ha fatto nulla e il 15 giugno i lavoratori della Valtur sono stati licenziati.
Tutti a casa, senza Cassa Integrazione (perchè non è prevista) con solo la Naspi, l’indennità di disoccupazione.
Al contrario di altri casi il governo si è completamente disinteressato della vicenda e non si è impegnato a creare norme “ad hoc” per salvaguardare la dignità dei
Eppure il governo precedente già era intervenuto con una strana operazione di salvataggio.
Nel giugno del 2017 Cassa Depositi e Presititi aveva infatti acquistato da Bonomi- per la cifra di 43 milioni di euro — tre strutture, tre villaggi vacanze, di Valtur; quelli di Marina di Ostuni, Marileva e Pila.
La proprietà si era impegnata ad investire 6,5 milioni di euro per rilanciare le sue attività . CDP ha poi afffidato la gestione dei tre villaggi a TH Resorts, una società di cui la stessa Cassa Depositi e Prestiti dal 2017 detiene il 46%.
Qualcuno si chiede come mai non sia stato possibile fare un’operazione analoga per salvare Valtur.
Dopo il licenziamento è arrivata la vendita del marchio (senza la cessione del ramo aziendale) che a luglio è stato ceduto per 5 milioni di euro.
Anche rispetto alla cessione del marchio i lavoratori speravano che il MISE si comportasse come ha fatto di recente per la questione della Pernigotti.
Qualche settimana fa Di Maio aveva dichiarato che «dev’essere chiaro che il destino dei lavoratori della Pernigotti non può essere diviso dal marchio». Il destino dei lavoratori Valtur invece è stato completamente diverso.
Senza assetti e senza marchio l’unica speranza per gli ex dipendenti della Valtur era quella di rivolgersi al ministero.
«Dal MISE però non è arrivata nessuna risposta, nemmeno una promessa, nulla» racconta Francesco Cante uno dei lavoratori dell’area commerciale che sono stati licenziati a giugno. Francesco ha 36 anni e ha lavorato per Valtur per 12 anni anche prima dell’acquisizione da parte del Fondo Investindustrial ed è uno di coloro che hanno firmato l’appello a Di Maio.
Un appello che però è rimasto sostanzialmente inascoltato.
Il ministro non ha mai incontrato i lavoratori e i sindacati — lo hanno fatto invece i funzionari del MISE — nemmeno dopo l’avvio dei licenziamenti.
A dimostrare maggiore interessamento al caso era stato il ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio, che però all’epoca non aveva ancora ricevuto le deleghe al Turismo. «Ma è chiaro che la questione doveva essere gestita da Di Maio, dal momento che ha i due ministeri competenti sulla materia, quello del Lavoro e quello dello Sviluppo Economico» continua Cante.
Cante ci tiene a far sapere che la chiusura di Valtur non è solamente un problema di quei dipendenti che sono stati licenziati. La fine delle operazioni della società comporta anche effetti negativi sull’indotto, sui lavoratori stagionali che venivano impiegati nei villaggi ma anche dei fornitori e di quei piccoli paesi che in un modo o nell’altro grazie a Valtur riuscivano ad ottenere un maggiore afflusso turistico e vivevano delle economie generate dal villaggio.
Anche dopo il licenziamento gli ex dipendenti non hanno smesso di chiedere l’intervento di Di Maio e del MISE. Lo hanno fatto il 14 settembre, con uno secondo appello al Governo. Anche questo però è rimasto inascoltato.
Ne hanno fatto un altro, il terzo, ieri chiedendo a Di Maio di prestare ascolto alle loro rivendicazioni. Ed è quello che fa più male a tutti coloro che da un giorno all’altro si sono trovati in mezzo ad una strada: sapere che nessuno li ascolta, nessuno dà loro un minimo di speranza, anche solo una promessa.
«Molti ex dipendenti sono in Valtur da oltre 25 anni e hanno più di 50 anni, che prospettive lavorative avranno? Io ho 36 anni e fatico a trovare lavoro, immaginatevi loro» chiosa Cante ricordando al ministro il dramma di trovarsi senza lavoro a 50 anni e passa. Sono lavoratori che hanno investito la loro vita e dedicato la loro professionalità ad una società che si è dissolta e della quale nessuno nell’esecutivo ha avuto a cuore il destino.
«La vicenda Valtur non ha tuttora trovato ascolto in sede governativa» ha commentato Luca De Zolt, funzionario di Filcams Cgil che segue la vicenda e ricorda che «malgrado le ripetute richieste di convocazione di un tavolo al ministero del lavoro e dello sviluppo economico, non abbiamo avuto finora alcuna risposta da parte del ministro Di Maio».
(da “La Repubblica“)
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