Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
I CONTENUTI DELLA CAPORETTO DEL GOVERNO LEGA-M5S NEI CONFRONTI DELL’EUROPA
Da una parte c’erano le dichiarazioni paludate dei commissari, dall’altra un vicepremier che con maschia determinazione proclamava che la UE poteva mandare anche dodici lettere da qui fino a Natale, ma la Manovra del Popolo non sarebbe cambiata di una virgola.
E infatti c’è ben più di una virgola nel compromesso che il governo Conte ha firmato con Bruxelles oggi senza spezzarle le reni come annunciato ma rinunciando sin da subito a 6,5 miliardi di euro di spesa in deficit che ufficialmente deriva da presunti “risparmi” sul reddito di cittadinanza e su quota 100 ma che non finisce in altre spese come avevano promesso i due vicepremier.
I quali, come loro abitudine, si sono prudentemente eclissati durante le comunicazioni del presidente del Consiglio al Parlamento che dovevano sancire l’accordo di Bruxelles: non a caso vicino al povero Conte sono rimasti stasera Moavero e Tria, ovvero i due che hanno lavorato con lui all’accordo raggiunto che ha salvato l’Italia da una crisi dello spread che sarà ancora più scongiurata dalle parole di Salvini sull’Europa “da cambiare dal di dentro” senza lasciare l’euro, apprezzatissime dal popolo di Twitter che aveva votato Lega perchè gli avevano detto che voleva uscire dall’euro.
Nell’ordine, per rispondere alle richieste della Commissione Ue “sono state affinate le misure contenute nel disegno di legge di bilancio”, ha detto oggi Conte, rivedendo l’onere annuo delle misure del Fondo per il reddito di cittadinanza e quello per gli interventi pensionistici ma mantenendo integro l’impatto concreto di queste due misure.
Su lato delle entrate, nella Manovra che ha Bruxelles come coautore si prevede la revisione delle ‘clausole di salvaguardia Iva’ per gli anni 2020-2012, l’istituzione di un’imposta sui servizi digitali gravante sui soggetti che nell’esercizio di attività di impresa prestino servizi digitali e che superino determinate soglie di ricavi; l’abrogazione del credito di imposta relativo alle deduzioni forfettarie in materia di Irap riconosciute in favore dei soggetti passivi che impiegano lavoratori dipendenti a tempo indeterminato in alcune Regioni; l’abrogazione del credito di imposta in favore dei soggetti che compiono investimenti in beni strumentali nuovi; l’abrogazione dell’aliquota ridotta Ires in favore degli enti non commerciali; un pacchetto di misure che incrementa il prelievo nel settore dei giochi attraverso l’aumento del Preu applicabile agli apparecchi da divertimento e intrattenimento e la riduzione delle percentuali minime di pay-out; inoltre, si introduce dal primo gennaio 2019 l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse.
Per le amministrazioni centrali si prevede un rinvio della presa di servizio degli assunti al 15 novembre 2019, ma limitato alle assunzioni derivanti del turn over ordinario dell’anno precedente. E questo sarà sicuramente apprezzato da chi fino all’altroieri annunciava piani per assumere 450mila statali.
Non è tutto: sono previste misure volte a definanziare le risorse del Fondo per favorire lo sviluppo del capitale immateriale, la competitività e la produttività di 75 milioni di euro per l’anno 2019 e di 25 milioni di euro per l’anno 2020.
Sono state riprogrammate poi una rimodulazione delle disponibilità di cassa del Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale destinato a misure per il superamento degli squilibri socio-economici territoriali, per 800 milioni di euro per l’anno 2019, e una rimodulazione delle risorse finanziarie per le Ferrovie dello Stato per 600 milioni di euro per l’anno 2019, prevedendo un incremento, per ciascuno degli anni dal 2022 al 2024, di 200 milioni di euro delle risorse destinate alla società ; infine, il governo ha previsto una rimodulazione, con riduzione di 850 milioni di euro per l’anno 2019 e un incremento, per progressivo per ciascuno degli anni dal 2020 al 2024, di 150 milioni di euro e, per l’anno 2025, di 100 milioni di euro della quota nazionale per il finanziamento delle politiche comunitarie.
Come si vede, si tratta in massima parte di incrementi di tasse o nuove gabelle, tagli ai fondi per gli investimenti e rinvio di spese che fino a ieri erano state vendute come assolutamente urgenti.
E questo, insieme all’accento posto in tante occasioni sugli investimenti dal ministro Tria, fornisce l’esatta dimensione della credibilità di certi discorsi programmatici e di certi politici.
Ci sarà anche una spending review per i ministeri, annunciata in più occasioni dal MoVimento 5 Stelle che però per attuarla davvero ha dovuto aspettare “l’ordine di Juncker”, come direbbe Napalm51.
Il governo, fanno sapere da Bruxelles, si è anche impegnato a congelare due miliardi di euro di spese che saranno sbloccate solo a determinate condizioni.
E ha ceduto sulla crescita programmata, con ciò rimangiandosi tutte le fregnacce con cui Tria ha cercato di ribattere a tutte le istituzioni che lo smentivano, ma ottenendo in cambio un miglioramento sul deficit strutturale che è stato decisivo per l’ok finale.
Un punto importante per la valutazione finale l’ha spiegato il vicepresidente della Commissione Europea Valdis Dombrovskis in conferenza stampa a Bruxelles dopo aver annunciato che la procedura d’infrazione non verrà aperta: “Una parte cospicua dell’ammontare delle modifiche che hanno consentito all’Italia di evitare che la Commissione Europea oggi raccomandasse al Consiglio l’avvio di una procedura per debito deriva dall’entrata in vigore ritardata delle due principali misure espansive, il reddito di cittadinanza e le modifiche delle riforme delle pensioni”.
“Questo vuol dire che — e qui viene il bello — quando queste misure entreranno pienamente in vigore, avranno come risultato costi più elevati per gli anni a venire. Nel 2020 e 2021 l’Italia intende compensare i costi attivando le clausole di salvaguardia, aumentando l’Iva. Tuttavia sappiamo che in passato l’Italia non ha attivato le clausole di salvaguardia: se questo dovesse accadere ancora, consistenti risorse dovrebbero essere reperite altrove”.
Quello che ha detto il commissario va compreso pienamente: nonostante la NADEF riportasse una programmazione fino al 2021, attualmente le misure più costose della Manovra (reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni) non sono finanziate per gli anni successivi.
O meglio: si dice che se non si troveranno altri fondi potrà crescere l’imposta sul valore aggiunto come copertura e l’incremento è automatico: ovvero, scatterà a meno che non si legiferi in senso contrario entro la fine del 2019.
Lega e M5S dall’opposizione hanno sempre strillato contro le clausole di salvaguardia e sostenuto che un aumento dell’IVA sarebbe stato un disastro per i consumi, mentre Tria nella sua attività di accademico aveva aperto all’aumento dell’imposta sul consumo per tagliare quelle sul lavoro, secondo la stretta scuola (teorica, perchè nella prassi non l’ha mai fatto) di tremontiana memoria.
Ci si aspetta quindi che i partiti al governo trovino coperture alternative per non far scattare le clausole: si tratta di trovare appena 24 miliardi di euro, che sarà mai? Oppure, come comincia già a dire qualche malfidato, si è pensato che l’orizzonte del 2020 fosse troppo distante per i programmi di questo governo.
Sia come sia, speriamo che qualcuno non faccia fare agli italiani la fine dei noeuro.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SI RIMANGIA 10 MILIARDI, MA LA COMMISSIONE NON SI FIDA E CONGELA 2 MILIARDI DI RISORSE A GARANZIA
“Questo accordo dimostra che la Commissione non è nemica del popolo italiano, come qualcuno voleva dipingerci”. Pierre Moscovici chiude mesi e mesi di scontro con il governo di Roma, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa. Ma non va oltre.
Il commissario agli Affari Economici non ha bisogno di sollevare ancora polemiche con i vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio, mentre parla calmo di fianco a Valdis Dombrovskis in una conferenza stampa ancora una volta monopolizzata dal caso Italia.
I due sono scesi in sala stampa a Palazzo Berlaymont per spiegare che la Commissione ha deciso di non aprire la procedura per deficit eccessivo legato al debito contro l’Italia.
Niente polemiche, solo sorrisi di compiacimento: questo è decisamente un ‘1 a zero’ per Bruxelles contro i populisti italiani.
“Ora il bilancio italiano è molto più realista, prossimo alle regole, con modifiche considerevoli. E’ quello che volevo come commissario: missione compiuta”, dirà Moscovici ai giornalisti dopo la conferenza stampa con Dombrovskis.
“Ricordo il primo progetto con il nostro parere del 21 novembre scorso”, aggiunge, riferendosi alla ‘sentenza’ di quasi un mese fa, sempre qui nella stessa sala stampa.
Fu il giorno della conferma della bocciatura del documento programmatico presentato dall’Italia. “Il governo voleva un peggioramento del deficit strutturale dello 0,8 per cento”, non rispettava “le nostre previsioni economiche di ottobre”. Erano i tempi del deficit nominale al 2,4 per cento e indietro non si sarebbe andati, proclamavano da Roma.
Non è andata così. L’unico punto su cui la Commissione fa una ‘gentile’ concessione all’Italia è sul deficit strutturale: chiedeva un miglioramento dello 0,1 per cento almeno, rispetto all’anno scorso, ha accettato una previsione stabile dello 0 per cento. Lo hanno deciso perchè pure il Belgio è fermo sullo zero per cento, non potevano chiedere lo 0,1 a Roma.
Sul resto però il governo Conte, con i suoi due scalpitanti vicepremier, ha dovuto rimangiarsi tanto.
Innanzitutto il deficit nominale, sceso al 2,04 per cento.
Ma anche le previsioni di crescita: scese dal 1,5 per cento per il 2019 all’1 per cento. E questo, raccontano fonti europee, è stato il punto più ostico della trattativa: settimane e settimane a discutere, fino alla svolta raggiunta soltanto ieri pomeriggio.
Ma ancora: il governo aveva chiesto di poter spendere 10,25 miliardi di euro tra reddito di cittadinanza, ‘quota cento’ sulle pensioni e altre misure.
Ma la Commissione ha chiesto e ottenuto il congelamento di 2 miliardi di euro, a salvaguardia dell’accordo raggiunto. Potranno essere usati soltanto se il deficit nominale resta sotto il 2,04 per cento.
Roma non ha da festeggiare. Non solo ha inviato a Bruxelles la manovra sbagliata, con calcoli sbagliati (per ammissione dello stesso premier Conte).
Ma poi di fatto se l’è fatta correggere da Bruxelles e oggi l’ok al testo è arrivato prima da qui che in Parlamento, dove il presidente del Consiglio ha anche ritardato di un’ora il suo intervento, cominciando a parlare in Senato quando a Bruxelles Moscovici e Dombrovskis avevano praticamente finito.
Ma poi c’è anche il fatto che, anche se che la procedura non è partita, la manovra italiana rimane ‘sub judice’.
Su questo Dombrovskis è stato chiaro: “L’accordo non è perfetto ma ci permette di evitare la procedura a condizione che le misure vengano attuate”. La Commissione “continuerà a seguire gli sviluppi a cominciare dalla votazione della manovra in Parlamento”.
Il vicepresidente della Commissione, punto di riferimento dei ‘falchi’ rigoristi del nord, non fa mistero del fatto che “la composizione delle misure” della manovra “continua a destare preoccupazione”, perchè “parte notevole degli importi deriva dalla tardiva entrata in vigore del reddito di cittadinanza e delle pensioni. Quando entreranno in vigore a pieno, daranno un costo superiore per il 2020 e il 2021. L’Italia pensa di farvi fronte con l’attivazione della clausola di salvaguardia sull’Iva ma in passato non l’ha attivata. Se dovesse succedere, bisognerebbe trovare risorse ingenti altrove…”.
E poi ci sono misure come “tasse superiori sulle società e tagli agli investimenti che non sono amiche della crescita”, anche se Roma può recuperare “usando meglio i fondi strutturali”.
“Siamo ai limiti – conclude Dombrovskis – Ecco perchè ho detto che non è un accordo perfetto ma è un passo importante nella direzione giusta. Del resto, l’Italia ha assunto “un atteggiamento molto diverso rispetto a varie settimane fa, quando Roma diceva che non avrebbe modificato una virgola… Invece ora sono stati rivisti 10,25mld del bilancio”.
E’ proprio questo il punto che ha convinto i falchi della Commissione oggi nella riunione di collegio. L’esito della discussione sull’Italia non è stato del tutto scontato.
I ‘falchi’ del nord (il finlandese Katainen, la danese Vestager) hanno sollevato più di qualche dubbio sulla proposta esposta da Moscovici e Dombrosvkis di non dar seguito alla procedura di infrazione.
Poi però anche loro hanno riconosciuto lo sforzo fatto, il calo da 0,8 per cento allo 0 per cento del peggioramento del deficit strutturale. Dunque, è stato il presidente Jean Claude Juncker a tirare le somme: niente procedura.
Mentre Moscovici e Dombrovskis terminano la loro conferenza stampa a Palazzo Berlaymont, Giuseppe Conte inizia il suo intervento in Senato sulla manovra, appunto.
A Roma è arrivata la lettera con cui la Commissione europea ufficializza il suo sì all’accordo, a patto che l’intesa sia rispettata in Parlamento.
Il presidente del Consiglio conferma le cifre che hanno dato i due commissari, solo che di fianco a lui non ci sono nè Salvini, nè Di Maio.
Bello o cattivo segno che sia, se la manovra cambia, l’Ue riapre il dossier procedura.
Anche Moscovici, che si è battuto per evitare la procedura dopo aver ottenuto la marcia indietro dell’Italia, sottolinea che “saremo attenti e vigili perchè restano interrogativi. Questo non significa essere sospettosi: ci sarà il monitoraggio nel semestre Ue”.
Significa che se tutto va bene, se l’accordo resterà blindato in Parlamento, la Commissione si esprimerà di nuovo a maggio, come avviene ogni anno per i bilanci di tutti gli altri Stati della zona euro.
Cosa resta ora? C’è che di certo è stato “salvato il Natale”, come auspicavano la settimana scorsa i collaboratori di Moscovici. E c’è anche il fatto che ora la Commissione ha maggiori margini per trovare una soluzione di dialogo con Emmanuel Macron, che si prepara ad aumentare il deficit per effetto delle misure promesse ai ‘gilet gialli’ (in programma nel pomeriggio qui a Bruxelles un confronto tra il ministro dell’Economia Bruno Le Maire con Moscovici e Dombrovskis).
E poi ci sono le europee che si stagliano all’orizzonte come la sfida (finale?) tra partiti populisti-sovranisti e partiti tradizionali.
Il Commissario agli Affari Economici non nasconde che le elezioni di maggio hanno avuto un peso sulle scelte finali. Certo, “non abbiamo pensato solo alle europee – dice – ma se vivessimo in una specie di bolla e ignorassimo l’avanzata dei nazionalismi di fronte all’austerità e alle imposizioni calate dall’alto, non saremmo all’altezza delle aspettative. Abbiamo pensato che sarebbe stato meglio evitare la procedura per disavanzo, riuscendo a portare le autorità italiane molto più vicine alle regole rispetto a prima”.
Per ora, è Roma che si è avvicinata a Bruxelles. Non il contrario.
Una cornice che servirà a placare gli euroscettici? “L’unica cosa che posso dire è che se avessimo fatto diversamente, se fossimo arrivati ad un risultato diverso, gli anti-europeisti avrebbero festeggiato”, chiude Moscovici.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
SI TRATTA DELLO 0,2% DEL PIL, GUARDA CASO I DUE DECIMALI DI CORREZIONE STRUTTURALE CHE LA COMMISSIONE PONEVA COME CONDIZIONE
Cosa fa il governo del cambiamento e del “facciamo ripartire il Paese” una volta messo di fronte alla brutalità dei numeri?
Taglia gli investimenti, toglie munizioni alla crescita, si rifugia nel vecchio trucco di colpire laddove è più facile.
Gli investimenti si sa non votano.
Quattro miliardi, lo 0,2 per cento del Pil, guarda caso i due decimali di correzione strutturale che la Commissione poneva come condizione sine qua non per dare via libera alla manovra gialloverde: a tanto ammontano i tagli sul fronte impieghi di capitale operati da Giuseppe Conte e Giovanni Tria per evitare la procedura d’infrazione per deficit eccessivo, una scelta quasi obbligata dopo che il flop dell’asta Btp di novembre e la retromarcia del Pil nel terzo trimestre avevano fatto squillare l’allarme rosso sul fronte dell’economia.
Due di questi miliardi sono uno spezzatino di micro interventi cui lo stesso premier ha fatto riferimento nel suo intervento al Senato: riguardano le Ferrovie, il finanziamento delle politiche comunitarie, il Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale, il Fondo per la produttività e la competitività .
Gli altri due miliardi sono rubricati alla voce <spese congelate> a garanza del rispetto degli obiettivi di bilancio imposta da Bruxelles a un partner dalla dubbia affidabilità . Secondo una fonte brussellese potrebbero andare ad incidere sul pacchetto di interventi infrastrutturali per 15 miliardi messo a bilancio.
La vicenda degli investimenti calata a sorpresa su questo finale di manovra è la rappresentazione plastica di una triplice sconfitta.
Per il governo del cambiamento che messo alle strette, ha riesumato una vecchia pratica della Prima e della Seconda Repubblica – salvare la spesa corrente e colpire la spesa in conto capitale – smentendo se stesso e tutte le promesse di porre una volta per tutte la parola fine all’Italia fanalino di coda.
La capacità di generare sviluppo della manovra era già limitata, il taglio degli investimenti ne ha anche simbolicamente certificato la natura.
Ma la sconfitta dovrebbe bruciare in modo particolare per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, il teorico degli investimenti come leva fondamentale di sviluppo, il raffinato conoscitore dei misteri del moltiplicatore della crescita che ancora una volta ha abdicato alle sue convinzioni e ha “eseguito”.
Tria non ha mai veramente creduto nel potere propulsivo del reddito di cittadinanza e dei centri per l’impiego: “se il lavoro non c’è, bisogna creare le condizioni perchè si crei, il resto serve a poco”, diceva.
Ma non si può neppure salvare del tutto la Commissione che è riuscita nell’impresa davvero ardua di chiudere un occhio sui principi e sul rispetto delle regole europee, scontentando i paesi nordici rigoristi, senza favorire nello stesso tempo una politica autenticamente espansiva in Italia.
Già all’indomani della presentazione della Nota aggiuntiva al Def di fine ottobre Moscovici aveva criticato, oltre ai saldi della manovra, la sua composizione sbilanciata sulla spesa corrente.
I tagli sugli investimenti oggi non contribuiscono a correggere lo squilibrio.
Secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt “l’improvvisa mitezza” della Commissione si spiega con la situazione venutasi a creare in Francia e il timore della Commissione di essere accusata di usare due pesi e due misure dai populisti italiani nel caso di bocciatura della manovra gialloverde e di un via libera al previsto sforamento francese dei parametri. Ma è un argomento debole.
Perchè la situazione di Parigi è la copia speculare di quella di Roma. La manovra gialloverde salva, forse, il 2019 ma mette a rischio gli anni avvenire. Quella transalpina fa l’opposto.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
NEL GIORNO DELLA GRANDE RITIRATA, SALVINI E DI MAIO SCELGONO DI SPARIRE
Nel giorno della gran ritirata, Matteo Salvini e Luigi Di Maio scelgono di sparire, nel tentativo di passare da campioni morali di una trattativa che ha visto l’intero governo cedere quasi su tutta la linea.
La storia è nota. Entrambi si inabissano, lasciano solo Giuseppe Conte a snocciolare davanti al Senato la lista della resa, conclusione di una trattativa il cui punto di caduta è stato digerito a fatica sia dall’uno sia dall’altro.
Dal Viminale arrivano di buon mattino foto al limite del nonsense.
Ritraggono il ministro dell’Interno in maglione accanto ad Al Bano (sì, quel Al Bano), che con tanto di Panama ha donato al leader della Lega “una bottiglia da 5 litri di Bacchus, riserva speciale Matteo Salvini”.
Il tempo per incontrare il grande vecchio della musica italiana c’è, quello per andare a sostenere Conte riempiendo fisicamente uno spazio vuoto no.
Il premier sceglie come pretoriani gli involontari leader del partito della trattativa, Giovanni Tria e Enzo Moavero, e subisce l’assenza dei tori che la corrida avrebbe meritato.
I due vicepremier fanno partire due comunicati stampa a discorso appena terminato, che si vanno ad aggiungere stancamente nella sagra delle dichiarazioni di rito.
È Conte a dover passare come il tessitore del compromesso al ribasso, bisogna archiviare la pratica e ripartire.
Perchè in effetti il premier dal podio di Palazzo Madama sciorina tutti i dettagli del compromesso, annullatori di tante dichiarazioni tranchant e delle trionfalistiche foto della balconata di Palazzo Chigi.
Ma in effetti dagli entourage delle rispettive war room filtra soddisfazione. Perchè è stata chiusa (o quasi) una partita potenzialmente spinosa, per le ripercussioni che poteva avere nei rapporti con Bruxelles ma soprattutto all’interno dello stesso governo.
Si tira un sospiro di sollievo, dopo la miriade di frizioni, botta e risposta a brutto muso, vertici notturni che hanno portato più volte la maggioranza sull’orlo dell’implosione.
Soprattutto per la messa in sicurezza di reddito di cittadinanza e quota 100 (sia pur con meno risorse), leve del consenso come anche della credibilità della narrazione che i due leader hanno portato avanti in questi mesi.
Si ricomincerà a ballare la rumba, altre faglie divideranno i due leader, il fantacalcio dei “responsabili” impazzerà .
Un senatore in Transatlantico ironizza: “Vi ricordate di Giuseppe Tatarella, missino da Cerignola, che si definì ministro dell’Armonia? Ecco, giusto un ministro così gli servirebbe”.
Ma per ora la messa in sicurezza della maggioranza è confermata. Andrea Cangini, già giornalista e oggi senatore di Forza Italia, in aula ha segnato il più classico dei gol dell’ex: “Avete venduto l’anima politica al diavolo di Bruxelles”.
Quanto scaverà il solco tra i vicepremier, e tra loro e Conte, solo l’alba dell’anno nuovo potrà raccontarlo.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
IL SOTTOSEGRETARIO TOFALO ANNUNCIA LA RETROMARCIA ANCHE SUL CACCIA DIVENTATO L’ICONA DELLO SPRECO BELLICO
“Colgo l’occasione per spiegare che da tanti anni noi abbiamo parlato di questi F-35 spesso in maniera distorta, spesso bisogna realmente conoscere e valutare le informazioni”.
Il momento della concretezza, quello del passaggio dagli slogan dell’opposizione alla realtà del governo, arriva pure per l’F-35.
E le parole del sottosegretario Angelo Tofalo, esponente di punta del Movimento 5Stelle molto legato a Luigi Di Maio, radono al suolo un’altra bandiera di tante campagne del passato.
L’icona volante dello spreco bellico, bersaglio di una sfida parlamentare senza tregua, adesso viene riabilitata. E diventa uno strumento irrinunciabile per il Paese.
“Il programma F-35 che ormai è avanti, c’è da oltre venti anni, a differenza di quanto spesso qualcuno ha detto è un aereo che ha un’ottima tecnologia, forse la migliore al mondo in questo momento – prosegue Tofalo -. Ed è normale che dobbiamo fare un po’ di calcoli, sia per quanto riguarda la tasca, ossia dal punto di vista economico, sia per quanto riguarda la tecnologia. Ma resta ovvio che non possiamo rinunciare a una grande capacità aerea per la nostra Aeronautica che ancora oggi ci mette avanti rispetto a tanti altri Paesi”.
Tofalo ha parlato ieri in un convegno di Montecitorio: accanto a lui c’è la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, designata dal M5S; di fronte il presidente della Camera Roberto Fico; in platea tutti i parlamentari pentastellati delle Commissioni Difesa.
E, in sostanza, dice sull’F-35 le stesse cose che sosteneva l’ex ministra Roberta Pinotti, venendo cannoneggiata dai grillini: non ci sono alternative tecnologiche a questo caccia, resta da vedere quante sono le risorse che si possono investire. Insomma, si può discutere dei numeri ma non della necessità dell’F-35.
Adesso la delega sul jet più discusso è in mano al sottosegretario, che la definisce “croce e delizia”.
Ma il verdetto sulla sorte del programma bellico sembra segnato: messi da parte gli slogan, superate le polemiche, bisogna guardare ai fatti.
Lo scenario mondiale mostra il successo dell’F-35, che accumula vendite e condiziona le strategie. Israele lo presenta come l’arma invincibile. Recep Tayyip Erdogan è pronto a cambiare i rapporti con gli Usa pur di ottenerlo. Il Giappone ha triplicato gli ordini. E la scelta italiana di entrare nel programma oggi pone l’Aeronautica in condizioni di vantaggio, perchè ha già aerei operativi e un patrimonio di conoscenze. Che si possono tradurre in contratti per la fabbrica costruita a Cameri, in Piemonte, e per le aziende del settore.
Tofalo, ingegnere e appassionato di tecnologia, si è reso conto della situazione. In questi sei mesi di governo il giovane sottosegretario si è fatto notare per iniziative in apparenza folkloristiche come indossare l’equipaggiamento dei soldati di Strade Sicuro, navigare in un sottomarino o volare su un jet, lanciarsi in paracadute con i carabinieri.
Esperienze però che lo hanno portato a contatto diretto con la vita delle forze armate. Allo stesso tempo la sua curiosità , unità all’abitudine all’ascolto, lo hanno reso l’interlocutore privilegiato dei militari e di chi si occupa di Difesa.
Tutto gestito in modo trasparente, evitando gli incidenti del passato e le tentazioni della diplomazia parallela.
Così il Movimento che ai tempi di Beppe Grillo sognava il modello Costarica, ossia un paese senza forze armate, adesso prende coscienza della realpolitik.
Molti dei sostenitori della prima ora si sentiranno traditi, come è accaduto per il via libera alla Tap e all’Ilva di Taranto. Ma, come ha detto Tofalo: “spesso bisogna realmente conoscere e valutare le informazioni”.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
BRUXELLES POTREBBE OPPORSI ALLA MARCHETTA LEGHISTA CHE PROROGA LE CONCESSIONI AI BALNEARI PER 15 ANNI
La proroga delle concessioni balneari senza gara per un periodo di 15 anni, come previsto da un emendamento alla Manovra, non piace all’Europa e sarebbe contro il Trattato stesso dell’Unione Europea.
E’ quanto filtra alle agenzie di stampa da Bruxelles, dove viene sottolineato che la Corte di Giustizia dell’Ue ha confermato che “l’estensione automatica di autorizzazioni esistenti” per le concessioni balneari “senza una procedura di selezione per potenziali candidati” va contro la direttiva sui Servizi. La Commissione europea tuttavia non si è ancora espressa.
In particolare, la proposta di modifica alla legge di Bilancio è stata presentata dalla Lega (primo firmatario il capogruppo al senato Massimiliano Romeo) ed è stata una battaglia che anche il ministro Centinaio aveva fatto propria.
Prevede una proroga generalizzata delle concessioni balneari in vigore alla data di entrata in vigore della legge di bilancio (quindi dal primo gennaio 2019) e per 15 anni. Ma, notano dalla Corte di Giustizia dell’Ue, una simile impostazione sarebbe in contraddizione con una sentenza della Corte di Giustizia stessa del 2016, nella quale i giudici confermavano chiaramente che ‘l’estensione automatica di autorizzazioni esistenti per attività di business in proprietà marine e lacustri pubbliche per turismo e svago senza procedure di selezione dei potenziali candidate” contrasta con la direttiva servizi e con il Trattato Ue.
Ovviamente, per esprimersi la Corte dovrebbe prima attendere che la norma diventi una legge dello Stato.
(da agenzie)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
IL POLITICO CHE DENUNCIA LE BANCHE INSOLVENTI, SALVO ESSERE LA SUA AZIENDA INSOLVENTE VERSO LE BANCHE, CHE DENUNCIA L’USO IMPROPRIO DELLE TASSE SALVO NON PAGARLE, CHE DENUNCIA LA FINANZA CHE TAGLIEGGIA LA POLITICA SALVO CONSERVARE TITOLI PIUTTOSTO CHE ONORARE LE PENDENZE
La saga della Dibitec di Alessandro e Vittorio Di Battista continua. Oggi nella polemica scatenata dal Giornale interviene Mattia Feltri sulla Stampa, segnalando quale sia il vero problema intorno alla vicenda:
Il punto, se non disturba la scorribanda fuori dal recinto del kinderheim, è l’idea che si ha di sè e del mondo, di come si vorrebbe che il mondo andasse e di come si contribuisce a farlo andare. Dunque è rimarchevole che il politico Di Battista abbia impegnato le migliori energie per denunciare le banche truffaldine e insolventi con i creditori, quando l’imprenditore Di Battista è insolvente con la banca.
E’ rimarchevole che il politico Di Battista abbia impegnato le migliori energie per denunciare l’uso inetto o criminale del denaro delle tasse, quando l’imprenditore Di Battista le tasse non le paga.
È rimarchevole che il politico Di Battista abbia impegnato le migliori energie per denunciare la finanza che taglieggia la politica, quando l’imprenditore Di Battista conserva denari investiti in titoli piuttosto che onorare le pendenze.
Per il resto, si tenga la sua fedina penale pulita.
Il riferimento nelle ultime righe ai denari investiti in titoli deriva direttamente da quanto scritto nel bilancio della Di.Bi.Tec., l’impresa dei Di Battista che ha dichiarato di possedere titoli «Carivit» pari a 116.227 euro: sono titoli della Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo. §
Ed in tempi di rime baciate (quelle di Vittorio su Facebook), sarebbe bello che quel possesso fosse spiegato nei dettagli.
Il Giornale intanto punta il dito ancora su Alessandro Di Battista e nell’articolo di Carmelo Caruso racconta le varie peripezie societarie del “nemico delle banche”:
Dalla sua apparizione politica, Alessandro Di Battista si è presentato come l’uomo in rivolta contro il capitale, ha sempre portato astio nei confronti della finanza, ha manifestato la sua avversione verso la lingua dell’economia.
In realtà , è la repulsione di chi padroneggia e si serve degli strumenti del diritto societario. Già a vent’anni — come rivelato dal Giornale- Alessandro Di Battista acquistava e vendeva quote societarie come un abilissimo operatore finanziario.
Nel 1998, insieme alla sorella, l’esponente grillino acquistava le quote della Tecma srl appartenute a Cristiano De Santis e Marco Giovannini.
Con sede legale in viale Regina Margherita n° 278 a Roma, la Tecma srl si presenta come «un marchio italiano universalmente riconosciuto come produttore delle migliori toilette nautiche in ceramica».
A distanza di tre anni Di Battista ha rivenduto le sue quote agli stessi da cui ha comprato. La società ha avuto un nuovo passaggio di proprietà e oggi appartiene alla olandese Thetford bv che è leader nel mondo nella produzione e componenti per il tempo libero.
Sempre nel post di ieri, Di Battista ha dichiarato che dopo questa inchiesta: «Ogni piccolo imprenditore italiano sa che un ex parlamentare, quando era in Parlamento, non si è occupato dell’azienda di famiglia». Non è così.
Alessandro Di Battista si è sempre occupato dell’azienda di famiglia. Non si è mai dimesso dalle cariche.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
SCELTO IL PROGETTO DI PIANO, L’ALTERNATIVA ERA QUELLO DI CALATRAVA… TONINELLI, GENIO INCOMPRESO
È ottimista il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli quando parla della ricostruzione del ponte autostradale sul Polcevera a Genova: «alla fine dell’anno prossimo lo vedremo in piedi a inizio 2020 lo inaugureremo».
Durante un’intervista a Circo Massimo il ministro annuncia che «il cantiere è già partito e la prossima settimana ci sarà la cantierizzazione completa».
Il nuovo ponte, che non si chiamerà più Ponte Morandi per ovvi motivi, sarà realizzato da Salini-Impregilo insieme con Fincantieri e ItalFerr.
Il progetto sarà quello presentato da Renzo Piano a fine agosto. L’architetto genovese aveva deciso di donare la sua idea per il nuovo viadotto alla città di Genova. Il Commissario per la ricostruzione e sindaco di Genova Marco Bucci ha fatto sapere che a Piano è stato chiesto di partecipare a tutto il progetto come supervisore tecnico. Il ponte costerà 202 milioni al netto dell’Iva ai quali vanno aggiunti i 19 milioni necessari per la demolizione e l’abbattimento di quello che resta del Morandi.
Ma tornando all’aspetto del ponte, come sarà ?
Bucci lo ha descritto così: «il progetto prevede una forma di nave che richiama il nostro ambiente. Ci saranno sei corsie, due per senso di marcia più una di emergenza. E ci sarà anche un percorso pedonale per consentire l’ispezione e la manutenzione dei pannelli solari. Vedo questo ponte molto vicino alla realtà dei genovesi e dei liguri: solido, ben piantato, che va avanti passo dopo passo e raggiunge l’obiettivo, in modo funzionale e bello ma nel nostro stile».
Un ponte per i genovesi ma anche un ponte genovese come lo ha definito il senatore a vita Renzo Piano: «un ponte molto genovese. Semplice ma non banale. Un ponte di acciaio, sicuro e durevole. Perchè i ponti non devono crollare».
Evidentemente la Commissione che ha esaminato i progetti ha scartato la vera idea geniale, quella presentata da Toninelli ad un mese dal disastro del Morandi. §
Secondo il ministro l’obiettivo era «non solo quello di rifare bene e velocemente il ponte Morandi ma di renderlo un luogo vivibile. Un luogo di incontri, in cui le persone si ritrovano, in cui le persone possono vivere possono giocare, possono mangiare». Per Toninelli — ma anche per Beppe Grillo che aveva ospitato un progetto sul suo sito — il ponte avrebbe dovuto essere multilivello e multifunzione.
In molti avevano preso in giro Toninelli ma lui aveva ribadito che i criticoni erano gente che non capiva come una grande opera potesse “riqualificare, ridisegnare e ripensare la vocazione di un’intera area”.
Il progetto meraviglioso del ministro tutto cuore e concentrazione guardava al futuro e prevedeva gallerie commerciali, ristoranti, un ponte sotto al quale si socializza e si passeggia. Peccato che il viadotto autostradale sia a circa venti metri d’altezza.
Sicuramente sotto ci sarà chi passeggia, chi ci vive e chi ci lavora, ma non perchè è un ponte multilivello: semplicemente perchè è un viadotto che scavalca un’area della città di Genova dove già ci sono persone che vivono, lavorano e passeggiano (pensate ci sono addirittura una ferrovia e un torrente).
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 19th, 2018 Riccardo Fucile
I CATTIVI MAESTRI A PIEDE LIBERO GENERANO MOSTRI XENOFOBI
Un ragazzo di origine senegalese di 20 anni Pape Bassirou Tine è stato aggredito da un gruppo di ragazzini vicino alla stazione di Avigliana, lunedì pomeriggio.
“Mi urlavano negro di merda, torna a casa tua”, racconta il ragazzo su Facebook che oggi ha sporto denuncia ai carabinieri per quello che è successo lunedì pomeriggio. “Quando ho sentito quelle parole mi sono girato chiedendogli se ce l’avessero con me – dice – Quando mi sono avvicinato a uno di loro, mi ha preso a pugni, un altro mi ha colpito su un orecchio con un bicchiere di vetro”
Quel pomeriggio in corso Laghi sono arrivati i carabinieri che ora sono al lavoro per identificare i ragazzi dell’aggressione.
Gli investigatori stanno acquisendo i filmati delle telecamere della stazione. “Vivo in Italia da tanti anni e non mi è mai successo niente del genere”, dice ancora il ragazzo che vive in Val di Susa e gioca a calcio come centrocampista nel San Maurizio Canavese nel campionato di Promozione.
“A leggere i giornali sembra sempre che siano solo gli stranieri a delinquere ma non è vero”, aggiunge nel lungo post con cui il ragazzo ha denunciato il fatto. “Non so chi fossero quei ragazzi non li ho mai visti prima”, ha spiegato il giovane ai carabinieri.
Il ragazzo sta già ricevendo decine di messaggi di soldiarietà sul suo profili Facebook
(da agenzie)
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