Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
IL DRAMMA DEI TESTIMONI DI GIUSTIZIA IN ITALIA, 78 ESILIATI DI STATO… PIERA AIELLO: “PRONTA A LASCIARE IL M5S SE BLOCCANO LE MIE PROPOSTE”
Bersagli viventi, morti che camminano, vite ridotte a matricole, esiliati di Stato.
Si definiscono così e non ce n’è uno che non ti spieghi, mettendo in fila fatti e circostanze, quanto la decisione di denunciare la criminalità gli abbia stravolto l’esistenza.
Sono i testimoni di giustizia, coloro che hanno segnalato le infiltrazioni mafiose, camorristiche, ‘ndranghetiste, nelle proprie aziende, o cittadini che hanno deciso di accusare pubblicamente i clan, puntando l’indice contro boss e affiliati nelle aule di tribunale.
Settantotto nel nostro Paese, secondo i dati forniti ad Huffpost dal Ministero dell’Interno, protetti insieme a 255 familiari.
Con i parenti stretti e i conviventi dividono una vita che, dai racconti che ne fanno, per molti di loro è ormai ridotta a una fila di giorni da scontare come una pena, segnati da paura, rinunce, disguidi quotidiani.
E la rabbia, che sale ogni volta che vengono accostati ai collaboratori di giustizia, – in Italia protetti in 1277 con 4915 familiari – “che hanno denunciato la criminalità , ma dopo averne fatto parte, averla pagata o averci fatto affari. Noi siamo testimoni, non pentiti. Due figure ben diverse, eppure ancora confuse”, è la premessa da cui partono tutti.
L’ultima legge, in vigore dal 21 febbraio scorso, distingue nettamente i collaboratori dai testimoni e assicura tutela, sostegno economico, reinserimento sociale e lavorativo, procedure adeguate alla situazione di ciascun testimone.
Garanzie che, a ripercorrere le storie di molti, per ora sembrano rimaste sulla carta.
La quotidianità è costellata di intoppi e ostacoli: assistere al fallimento delle proprie aziende, essere lasciati da partner che non ce la fanno a sopportare le conseguenze della denuncia, ottenere contributi irrisori e aspettare rimborsi sanitari per anni, vedere i propri beni ipotecati, non poter salutare per l’ultima volta un parente morto o far visita a un figlio in ospedale.
Mentre l’attualità racconta dell’uccisione a Pesaro del fratello di un pentito di ‘ndrangheta, che viveva sotto protezione e in un domicilio segreto, del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che preconizza la sconfitta delle mafie di qui a qualche anno, della revoca “per cessato pericolo” e attraverso comunicazione solo verbale, della scorta all’imprenditore siciliano e testimone di giustizia, Vincenzo Conticello, che continua a chiedere un documento scritto.
Subito dopo aver saputo che di lì a poco sarebbe rimasto privo di protezione, Conticello, che denunciò i suoi estorsori e riconobbe alla sbarra i mafiosi che lo avevano minacciato di morte – arrestati nel 2006 – , aveva dato appuntamento per il 27 dicembre in piazza a Palermo, davanti all’antica focacceria “San Francesco” che un tempo era la sua attività , con l’invito, provocatorio, “a festeggiare la sconfitta della mafia”.
Poi ci ha ripensato, ha lasciato la città . “Non ci sarà nessuna festa, ho paura – spiega ad HuffPost – non vorrei che qualcuno approfittasse della confusione per farmi qualcosa e non vorrei offrire palcoscenici per passerelle ad autorità o politici. Mi hanno detto che il pericolo è cessato, per me e i miei familiari, ma il contesto non è cambiato rispetto a quando ho denunciato, anzi. Ho pensato di ricorrere al Tar come ha fatto Ultimo”.
Di recente, proprio il Tar ha restituito la scorta al colonnello Sergio De Caprio, il capitano Ultimo che arrestò Totò Riina, “ma senza un documento è impossibile avviare l’iter”, sospira Conticello, l’indice puntato contro “il sistema dei comitati di sicurezza. I testimoni non ricevono informazioni aggiornate, io ho saputo da miei ex dipendenti che persone arrestate grazie alla mia testimonianza erano a piede libero. Devono mettermi per iscritto il motivo per cui mi hanno revocato la scorta”.
Un concetto sul quale, parlando con HuffPost, hanno insistito anche altri testimoni di giustizia storici.
Come Pino Masciari, Piera Aiello. Il primo, ex imprenditore calabrese – “Dopo aver denunciato le pressioni ‘ndranghetiste, ho perso la mia azienda e la mia libertà “, spiega – sottolinea come “gli imprenditori che denunciano non possono essere visti come un costo, vanno tutelati e sostenuti in vita, non solo ricordati dopo morti”.
Piera Aiello, cognata di Rita Atria, la testimone di giustizia che si uccise a 17 anni poco dopo la morte del giudice Paolo Borsellino, ha denunciato gli assassini del marito, figlio del mafioso Vito Atria.
Oggi è deputata del Movimento Cinque Stelle, prima parlamentare con lo status di testimone di giustizia. “È necessario che qualunque cosa debbano dirci sia scritta – spiega – Purtroppo al novanta per cento le comunicazioni avvengono solo verbalmente, io chiedo che tutto ciò che riguarda me venga sempre messo nero su bianco. Ho l’impressione – scandisce – che vogliano murarci, come se volessero farci scomparire”.
Ha annunciato che presenterà la proposta per una nuova legge, “che tuteli i testimoni di giustizia, i loro diritti violati e i loro familiari, spesso dimenticati e non sia, come accade a quella attuale, interpretata troppo spesso a favore dello Stato – puntualizza – Si sono accorti che mia figlia doveva essere iscritta alle elementari quando frequentava la terza. Se non ci avessi pensato io a suo tempo, sarebbe rimasta fuori”. La deputata grillina che ha fatto della difesa “dei compagni di viaggio” – li definisce così – il senso del suo mandato, ha dichiarato di “non essere ancora riuscita a fare nulla, ho trovato un muro di gomma”, ad HuffPost dice di essere “pronta a lasciare il Movimento Cinque Stelle, che non mi ha mai ostacolato, qualora dovesse arrivare un veto”.
Che vuol dire “muro di gomma”?
“Gli uffici del Servizio centrale di protezione sono blindati – risponde la deputata – diversi testimoni mi hanno raccontato di aver chiesto, invano, di parlare con i responsabili. Ho incontrato il sottosegretario Luigi Gaetti (presidente della Commissione centrale per la definizione e l’applicazione delle misure di protezione, ndr), mi è parso motivato e disponibile, ma è circondato da una Commissione vecchia, che non mi sembra voglia affrontare davvero la questione, direttamente collegata alla lotta alle mafie”.
Ma in un Paese in cui il ministro dell’Interno dichiara che la criminalità organizzata sarà cancellata, ha ancora senso il testimone di giustizia?
“Mi auguro che quanto previsto da Salvini accada, ma è pura fantasia – sbuffa Piera Aiello – contro mafia, camorra e ‘ndrangheta servono strumenti precisi. Come si fa a vincere se si scoraggia la testimonianza, se i testimoni di giustizia e i loro parenti non vengono tutelati?”.
Per Nadia Furnari, cofondatrice dell’Associazione antimafie “Rita Atria”, una nuova legge per i testimoni di giustizia non serve, “basterebbe applicare quelle che già esistono”.
Quanto a Salvini, “a mio avviso non sa di cosa parla. Di mafia si discute seriamente troppo poco e ancora meno si analizza il fenomeno. Penso che bisogna chiedersi, e cercare le risposte che i cittadini hanno diritto ad avere: dove si lavano i soldi, come si assegnano gli appalti? La figura del testimone di giustizia è fondamentale per combattere la criminalità , ma purtroppo lo Stato tratta la questione con grande sciatteria. Abbiamo chiesto al Campidoglio la cittadinanza onoraria per Rita Atria, morta a Roma sola come un cane, ci hanno ignorato”.
A Ignazio Cutrò i fatti di Pesaro hanno riportato subito in mente quel che potrebbe succedere alla sua famiglia.
In un post su Facebook, l’ex imprenditore siciliano, testimone di giustizia dal 2006 dopo aver denunciato e fatto arrestare i suoi estorsori e presidente dell’Associazione nazionale Testimoni di giustizia, ha scritto: “Sui familiari, lo denunciamo da anni, le mafie vogliono abbattere la loro violenza per vendicarsi dell’affronto subito dopo che li abbiamo fatti condannare. Come non pensare alla mia famiglia lasciata priva di qualsiasi protezione?”.
Anche lui da aprile è senza scorta. “Quando l’hanno tolta a mia moglie, ai miei figli, non l’ho voluta più neanche io – dice ad HuffPost – e ora vivo con addosso la paura che accada qualcosa, soprattutto a loro. In un’intercettazione emersa durante un’operazione che ha portato all’arresto di diversi mafiosi agrigentini, si sente distintamente uno di loro che dice: “Appena lo Stato si stanca che gli toglie la scorta poi vedi che poi…. È o non è una minaccia?”.
Ogni mattina, racconta, teme che allo scatto del cancello che si richiude alle loro spalle si accompagni una raffica di colpi di arma da fuoco, ogni sera che qualcuno gli si introduca in casa “perchè le mafie non dimenticano coloro che denunciano”.
Cutrò non ha mai voluto lasciare la sua terra, Bivona, provincia di Agrigento, ma ha dovuto rinunciare alla sua azienda. Dall’ottobre 2015, usufruendo di un decreto legge che permette ai testimoni di giustizia di essere assunti nella pubblica amministrazione, è dipendente della Regione Sicilia e lavora nel Centro per l’impiego del paese.
Da presidente dell’associazione nazionale, negli anni ha assistito a quella che definisce “una rivalutazione” delle scorte assegnate.
Molte sono state tolte, altre potrebbero essere revocate: HuffPost ha chiesto anche questi dati, il Ministero dell’interno si è riservato di comunicarli.
Nel frattempo, dal Viminale è arrivato l’ottimismo di Salvini. “Si dirà che quella del ministro è una dichiarazione “di troppo” – ha scritto Cutrò – Penso, invece, che siamo di fronte a un percorso, sul piano politico e culturale, che le mafie potrebbero leggere come una resa dello Stato. Di mafia si muore, io rifarei quello che ho fatto perchè lo Stato siamo noi non le mafie, ma le istituzioni non riescono o non vogliono giungere alla verità , lasciando soli uomini che hanno avuto il coraggio civile di testimoniare nei processi”.
Anche Gennaro Ciliberto, napoletano, ha affidato a Facebook le sue considerazioni sull’assassinio di Pesaro rivolgendosi direttamente a Salvini per invitarlo a informarsi “su come vivono i testimoni di giustizia, i loro familiari e tutti quelli che hanno denunciato le mafie. Rinunci alla scorta e vedrà cosa significa vivere con il terrore”. Dal 2010 quando, da responsabile della sicurezza nei cantieri di una ditta che lavorava in subappalto per Autostrade per l’Italia spa, denunciò infiltrazioni camorristiche e corruzione negli appalti e anomalie nella costruzione di varie opere autostradali, vive in una località segreta, sotto il controllo del Servizio centrale di protezione del ministero dell’Interno.
Ciliberto sperava che con il governo giallo-verde le cose per i testimoni di giustizia volgessero al meglio. Ricorda “quando i Cinquestelle Di Maio, Fico, Sarti, non ancora al potere, protestavano contro le mafie, ora dei testimoni non si ricordano più”, ma credeva soprattutto in Salvini. “Ho sbagliato a fidarmi delle sue idee, mi ha deluso”, dice ad HuffPost
Sulla base della sua esperienza – “otto anni che nessuno mi ridarà indietro vissuti come un uomo invisibile, con un altro nome, attento a non creare legami stretti, a non lasciare tracce, anche se questo ha significato andare a comprare un medicinale in un’altra regione, iscrivere i figli a mie spese in una scuola privata sganciata dall’anagrafe scolastica nazionale – aggiunge in un fiato – chi vuole denunciare deve sapere bene a cosa va incontro, io col senno di poi ci penserei cento volte”.
Due anni fa ha fatto ricorso al Tar per il cambio totale di nominativo, lo status economico e il livello di scorta. L’udienza è fissata il 19 novembre 2019.
Un altro anno, Ciliberto è sfiduciato. “Chissà che per me o per qualche altro testimone non arrivi prima la vendetta della criminalità – considera – Tanto per lo Stato siamo solo matricole, ci hanno abbandonato rendendoci bersagli a vita”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
CAPACE SOLO DI PERSEGUITARE I POVERI, IL MINISTRO DELLA NUTELLA NON SA GESTIRE UNA PARTITA DI CALCIO… IL MORTO ERA UN ESPONENTE PREGIUDICATO ULTRA’ NEONAZISTA
E’ morto per le ferite riportate un tifoso di 35 anni, investito ieri sera prima della partita Inter-Napoli a San Siro.
Un episodio che aveva già un grave bilancio, con quattro tifosi napoletani accoltellati durante gli scontri.
L’uomo si chiamava Daniele Belardinelli, era un ultrà di Varese con già un Daspo alle spalle e – stando alle prime informazioni – faceva parte del ‘commando’ di un centinaio di tifosi interisti che hanno teso un agguato ai napoletani prima dell’arrivo allo stadio. Il questore Marcello Cardona, parlando di “azione squadrista” ha detto che chiederà di vietare “le trasferte dell’Inter fino alla fine del campionato e la chiusura della curva dell’Inter fino a marzo 2019, per 5 partite.
Ma quando è successo l’agguato e quando a San Siro avrebbe dovuto sospendere la partita, come mai non ha fatto valere la legalità ?
La dinamica.
In queste ore si sta ricostruendo quanto accaduto in via Sant’Elena, una traversa di via Novara, a un paio di chilometri dallo stadio.
Secondo le prime ricostruzioni una carovana di una decina di minivan con a bordo tifosi del Napoli stava arrivando a San Siro e una volante che li aveva notati all’uscita della tangenziale aveva iniziato a seguirli.
Arrivati in via Sant’Elena, sono stati circondati da un centinaio di persone – ultrà interisti, di Varese e di Nizza, squadre gemellate con i nerazzurri – che si erano nascosti per tendere un agguato e che hanno iniziato a colpire i mezzi con spranghe e bastoni. I napoletani, a quel punto, sarebbero scesi dai mezzi, scontrandosi con gli avversari, tra bastoni e fumogeni.
Gli scontri hanno provocato quattro persone accoltellate: tutti tifosi napoletani, uno di loro è in condizioni serie.
Mentre arrivavano i rinforzi della polizia, tutti i tifosi hanno cercato di scappare lasciando a terra le armi – è stata trovata anche una roncola, oltre a bastoni e spranghe – e sarebbe stato allora che due tifosi sono stati investiti, anche se dalle immagini di sorveglianza sembra che a travolgere Belardinelli sia stato un suv scuro che arrivava sulla corsia opposta e che potrebbe non essersi accorto di quanto è avvenuto.
“I primi ad attirare l’attenzione sul 35enne sono stati i tifosi del Napoli, poi quelli dell’Inter lo hanno portato in macchina in ospedale”, ha spiegato il questore. Il 35enne è stato portato subito all’ospedale San Carlo e operato, ma questa mattina è morto.
La vittima. Daniele Belardinelli, classe 1983 di Varese, è un tifoso del Varese. Nel 2012 aveva già ricevuto un Daspo di cinque anni per gli scontri durante la partita Como-Inter. Apparterebbe al gruppo neonazista Blood and Honour.
Sala contro i cori razzisti dentro lo stadio.
Ma la giornata calcistica milanese è da dimenticare non solo per ciò che è accaduto fuori dallo stadio. Anche dentro San Siro, infatti, durante la partita si sono registrati dagli spalti nerazzurri cori razzisti e ululati contro Kalidou Koulibaly, giocatore senegalese del Napoli. E per questo il sindaco di Milano Beppe Sala ha deciso di prendere posizione, chiedendo scusa al giocatore e dicendo: “La prossima volta ai primi buù farò un piccolo gesto, mi alzerò e me ne andrò”. Sala ha anche detto che gli piacerebbe che a Empoli la fascia da capitano la portasse Asamoa.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
STAMANE LA CASTELLI RIBADIVA CHE E’ GIUSTO RADDOPPIARE LE TASSE AGLI ENTI DI VOLONTARIATO, DOPO DUE ORE DI MAIO AMMETTE CHE “VA CAMBIATA”
«Difendo la norma, è giusta». «Prendo l’impegno di modificarla nel primo provvedimento utile»: il bello del MoVimento 5 Stelle — che spiega molto del suo successo elettorale — è che ha delle idee, ma se non vi piacciono ne ha delle altre.
E così stamattina quando i giornali hanno cominciato a parlare del raddoppio dell’IRES per il volontariato ecco che con una plastica rappresentazione della sua unità e delle sue conoscenze prima la viceministra senza deleghe Laura Castelli ha detto che la norma va bene così e poi il vice-bisministro Luigi Di Maio ha preso l’impegno di cambiarla.
In mattinata ecco Castelli: “Stiamo parlando della parte del terzo settore che è persona giuridica e non persona fisica e che fa utili e profitti quando teoricamente non dovrebbe farli. Non stiamo tassando la beneficenza ma quella parte di terzo settore che fa utile”.
Una dichiarazione che sembra surreale perchè evidentemente la viceministra senza deleghe (e per questo ha ragione Tria a non dargliele) non sa che l’utile del no profit non può essere distribuito ai soci ma deve essere di nuovo investito in azienda o nell’associazione o nell’ente no profit.
Quindi, anche se la Castelli non lo sa, con la nuova norma lo Stato tassando l’utile di un’ente no profit gli toglie risorse per fare altro sempre nel suo ambito.
Invece a Di Maio qualcuno deve averlo avvertito perchè nel primo pomeriggio invia una nota inequivocabile alle agenzie di stampa: “Non possiamo intervenire nella legge di bilancio — spiega — perchè si andrebbe in esercizio provvisorio. Ma prendo l’impegno di modificarla nel primo provvedimento utile“.
“Inoltre, abbiamo sentito la comunità dei Frati di Assisi, che ringraziamo per il loro instancabile impegno, e li incontreremo quanto prima”, conclude.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
IL GOVERNO “CHE HA ABOLITO LA POVERTA'” ORA FARA’ TAGLIARE I PASTI AGLI INDIGENTI E L’ASSISTENZA A DOMICILIO AGLI ANZIANI E DISABILI
“E’ giusto: se sei del terzo settore” enti “ecclesiastici e non” si “presuppone che tu non faccia utili visto che sei senza scopo di lucro. Noi tassiamo i profitti delle no profit mica tassiamo i soldi della beneficenza!”.
Lo ha detto oggi la vice ministro all’Economia, Laura Castelli, stamattina al cronista dell’AGI che chiedeva un commento alle polemiche sul caso Ires per il no profit.
Ma il no profit gli utili li deve reinvestire.
Da sempre l’Ires, l’imposta sul reddito delle società che nel 2004 ha sostituito l’Irpeg (imposta sul reddito delle persone giuridiche), era ridotta alla metà per «istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza» e ancora «istituti di istruzione, di studio e sperimentazione di interesse generale senza fini di lucro».
Un lungo elenco di soggetti che dal 1954 godeva di tassazioni agevolate e dal 1973 di un dimezzamento di imposta cancellati ora con un tratto di penna.
La decisione del governo tocca 6.220 tra enti, istituti e associazioni: dalla Croce Rossa ai centri di ricerca come l’Ieo e Humanitas, dal don Gnocchi alle federazioni dei disabili, dalle Misericordie alle scuole cattoliche alle piccole onlus.
A dare un’idea di quello che rischia di accadere è Luca Degani, presidente Uneba (raccoglie 350 fondazioni per servizi ai minori, anziani e disabili), che ne parla con Repubblica: «Una realtà come la Girola che con i proventi degli immobili ogni anno garantisce 150 borse di studio per orfani, vedendosi raddoppiare la tassazione da 200mila a 400mila euro, sarà costretta a tagliare: 50 ragazzi non avranno gli studi pagati e un futuro diverso. La Restelli di Rho che gestisce assistenza domiciliare per anziani, ad esempio, avrà 60mila euro in meno da spendere, significa meno assistenza per tutti. E l’associazione Arca che tra le altre attività garantisce 3mila pasti al giorno non potrà più farlo».
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
SALDO E STRALCIO, IL DECIMO CONDONO AGLI EVASORI… SCONTI ANCHE DEL 90% SULLE IMPOSTE EVASE
Tra le novità che la Manovra del Popolo ha accolto con l’intervento di Bruxelles c’è anche il saldo e stralcio, ovvero il decimo condono del governo Lega-M5S che dovrebbe servire, nelle intenzioni del legislatore, ad aiutare in contribuenti in temporanea difficoltà economica a saldare i conti aperti con il Fisco, mettendosi in regola con le cartelle esattoriali in corso.
Nei giorni scorsi la polemica si era concentrata sulla possibilità o meno che il saldo e stralcio favorisse i padri di Luigi Di Maio e di Alessandro Di Battista, che hanno in comune qualche problema con il fisco e aiutasse anche i conti dello Stato con qualche incasso rapido in più, anche se di minore importo rispetto al dovuto.
Un’elaborazione dello Studio Tributario Timpone & Associati di Roma di cui parla oggi La Stampa dimostra invece che il «saldo e stralcio» rischia di diventare un bel regalo di Natale anche per gli evasori «professionali».
Che grazie al fatto che il meccanismo di pagamento della sanatoria si basa sul reddito Isee, potranno essere notevolmente avvantaggiati. Ma andiamo con ordine.
Le regole prevedono che la sanatoria si possa pagare in unica soluzione entro il 30 novembre 2019 oppure in cinque rate e stabiliscono che sulle cartelle Equitalia già notificate, oltre all’azzeramento di interessi e sanzioni (ma non dell’aggio di riscossione), ci siano forti sconti sull’imposta da pagare.
Gli sconti variano notevolmente, e sono determinati a seconda del reddito del contribuente, calcolato con il metodo dell’Isee, ovvero l’Indicatore della situazione economica equivalente, che tiene conto di reddito, patrimonio (mobiliare e immobiliare) e delle caratteristiche di un nucleo familiare (per numerosità e tipologia).
E proprio qui sta l’inghippo.
I tetti di reddito Isee stabiliti nel «saldo e stralcio» non sono affatto così bassi per quello che si profila come un vero e proprio condono, anche se la Lega voleva partire addirittura da un tetto di 30mila euro.
Un’Isee di 20mila euro, ad esempio, rappresenta una coppia con un figlio che guadagna un reddito netto di 30mila, che dispone di una casa di proprietà con rendita catastale di 500 euro, che ha un conto in banca con 15mila euro di risparmi e ha accumulato, e che infine ha un patrimonio di 25mila investito in titoli pubblici. Insomma, una situazione economica che non si può certo definire critica. Anzi.
Come si può vedere in tabella, contribuenti poco fedeli che hanno debiti col Fisco possono garantirsi un bel vantaggio.
A maggior ragione considerando che non è stato previsto nemmeno un tetto massimo di valore alle imposte da condonare.
Nel primo esempio (25.000 euro di cartelle e reddito Isee di 8,500 euro, aliquota del 16%) si risparmierà il 90,07% del dovuto.
Il secondo esempio (85.000 euro di cartelle e reddito Isee di 15.000, aliquota del 35%) fa scendere il risparmio a un sempre interessante 77,26%.
Una terza ipotesi, con 16.000 euro di cartelle da condonare e reddito Isee di 11.000 (e aliquota del 20%) fa salire il risparmio all’87,78%.
Se ne avvantaggeranno anche gli evasori, sia quelli «totali» che quelli più accorti, che solitamente oltre a fare reddito «nero» tendono anche a intestarsi meno beni possibili. E quindi risultano avere Isee basso
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
COSA SI NASCONDE DIETRO LA SPONSORIZZAZIONE DEI MARCHI? E’ ORA DI FARE CHIAREZZA
Matteo Salvini può pubblicare tutti gli scatti che vuole, compreso pane e Nutella, senza che nessuna autorità possa fermarlo: la legge sulla par condicio (n. 28 del 2000), che dovrebbe garantire la parità di trattamento e l’imparzialità dei politici nell’accesso ai mezzi di informazione, non contempla like e cuoricini.
Lo spiega oggi Il Fatto Quotidiano, che nota come il Capitano sia un habituè della citazione di marchi:
Nelle ultime settimane è stato un crescendo. 19 settembre: “Adesso pausa pranzo al volo e il dubbio è: mi faccio un piatto di spaghetti in bianco, al pomodoro o al ragù?”, scrive, Salvini, in primo piano una birra Franziskaner; 22 ottobre: “Yogurt al miele e melissa per Renzi, Boschi e tutti gli amici del Pd, per digerire meglio le storiche sconfitte di Trento e Bolzano”, con immagine di uno Sterzing Vipiteno; 1 dicembre: “Alla vostra salute amici…”, mentre beve un boccale di birra Moretti; 13 novembre: “Si stappa una bottiglia di Nebbiolo (Gianni Gagliardo, La Morra, Cuneo) e la serata assume un sapore diverso”. 4 dicembre: “due etti di bucatini Barilla, un po’di ragù Star e un bicchiere di Barolo di Gianni Gagliardo, alla faccia della pancia!”, la foto è dei bucatini, i marchi citati sono 3.
L’obiettivo, spiegano Patrizia De Rubertis e Wanda Marra, è questo:
Esiste almeno un precedente: Renzi non restituì la bici Colnago, un dono istituzionale, ma la postò più volte. Pubblicità .
Nello staff del ministro dell’Interno negano che Salvini abbia una strategia di tipo commerciale: non ha contatti con le aziende, dicono. La strategia sarebbe comunicativa. Parlare di generi alimentari fa tanto “leader della porta accanto”: in realtà un trucco ormai vetusto. E poi utilizzare i brand fa discutere. Dunque è sempre pubblicità . La tattica pare quella di distogliere l’attenzione. Memento: l’eccesso di comunicazione diventa un boomerang, come dimostra il precedente di Renzi.
(da agenzie)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
TRA PORTABORSE, CONSULENTI, PORTAVOCE E STAFFISTI: ALLA FACCIA DELLA LOTTA ALLA KASTA
Il premier Giuseppe Conte e i ministri del M5s costano allo Stato italiano all’incirca 5 milioni di euro l’anno tra portaborse, collaboratori, consulenti, portavoce e staffisti.
Il conto lo ha fatto il Giornale in un articolo a firma di Pasquale Napoletano, il quale spiega che dal giorno del giuramento dell’esecutivo gialloverde sono stati spesi già due milioni di euro per pagare incarichi.
Il presidente Conte e il bisministro Di Maio sono i più costosi: lo staff esterno del premier è costato fino ad oggi 226mila euro e tra gli emolumenti spicca quello del portavoce Rocco Casalino che intasca 169mila euro l’anno.
I collaboratori di Di Maio nei due ministeri invece arrivano a costare 850mila euro l’anno e finora ne hanno portati a casa 283mila.
Il compenso più alto è per Pietro Dettori: il fedelissimo di Davide Casaleggio porta a casa circa 130mila euro l’anno.
Tra i ministri grillini si fanno notare per staff e spese Sergio Costa e Alberto Bonisoli. Il ministro dell’Ambiente si è circondato di uno staff di 14 persone.
Il peso per le casse dello Stato è pari a 969mila euro l’anno: fino ad oggi è costato 323mila euro.
Il capo di gabinetto, Pier Luigi Petrillo, prende 226mila euro l’anno. Lo Stato italiano per pagare lo staff del ministro dei Beni Culturali ha già speso 234mila euro.
A fine anno i soldi sborsati saranno 702mila per retribuire 14 persone tra portavoce, segretari e consulenti.
Marco Ricci con 102.082,37 ha il compenso più alto.
Barbara Lezzi è invece un ministro senza portafoglio, con delega al Sud, ma spende mezzo milione di euro l’anno per otto collaboratori.
In linea con i predecessori, gli altri ministri del M5s: Riccardo Fraccaro, delega ai Rapporti con il Parlamento,ha lo staff composto da cinque persone: 225mila euro. Fino ad oggi è costato 75mila euro.
La struttura esterna del ministro della Difesa Elisabetta Trenta costa 200mila euro l’anno.
Chiudono la classifica i due sottosegretari Vito Crimi (Editoria), supportato da un mini-staff di due persone (120mila euro l’anno) e Vincenzo Spadafora (Pari Opportunità ) con 4 persone e una spesa di 165mila euro.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
GAFFEUR E FEDELISSIMO, RASSICURANTE E URLATORE, IMPERMEABILE AL RIDICOLO, E’ LO SPIRITO DEI TEMPI
Il modellino di treno che tiene in bella vista, al posto dei libri, sul terzo scaffale della sua boiserie ministeriale nell’ufficio di Porta Pia è da solo il preannuncio di tutto. Danilo Toninelli da Soresina, 44 anni, due figli, sei mesi da ministro alle Infrastrutture e ai trasporti, in fondo a quel treno somiglia. Sotto una teca, posizionato in bella vista, eccolo: la locomotiva di un convoglio fuori contesto.
Non per caso, forse, capita al ministro di riferirsi a se stesso in terza persona: il «sottoscritto», si definisce.
Giunto ormai nel pieno delle sue funzioni , ricevuta rotonda la sua «eredità » da Graziano Delrio che gliela ha lasciata a suo tempo con tanti auguri, Danilo Toninelli sembra perennemente calato da un’altra parte, o diretto altrove: la sua cifra in fondo è l’estraniamento, la sottrazione.
Come se gli mancasse sempre qualcosa, di palpabile e insieme indicibile. Lo si è visto benissimo il 15 novembre, nel giorno del sospirato sì del Senato al decreto su Genova, appena appena novanta giorni dopo la tragedia del ponte Morandi.
Nel mezzo della lettura dei risultati del voto di un decreto giunto alla sua centocinquantesima riscrittura, Toninelli il «sottoscritto» ha slanciato in alto il pugno chiuso della mano destra, per due volte, in segno di vittoria.
Nulla però di epico, di fondante, piuttosto un gesto frivolo, buttato là . Al limite, come ebbe a dire dallo scranno la presidente Elisabetta Alberti Casellati, un «gesticolare in maniera non troppo commendevole per un ministro».
Non commendevole, ma nemmeno minaccioso. Parvero eccessive persino le proteste di Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia, per quel pugno senza identità e senza storia, più adatto a racchiudere il vuoto che non a farne il segno di una rivoluzione grillin-guevarista.
Altro che epica. A chi gli rimproverava l’assenza da Roma nei giorni agostani del ponte Morandi, il ministro ebbe a rispondere non a caso sventolando l’orgoglio di una virtù privata, che è all’opposto del sentimento dell’uomo di Stato, di governo.
«Mi fa ridere chi mi accusa di essere al mare con la mia famiglia. Sono fisso al telefono e seguo ogni cosa che riguarda il ministero. E sono felice di farlo stando vicino a chi amo di più ed è quasi sempre lontano. Si chiama amore, ma forse per certa gente è solo un’utopia».
Eccolo, il manifesto toninelliano. Tre metri sopra al cielo: più vicino all’impiegato, però, che all’uomo di governo.
Gaffeur e fedelissimo, rassicurante e urlatore, impermeabile al ridicolo anche quando spiega che nella manovra il ritocco dal 2,4 al 2,04 del Pil «non cambia nulla perchè abbiamo verificato che quei denari avanzavano», Toninelli è lo spirito dei tempi.
E attraverso di lui parla, a vanvera, lo Zeitgeist.
Utilizzando probabilmente il trasporto su gomma attraverso il fantomatico «tunnel del Brennero» che ancora non esiste (e non esisterà fino al 2026) ma che lui confuse con il valico «ma è solo un lapsus e non me ne frega niente dei lapsus perchè lavoro dalle 16 all e18 ore al giorno».
Non antipatico nè particolarmente simpatico, non spaventoso nè eccitante, Toninelli riesce in questo modo nel miracolo di risultare immediatamente riconoscibile pur non avendo, a parte forse i capelli, tratti fondanti che permettano di riconoscerlo.
Insomma un perfetto grillino, roba che nemmeno nei sogni più sfrenati di Gianroberto Casaleggio il Fondatore.
Ancor prima di diventare il protagonista della saga delle Grandi Opere, l’immortale interprete della pièce dal titolo “Valutazione costi-benefici” (trovata del contratto di governo), ancor prima di arrendersi al Terzo valico mutando ancora una volta il «no» in un «sì» come è stato già col gasdotto Tap, Danilo Toninelli ha in effetti attraversato almeno un paio di altre stagioni risultando particolarmente capace di compenetrarsi col ruolo di volta in volta richiesto, e facendo tutt’uno con questo.
Non bisogna dimenticare infatti che la sua prima incarnazione, nella scorsa legislatura, fu quella dell’uomo della legge. Sempre in linea con Grillo e con Casaleggio, era vicepresidente in commissione Affari costituzionali alla Camera, quando ancora Maria Elena Boschi di quella commissione era solo segretaria.
Fu di lì che, un anno e mezzo dopo, uscì dalla bruma indistinta dei grillini, per andare a trattare con Matteo Renzi, allora premier, sulla legge elettorale.
In quello streaming, pietra fondamentale per costruire la futura leadership grillina, Toninelli era l’esperto.
Mentre Luigi Di Maio, per l’ultima volta comprimario in quello che fu l’inizio della sua scalata, era ancora soltanto la faccia nuova che faceva la mossa azzardata. Lo si vede molto bene, nelle immagini di allora.
Toninelli davanti al microfono sdottoreggia di «Democratellum», e magnifica l’esilarante trovata della «preferenza negativa» della quale poi si è inspiegabilmente persa traccia.
Giggino Di Maio annuisce al suo fianco, di fronte all’altrettanto annuente democratica Alessandra Moretti. Era il 25 giugno del 2014. Pochi mesi prima, l’agenzia di stampa Ansa testimoniava l’anonimato del futuro ministro dei Trasporti chiamandolo teneramente in un titolo «Toninelle» e nel testo «Maurizio».
Altro che Maurizio. In pochi anni, invece, Toninelli ha fatto una carriera sfolgorante. Persino superiore alla media comunque sorprendente dell’esercito grillino.
Ex ufficiale di complemento dei carabinieri, ex ispettore di una compagnia assicurativa, l’attuale ministro ha dimostrato uno straordinario talento di comprimario. Forse questo il segreto del successo.
Con Di Maio, ad esempio, ha fatto coppia fissa: dalla fase della riforma costituzionale, fino alla più recente propaganda sul cosiddetto Air Force Renzi. Non a caso, del resto, dopo il 4 marzo finì dritto dritto nel ruolo chiave di capogruppo al Senato – in predicato addirittura per diventare il successore di Grasso a Palazzo Madama – e poi al tavolone per scrivere il contratto di governo, dove si autoattribuì l’immortale definizione di «concentrato».
Dacchè doveva andare alle Riforme, agli Affari costituzionali, Toninelli finì ai Trasporti. E fu persino un bene, perchè questo gli permise l’incontro ravvicinato con il suo successivo mentore, il vicepremier Matteo Salvini.
Fino a nuovo ordine, Toninelli si è fuso infatti con le ragioni del ministro degli Interni al punto da ricevere da costui applausi a scena aperta.
«Nella vicenda Aquarius non si è posto affatto il tema della chiusura dei porti italiani, piuttosto abbiamo sempre chiesto agli altri Paesi di aprire i loro», ebbe a dire, all’apice del cinguettìo sintonico, l’unico politico che avrebbe potuto fare da argine alla linea del capo del Carroccio su porti e immigrazione. «Sono sempre d’accordo con Toninelli», rispondeva compiacente il leghista burattinaio.
Tanta capacità di followship ben si sposa, in fondo, con gli sfolgoranti successi ottenuti sul territorio.
Di Toninelli, gli ingrati usano ricordare in particolare la partecipazione alle elezioni provinciali di Cremona, nel 2010, occasione nella quale raccolse la bellezza di ottantaquattro preferenze.
Ma, per la verità , la sua ultima performance risulta ancora più interessante. Dopo i primi cinque anni alla Camera dei deputati, infatti, Toninelli è riuscito ad entrare al Senato solo grazie al paracadute proporzionale: all’uninominale, per palazzo Madama non ce l’ha fatta, essendo stato totalmente surclassato dalla pitonessa berlusconiana Daniela Santanchè che nella circoscrizione cremonese ha preso il 48 per cento.
Il futuro ministro dei Trasporti è arrivato terzo, col 22 per cento, persino dopo il candidato di centrosinistra, in una tornata elettorale nella quale M5S aveva sfondato il muro del 32 per cento, ottenendo il risultato probabilmente migliore di sempre.
A dispetto di questa valanga di consensi, Toninelli ha conquistato una posizione poi unica, quanto a riconoscibilità .
Anche per i suoi innumeri post, sempre in bilico in un linguaggio da bagni delle elementari che va tra il «Merdellum» col quale definì la legge elettorale Rosatellum, e le «schiforme» d’epoca renziana.
Laureato in Giurisprudenza a Brescia con 100/110, Toninelli non ha il congiuntivo malfermo di altri suoi colleghi, ma nemmeno così saldo da risultare respingente. Perfetto per lo spirito del tempo, anche in questo.
Uno dei suoi orgogli, giusto per festeggiare il suo compleanno, è stato l’aver siglato un «protocollo di intesa» con l’Accademia della Crusca per superare il burocratese: «Ci darà una mano a migliorare tutte le comunicazioni che ogni giorno vengono diramate dal mio ministero. È un tema chiave per me, quasi una fissazione», si vantava.
Peccato poi gli impegni successivi gli abbiano, evidentemente, impedito di stargli dietro. «Antonio Tajani e tutti gli altri che blaterano su Tav si mettano l’anima in pace, la mangiatoia è finita», è l’esempio cardine di uno dei suoi tweet – si ignora se vidimati dalla Crusca.
Sempre un po’ dislocato altrove – troppo sorridente davanti al modellino di Bruno Vespa a Porta a porta, troppo disinvolto nell’annunciare che M5S «vuole creare lo stato etico» – Toninelli è la gioia dei suoi avversari che lo infilzano con voluttà .
Ma risulta impermeabile a tutto. Certamente, dagli inizi, gli hanno evidentemente regolamentato l’uso dei social network.
Un primo step deve essere avvenuto dopo l’incidente di Pioltello, quando Toninelli fece rivoltare l’intera rete prendendosela con il sindaco Giuseppe Sala, trattato alla stregua del responsabile morale della tragedia.
Un secondo step è arrivato in estate, dopo i selfie al mare abbracciato alla moglie quando si era in piena emergenza Genova: da allora, a ben guardare, i figli piccoli finalmente non compaiono più negli scatti.
Pare comunque che non abbia perso il suo tratto naà¯f, lo stesso che ai tempi dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti gli permise di invitare tutti a rispettare «il voto della più antica democrazia del mondo». La più antica.
C’è infatti che Toninelli, alla faccia del pensiero complesso, non perde mai il filo, non arrossisce mai. Non quando dice, a margine di una riunione del consiglio Ue a Bruxelles, che «in pochi mesi al massimo anni, Genova tornerà ad essere più forte di prima».
Non quando spiega davanti alla Camera dei deputati di aver ricevuto «pressioni» per non rendere pubblici gli atti relativi alla concessione ad Autostrade, e neanche quando poi, in mezzo al pandemonio che ha creato da solo, è costretto a spiegare che «pressione non voleva essere sinonimo di minaccia, ma significava il tentativo di convincere una persona a fare o non fare una determinata cosa» (si dubita, anche qui, di un intervento da parte dell’Accademia della Crusca), per finire a incartarsi portando elementi persino precedenti alla sua nomina a ministro.
Con il che diventando, dopo il ministro a sua insaputa, il ministro antecedente, cioè il primo ad aver subito pressioni antecedentemente alla propria nomina.
Ostacolo logico alle sue stesse tesi, nel rapporto tra costi e benefici Toninelli riesce però alla fine ad avere il conto in pari, ed è questo lo sconcertante segreto del suo successo.
(da “L’Espresso”)
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Dicembre 27th, 2018 Riccardo Fucile
IL MINISTRO SENZA VERGOGNA CHE NON CONDANNA IL RAZZISMO E’ LO STESSO CHE CANTAVA CORI RAZZISTI CONTRO I NAPOLETANI… FATTI UNA VITA TU, CHE NON HAI MAI LAVORATO IN VITA TUA, VAI A GIOCARE CON I SOLDATINI DAI TUOI AMICHETTI DEL LEONCAVALLO
Neanche una parola sul tifoso morto a Milano o i cori razzisti che fanno vergognare un’intera città . Un ministro senza vergogna
Incredibile saremmo noi a doverlo dire, perchè si rimane davvero di sasso nel vedere la faccia tosta di un ministro dell’interno che non solo prende in giro gli italiani neanche fosse un ragazzino influencer su Instagram (“Fatevi una vita” da parte di un Ministro della Repubblica), ma si ‘dimentica’ di scrivere qualsiasi cosa sul disastro della sicurezza della partita Inter Napoli, in cui è morto un tifoso della squadra nero azzurra.
C’era da aspettarsi poi che non scrivesse nulla sui cori razzisti a Koulibaly
No, Salvini oggi vola a Pesaro e Catania e nel mentre ‘si beve un caffè’ con la divisa abusiva della polizia addosso.
Un copione trito e ritrito: glissare sui temi scomodi e distrarre con polemiche che si autoalimentano, distogliendo l’attenzione dai problemi, enormi, di questo paese. Intanto, sulla questione sicurezza, nel giro di un paio di giorni sono morte due persone, ieri a Pesaro e oggi a Milano, due città del nord, entrambe in circostanze che lasciano parecchio l’amaro in bocca considerando quanto ultimamente in questo paese si blatera di sicurezza.
Le scuse del sindaco di Milano Sala e lo sdegno di quello di Napoli: “Poteva mai essere sospesa la partita Inter-Napoli in un Paese che vive sempre più di razzismo di Stato e che vede nel Governo un ministro dell’Interno che dovrebbe garantire la sicurezza negli stadi ma che cantava qualche anno fa cori razzisti contro i napoletani?”.
(da Globalist)
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