Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL MINISTRO CHE USA ABUSIVAMENTE LA DIVISA NON FA NULLA PER CHI PER QUELLA DIVISA HA SACRIFICATO LA VITA… NELLA MANOVRA NESSUNA MISURA ANCHE PER LE VITTIME DELL’AMIANTO
Nulla per le vittime del terrorismo. I familiari non ci stanno e, attraverso le associazioni, attaccano la prima manovra del governo gialloverde ormai al rush finale perchè non mantiene promesse e impegni ignorando completamente i cittadini che hanno perso la vita.
Le vittime del dovere
“Traditi e abbandonati dal governo gialloverde che si è sempre dichiarato vicino, soprattutto al personale civile e militare delle Forze Armate, tra coloro che sono stati più esposti ad amianto e altri cancerogeni, così da contrarre altre patologie”, è il commento all’unisono di tutti i familiari delle vittime del dovere.
Che aggiungono: “Ci potevano evitare l’umiliazione di attivare ed affrontare un paradossale procedimento giudiziario contro lo Stato”.
Nella legge di Bilancio del 2019 non sono previste misure per le vittime del dovere. La manovra, infatti, ha bocciato due emendamenti sensibili sul tema, elaborati da Ezio Bonanni, presidente Ona e richieste anche da altre associazioni.
“Se tali provvedimenti fossero stati inseriti nella Finanziaria – sottolinea Bonanni – ci sarebbe stato anche un evidente risparmio economico in termini di spese di giudizio nel caso della ormai costante soccombenza dello Stato”.
“Siamo fortemente preoccupati e sconcertati – dichiarano Maura Crudeli, presidente Aiea, Marco Caldiroli, presidente Md e Giuseppe D’Ercole, presidente Comitato Fondo vittime amianto – per la sordità del governo”.
“Non c’è nulla per le vittime del terrorismo”
Ad alzare la voce – lamentando la disattenzione del governo Conte – ci sono anche i familiari delle vittime del terrorismo: “Non vi è traccia dell’emendamento che abbiamo richiesto per completare e rendere finalmente attuabile nella sua integrità la legge 206/2004 (Nuove norme a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice)” scrivono il presidente dell’Unione vittime stragi Paolo Bolognesi e il presidente Aiviter Roberto Della Rocca.
“Il governo non ha recepito l’emendamento presentato a Palazzo Madama dal senatore Daniele Manca che, in commissione Bilancio, era stato sottoscritto da tutti i componenti. Un’occasione persa che poteva essere indicativa di un vero cambiamento. Sono passati 14 anni dall’approvazione della legge 206 – scrivono le due associazioni – e ad oggi le vittime del terrorismo ed i loro familiari constatano con molta delusione che il cambiamento assicurato e sperato non c’è stato”.
“Un’intollerabile beffa sta per consumarsi ai danni delle vittime civili dell’amianto se il parlamento e il governo non includeranno nella manovra le misure a costo zero per aiutare i cittadini malati di mesotelioma pleurico, un tumore mortale e senza rimedio, dovuto alla esposizione ad amianto” accusano il Comitato nazionale Fondo vittime amianto, tutte le associazioni degli esposti amianto, Aiea, Afeva, Medicina Democratica e Cna, Osservatorio nazionale amianto, i sindacati Cgil, Cisl e Uil ma anche tanti singoli cittadini ed esponenti della società civile che si appellano alle massime autorità dello Stato, dal presidente Sergio Mattarella ai ministri del Lavoro e dell’Interno, dai presidenti delle commissioni Bilancio di Senato e Camera a quelli dei gruppi parlamentari, sino alla dirigenza Inail. §
Le 3.500 morti all’anno
Le associazioni ricordano che ogni anno “continuano a morire circa 3.500 persone per gravi patologie causate dall’amianto, di cui il 30% sono vittime civili. Siamo – affermano – di fronte a un paradosso, perchè i soldi in cassa ci sono già e ammontano a 24 milioni di euro. Ciò che si chiede è semplicemente l’aumento da 5.600 a 12.000 euro dell’assegno una tantum per i malati “non professionali” di mesotelioma pleurico, per un sostegno in una condizione di salute e di vita di fatto terminale, poichè il mesotelioma non dà scampo e dalla diagnosi non restano che pochi mesi di vita”.
(da agenzie)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
LEGITTIME PROTESTE DELLE OPPOSIZIONI, ACCUSE A FICO, INSULTI E SPINTONI ALL’ULTIMO MIGLIO DELLA MANOVRA CHE NESSUNO HA POTUTO DISCUTERE
Tra i banchi volano fogli, addirittura alcuni fascicoli che racchiudono i commi della manovra.
È l’azione-raffigurazione della rabbia delle opposizioni che esplode contro il governo. Tomi di carta lanciati per aria, ma anche contro le sedute del governo. E poi interventi intrisi di accuse, insulti, urla, risse sfiorate.
L’ultimo miglio della manovra – nell’aula della Camera per la terza e ultima lettura – si consuma in un clima da stadio. Le opposizioni – Pd in testa – non fanno sconti.
La maggioranza ha fretta di chiudere: il 31 dicembre è vicino e oltre non si può andare perchè altrimenti scatta la ghigliottina dell’esercizio provvisorio.
Il governo è in modalità fantasma: qualche sottosegretario dall’aria stanca, il ministro dell’Economia Giovanni Tria compare quasi al termine della lunga seduta che dalla mattina si snoda fino al tardo pomeriggio.
Del premier Giuseppe Conte nessuna traccia, così come dei due vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio. È un dèjà -vu di quello che è successo pochi giorni fa al Senato.
Il secondo tempo della rissa parlamentare sulla manovra. Con l’arbitro – il presidente di Montecitorio Roberto Fico – che fa fatica, e non poca, a gestire il caos.
Ore 10, emiciclo di Montecitorio. Il deputato del Pd Emanuele Fiano tuona contro Fico: “Non è mai successo che si arrivasse a una terza lettura della legge di bilancio senza che si esaminassero i relativi emendamenti”.
Le opposizioni non ci stanno: la ferita dello stop al voto degli emendamenti in commissione Bilancio, che si è aperta nella notte, è ancora fresca. Francesco Paolo Sisto, per Forza Italia, promette “opposizione dura” in aula e nelle piazze. Passano circa trenta minuti e finisce tutto in bagarre. Per l’intera giornata.
Nel mirino delle opposizioni finisce ancora Fico, destinatario di una richiesta precisa: sospendere la discussione generale perchè “la Costituzione è stata calpestata”.
Il Partito democratico e Forza Italia non lamentano solamente l’andamento dei lavori in commissione, che nella notte ha consegnato il testo all’aula, ma anche i tempi contingentati dell’esame del provvedimento in aula.
Chiedono di mettere ai voti la richiesta di sospensione. È un modo per pesare la maggioranza visto che alcuni banchi dei 5 Stelle e della Lega sono vuoti.
Ma il presidente della Camera decide di sospendere la seduta per dieci minuti rimettendo tutto nelle mani della conferenza dei capigruppo “come richiesto dalle opposizioni”. Scoppia il caos.
Fiano, seguito dal collega Enrico Borghi, si dirige di corsa verso il banco della presidenza agitando un fascicolo di emendamenti, che finirà addosso al viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia. Momenti di concitazione, urla. Intervengono i commessi per fermare Fiano. Fogli che volano per aria tra i banchi. I lavori vengono sospesi.
Si va in capigruppo, ma le opposizioni decidono di lasciare la riunione dopo pochi minuti. I lavori riprendono in aula e il Pd attacca ancora Fico.
Questa volta perchè non ha dato una risposta alla richiesta di votazione di sospensione dei lavori, decidendo invece di convocare la capigruppo.
Fiano insiste, chiedendo allo stesso tempo scusa per avere colpito Garavaglia. Il presidente della Camera prova a parare i colpi degli attacchi e si dice sensibile al tema dell’allargamento dei tempi per l’esame della manovra, ma ricorda che mancano pochi giorni al 31 dicembre e il testo “non può arrivare al presidente della Repubblica il primo gennaio”.
Maria Elena Boschi tiene il punto e twitta: “Fico ha scelto di rinunciare a fare il presidente della Camera e vestire i panni del capogruppo M5S. Ha fatto ostruzionismo per evitare che si votasse alla Camera mandando sotto la maggioranza, non pervenuta in aula. Fico non sei più il presidente di tutti”.
Matteo Orfini, presidente del Pd, e Andrea Marcucci, capogruppo dei dem al Senato, si infilano nella sala stampa di Montecitorio. Qui annunciano il deposito di un ricorso alla Consulta con cui sollevano un conflitto di attribuzione contro il governo.
“Ci appelliamo alla Corte per ristabilire le regole essenziali di questa democrazia”, spiega Marcucci. Il ricorso è centrato sulla presentazione last-minute del maxiemendamento a palazzo Madama: “C’è stata la precisa volontà di maggioranza e governo di impedire ai parlamentari di capire cosa si stesse votando”, accusano i dem.
Il clima resta teso. La maggioranza decide di non leggere le relazioni, espediente per restringere i tempi. Di nuovo proteste.
“Non c’è modo al momento di verificare cosa c’è nelle relazioni di maggioranza dei colleghi perchè non sono disponibili nè online nè cartacee”, tuona ancora Fiano. Fico replica: “Li stiamo caricando online”. Borghi insiste, il presidente della Camera lo richiama: “Deputato Borghi primo richiamo formale. Lei non finisce l’aula oggi”. L’esponente del Pd sbotta: “Cosa fa mi minaccia? Lei non mi minaccia!”.
La discussione generale va avanti.
Intorno alle 17.30 ancora tensioni in aula. Il deputato del Pd Luigi Marattin e il sottosegretario leghista Nicola Molteni si rinfacciano gli insulti che arrivano dai banchi dei rispettivi gruppi. Fico richiama all’ordine: “Evitiamo di dare questo spettacolo”. Marattin poi chiarisce: “Io ho stima di Nicola Molteni e gli ho sentito pronunciare un insulto a un collega. Siccome io ho stima di lui, sono andato da lui e gli ho chiesto di evitare. Lui ha risposto che siamo uno pari perchè ce n’era stato un altro. Io dico: evitiamo di proferire insulti gli insulti gli uni agli altri”.
Dai banchi della maggioranza piovono fischi.
I dem provano l’ultima carta e chiedono di mettere ai voti la richiesta di rinviare la manovra in commissione. Fico concede il voto, ma l’aula respinge la richiesta.
Parola al ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro: il governo pone la questione di fiducia sul testo approvato dal Senato. La maggioranza applaude, le opposizioni urlano. L’ultimo miglio della manovra è all’insegna della bagarre parlamentare.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
“SARA’ UNA STANGATA DI TASSE CONTRO IL POPOLO”
Una stangata di 914 euro a famiglia prevista dal Codacone per il 2019, come effetto della Manovra del Popolo.
Che al popolo però ruba i risparmi, come allerta la consueta ricerca ufficiale sugli incrementi di spesa previsti per il nuovo anno: “il 2019 si aprirà con gli aumenti delle tariffe autostradali decisi dal governo che avranno un effetto diretto per gli utenti stimabile in 45 euro a nucleo familiare”
“Le multe stradali dovrebbero salire del 2,2%, con un aggravio di spesa di 6 euro a famiglia – spiega ancora il Codacons -. Se il tasso di inflazione si manterrà ai livelli attuali, solo per i prezzi dei beni al dettaglio occorrerà mettere in conto una maggiore spesa pari a 211 euro a nucleo, mentre per l`alimentazione spenderemo 185 euro in più rispetto al 2018”.
“Discorso a parte merita il comparto energetico e dei trasporti: gli ultimi mesi del 2018 sono stati caratterizzati dal crollo del petrolio, che avrà effetti benefici sulle tariffe luce e gas per il primo trimestre del 2019 – aggiunge il Codacons -. Ma la festa per i consumatori durerà poco: gli analisti concordano su una rapida ascesa delle quotazioni petrolifere nel corso del prossimo anno, con effetti diretti sia sulle bollette energetiche (che cresceranno mediamente di 62 euro a famiglia) sia sui rifornimenti di carburante (149 euro a nucleo). Ripercussioni anche per i trasporti (aerei, treni, taxi, mezzi pubblici, traghetti, ecc.) per 67 euro a famiglia”.
“Il 2019 – prosegue l’associazione -, inoltre, segnerà il ritorno degli aumenti per le tariffe Rc auto (18 euro), con i prezzi delle polizze che già negli ultimi mesi del 2018 hanno registrato leggeri incrementi”.
“La stangata potrebbe superare quota 3.400 euro nel caso in cui un nucleo, nel corso del 2019, acquisti una automobile nuova, a causa dell`Ecotassa varata dal Governo che colpirà pesantemente le vetture con emissioni dai 161 grammi/km di CO2 in su – spiega il presidente Carlo Rienzi – La categoria più tartassata del 2019 sarà senza dubbio quella degli automobilisti, che oltre alla citata Ecotassa dovrà mettere in conto rincari per pedaggi, multe e carburanti”.
(da agenzie)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
CON TRUMP E’ RIMASTO SOLO IL 40% DEGLI ELETTORI, IL 60% VUOLE LA FINE ANTICIPATA DEL MANDATO
Secondo un sondaggio realizzato da Harvard Caps/Harris per The Hill, quasi il 60% degli americani sono convinti che Donald Trump dovrebbe essere rimosso dall’incarico.
La maggior parte, il 39%, si è dimostrata favorevole alla possibilità di impeachment, mentre il 20% ritiene che il Congresso debba agire, ma con un’azione di portata minore, votando una censura formale.
A sostegno del presidente si è espresso il 41% degli intervistati per il quale il Congresso non ha il diritto di prendere nessuna azione contro Trump.
E’ il segnale che la maggiuoranza dell’elettorato americano non la più fiducia nel Presidente.
(da Globalist)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
“USATI COME BANCOMAT” … E CHIEDE L’ANNULLAMENTO DELLA NOMINA DI BUCCI A COMMISSARIO E L’AFFIDAMENTO DEI LAVORI…CONVENUTI IN GIUDIZIO ANCHE CONTE E TONINELLI
Dopo mesi sulla difensiva, Autostrade per l’Italia va all’attacco.
Lo fa per via giudiziaria, con il ricorso contro il decreto del commissario Marco Bucci che la esclude dai lavori di demolizione e ricostruzione del ponte Morandi.
Ma anche con un’altra mossa, meno appariscente: alla vigilia di Natale, la concessionaria ha perfezionato l’acquisto di quattro aree industriali proprio sotto il viadotto crollato, sulla sponda ovest del torrente Polcevera.
Si tratta di capannoni appartenenti a sei aziende che non avevano firmato la cessione delle proprietà alla struttura commissariale entro il termine, fissato dal decreto Genova, del 20 dicembre scorso.
Chiamati in giudizio Bucci, Conte e Toninelli
Nella mattinata di venerdì, Il Secolo XIX e La Stampa hanno pubblicato ampi passaggi del ricorso di 40 pagine presentato dai legali di Autostrade al Tar della Liguria e annunciato il 13 dicembre scorso.
La società autostradale chiede l’annullamento di quattro atti: il primo è la nomina del sindaco Bucci a commissario per la ricostruzione, gli altri sono i tre decreti con cui lo stesso Bucci ha deliberato sull’affidamento dei lavori.
Convenuti in giudizio, oltre al sindaco-commissario, sono il premier Giuseppe Conte e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli.
Come anticipato, non c’è la richiesta di sospensiva, scelta dettata dalla volontà di “cooperare con il commissario Bucci per far sì che Genova abbia quanto prima il nuovo ponte autostradale, nel prioritario interesse dei genovesi”, fanno sapere da Aspi.
Ma, tanto premesso, gli amministrativisti dello studio Annoni di Roma non risparmiano accuse a governo e sindaco: che avrebbero manifestato, “in assenza di qualsiasi accertamento di responsabilità , intenti palesemente sanzionatori, resi ancor più evidenti dalle molteplici esternazioni di esponenti governativi”.
I legali osservano che nè la Costituzione, nè il diritto europeo consentono “di individuare una responsabilità per legge, e di stabilire per legge gli effetti conseguenti, prescindendo dagli accertamenti giudiziari”.
Il testo del ricorso: “Usati come bancomat”
Autostrade rivendica per sè “il diritto e l’obbligo” di svolgere i lavori, richiamandosi al testo della concessione: “Tutte le attività di demolizione e ricostruzione — si legge nel ricorso — rientrano nell’esclusivo perimetro della concessionaria”.
A tal proposito il gruppo ricorda di aver lavorato da subito a un progetto esecutivo e dettagliato, presentato a ottobre, che prevedeva la ricostruzione del viadotto e la riapertura del tratto autostradale in soli nove mesi.
Non solo, quindi, il governo e il commissario avrebbero “espropriato” Aspi delle sue prerogative escludendo in ogni modo la partecipazione della società (un “anatema ad excludendum”, lo definiscono i legali), ma la vorrebbero obbligare a farsi carico di tutti i costi, imponendole “obblighi estranei al contratto”, sborsando, per di più, “qualsiasi importo richiesto dal commissario, senza alcun parametro quantitativo applicabile”. Il che la trasformerebbe, è la conclusione del ricorso, “da concessionaria a bancomat”.
L’acquisto delle aree di 6 aziende in zona rossa
E nelle ultime ore si è diffusa la notizia di una nuova iniziativa della società autostradale, che il 24 dicembre ha rilevato da sei tra le maggiori aziende della zona rossa (Acremoni, Garbarino, Varani, Lamparelli, Venturi e Ferrometal) in quattro aree industriali a ridosso del moncone ovest del ponte.
Proprietà che non sono state trasferite alla struttura commissariale entro il termine del 20 dicembre, e quindi destinate ad essere espropriate.
Agli imprenditori Autostrade ha versato in totale 20 milioni di euro, comprensivi non solo del prezzo degli immobili (1.300 euro al metro quadro, lo stesso previsto dal decreto Genova per gli espropri), ma anche di fondi investimenti in nuove strutture e macchinari. Da parte delle aziende è stato assicurato il mantenimento dei livelli occupazionali e il pagamento degli stipendi arretrati.
“Ma non ci opporremo all’esproprio”
I media locali hanno ipotizzato che lo scopo di Aspi fosse quello di opporsi all’esproprio in un momento successivo, mettendo i bastoni tra le ruote ai lavori. Un’ipotesi che la società smentisce in modo categorico: da Autostrade fanno sapere che non ci sarà alcuna opposizione, e, anzi, dover procedere nei confronti di un solo proprietario invece di sei semplificherà notevolmente il compito del commissario. Visione condivisa, peraltro, dal commissario stesso: “Il fatto che Autostrade abbia acquisito le aree rende più facile il nostro lavoro”, ha dichiarato Bucci, pur negando di essere stato avvertito dell’operazione.
Ma allora, perchè questa iniziativa? Aspi fa sapere che lo scopo è di “dare risorse immediate alle aziende”, senza costringerle ad aspettare i tempi della macchina amministrativa. Sarebbe, insomma, una pura e semplice attività di sostegno alle imprese, per riparare ai danni dall’interruzione delle attività e permettere loro di ripartire il prima possibile.
È tuttavia molto probabile che l’operazione avrà l’importante effetto di evitare la citazione in giudizio da parte delle aziende coinvolte. Se esista un accordo formale in questo senso, però, non è dato saperlo, poichè i contratti stipulati tra Aspi e le aziende sono coperti da vincolo di riservatezza.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
IL PARADOSSO: AUMENTATI I CONTRIBUTI ALLA UE DOPO AVER PROMESSO L’USCITA DALL’EURO
Si spende tanto per le pensioni, tantissimo per il reddito di cittadinanza. E quindi si deve risparmiare su qualcosa.
La Manovra del Popolo ha deciso di risparmiare sugli incentivi alle imprese e sulla scuola.
Si risparmierà sul rimborso delle imposte (-3,9 miliardi), si spenderà meno per il soccorso civile (3,3 miliardi) e per l’immigrazione.
La spesa vera e propria per le pensioni aumenta di 3,8 miliardi da 84,9 a 88,7 miliardi. Mentre il percorso di quella per l’istruzione lo spiega oggi Mario Sensini sul Corriere della Sera
Altro capitolo molto pesante nel bilancio pubblico è quello assorbito dall’istruzione scolastica. Che si riduce, a legislazione vigente, di 4 miliardi nel triennio, cioè di circa il 10%.
Si passa da 48,3 a 44,4 miliardi nel giro di tre anni, con una riduzione delle risorse sia per l’istruzione primaria (da 29,4 a 27,1 miliardi di euro) che per quella secondaria (da 15,3 a 14,1 miliardi).
A determinare la flessione contribuisce in modo decisivo la riduzione dei fondi per gli insegnanti di sostegno, un miliardo nel ciclo primario, 300 milioni in quello secondario. In compenso si spenderà qualcosa in più per l’Istruzione universitaria (da 8,3 a 8,5 miliardi tra il ’19 e il `21).
Il Corriere segnala pure che sale anche il costo della partecipazione italiana al bilancio dell’Unione europea, nonostante il governo lo ritenga già ora troppo alto.
I contributi all’Unione Europea aumentano di oltre 3 miliardi nel periodo, da 20,8 a 23,9 miliardi. Niente male per chi in campagna elettorale aveva promesso l’uscita dall’euro, no?
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
QUANDO DI MAIO E DI BATTISTA SPERGIURAVANO CHE NON NE AVREBBERO MAI ACQUISTATI
Sugli F35 «è in atto una valutazione tecnica condotta dal ministro Trenta con l’ausilio dello stato maggiore. Questo governo non ha speso un euro per gli F35. All’esito di questa valutazione tecnica trarremo le conclusioni».
Così il premier Giuseppe Conte, nel corso della conferenza di fine anno ha affrontato la questione spinosa degli F35, il caccia multiruolo monoposto di 5 ª generazione che da sempre il MoVimento 5 Stelle definisce uno spreco di soldi chiedendo che l’Italia esca dal programma di acquisto.
Ma mentre il premier rimanda la questione ai prossimi anni la ministra della Difesa Elisabetta Trenta qualche tempo fa spiegava con acrobatici giri di parole che il governo stava portando avanti (era luglio) un’attenta valutazione spiegando che «sicuramente non compreremo nessun altro F-35».
Una supercazzola che significa che l’Italia non comprerà altri F-35 rispetto a quelli che già si è deciso di comprare possibilmente dilazionando i tempi per ridurre le spese.
Questo nonostante la la Corte dei Conti abbia già fatto notare che il rallentamento del profilo di acquisizione fino al 2021 ha prodotto «un risparmio temporaneo pari a 1,2 miliardi di euro nel quinquennio 2015-2019, ma senza effetti di risparmio nel lungo periodo».
Come dimenticare poi le parole del sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, c e qualche giorno fa a proposito degli F35 ha detto «Ne abbiamo parlato in maniera distorta. Dobbiamo fare i conti ma non possiamo rinunciare alla sua tecnologia. Che è forse la migliore al mondo».
Cosa ha intenzione di fare il governo con gli F35?
Nel famoso contratto che viene invocato ogni qual volta si tocca una questione spinosa non se ne fa menzione. È probabile, alla luce di quanto detto da Tofalo, dalla ministra Trenta e da Conte, che l’ipotesi che avanzata dal Ministero sarà quella di ridurre e ridimensionare (e quindi non cancellare tout court) il programma di acquisto. Secondo il Corriere della Sera alla fine si giungerà alla conclusione di acquistare “solo” 6 dei 10 F35 già opzionati dal governo Gentiloni.
Una riduzione che dovrebbe servire a placare le ire della base del M5S.
Perchè forse ora non tutti se lo ricordano ma negli ultimi cinque anni il MoVimento 5 Stelle ha condotto una battaglia senza quartiere.
Per il M5S della precedente legislatura gli F35 non dovevano essere acquistati.
Nel 2013 Alessandro Di Battista denunciava in Parlamento la “mozione supercazzola” del PD che impegnava il governo Renzi a tagliare del 50% il finanziamento complessivo del programma di acquisto degli F35.
Nel 2015 Di Battista metteva insieme F35, P2, morti di freddo, aumento della povertà e l’inchiesta su Salvatore Buzzi mentre Carlo Sibilia accusava la ministra della Difesa Pinotti di “alto tradimento” .
Nel 2017 sul Blog Di Battista spiegava che «ci fanno entrare in progetti fallimentari (TAV, TAP, guerra in Afghanistan, programma F35), poi ci dicono che si sono sbagliati ma è tardi per uscire perchè i costi sarebbero esagerati».
Oggi che il M5S è al governo, scopriamo che la TAP si farà , sulla TAV siamo ancora in attesa dell’esito dell’analisi della commissione costi-benefici e per quanto riguarda l’Afghanistan non c’è alcun ritiro all’orizzonte ma solo una rimodulazione delle dimensioni del nostro contingente.
Stessa sorte dovrebbe toccare anche al programma F35. Succede così che sui caccia multiruolo il MoVimento 5 Stelle si stia rimangiando tutto quello che ha detto in passato.
La memoria torna a quel fantastico periodo di lotta contro il PD e gli F35. All’epoca il capogruppo M5S in commissione Difesa alla Camera era Massimo Artini. Artini, che successivamente sarebbe stato espulso dal partito di Grillo, come altri membri pentastellati della Comissione Difesa sapeva fin dal 2014 che all’Italia non conveniva uscire dal programma F35 (proprio come per il TAP).
Al punto che si era diffusa la notizia che il M5S avrebbe appoggiato la mozione Scanu, quella sul ridimensionamento del piano di acquisto definita “supercazzola”. Una posizione che però non è mai venuta alla luce del sole non solo a causa dell’espulsione di Artini ma anche perchè era più conveniente fare propaganda contro gli F35. Ironia della sorte oggi, con Di Battista di ritorno dalle Americhe il MoVimento 5 Stelle di governo sembra intenzionato dar corso alla risoluzione che definiva un mero spot elettorale da parte del Partito Democratico.
Il governo del Cambiamento alla fine è proprio come tutti gli altri governi precedenti.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
SONO UNA MAREA TRA PORTAVOCE E ADDETTI STAMPA
Il Giornale torna sulla polemica delle spese dei grillini nei ministeri e, dopo aver parlato ieri dello staff di collaboratori che costa cinque milioni l’anno, oggi con Domenico Di Sanzo si dilettano nei conti riguardo i tanti giornalisti assunti e il loro costo totale. Che si aggira intorno agli 1,6 milioni di euro.
Nel calcolo sono compresi soltanto i portavoce e gli addetti stampa con regolare tesserino professionale.
Escluso l’esercito di comunicatori e social media manager.
Si va dai 35mila euro annui che si porta a casa Lucilla Vazza alle dipendenze del Ministro della Salute Giulia Grillo ai 169mi1a euro del «paperone» Rocco Casalino, portavoce del premier Giuseppe Conte. Gli altri stanno nel mezzo, tutti intorno ai 100mila euro all’anno.
Tra questi ci sono i quattro giornalisti al servizio di Di Maio: Sara Mangeri a Palazzo Chigi (100mila euro), Cristina Belotti al Ministero dello Sviluppo Economico (130mila euro), Giorgio Chiesa, anche lui al Mise (100mila euro) e Luigi Falco al Ministero del Lavoro (100mila euro).
La squadra di Conte è completata dalla vice di Casalino Maria Chiara Ricciuti a 130mi1a euro e da Laura Ferrarelli e Massimo Prestia, entrambi con 68mila euro all’anno. Non solo a Di Maio e Conte serve più di un giornalista.
A fare il bis c’è Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, che ha assunto i professionisti Andrea Cottone e Massimo Filipponi, rispettivamente con un trattamento economico di 120mi1a euro annui e 25mila euro annui.
Anche il ministro dell’Ambiente Sergio Costa si è dotato, negli uffici di diretta collaborazione, di due giornalisti. Si tratta di Stefania Divertito che guadagna 100mila euro all’anno con il ruolo di Capo Ufficio Stampa e di Gabriele Salari, portavoce del ministro con uno stipendio di 63mila euro all’anno
Molti dei giornalisti professionisti approdati nei ministeri provengono da altri incarichi nel M5s.
Forse i più noti sono Augusto Rubei (90mila euro), portavoce del Ministro della Difesa Elisabetta Trenta e già stratega comunicativo della campagna elettorale di Virginia Raggi nel 2016, e Cristina Belotti, che prima di arrivare al Mise, era il responsabile comunicazione del gruppo pentastellato al Parlamento Europeo.
(da “NextQuotidiano”)
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Dicembre 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA GERMANIA AVEVA DONATO 6 MILIONI DI EURO PER RICOSTRUIRLO, MA LE AUTORITA’ ITALIANE STANNO ANCORA A LITIGARE SU DOVE FARLO
C’era una volta l’Ospedale Grifoni di Amatrice, scomparso dopo il terremoto.
E c’erano una volta (e purtroppo ci sono ancora) istituzioni che litigano sulla ricostruzione dell’ospedale secondo un plot che sembra scritto per un film premio Oscar e che vede in scena nientemeno che Angela Merkel, Nicola Zingaretti, Sergio Pirozzi e il nuovo commissario alla ricostruzione voluto dal governo Conte Piero Farabollini.
La storia comincia quando il governo guidato dalla Cancelliera dona sei milioni di euro (su un totale di 15,4) per la ricostruzione dell’ospedale: l’accordo viene sottoscritto a Berlino dove si presenta l’allora sindaco di Amatrice Pirozzi e regala alla cancelliera «i simboli del nostro paese: la felpa dell’appartenenza, gli scarponi di chi non si arrende e la Medaglia della Rinascita».
Lei, con una battuta, gli risponde: «La Germania è grata ad Amatrice per l’amatriciana».
Si mette così in moto il meccanismo che porta alla gara della Regione Lazio per la ricostruzione dell’ospedale. Ma con un dettaglio.
La Regione sceglie come area della ricostruzione la vecchia zona in cui si trovava il Grifoni, ma 200 metri più in alto. E questo a poco a poco diventa un problema.
Perchè nel frattempo i sindaci dei paesi vicini dicono che è meglio costruirlo sulla Salaria, visto che dovrà servire un’area vasta che riguarda tutta la zona.
Antonio Putini, presidente del Comitato 3e36, al Messaggero spiega: «Noi abbiamo da tempo presentato un serio progetto di rilancio e raccolto 450 firme di residenti con le quali abbiamo chiesto e chiediamo una condivisione sul futuro e sul posizionamento della struttura e del modo in cui si è arrivati a decidere di ricostruirla lì dov’è».
Un altro problema che viene segnalato è che ricostruirlo nello stesso luogo potrebbe portare a un rischio di nuovo crollo.
Ma la Regione, l’ex sindaco e l’attuale primo cittadino di Amatrice confermano l’ubicazione. Finchè non entra in scena il commissario Farabollini.
Farabollini vuole spostare l’ospedale a valle.
Nei giorni scorsi al Fatto quotidiano sostiene che la decisione di ricostruirlo dov’era «ha fatto storcere il naso anche ai tedeschi e siccome l’Italia e la Germania finanziano il nosocomio al 99% ho chiesto ulteriori specifiche alla Regione».
Al Messaggero il commissario ieri sera dice: «L’ambasciata ha chiesto specificatamente dove verrà realizzato perchè ritiene più opportuno trovare una situazione più adeguata a un’intera comunità . Il governo tedesco ha chiesto certezze sulla realizzazione dell’opera».
Ma i tedeschi smentiscono tutto: non hanno alcuna intenzione di mettere bocca su dove verrà fatta l’opera perchè ciò compete alle autorità italiane.
E a questo punto scoppia la polemica: Zingaretti accusa il commissario del governo di boicottare la ricostruzione e sostiene che siano stati bloccati i fondi per gli stipendi dei dipendenti dell’ufficio per la ricostruzione e quelli per la rimozione delle macerie: dice che la Regione sta anticipando i soldi che dovrebbe mettere lo Stato.
Poi, nello specifico dell’ospedale: “Le gare di appalto sull’ospedale di Amatrice stanno andando avanti. E’ vero che c’è stata una lettera incomprensibile da parte del commissario alla ricostruzione, ma i lavori per la gara vanno avanti. Ho scritto anche una lettera all’ambasciata tedesca per rassicurare che non c’è nessun ritardo”.
Sarà . Il 16 gennaio scade la gara per l’appalto per la ricostruzione dell’ospedale. Davvero una querelle folle riuscirà a bloccare tutto?
(da “NextQuotidiano”)
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