Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
NUGNES “INCONCEPIBILE, QUESTE DECISIONI VANNO PRESE COLLEGIALMENTE”… FATTORI: “CI ERAVAMO IMPEGNATI A RESTITUIRE I SOLDI AI CITTADINI, NON A CASALEGGIO”
Un organo centrale, creato apposta per “curare attivamente l’organizzazione, l’amministrazione, il coordinamento, la disciplina, la rendicontazione e la gestione delle restituzioni degli stipendi e dei rimborsi” percepiti dai parlamentari del Movimento 5 Stelle.
E presieduto da Luigi Di Maio, insieme ai capigruppo di Camera e Senato, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli.
Si tratta del “comitato per le rendicontazioni e i rimborsi del Movimento 5 Stelle” ed è la cassaforte grillina che dovrà custodire e gestire le restituzioni degli eletti M5S. Nell’atto costitutivo del comitato – di cui l’Adnkronos è in possesso – viene raccontata la genesi e descritte le funzioni di questo soggetto.
Lo riporta l’agenzia di stampa Adnkronos.
Il giorno 7 agosto 2018 Di Maio, D’Uva e Patuanelli vanno davanti al notaio Luca Amato di Roma, nello studio di Via Po n.25/A, per costituire il nuovo organo 5 Stelle. Il capo politico grillino prende in mano le chiavi della nuova ‘creatura’, assumendone la carica di presidente, mentre i due capigruppo quella di consiglieri e vicepresidenti. All’articolo 6, pagina 3 del documento si legge che “il patrimonio” del comitato “è rappresentato esclusivamente dalle somme versate da ogni parlamentare del Movimento 5 Stelle della XVIII legislatura per la causale di restituzione di stipendi e rimborsi a norma dello statuto del Movimento, del codice etico e dei regolamenti relativi”.
Somme che deputati e senatori sono obbligati a rendicontare su tirendiconto.it (ma la nuova versione del sito non è stata ancora presentata).
Ma, qualora dovessero rimanere in cassa dei soldi allo scioglimento del comitato, cosa ne sarà di quel denaro?
Lo chiarisce l’articolo 16 dell’atto costitutivo. “Se allo scioglimento del comitato – viene spiegato nel documento – dovessero restare fondi a disposizione, questi verranno devoluti all’Associazione Rousseau” presieduta da Davide Casaleggio, attualmente “con sede in Milano, Via Gerolamo Morone n.6”.
Molto critica la senatrice Paola Nugnes che all’Adnkronos commenta: “È pazzesco… il nostro impegno è quello di restituire i soldi allo Stato e ogni altra destinazione decisa da un fantomatico comitato non è quanto stabilito nei nostri impegni. Non è concepibile che una associazione privata sia la destinataria di eventuali fondi residui”. Lo dice all’Adnkronos la senatrice M5S Paola Nugnes, commentando l’atto costitutivo del ‘comitato per le rendicontazioni e i rimborsi del Movimento 5 Stelle’, documento che all’articolo 16 stabilisce che “se allo scioglimento del comitato dovessero restare fondi a disposizione, questi verranno devoluti all’Associazione Rousseau”.
“Queste decisioni – attacca la parlamentare campana – vanno prese in modo collegiale con votazioni collegiali”.
Dello stesso avviso anche la Senatrice Elena Fattori che afferma: “Noi ci siamo impegnati a restituire i soldi ai cittadini non a Casaleggio”.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
VERTICE SULL’ECONOMIA SENZA IDEE PER LA CRESCITA, ASPETTANDO GODOT
L’arrivo dello shock, quello della recessione tecnica, era stato preparato con cura il giorno prima.
Giuseppe Conte davanti agli imprenditori di Assolombarda, la costola calda di un pezzo di Paese sofferente e preoccupato, a farsi volto di un tentativo di sterilizzazione impregnato di difesa, colpe da additare agli altri ed entusiasmo.
Ma quando l’Istat, alle 11, ha certificato il tracollo del Pil, la narrazione dell’ottimismo è piombata sul tavolo di palazzo Chigi – dove il premier ha chiamato a sè Matteo Salvini e Luigi Di Maio – con la zavorra di una grande incognita.
Che fare? Arriveranno misure per “opere e infrastrutture veloci, sblocco dei cantieri e sburocratizzazione”, rivela una fonte.
Lo “yes we can” del governo manca però della grande idea, quella capace di scardinare un trend fitto di rischi e impegni gravosi.
E anche le poche idee in campo, come lo sblocco delle grandi opere, sono fragili perchè in pasto ai dissidi tra Lega e 5 Stelle. Leggesi Tav: il segretario della Lega domani sarà al cantiere di Chiomonte, il vicepremier grillino no.
Al vertice mancava Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia è a Washington, ma non si è discostato dalla linea concordata a palazzo Chigi.
Tirare dritto, puntando sugli effetti espansivi della manovra, a iniziare dagli investimenti pubblici. Il tutto inserito in un ragionamento più ampio e cioè che la contrazione del prodotto interno lordo nel quarto trimestre del 2018 è un passaggio temporaneo, non capace cioè di generare una caduta strutturale dell’economia.
Tra l’altro – insiste il governo – le cause sono da cercare fuori, nel “ciclo economico europeo” per usare le parole che il titolare del Tesoro affida a una nota che tra l’altro cambia in corso, depurata nella versione definitiva del passaggio, errato, che parlava di una riduzione del divario di crescita tra l’Italia e la media dell’eurozona.
La fase operativa di questa narrazione è aspettare giugno, quando le misure previste nella legge di bilancio inizieranno a dispiegare i loro effetti.
Nessuna manovra bis in corsa per correggere il tiro, nessun taglio alla sanità promette Conte e conferma Salvini.
Un effetto resilienza che punta a una fiammata in sei mesi per raggiungere il traguardo ambizioso di una crescita pari all’1 per cento a fine anno.
.Non c’è spazio per retromarce
Al netto delle convinzioni e degli auspici ci sono però i numeri. A iniziare da quelli che il governo mette in campo proprio per sostenere la narrazione del traguardo che si può raggiungere anche se di corsa e con un sprint vigoroso.
Questi numeri ridimensionano, se non addirittura stroncano, la strategia dell’esecutivo. L’impatto del reddito di cittadinanza sul Pil è quasi irrisorio: lo spingerà di meno di 0,2 decimi di punto, come si legge nella relazione tecnica che accompagna il decreto sulle due misure chiave della legge di bilancio.
Anche il capitolo investimenti, che Tria insiste per portare subito a compimento, è un motore inceppato: per quest’anno sono a disposizione appena 740 milioni. Mancano risorse e soldi in più non ce ne sono.
Una realtà amara e che il governo stesso ha dovuto ammettere a se stesso perchè i grandi teorizzatori degli investimenti come panacea di tutti i mali dell’economia italiana, da Tria al collega di governo Paolo Savona, hanno dovuto cedere a Bruxelles. E parecchio. Inizialmente, infatti, lo stanziamento previsto era pari a 9 miliardi in tre anni. Sono scesi a 3,6 miliardi, di cui 740 appunto per il 2019, 1,26 per il 2020 e 3,3 per il 2021.
Non è una questione solo di numeri, ma anche di indirizzo politico, di idea di Paese.
E qui entra in gioco il tema dei destinatari di questi investimenti, già di per sè esigui.
Ci sono i cantieri dei piccoli Comuni, le opere di secondo livello, ma ci sono soprattutto le grandi opere.
Il grido di dolore delle imprese insiste proprio su questo punto. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, l’ha detto senza troppi giri di parole: “La cura d’urto indicata dalle imprese è l’apertura immediata dei cantieri su cui le risorse sono state già stanziate. Tav compresa. Sarebbe per l’economia un importantissimo segnale di fiducia”.
Se si prende però in considerazione una delle opere pubbliche principali, cioè la Torino-Lione, si capisce bene perchè la strada tracciata dal governo contiene insidie che non arrivano dall’esterno o che sono colpa del passato. Perchè sulla realizzazione della linea ad alta velocità non si è ancora arrivati a un punto di sintesi, a un sì piuttosto che a un no.
Ci sono posizioni diverse tra il Carroccio e i pentastellati, temporeggiamenti, analisti costi-benefici da analizzare. Ad oggi uno stallo. Alimentato, per interessi e motivi diversi, dallo stesso governo.
Alla narrazione del governo si oppongono concessioni e impegni già in calendario e che non possono essere elusi.
Per evitare la procedura d’infrazione da parte della Commissione europea, il governo è sceso a patti e questi patti prevedono il congelamento di 2 miliardi.
Sono risorse che non possono essere utilizzate fino a luglio. Se il trend negativo del Pil andrà avanti anche nel primo semestre dell’anno questa scadenza slitterà ancora e quindi ci saranno soldi in meno per gli incentivi alle imprese, ma anche per lo sviluppo della mobilità locale, Forze armate e diritto allo studio.
Tutto bloccato per quest’anno. E poi c’è il rubinetto, gestito dalla Ragioneria generale dello Stato, quindi il ministero dell’Economia, quindi Tria (con tutte le fibrillazioni dentro il governo che questo scenario può creare).
Anche in questo caso il Pil in caduta libera gioca un ruolo determinante. Se la crisi morderà , le domande per il reddito aumenteranno.
Solo che nella manovra c’è scritto che in caso di esaurimento dei fondi, proprio a fronte di un numero troppo elevato di richieste, si interverrà con uno stop dell’erogazione del sussidio e con la “rimodulazione dell’ammontare del beneficio”.
Prima della fiammata auspicata, il governo ha anche un impegno imponente. Nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, a metà aprile, deve indicare come recuperare i 23 miliardi che servono a disinnescare le clausole di salvaguardia ed evitare così che scatti l’aumento dell’Iva. Tutto questo al netto dei movimenti dei mercati, che negli scorsi mesi hanno mandato in subbuglio i titoli di Stato ed eroso ricchezza al Paese.
L’aumento dello spread da giugno a novembre dello scorso anno è costato quasi 1,5 miliardi di interessi in più ai cittadini: saliranno a oltre 5 miliardi quest’anno senza considerare nuove turbolenze.
Poi ci sono i giudizi delle agenzie di rating: Fitch il 2 febbraio, Moody’s il 15 marzo, Standard & Poor’s il 26 aprile. Gli economisti sono più che scettici. “Rispettare quel tasso di crescita, già corretto rispetto alla bozza iniziale e poi inserito nella legge di bilancio, dell’1% è del tutto irrealistico. Si dovrebbe avere un tasso di crescita abnormemente elevato nel secondo semestre”, spiega Marcello Messori in un’intervista a Huffpost.
Un miracolo insomma.
(da “Huffingtonpost“)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
“NEGLI ULTIMI DIECI ANNI CONTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI DEL 30%”… “CRESCEVAMO DA 17 TRIMESTRI, IL TREND DI DISCESA DEI TASSI SI E’ BLOCCATO CON QUESTO GOVERNO”
La notizia anticipata ieri dal Presidente del Consiglio Conte e oggi ufficializzata dai dati Istat è brutta anche se era attesa, ma forse non così.
Nel IV trimestre il Pil è sceso dello 0,2 sul precedente trimestre cosi accentuando la caduta già registrata nel III trimestre e portando la crescita di tutto il 2018 allo 0,8%. La (de)crescita acquisita del PIL per il 2019 è di meno 0,2%. Per trovare una performance peggiore di questa bisogna risalire al quarto trimestre del 2013 quando l’Italia era ancora nella peggiore crisi da decenni.
Le rassicurazioni del Presidente del Consiglio Conte e quelle del Ministro Tria sul fatto che nel secondo semestre ci riprenderemo non bastano e comunque non risolvono i problemi italiani.
Che per il vero non dipendono dalle due personalità di Governo citate, ma semmai, almeno in parte, da altri esponenti “innovatori” del Governo. Personalità che daranno la colpa ai precedenti Governi e all’Europa mentre l’opposizione darà la colpa al Governo in carica.
Ci sono alcune ragioni da ambo le parti, ma resta il fatto che da 17 trimestri crescevamo e che il trend di discesa dei tassi si è interrotto con questo Governo.
E’ vero che rallenta l’Europa, ma noi andiamo peggio.
Regge ancora il nostro export in forza della capacità innovative del manifatturiero concentrate in alcune regione del nord. Troppo poco per far crescere un paese con 60 milioni di abitanti in un contesto di concorrenza internazionale e di innovazione tecno-scientifica.
Eppure l’Italia resiste avendo molti punti di forza (risparmio delle famiglie, capacità di sopportare -ma non di ridurre- un debito pubblico enorme, primati mondiali in alcuni settori, ecc.)
Ma il Sistema Italia nel suo complesso non è stato ammodernato negli ultimi 20 anni, cioè dall’inizio dell’euro quale data di confine tra due periodi storici.
Una causa su tutte è responsabile: il continuo cambiamento delle politiche economiche dei governi che si sono succeduti e quindi la mancanza di una visione di interesse nazionale al di là delle parti politiche che avrebbe dovuto puntare su tre grandi filiere: semplificazioni e legalità ; investimenti e infrastrutture; innovazione e istruzione. Altri problemi non meno importanti, come quello del divario nord-sud, in parte rientrano nelle precedenti filiere
Investimenti e infrastrutture in Italia
Consideriamo oggi solo questo tema. Dalle quote degli investimenti sul Pil del 2007, nel decennio 2008-17 la contrazione degli investimenti pubblici è stata del 30%, con un mancato investimento totale di 57 miliardi. Nello stesso arco temporale, causa il calo delle quote di investimenti sul Pil dal 2017 sono mancati 506 miliardi di investimenti totali. Molti sono i fattori di questo crollo.
Con particolare attenzione a quelli pubblici in infrastrutture vi è la crisi finanziaria e i vincoli di finanza pubblica europei; i colli di bottiglia generati dal quadro giuridico amministrativo italiano; la disomogeneità e discontinuità dell’azione politica sulle priorità degli investimenti infrastrutturali; la difficile programmabilità di tempi e costi delle opere talvolta anche per la fragilità dimensionale e finanziaria delle imprese appaltatrici.
Adesso sono fermi o vanno a rilento progetti di varie decine di miliardi di investimenti pubblici senza i quali la nostra ripresa sarà lenta e fragile.
Guardando più da vicino gli investimenti della Pubblica Amministrazione in Italia dal 2000-2016 si possono individuare tre fasi: dal 2000 al 2004, vi è stata una crescita da 26.49 miliardi di euro nel 2000 a 36.09 miliardi nel 2004; dal 2004 al 2009, vi è stata una fase di mantenimento con una spesa di 33/34 miliardi annui; dal 2009 al 2016 vi è stato un calo drammatico da 36.15 miliardi a 20.18 miliardi.
Non è solo una questione di quantità perchè la qualità conta.
Adesso siamo nella quarta fase che è tutta da scoprire, ma che se continua in base al trend attuale accompagnerà il declino dell’Italia in termini di qualità della vita, occupazione e sicurezza, anche ambientale.
La situazione europea
Quanto detto chiama in causa anche le responsabilità del’Europa. Nei 10 anni 2007-18 si è registrato un calo del livello di investimenti pubblici in infrastrutture, rispetto alle quote sul Pil del 2007, che per la UE27 è stato di circa 153 miliardi e per l’Eurozona a 263 miliardi. A loro volta gli investimenti totali mancanti rispetto a quelli pre-crisi sono di 3295 miliardi nella UE27 e di 2746 miliardi nell’Eurozona. Sono entità enormi che rendono tutta l’Europa molto debole nei confronti di altri grandi Poli economici mondiali come Usa e Cina
Sappiamo che la Commissione Europea ha dato vita nel 2015 al Piano Juncker, che opera attraverso lo strumento finanziario del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (EFSI) in collaborazione con la Banca Europea per gli Investimenti (BEI). L’obiettivo del Piano Juncker è stato quello di mobilitare investimenti infrastrutturali per 315 miliardi di euro per il triennio 2015-2018. Il risultato pare sia raggiunto e l’Italia ne ha tratto beneficio.
Il programma è stato poi esteso al 2020, con un obiettivo di mobilitazione degli investimenti di 500 miliardi di euro. E’ stato un notevole passo avanti europeo anche dal punto di vista della valutazione dei progetti. Un’ulteriore iniziativa prefigurata dalla Commissione e dal Parlamento in occasione dell’adozione del prossimo bilancio UE 2021-2027 è quella del programma InvestEu che, con garanzie da bilancio UE per 49,5 mld, mira a mobilitare 650 mld di euro in investimenti
Non basta
Una delle grandi sfide del XXI secolo è proprio quella dello sviluppo sostenibile su scala globale come prefigurato da Agenda 2030 dell’ONU che richiede investimenti. Alle elezioni europee ci saranno confronti tra partiti politici con ricette vecchie (liberismo o dirigismo) e con ricette anticamente nuove (sovranismo o federalismo). Speriamo che compaia anche qualche formazione politica trasversale che si impegni nei sei anni del ciclo politico-istituzionale europeo per affiancare alla cultura della pace costruita nei 70 anni passati anche quella della pace protetta dai nazionalisti e dai rigoristi attraverso istituzioni funzionali capaci di governare lo sviluppo comune investendo soprattutto in istruzione e innovazione, perchè la maggiori diseguaglianze future verranno da qui.
Alberto Quadrio Curzio
Economista, presidente emerito Accademia dei Lincei
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
“LA FRENATA DEL PIL FARA’ SCATTARE LA CLAUSOLA DA DUE MILIARDI PATTUITA CON LA UE”
Una situazione “più grave del previsto”, per uscire dalla quale non basterebbero tassi di crescita oggi altamente improbabili negli ultimi sei mesi del 2019.
E le cause non sono imputabili soltanto, come sostiene il Governo, a fattori esterni ma pure a precise scelte dell’esecutivo che rischiano di aggravare ancora di più la condizione dell’economia italiana.
È l’opinione di Marcello Messori, economista ed ex presidente di Ferrovie dello Stato.
Secondo Messori, la recessione ancorchè tecnica in cui è caduta l’Italia è stata facilitata dall’aumento dell’incertezza scatenato dallo scontro tra Italia e Ue e dalla risalita dei tassi di interesse. La scelta del Governo di concentrarsi sul rilancio dei consumi è votata al fallimento, sostiene l’ex presidente di Fs.
Gli ultimi due trimestri del 2018 hanno certificato l’ingresso dell’Italia in recessione tecnica. Nell’anno da poco iniziato è lecito attendersi un recupero?
Se la stima preliminare dell’Istat sarà confermata, la situazione è più grave del previsto. Noi economisti ci aspettavamo un -0,1% nell’ultimo trimestre, non lo 0,2%. Questo ha una implicazione sull’effetto trascinamento, l’impatto della recessione sul 2019 sarà negativo di -0,2%. Rispettare quel tasso di crescita, già corretto rispetto alla bozza iniziale e poi inserito nella legge di Bilancio, dell’1% è del tutto irrealistico. Si dovrebbe avere un tasso di crescita abnormemente elevato nel secondo semestre per rispettare la stima del Governo.
Il premier Conte ha detto che i dati negativi non dipendono dal Governo ma dal contesto internazionale.
C’è un impatto internazionale, sicuramente. Per una economia sostenuta dalle esportazione nette come quella italiana, il rallentamento del commercio è sicuramente un aspetto problematico. Va sottolineato però che il dato migliore nell’ultimo trimestre è relativo proprio all’export. Le vere componenti negative derivano dalla domanda interna e dagli investimenti. Certamente la caduta in recessione ha quindi a che fare con due elementi: l’aumento della struttura dei tassi di interesse che con vari picchi si è avuta dalla primavera scorsa fino alla fine dell’anno, con ripercussioni sugli investimenti privati. E l’aumento dell’incertezza politica, che ha frenato ancora investimenti e pure i consumi. Ci sono perciò fattori endogeni, non solo esogeni, alla radice della recessione italiana.
Di fronte a questa situazione, la legge di Bilancio è ancora adeguata?
No, interventi efficaci dovrebbero sostenere gli investimenti pubblici come volano per quelli privati. Com’è noto, la manovra prevede un ammontare molto limitato di investimenti pubblici, ha appesantito la pressione fiscale sulle imprese più efficienti e l’ha ridotta solo sulle piccole unità produttive, che incontrano molte difficoltà ad effettuare investimenti innovativi. E certamente non ha rimosso l’incertezza politica. C’è poi un altro punto: la situazione attuale è soggetta alla spada di Damocle della valutazione di maggio da parte della Commissione Ue.
Ieri il premier Conte, parlando ad Assolombarda, ha detto di aspettarsi il “riscatto” dell’economia solo a partire dal secondo semestre del 2019. I primi sei mesi quindi si prevede un quadro economico ancora in sofferenza…
Noi entriamo nel 2019 con un -0.2%. Se i primi due trimestri avranno un andamento negativo/stagnante, anche due ultimi trimestri brillantissimi, al di sopra del 2,5%, non sarebbero sufficienti ad assicurare un tasso di crescita adeguato. Temo che ci siano nubi molto dense sul 2019, e in questo quadro gli elementi di incertezza non saranno certo compensati da uno stimolo in termini di consumi. Anche perchè con un incertezza prolungata, ne risentiranno le stesse scelte di spesa delle famiglie.
Si spieghi meglio.
C’è un accordo con la Commissione su un cuscinetto di due miliardi che scatterà se non verranno rispettati i saldi di bilancio pubblico previsti dalla legge di Bilancio. Se i primi due trimestri si confermeranno negativi, questa clausola scatterà . In più c’è un impegno scritto sul reddito di cittadinanza: se la spesa eccederà le previsioni vi sarà una riduzione del trasferimento del reddito mensile alle famiglie. Com’è possibile che un governo che si è impegnato con un individuo in difficoltà a trasferire un certo ammontare di risorse, poi i mesi successivi lo riduce per vincoli di bilancio? È chiaro che così si crea ulteriore incertezza. Temo che anche gli effetti sui consumi saranno limitati.
Quindi si torna al punto di partenza. Servono più investimenti, ma con i vincoli di spesa e visti gli impegni assunti che il Governo non pare intenzionato a rivedere, i margini d’azione sono limitati, se non inesistenti.
Perciò sarebbe opportuno partecipare in modo attivo alla discussione europea per rafforzare quel progetto di prosecuzione del piano Juncker che raddoppi le risorse e consenta programmi di investimento europei. Purtroppo la situazione è ancora più complicata. Basta fare più investimenti, quindi? No. Gli investimenti devono essere efficienti, e nel nostro Paese c’è un problema di attuazione delle decisioni assunte. Il tempo medio di attuazione di un investimento in Italia è di anni, se non di quinquenni.
I tempi per rimettersi in carreggiata ora appaiono stretti.
Lo so benissimo, infatti era un problema che si era posto a settembre, se no nprima. Ora raccogliamo i cocci, purtroppo. Queste cose vanno preparate, e vanno trovate soluzioni a ostacoli appoggiandosi a soluzioni europee. Il piano Juncker ha funzionato bene, tutto sommato, per l’Italia. Ci sarebbero spazi, ma si aprono solo se non si ha una posizione conflittuale con la Commissione. Abbiamo costruito un quadro negativo ma se guardiamo al 2020 e al 2021 non migliora, visto che da aprile dovremmo cominciare a predisporre i documenti fiscali per il prossimo triennio, con il macigno delle clausole di salvaguardia.
Meglio tralasciare per ora questo capitolo.
Infatti.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
IL SEQUESTRATORE DI PERSONE PARLA DI ESPULSIONI SENZA STANZIARE NEANCHE I FONDI PER ATTUARLE… ECCO I DATI UFFICIALI
Il presidente della Regione Lazio e candidato alla carica di segretario del Pd, Nicola Zingaretti, il 29 gennaio in un articolo sull’Huffington Post ha affermato che le promesse “mancate perchè irrealizzabili, oltre che insensate” del governo giallo-verde “avevano parlato di 500 mila espulsioni e i milioni di euro per sostenerle dovevano essere oltre 40, ma sono in realtà solo 3”.
Si tratta di un’affermazione corretta. Vediamo perchè.
Nel Contratto di governo si legge che “ad oggi sarebbero circa 500 mila i migranti irregolari presenti sul nostro territorio e, pertanto, una seria ed efficace politica dei rimpatri risulta indifferibile e prioritaria”, e che “nell’ottica di una gestione delle risorse pubbliche efficiente e congruente con le azioni politiche da attuare occorre, quindi, procedere ad una revisione dell’attuale destinazione delle stesse in materia di asilo e immigrazione, in particolare prevedendo l’utilizzo di parte delle risorse stanziate per l’accoglienza per destinarle al Fondo rimpatri”.
Della questione aveva parlato durante la campagna elettorale anche Matteo Salvini, che il 26 ottobre 2017 aveva dichiarato: “L’impegno serio concreto e sottoscritto del centrodestra deve essere quello di fare 100 mila espulsioni l’anno, mezzo milione di clandestini riportati al loro paese in 5 anni”.
Per quanto riguarda poi i milioni di euro stanziati per le espulsioni, il 5 luglio 2018 Salvini, divenuto nel frattempo ministro dell’Interno, aveva affrontato l’argomento durante la conferenza stampa congiunta col vice premier libico Ahmet Maitig.
All’epoca Salvini, richiamando le parole contenute nel Contratto di governo, aveva sostenuto che “riguardando tutti i progetti in corso finanziati a livello italiano e a livello europeo sulla cosiddetta ‘integrazione’ e accoglienza abbiamo recuperato, vado a memoria, circa 42 milioni di euro, che abbiamo destinato alla voce rimpatri”.
Come aveva riportato il giorno successivo il quotidiano La Repubblica, l’Unione europea aveva fatto sapere che nel caso quei 42 milioni provenissero da fondi comunitari, non era possibile spostarli a piacimento del governo da un progetto all’altro, considerato che sono fondi vincolati a scopi precisi e predeterminati.
Se invece si fosse trattato di risorse proprie dello Stato italiano, ovviamente nessun problema.
La questione, da quel che abbiamo verificato, non risulta abbia poi più avuto seguito. Ma vediamo meglio che cos’è e come funziona il Fondo rimpatri di cui parlano il Contratto di governo e il ministro Salvini.
Il Fondo rimpatri è previsto dall’articolo 14 bis del Testo unico sull’immigrazione (D.lgs. 286/1998), inserito con la legge 94/2009 (il “pacchetto sicurezza” voluto dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni).
Il Fondo è “finalizzato a finanziare le spese per il rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine ovvero di provenienza”.
È finanziato con la metà di quanto lo Stato italiano incassa grazie ai contributi che gli stranieri devono pagare per richiedere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno (80-200 euro), oltre che dai “contributi eventualmente disposti dall’Unione europea per le finalità del Fondo medesimo”.
Per il periodo 2014-2020 e per tutti gli Stati membri (eccetto la Danimarca), l’Unione europea ha istituito il fondo AMIF (Fondo asilo, migrazione e integrazione), finanziato con 3,137 miliardi in 7 anni, che contribuisce a realizzare quattro specifici obbiettivi: asilo, migrazione legale e integrazione, rimpatri, solidarietà .
Come abbiamo visto, l’Unione europea ha fatto sapere che non è possibile per uno Stato prendere i fondi europei stanziati per i progetti specifici di un obbiettivo e dirottarli unilateralmente su un altro.
Al 30 gennaio 2019, il governo ha in effetti stanziato delle risorse per il Fondo rimpatri. L’articolo 6 del cosiddetto “decreto sicurezza” (d.l. 113/2018) stabilisce che “al fine di potenziare le misure di rimpatrio, il Fondo di cui all’articolo 14 -bis , comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è incrementato di 500.000 euro per il 2018, di 1.500.000 euro per il 2019 e di 1.500.000 euro per il 2020”.
Le risorse ammontano dunque in totale a 3,5 milioni, di cui mezzo milione per l’anno da poco concluso.
Ma si tratta di risorse nuove? No.
L’articolo 6 del decreto sicurezza dispone infatti che questa nuova disposizione sostituisca una precedente, contenuta nella legge di Bilancio per il 2018 (l. 205/2018), all’articolo 1 co. 1122 lettera b).
Questa già disponeva che nel triennio 2018-2020 venissero stanziati 3,5 milioni di euro — 500 mila nel 2018, 1,5 milioni nel 2019 e nel 2020 — per “l’avvio, in via sperimentale, di un Piano nazionale per la realizzazione di interventi di rimpatrio volontario assistito comprensivi di misure di reintegrazione e di reinserimento dei rimpatriati nel Paese di origine”.
Dunque il governo ha preso delle risorse già stanziate dal precedente esecutivo per i rimpatri, anche se per una sottocategoria — quella dei rimpatri volontari —, e le ha destinate sempre ai rimpatri, ma in via generale.
Sarà quindi possibile utilizzarle anche per i rimpatri coatti, cioè per le “espulsioni”.
Il Ministero dell’Interno ha però annunciato a fine ottobre 2018 l’apertura di un bando per realizzare “interventi per favorire il rimpatrio volontario e assistito”, finanziato con 12,15 milioni di euro, di cui la metà provenienti dall’Unione europea. Il bando è scaduto il 18 dicembre 2018, dopo una proroga, ma ancora non sono disponibili informazioni su eventuali vincitori e progetti approvati.
Secondo fonti del Viminale citate da il Giornale, “le attività progettuali saranno avviate da febbraio 2019 e si concluderanno entro il 31 dicembre 2021”. Campa cavallo…
Per fare un po’ di ordine su quanto visto finora, distinguiamo tra espulsioni — cioè i rimpatri coatti — e i rimpatri volontari.
Il governo ha preso 3,5 milioni di euro già stanziati per i rimpatri volontari e li ha spostati a livello generale nel Fondo rimpatri. Potranno quindi essere usati eventualmente anche per le espulsioni, oltre che per i rimpatri volontari.
I rimpatri volontari sono invece stati specificamente finanziati con ulteriori 12,15 milioni di euro — di cui il 50 per cento proveniente dalla Ue — con un nuovo bando del Ministero dell’Interno. Ma ad oggi le attività progettuali collegate non sono ancora state avviate.
Inoltre, a luglio 2018 il ministro Salvini aveva parlato di 42 milioni di euro destinati ai rimpatri, ma non è vero.
(da Globalist)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
SANATORIE, REGALIE PER CHI NON HA PAGATO LE TASSE, CONFLITTI DI INTERESSI: E DOVEVA ESSERE IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO
La madre dei condoni è sempre incinta.
Lega e Cinquestelle avevano promesso ai cittadini di varare il governo del cambiamento. Ma su un tema fondamentale per i conti pubblici italiani come la lotta all’evasione, la politica gialloverde consacra nei fatti un grande ritorno al passato.
Con una pioggia di sanatorie, tagli, sconti e agevolazioni di ogni tipo. Che ipotecano anche le entrate future. In una clima di condono generale. Che oggi si chiama pace fiscale.
La novità politica è che il condono si fa, ma non si dice.
Il decretone fiscale varato d’urgenza dal governo Conte il 23 ottobre non usa quella parola imbarazzante. Ma contiene una serie di norme che hanno gli stessi effetti delle più contestate sanatorie fiscali e previdenziali della prima e seconda repubblica. In tutta la prima parte del decreto, ogni articolo è un condono.
Chi non ha pagato tasse e contributi può mettersi in regola senza nessun aggravio di spesa. Niente sanzioni, zero interessi.
L’evasore può sanare ogni addebito anche se è già stato scoperto, limitandosi a versare le stesse imposte che erano dovute in partenza, quelle che i cittadini onesti hanno già pagato. Le nuove norme prevedono anche forti sconti dei debiti fiscali, con casi di totale azzeramento, e tempi più lunghi di riscossione.
Mentre i contribuenti onesti continuano a dover saldare tutto ad ogni scadenza stabilita, i furbi vengono autorizzati a pagare meno e in ritardo.
Giuristi ed economisti che studiano il sistema fiscale sottolineano un’anomalia assoluta dei nuovi condoni. «Ogni provvedimento di sanatoria, storicamente, ha benefici di breve termine per la casse dello Stato e costi elevati nel medio e lungo periodo. Il paradosso dei nuovi condoni è che, stando ai numeri del governo, sono molto limitati anche i benefici immediati», osserva Alessandro Santoro, professore di scienza delle finanze all’università di Milano Bicocca, che è componente tecnico di alcune commissioni ministeriali e fa parte del comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate.
«In ogni condono è intrinseco un messaggio di lassismo fiscale, che riduce il gettito negli anni a venire, per l’aspettativa di altre sanatorie future. Mentre nel breve periodo c’è un aumento delle entrate: chi aderisce al condono versa imposte che altrimenti non avrebbe pagato. In base alla relazione tecnica del nuovo decreto, invece, gli incassi previsti sono molto modesti e, quando sono rilevanti, si verificano non prima del 2020».
«Nello specifico», argomenta il professore, «la definizione agevolata dei verbali dovrebbe incrementare il gettito fiscale di 51 milioni nel 2019 e di 68 milioni a partire dal 2020, mentre con la definizione delle liti pendenti è previsto un aumento di 75 milioni nel 2019 e di 100 milioni dal 2020.
La rottamazione-ter potrebbe avere addirittura un effetto negativo sulle entrate del 2018, quantificato nella relazione tecnica in 414 milioni, dovuto alla possibilità di rinviare i versamenti già previsti dalla rottamazione-bis del 2017.
La stessa misura non prevede alcun effetto netto per il 2019 e dovrebbe iniziare a generare gettito solo nel 2020, per un valore stimato di circa 1,2 miliardi. Siamo quindi di fronte all’assurdo di una serie di condoni che, oltre a minare la certezza della pena e aumentare l’iniquità del sistema, generano maggiori entrate di importo trascurabile».
L’Italia si riconferma così una nazione fondata sui condoni. Dal lontano 1900 fino ad oggi, si contano almeno 67 provvedimenti generali di perdono pubblico dell’evasione fiscale e del lavoro nero. In media, uno ogni due anni. Con effetti aggravati dalla durata.
Ogni sanatoria infatti non riguarda solo il momento in cui viene approvata, ma si estende anche agli anni precedenti. E in qualche caso vale pure per il futuro.
Tra i nuovi condoni gialloverdi, il più vistoso è proprio la definizione agevolata dei processi verbali di constatazione (pvc): l’atto d’accusa iniziale, firmato dalla Guardia di Finanza dopo mesi o anni di verifiche e indagini.
Il decreto prevede lo sgravio totale, cioè l’azzeramento di sanzioni e interessi, per tutti i verbali notificati fino al 24 ottobre 2018.
L’evasore già pescato dalle Fiamme gialle, dunque, può tornare immacolato pagando solo le tasse che avrebbe dovuto versare dall’inizio.
La definizione agevolata consente di annientare anche i successivi avvisi di accertamento: l’accusa definitiva, formalizzata dall’Agenzia delle entrate. Il nuovo tipo di condono, insomma, ha effetti immediati, anzi anticipati: fa morire sul nascere l’accusa stessa di evasione. E permette ai furbi di pagare a rate, nell’arco di cinque anni.
Questa misura riguarda tutte le tasse più importanti, come Irpef, Iva e Irap, ma soccorre anche i soggetti, di solito ricchi, che hanno dimenticato di pagare le imposte sul valore dei beni detenuti all’estero (Ivie e Ivafe).
Restano escluse solo le tasse europee, altrimenti l’Italia avrebbe rischiato condanne internazionali. Oltre alle tasse, la sanatoria vale per i contributi, quindi anche per i casi di lavoro nero.
Le associazioni dei commercialisti e dei consulenti del lavoro hanno pubblicato vari studi dove osservano che il doppio premio (zero sanzioni, zero interessi) si conquista con la prima rata: per chi non paga quelle successive, non sono previste multe o decadenze. I soggetti più scaltri possono quindi tentare il bis: gli evasori ormai scoperti potrebbero trasformarsi in furbetti delle rateazioni.
Il governo Conte ha giustificato tutte queste forme di pace fiscale con una nobile scelta politica: non perseguitare masse di cittadini impoveriti dalla crisi. Il problema è che tutti i condoni sopra descritti non hanno limiti di reddito o di patrimonio: si applicano anche nei casi di evasioni multimilionarie.
Lega e Cinquestelle hanno rilanciato e allargato anche la rottamazione varata dal governo Renzi, che provoca il solito colpo di spugna (zero sanzioni e interessi), spalmato questa volta su tutte le cartelle esattoriali notificate dal 2000 al 2017. A rimanere paralizzati sono gli atti esecutivi, con cui lo Stato reclama il saldo di tasse non contestabili.
Con la rottamazione, si paga solo il debito originario, più il compenso (aggio) per le società di riscossione.
Nella legge di bilancio è apparsa però la cosiddetta super-rottamazione, chiamata «saldo e stralcio», che taglia pure gran parte del debito a monte, fino a livelli tra il 16 e 35 per cento: è l’unica norma pensata per le famiglie più povere (con indicatore Isee fino a 20 mila euro).
Ma in un Paese con un’evasione gigantesca come l’Italia (130 miliardi all’anno), come osserva l’economista Carlo Cottarelli, c’è il rischio che la misura per gli indigenti diventi un regalone ai furbi arricchiti con i soldi in nero.
In aggiunta, il decreto azzera tutte le cartelle fino ai mille euro mandate in riscossione dal 2000 al 2010: qui nessuno paga più nulla. E questa amnistia fiscale vale per tutti, poveri e ricchi.
A completare il quadro della pace fiscale è la definizione agevolata dei processi tributari: anche i soggetti che hanno fatto causa al fisco possono cavarsela pagando solo una percentuale. La tariffa è del 90 per cento se si attende ancora la prima sentenza. La quota si abbassa di molto per i contribuenti che hanno vinto i vari gradi di giudizio: se manca solo l’ultimo verdetto della Cassazione, si paga il 5 per cento. Per gli esperti, sono le norme più sensate. I maxi-sconti infatti premiano i contribuenti che stanno vincendo i processi, dove lo Stato rischia di non incassare nulla.
Molto meno chiare sono le ragioni che hanno spinto il governo ad approvare condoni favolosi solo per alcune fortunate categorie di soggetti.
I produttori di sigarette elettroniche o altri dispositivi anti-tabacco, in particolare, hanno ottenuto una sanatoria eccezionale per le loro tasse di settore (chiamate imposte sui consumi): possono pagare solo il 5 per cento dell’evasione accertata.
Un ventesimo delle tasse che avrebbero dovuto già versare, in teoria, dal 2014 al 2018. Per ogni milione di debito fiscale, il governo si accontenta di 50 mila euro, pagabili in dieci anni, in 120 rate mensili.
Se poi non pagheranno nemmeno quelle, spiegano gli esperti, le imprese interessate perderanno solo il beneficio della rateazione, ma non il condono.
Questo favore fiscale è stato approvato con un emendamento della Lega.
Il quotidiano La Stampa ha rivelato che, prima del condono, il partito di Matteo Salvini aveva ricevuto una donazione di 75 mila euro dalla Vaporart, una delle prime aziende del settore.
La Lega ha dichiarato e fatto inserire nel contratto di governo il taglio delle tasse sulle sigarette elettroniche per il futuro: il condono per il passato è invece una sorpresa, che secondo la relazione tecnica dovrebbe costare alle casse statali circa 200 milioni di euro. L’Espresso ha scoperto che questo regalo politico è stato approvato in giorni drammatici per la Vaporart, che era finita al centro di una verifica della Guardia di Finanza, proprio per le imposte sui consumi non pagate: un’indagine che si è appena chiusa con una maxi-denuncia per evasione fiscale.
Un’altra sanatoria misteriosa premia i patron di associazioni sportive e società dilettantistiche iscritte al Coni: possono condonare tutto, versando solo metà delle tasse dovute e un ventesimo delle sanzioni, fino a un tetto di trentamila euro per ogni imposta.
In totale, nei codicilli delle nuove leggi, L’Espresso ha contato 17 forme di condono.
I Cinquestelle hanno bocciato le sanatorie-scandalo dei reati, che il partito di Salvini proponeva per le fatture false e per quelle forme di peculato (rimborsi-truffa) che vedono imputati plotoni di leghisti.
Nel decreto per Genova però è passata la riapertura delle pratiche dei vecchi condoni edilizi per Ischia e altre zone terremotate, da valutare, come ha denunciato Legambiente, in base alle norme del 1985, quando non esistevano vincoli.
Gli esperti temono che un boom dell’evasione possa derivare anche dalla famosa flat tax targata Lega: la tassa fissa del 15 per cento per tutte le partite Iva che nel 2018 hanno dichiarato meno di 65 mila euro.
L’economista Vieri Ceriani, che ha lavorato come tecnico alla Banca d’Italia e al ministero prima di diventare sottosegretario con il governo Monti, vede in quel limite «un muro che spingerà molte piccole imprese a crescere nel sommerso, cioè a non dichiarare i ricavi superiori ai 65 mila euro, e a non trasformarsi in società di capitali».
Ceriani evidenzia che la legge di bilancio ha abolito riforme fiscali già approvate come l’Ace e l’Iri, che dal 2019 avrebbe garantito alle piccole imprese la stessa tassazione al 24 per cento delle società di capitali, «eliminando un ostacolo alla crescita, che ora invece ritorna più forte».
Da notare anche l’assenza di tagli delle aliquote per i lavoratori dipendenti, che continueranno a versare le tasse più alte del mondo: nell’aziendina-tipo, a conti fatti, gli operai pagheranno il doppio dei padroni.
Un altro provvedimento che rischia di far esplodere i pagamenti in nero è la riforma del lavoro occasionale. Al posto dei voucher, ora c’è il libretto famiglia. Che permette di registrare badanti e domestici solo «al termine della prestazione lavorativa», come spiega il sito aggiornato dell’Inps, «non oltre il terzo giorno del mese successivo».
Con il governo del cambiamento, la lotta al lavoro nero diventa retroattiva: se arriva l’ispettore, basta dire che si è in attesa di regolarizzazione futura.
(da “L’Espresso”)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
IN UN ANNO LA PERCENTUALE E’ SALITA DEL 5%… OLTRE IL 20% IN DIFFICOLTA’ A PAGARE LE UTENZE
Il 45% degli italiani, quasi uno su due, è costretto a intaccare i risparmi per arrivare a fine mese: è il quadro tracciato dal 31esimo Rapporto Italia dell’Eurispes.
Sul fronte dei consumi si segnala un boom per le spese delle badanti (+17,3%), mentre continua ad affermarsi il successo degli acquisti online: oltre la metà compra sul web, più gli uomini che le donne.
Ma è sull’euro che spuntano le sorprese: 6 italiani su 10 per restare in Europa, con il 53% a favore della moneta unica.
Ben il 45,1% degli italiani afferma di essere costretto a utilizzare i risparmi per arrivare alla fine del mese (40,7% nel 2018), mentre un terzo non ha difficoltà (33%); il 22% riesce a risparmiare; più di 1 su 4 (27,7%) incontra difficoltà a pagare le utenze; il 21,1% a sostenere le spese mediche.
Tra coloro che hanno un mutuo, quasi un terzo (32,7%) paga con fatica le rate e la metà di chi è in affitto fatica a pagare il canone.
Per far fronte alle difficoltà , il 32,6% è stato costretto a ricorrere al sostegno economico della propria famiglia di origine, uno su dieci ha chiesto prestiti a privati (10,1%).
L’apprezzamento nei confronti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si “impenna” dal 44,5% al 55,1%; in particolare, è raddoppiato il consenso da parte degli elettori del movimento 5 stelle (dal 30,1% al 59,4%).
Si conferma il sentimento di fiducia anche nei confronti delle forze dell’ordine: la polizia raccoglie l’apprezzamento del 71,5% (+4,8% rispetto al 2018), l’Arma dei carabinieri del 70,5% (nel 2018 era il 69,4%), la guardia di finanza è stabile (68,3%; nel 2018 era il 68,5%). Trend della fiducia in crescita nei confronti della polizia penitenziaria (68,2%, nel 2018 era il 66,3%). E in quelli dei vigili del fuoco, ancora una volta in testa con l’87,3% (l’anno scorso era all’86,6%).
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
IL VIDEO FINISCE PURE IN CINA DOVE DECINE DI MILIONI DI VISUALIZZAZIONI FANNO CONOSCERE A CHE LIVELLI DI FOGNA SIAMO ARRIVATI IN ITALIA
Una signora cinese, che non parla italiano, che sta cercando di orientarsi tra le varie marche di acqua minerale in un supermercato.
E un commesso che, riprendendo tutta la scena, la insulta pesantemente, passando da toni goliardici a frasi molto dure, del tipo “ti spezzo le gambe e ti sparo in testa cinese di m…”.
Accade a Monza, in un supermercato della catena Iper. E la conferma di quanto accaduto viene dalla stessa società Iper che, con un comunicato, si dice “indignata e sbigottita” e annuncia “immediati e severi provvedimenti nei confronti di qualunque dipendente risulti coinvolto”.
Si moltiplicano, dunque, gli episodi di razzismo a danni di persone straniere in luoghi pubblici. Soltanto qualche giorno fa il video girato nelle cucine della pizzeria Rossopomodoro in stazione Centrale a Milano, con un dipendente italiano che spruzzava deodorante sui colleghi stranieri, poi il video di una signora italiana che su un autobus di linea a Milano insulta una signora con il velo ‘rea’ di occupare troppo spazio con il passeggino.
Adesso questo nuovo caso, avvenuto la scorsa settimana e ora di dominio pubblico, con siti cinesi che hanno ripreso la notizia stigmatizzando il razzismo nei confronti dei cittadini cinesi.
Da quanto si capisce la signora ripresa nel video non capisce l’italiano, e questo sembra far accanire il commesso su di lei, con espressioni ingiuriose, frasi riprese dal film ‘Amici miei’ e quelle minacce finali con tanto di dita che mimano una pistola.
Con un post su Facebook la società Iper spiega: “In merito al video che sta circolando in rete in cui una nostra cliente rimane vittima di un grave ed intollerabile atto di discriminazione, Iper La grande i, comunica che è venuta solo oggi a conoscenza della sua esistenza, peraltro grazie alle numerose segnalazioni ricevute dai nostri fan e clienti. Siamo sbigottiti rispetto al suo contenuto e chiediamo scusa alla nostra cliente, siamo noi stessi indignati per quanto possa essere accaduto all’interno di un nostro punto di vendita. Stiamo analizzando attentamente il filmato, approfondendo i fatti; prenderemo immediati e adeguati severi provvedimenti nei confronti di qualunque dipendente Iper risulti coinvolto, il quale, possiamo già dirlo senza alcun indugio, non rappresenta in alcun modo la nostra azienda, che si fonda sulla passione di 7.000 dipendenti che ogni giorno, con impegno e rispetto, lavorano per dare il miglior servizio possibile a tutti i nostri clienti”.
Tra i commenti al post di Iper c’è anche quello di un ragazzo – Michele Mao – che dice di essere il nipote della signora ripresa nel video e che scrive: “In questi giorni ho avuto l’opportunità di comunicare personalmente con Iper ed hanno espresso le loro più sincere scuse, tant’è che la direttrice di Iper Monza ci ha invitati presso la loro sede per scusarsi a nome di Iper. Mi è inoltre giunto notizia che sono stati presi provvedimenti disciplinari nei confronti del dipendente. Sono convinto che, per quanto questo sia stato un episodio di cattivissimo gusto, l’atto maleducato di pochi individui non rappresenti in assoluto modo la cultura italiana,
Desidero infine esprimere la mia gratitudine per il sostegno dimostrato dalla comunità cinese in Italia. Ma, in particolare, vorrei anche porgere la mia più sincera gratitudine per solidarietà dimostrata dalla comunità italiana”.
(da agenzie)
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Gennaio 31st, 2019 Riccardo Fucile
SE IL SENZATETTO FOSSE STATO ITALIANO E NON MAROCCHINO E I MINORI DELINQUENTI FOSSERO STATI STRANIERI E NON ITALIANI? STESSA SENTENZA, VERO?
Sentenza sospesa e messa alla prova per il 17enne unico imputato per l’omicidio di Ahmed Fdil, il senzatetto marocchino di 64 anni morto carbonizzato la sera del 13 dicembre 2017 a Santa Maria di Zevio (Verona) all’interno dell’auto che l’uomo aveva trasformato nella sua abitazione.
Oggi al tribunale dei Minori di Mestre, il giudice Maria Teresa Rossi ha emesso l’ordinanza che dispone l’affidamento in prova per il giovane, sospendendo il processo per tre anni.
Il giovane era accusato di avere dato fuoco all’auto in cui Ahmed Ddil stava dormendo, assieme ad un amico 13enne, uscito subito dal procedimento perchè non imputabile essendo minore di 14 anni.
“Non me l’aspettavo” ha detto all’ANSA l’avvocato Alessandra Bocchi, che tutela i familiari della vittima che non si sono potuti costituire parte civile perchè la legge non lo ammette nei processi con imputati minorenni e quindi non hanno potuto ottenere nessun risarcimento. “Prendiamo atto dell’ordinanza – ha aggiunto il legale -, l’accettiamo e la rispettiamo, tuttavia, considerato il tipo di reato, ovvero l’omicidio volontario aggravato dalla minorata difesa, secondo noi si sarebbe potuti arrivare a sentenza”.
“Come era già successo in altri casi – ha concluso – ad esempio la condanna a 18 anni emessa dal Tribunale di Bologna contro due minorenni per un duplice omicidio in provincia di Ferrara”.
(da agenzie)
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