Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
ALMENO 600 DIPENDENTI DELL’OSPEDALE ACCUSATI DI AVER EVITATO IL TICKET E DI AVER AIUTATO AMICI E PARENTI A OTTENERE PRESTAZIONI GRATIS SENZA AVERNE DIRITTO… NON SI CAMBIA L’ITALIA SENZA CAMBIARE GLI ITALIANI
La procura di Genova ha indagato 2.300 persone nell’ambito dell’inchiesta sulle analisi di laboratorio fatte a amici e parenti senza pagare il ticket all’ospedale San Martino. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Nas, tra il 2015 e il 2016, almeno 600 dipendenti avrebbero evitato di pagare il ticket per le analisi di laboratorio e lo stesso hanno fatto in modo che avvenisse per persone a loro vicine.
Le accuse, a vario titolo, sono falso, truffa ai danni dello Stato e accesso abusivo al sistema informatico.
Il sistema scoperto dai Nas consisteva nel far risultare il paziente ricoverato. L’indagine è partita da alcuni esposti presentati in procura tre anni fa.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL 54% (OVVIAMENTE I BENESTANTI) SOSPENDEREBBERO LA MANOVRA SIMBOLO DEL M5S… NON C’E’ DA STUPIRSI: QUANDO MAI CHI STA BENE DEVOLVE UNA PARTE DELLA RICCHEZZA AI PIU’ POVERI?
La manovra simbolo del MoVimento 5 Stelle è sacrificabile.
In un sondaggio EMG Acqua, presentato ad Agorà , la maggioranza degli italiani ritiene che, nel caso il Governo fosse costretto ad agire con nuovi interventi per far tornare i conti, la sospensione del Reddito di Cittadinanza sarebbe l’azione più gettonata.
Proprio il 54% degli utenti ha risposto indicando il reddito di cittadinanza, percentuale che sale al 62% tra gli elettori della Lega e al 67% tra quelli del Pd; scende invece al 31% tra gli elettori del Movimento Cinque Stelle.
Per quanto riguarda le altre opzioni: Il 18% ha risposto “congelare quota 100”, la maggior parte dei quali ha dichiarato di votare Partito Democratico.
Percentuale che scende al 2% tra gli elettori della Lega e al 4% tra quelli del Movimento Cinque Stelle.
Togliere gli 80 euro è stato indicato dal 14% degli elettori, di cui il 56% sostiene una delle due forze di governo. il 9% ha indicato una patrimoniale con maggioranza percentuale tra gli elettori M5s (al 27%) e al 2% tra quelli della Lega.
L’aumento dell’Iva non è vista come opzione praticabile, solo l’1% degli elettori ha scelto questa opzione
Al di là delle perplessità tecnica su chi usufruisce del reddito (senza una riforma dell’Isee dove il 60% delle dichiarazioni sono taroccate, come dichiarato dalla GdF), resta il fatto che aiutare gli italiani più poveri non è nel Dna degli italiani benestanti.
Chi ha quattrini non vuole la patrimoniale, gli va bene andare in pensione con quota 100 tanto i soldi non mancano, non desidera aiutare gli indigenti, vuole tenersi persino gli 80 euro di Renzi: è il becero elettorato di Salvini e servi al seguito, nulla di che stupirsi.
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
L’ENNESIMA LEGGE REGIONALE FARLOCCA CHE VIENE VENDUTA AI BEONI COME VERA, SALVO POI ESSSERE BOCCIATA DALLA GIUSTIZIA
Un’altra bocciatura per la Regione Lombardia. Sono state dichiarate illegittime e discriminatorie le norme sul «reddito di autonomia» del Pirellone (un reddito di cittadinanza ante litteram per sostenere i lombardi in difficoltà economica) perchè escludono ingiustamente una parte rilevante di cittadini stranieri.
Lo ha affermato la Corte d’Appello di Milano che ha ordinato alla Regione di riaprire i bandi con i nuovi requisiti.
Con il dispositivo di sentenza depositato martedì 26 febbraio, la Corte ha accolto le tesi che avevano proposto le associazioni Asgi e Avvocati per niente secondo le quali l’introduzione del requisito di 5 anni di residenza per entrambi i genitori ai fini del riconoscimento di un bonus bebè (800 euro per il secondo figlio e 1000 per il terzo) non risponde ai criteri di ragionevolezza indicati dalla Corte Costituzionale perchè una amministrazione, una volta che abbia scelto di intervenire su un bisogno sociale, come quello della tutela della maternità , non può introdurre requisiti di residenza sproporzionati e troppo esclusivi, senza tener conto degli altri elementi di «radicamento territoriale» della persona bisognosa.
Il requisito, introdotto dalla Regione Lombardia (il più elevato previsto sino ad ora dalle varie legislazioni regionali, che — salvo il caso del Friuli Venezia Giulia – si attestano sui due anni di residenza per uno solo dei genitori), è invece sproporzionato perchè non tiene conto di altri motivi di collegamento della persona con il territorio.
La Corte ha anche confermato la decisione del giudice di primo grado che – con riferimento al contributo di sostegno all’affitto previsto sempre dalla Regione nell’ambito della iniziativa del reddito di autonomia aveva già lo scorso anno cancellato altri requisiti, in quel caso erano previsti per i soli cittadini stranieri: una attività lavorativa e residenza in Lombardia da 5 anni o in Italia da 10.
«Con l’obiettivo di escludere gli stranieri, le scelte di molte amministrazioni, come quella lombarda, finiscono per premiare solo il “bisognoso immobile” anzichè quanti si muovono con coraggio alla ricerca di condizioni di vita migliori, e cosi penalizzano il dinamismo della società , danneggiando non solo gli stranieri ma anche gli italiani — ha dichiarato Alberto Guariso di Asgi— Ora la sentenza della Corte d’appello milanese deve far riflettere anche sulla scelta di richiedere 10 anni di residenza per il reddito di cittadinanza».
Spesso l’efficacia di queste leggi, con un forte carico ideologico, è modesta: molti regolamenti ed ordinanze cadono sotto l’opposizione dell’Unar (l’Ufficio antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio), Prefetti, Tribunali o il Governo stesso che ha impugnato la legge anti-moschee varata nel 2015 dalla giunta di Maroni (nuove norme urbanistiche più stringenti sull’apertura di nuovi luoghi di culto), caduta davanti alla Corte costituzionale dichiarandola <incostituzionale e discriminatoria>.
La legge regionale sui luoghi di preghiera violava il principio della libertà di culto imponendo regole più severe (e onerose) per creare nuovi luoghi di culto.
Con il parto della legge si scopre che le moschee sono escluse a priori e i paletti di carattere urbanistico infilati nella norma finiscono per colpire i fedeli di altri credo, come protestanti, buddisti, ebrei.
Da vent’anni i «barbari sognanti» della Lega insieme agli alleati storici di centrodestra legiferano grazie al controllo assoluto del parlamentino lombardo. Partorendo regolamenti e norme spesso «contro» i poteri dello Stato e spessissimo «contro» i migranti.
Nel 2006 ecco che vengono messi nero su bianco nuovi vincoli sui phone center, i centri dove si può telefonare e navigare in Internet, imponendo l’autorizzazione solo in caso di requisiti stringenti come il doppio bagno, la sala d’aspetto e niente attività di money trasfert e spedizione pacchi.
Ecco come spiegava l’iniziativa il consigliere del Carroccio Fabrizio Cecchetti, diventato nel frattempo deputato: «La Lega Nord ha sempre sostenuto la potenziale pericolosità di questi centri di telefonia che, in troppi casi, si sono dimostrati fucina di illegalità e ritrovo di immigrati clandestini. È uno strumento in più per garantire ai lombardi maggiore sicurezza».
Peccato che nel 2008 una sentenza della Consulta stabilisce che le limitazioni per ragioni di sicurezza, a cui implicitamente si rifaceva il legislatore lumbard, possono essere prese solo dall’autorità statale e per motivi previsti nel Codice delle comunicazioni. Risultato comunque raggiunto: 250 esercizi di questo tipo hanno dovuto chiudere i battenti.
Negli anni c’è stato un crescendo di iniziative simili: norme per limitare i locali che vendono kebab, penalizzazione degli enti locali e degli albergatori che accolgono i profughi, test d’italiano per alunni stranieri, divieto di usare altre lingue, rimozione di luminarie natalizie, mozioni per bloccare i testi «gender» nelle scuole, leggi discriminatorie per l’alloggio popolare.
Si è tentato anche di incidere sugli albi territoriali dei docenti per avere un bacino di insegnati del Nord ma anche in questo caso la Consulta si è espressa nel 2013 bloccando l’iniziativa della giunta.
Tutte puntualmente bocciate ma intanto legiferare serve più per mostrare la differenza con Roma e accontentare il proprio elettorato che per avere risultati concreti.
«Quando si hanno meno risorse si investe in politiche simboliche che non costano niente, ma servono a definire l’identità politica con la retorica», sottolinea Maurizio Ambrosini, sociologo dell’Università Statale di Milano.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
UNO SPACCATO DELLA FOGNA RAZZISTA E DELL’ASSENZA DELLE ISTITUZIONI
«Mi chiamo Ilaria, ho 44 anni. Sono stata assessore provinciale e mi sono occupata molto di accoglienza. Nel settembre del 2014 ho allestito e gestito la prima tendopoli del Fvg. Bene da quel 13 settembre 2014 la mia vita non è più stata la stessa».
Inizia così un post pubblicato su Facebook da Ilaria Cecot, ex assessore al Welfare e al Volontariato della Provincia di Gorizia con Sinistra e Libertà , che ha deciso di denunciare pubblicamente le vessazioni, le minacce, le offese e gli insulti che sta subendo da ormai oltre quattro anni.
Quelli che insultano la “pasionaria profughista”
Tutto è iniziato nel 2014 — spiega in un’intervista a Repubblica — quando ha deciso di recarsi in visita nell’accampamento di fortuna sorto sulle rive del fiume Isonzo dove si erano accampati circa sessanta di richiedenti asilo provenienti da Pakistan e Afghanistan. Come già per altre donne attive nella vita politica che si sono schierate a difesa dei migranti e dei richiedenti asilo la Cecot è stata bersaglio non solo di critiche (legittime) ma anche di insulti e insinuazioni. La maggior parte delle quali di carattere sessista. Allusioni al fatto che l’assessore, così come altre volontarie, in realtà fosse alla ricerca d’altro. «Sputi, minacce, sassi, petardi ed offese, tante offese. Dalla più scontata : noi donne impegnate nel campo stavamo cercando ” cazzi “» racconta su Facebook.
Verrebbe da dire “le solite cose”. Insulti sessisti che abbiamo letto rivolti a Laura Boldrini quando era presidente della Camera. Perchè se una donna, magari piacente, si occupa di diritti umani lo fa sempre per un secondo fine. Non i soldi, o il potere ma la libido sessuale. È la riduzione della donna da soggetto politico ad un mero oggetto “preda” di istinti sessuali e null’altro.
Ma quelle “solite cose” non sono normali, e la vita di Ilaria Cecot (che dal 2017 non è più assessore dopo l’abolizione delle provincie) è diventata un vero inferno.
Le soffre in silenzio, incassa, per non dare corda a chi la insulta e magari si nasconde dietro un malinteso “diritto di critica” che non può e non deve mai scadere nell’insulto.
La normalizzazione delle molestie che diventano “satira”
A febbraio del 2017 le cose peggiorano ancora. Dopo un tentativo fallito di correre per la carica di sindaco a Gorizia torna alla vita privata e al lavoro di maestra, precaria. A fine anno si innamora di un uomo, politicamente distante da lei visto che è il sindaco leghista di Fogliano Redipuglia.
Racconta a Repubblica
In quel periodo, fine 2017, si avvicina al sindaco leghista di Fogliano Redipuglia
“Antonio Calligaris. Capello spettinato, ironico, un anno più di me. Mi innamoro. C’erano le elezioni regionali. Io faccio un passo indietro, lui viene eletto. La fine”.
Perchè?
“Il dileggio è diventato senza freno, cattiveria pura mista a pornografia. La profughista con il leghista, tanta manna per questi sciacalli.
A quel punto iniziano gli insulti sessisti più espliciti. Cose come “l’ex assessor provincial comunista e profughista in cerca di afgani lungamente dotati”, “psicopatica”, “CIMice Rossa”, “relitto tossico da zolof”.
Lei lo Zoloft però lo ha dovuto prendere davvero perchè è finita due mesi in ospedale, al centro di salute mentale per curare l’anoressia nervosa provocata — spiega — dal fatto di essere continuamente attaccata da chi sapeva che già in passato aveva sofferto di depressione.
Gli insulti non viaggiano solo sui social network ma vengono addirittura stampati e diffusi nei bar di Gorizia, che non è certo una metropoli anzi è una città piccola, con tutte le dinamiche sociali del caso.
Soprattutto quando girano post e pubblicazioni dove vieni dipinta come una “zecca ninfomane”.
In seguito alla sua relazione con il sindaco — e poi consigliere regionale — della Lega escono vignette dove una caricatura della Cecot passa dal manganello afgano dello Ius Soli a quello verde della Lega. E la vignetta mette bene in chiaro cosa sia il manganello. In altre vignette si allude chiaramente al suo stato di salute, con una bella siringona piantata nel fondoschiena, un po’ dildo un po’ medicina.
Anche la fine della sua relazione con Antonio Calligaris non ha messo fine agli attacchi di quelli che definisce “haters”.
Nell’occasione un giornalista satirico locale dedicò alla notizia di dubbio interesse pubblico un post dal titolo “il salto della passera” dove l’ex assessore provinciale viene definita “psicoCecot” raccontando che la Cecot «si sentiva già per amor immolata sull’altare matrimoniale leghista con la Reversibilità dei ca.10.000 € regionali».
Insomma se prima lo faceva per i piaceri della carne dopo il movente sono i denari.
Lei le cose le racconta in maniera diversa: «Piangevo a dirotto, mi sentivo braccata, osservata, giudicata, derisa. Insomma un massacro psicologico durato mesi, poi, poi sono crollata , sono crollata quanto anche il mio compagno mi ha girato le spalle».
Ora però ha deciso di reagire e denunciare per stalking coloro che in questi anni hanno alimentato il fuoco dell’odio e degli insulti.
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL 73ENNE PARROCO DI PIETRALUNGA, SALVINIANO E FAVOREVOLE ALLA LEGITTIMA DIFESA, SI E’ FATTO “FREGARE A CASA SUA”
Porgere l’altra guancia come diceva Gesù? No, due fucilate. La ricetta leghista a volte arriva anche tra i preti. Purtroppo.
Don Antonio Mandrelli, 73 anni, parroco della chiesa Santa Maria delle Grazie di Castelfranco a Pietralunga (Perugia) si è detto favorevole alla “legittima difesa”.
La storia del sacerdote di campagna con la carabina (“Sono d’accordo con Salvini e simpatizzo per la Lega”) è stata raccontata da La Nazione.
Lui, nonostante la tonaca, possedeva una pistola e due fucili
Alla domanda de La Nazione su cosa fa un prete armato, l’anziano sacerdote non esita a ribadire di “credere nella legittima difesa” e lo fa anche pensando se avesse incrociato i ladri dentro la sua casa.
“Sono a favore alla legittima difesa – ha aggiunto in secondo momento all’Ansa – perchè le persone per entrare in casa devono bussare o suonare il campanello; se uno entra, invece, senza permesso è un potenziale ladro e anche assassino”.
“Sono d’accordo con il ministro Salvini che vuole introdurre la legittima difesa – ha nuovamente sottolineato. – Per chi voto? Il voto è segreto, ma sono simpatizzante della Lega”.
Si definisce un “prete contadino, un pastore di anime e del corpo” e quando dice di non aver paura di vivere in un posto isolato lo fa raccontando che “dalla mia casa vedo le luci delle altre abitazioni in lontananza e poi ho il mio salvavita” alludendo ai due fucili.
Ora però glieli hanno rubati, magari sarà stato un parrocchiano che ha pensato di tutelarlo, evitando che si eserciti con una disciplina poco consona allo spirito cristiano.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
I GERARCHI SOVRANISTI PUTINIANI AMANO LA TV DI REGIME, ALTRIMENTI NON POTREBBERO DIFFONDERE LE LORO CAZZATE QUOTIDIANE… SONO ABITUATI AI GIORNALISTI SERVI
“Contro di me iniziativa senza precedenti dalla Lega”. Pubblichiamo la lettera inviata da Michele Santoro al Presidente della Camera, al presidente della Commissione di Vigilanza Rai e al presidente Rai.
Al Presidente della Camera
Al Presidente della Commissione di Vigilanza Rai
e p.c. al Presidente della Rai
Gentili Presidenti,
in questi giorni si è parlato di un’interrogazione o di un quesito presentato (non so se, non so quando e in quale forma) in Commissione Parlamentare di Vigilanza da esponenti della Lega. In estrema sintesi si chiedeva alla Rai “di sapere se a Santoro sia stato affidato dal Direttore di Raidue, Carlo Freccero, il compito di lavorare a un programma d’informazione e con quali compensi”.
Ho deciso di sollecitare la vostra attenzione perchè si tratta di un’iniziativa senza precedenti.
Non solleva, infatti, obiezioni di merito su fatti, accordi reali o (cosa che sarebbe comunque grave) trattative in corso.
In assenza di qualsiasi notizia di stampa sull’argomento, utilizza voci di corridoio per diffondere falsi allarmi e costringere la Rai a chiudermi la porta in faccia.
A scanso di equivoci, voglio precisare che discutere della conformità dei contratti e dei contenuti delle trasmissioni agli indirizzi parlamentari rientra perfettamente nelle prerogative della Commissione; ma ciò non può permettere di interferire sui diritti individuali e sulla libertà d’informazione che, fino a prova contraria, restano principi costituzionalmente garantiti.
Ricordo, prima di tutto a me stesso, che la Rai è un Servizio Pubblico della cui autonomia è custode il Parlamento e non il Governo, anche se i partiti ieri come oggi hanno spesso provato a trasformarlo in un organo della maggioranza.
Ciò contrasta con la legge, che indica la rappresentazione plurale della società come l’obiettivo da perseguire; e il fatto che il Governo sia stato decisivo nel rinnovare i vertici della Rai non libera i nuovi dirigenti dal dovere di provvedere all’offerta televisiva in piena autonomia e respingendo pressioni indebite.
In un’altra epoca la magistratura è dovuta intervenire per sanzionare duramente la Rai per aver chiuso una mia trasmissione senza valide ragioni editoriali.
Penso che, da qualunque prospettiva guardiamo a quei giorni, riprodurre un clima che pensavamo di esserci messi definitivamente alle spalle non serva al Paese.
“È vero che Santoro tornerà a collaborare con la Rai? E con quali compensi?”. Sono domande improponibili, ledono il diritto privato e impediscono a un professionista di svolgere liberamente la sua attività ; inoltre una siffatta formulazione assume un grado di deterrenza nei confronti non di una collaborazione esistente ma di qualsivoglia ipotetica futura collaborazione, quando la Costituzione Italiana “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
Vi chiedo scusa di aver distratto la vostra attenzione dai vostri impegni istituzionali; ma ho ritenuto di sollevare la questione non per me stesso ma perchè sento messi in discussione princìpi fondamentali.
Noi giornalisti, in particolare quelli che lavorano o collaborano con la Rai, siamo sempre richiamati al rispetto di regole e regolamenti elaborati dai parlamentari in quanto espressione del popolo.
Ma nemmeno il popolo può conferire loro l’autorità di agire offendendo i principi fondamentali a cui si ispira la nostra Repubblica.
Almeno fino a quando resteremo una democrazia.
Spero che il vostro intervento possa ristabilire un clima di rispetto, scoraggiare altre iniziative inopportune e fare in modo che ciascuno con le sue idee possa contribuire a far crescere civilmente e culturalmente il nostro Paese.
Michele Santoro
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
L’ATTIVISTA DI FORZA NUOVA (POI ESPULSA) L’AVEVA ESIBITA A PREDAPPIO: LA CONDANNA A 4 MESI CONVERTITA IN AMMENDA
Il Tribunale di Forlì “ha condannato Selene Ticchi a quattro mesi di reclusione commutati in 9.000 euro di multa a causa della famosa maglietta “Auschwitzland”, indossata dalla donna il 28 ottobre scorso a Predappio, in occasione dell’anniversario della Marcia su Roma.
La signora era militante di Forza Nuova e già vicina al Movimento per la sovranità di Storace e Alemanno .
La donna è una militante di Forza Nuova, ed è stata condannata a pagare 9.000 euro di multa per aver indossato una maglia con un riferimento antisemita durante il corteo di Predappio per ricordare la marcia su Roma, lo scorso 28 ottobre.
La maglietta rappresentata una caricatura del simbolo di Disneyland, sostituito con la scritta “Auschwitzland”.
La foto della Ticchi era diventata virale sui social, facendo montare una lunga serie di polemiche.
(da agenzie)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
IL SILENZIO DELLA FARNESINA HA SENSO SE SI HA UN PISTA CREDIBILE, SE INVECE NON SI CAVA UN RAGNO DAL BUCO IL GOVERNO HA IL DOVERE DI INFORMARE L’OPINIONE PUBBLICA, NON DI NASCONDERE LA PROPRIA INEFFICIENZA
Cento giorni dal sequestro. Il 20 novembre 2018 Silvia Romano è stata rapita in Kenya nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi.
Giorni in cui si sono alternate speranze, delusioni, silenzi e proclami che celavano una qualche certezza. Sembrava configurarsi come un rapimento lampo per la natura della banda composta da criminali comuni, almeno così la pensavano le autorità di polizia del Kenya.
E invece si sta rivelando qualcosa di più. La polizia ha parlato l’ultima volta il 21 gennaio, spiegando di essere certa che Silvia fosse ancora in Kenya, dunque sarebbe ancora nascosta nella boscaglia del Tana River con la complicità della popolazione locale.
Domande senza risposta
Tre sono le domande che inquietano: in Kenya si sta indagando? I criminali che l’hanno rapita hanno chiesto un riscatto? In Kenya si sta trattando per la liberazione della cooperante italiana?
Le risposte possono essere date solo dalla polizia del Kenya e dalle autorità italiane. Entrambe, però, tacciono.
I rumors di Nairobi, sempre più chiassosi, raccontano di inquirenti che non sanno bene cosa fare e dove cercare.
Il ruolo dei clan
L’area dove Silvia sarebbe stata nascosta, 40 mila chilometri quadrati della valle del fiume Tana, è abitata da pastori e contadini, la polizia ha contato sulla collaborazione dei clan familiari che, evidentemente, hanno deciso di non rompere il silenzio, di non fornire informazioni che, con molta probabilità , sono in loro possesso.
Clan familiari che, di fatto, governano quell’area e dove la polizia è vista come ostile. Rompere l’omertà che circonda i clan sarebbe distruttivo per i clan stessi.
L’impegno della polizia
Sempre il 21 gennaio scorso il comandante della polizia della regione costiera, Marcus Ochola, aveva anche evidenziato elementi di criticità nelle ricerche. In primo luogo le condizioni climatiche e la morfologia dell’area del Tana River che non avrebbero favorito le ricerche.
Non ci si può non chiedere cosa stia facendo la polizia e se stia facendo qualcosa di realmente concreto per la liberazione di Silvia Romano.
Si sa che le ricerche continuano e che nel centro operativo di Garsen (città sulle rive del fiume Tana) sono presenti anche i carabinieri del Ros e i servizi segreti italiani
La strategia del silenzio
Ma tutti reclamano silenzio e riserbo. Lo chiede la famiglia. Nel rispettare questa volontà non sono state organizzate manifestazioni o fiaccolate per chiedere la liberazione della cooperante italiana.
È stato rispettato, e giustamente, il sentimento di dolore della famiglia. Silenzio e riserbo raccomandati anche dal nostro ministero degli Esteri. Silenzio visto come strategia. Ma sarà la strategia giusta?
O il rischio è quello di confinare nell’oblio una ragazza che è andata in Kenya con il sogno di essere utile a una popolazione che ha poco o nulla?
Silvia Romano non può essere stata inghiottita dalla boscaglia del Tana River. Pensiamo che qualche risposta le autorità keniane e italiane la debbano dare.
Non solo Silvia
Come di Silvia, non si sa nulla del missionario Luigi Maccalli rapito in Niger il 17 settembre 2018, quattro mesi fa.
Non si conosce, nemmeno, la sorte di Luca Tacchetto e della sua amica canadese Edith Blais, scomparsi in Burkina Faso. Di loro non si sa più nulla dal 16 dicembre 2018, due mesi fa, non si sa nemmeno se siano stati rapiti. Fino ad ora nessuno ne ha rivendicato il sequestro. Sui nostri connazionali rapiti in Africa è calato il silenzio, ma non vorremmo che si trasformasse in oblio.
(da “La Stampa“)
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Febbraio 28th, 2019 Riccardo Fucile
SECONDO L’ISTAT IL CARRELLO DELLA SPESA RINCARA DEL 2,1%, UN AGGRAVIO DI 400 EURO EURO A FAMIGLIA SU BASE ANNUA… E’ IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO O NO?
Chiamatelo, se volete, l’effetto del caro zucchina: netta accelerazione del prezzo del carrello della spesa a febbraio.
I beni alimentari, per la cura della casa e della persona, segnala l’Istat, passano da +0,6% a +2,1% e i prodotti ad alta frequenza d’acquisto da +0,8% a +1,7% (entrambi si portano al di sopra dell’inflazione generale).
«A febbraio per le famiglie i prezzi dei beni a elevata frequenza di acquisto sono cresciuti in misura significativamente più elevata del paniere nel suo complesso (a causa soprattutto dei vegetali freschi)», sottolinea l’istituto di statistica.
A pesare sono soprattutto i vegetali freschi, che costano il 18,5% in più rispetto allo scorso anno, in un mese segnato dal maltempo.
A dare il senso dell’aumento del caro prezzi è il Codacons: «Siamo in presenza di un tasso d’inflazione fortemente oscillante, che rispecchia l’incertezza che sta caratterizzando negli ultimi mesi l’economia italiana. Occorrerà attendere le prossime settimane per capire l’andamento reale dei prezzi al dettaglio nel nostro paese, e verificare se i listini usciranno dalla fase di debolezza registrata a inizio anno».
«Considerando i dati ufficiali Istat sulla spesa annua delle famiglie per i consumi, una inflazione all’1,1% determina un aggravio di spesa pari a +338 euro su base annua per la famiglia «tipo», spesa che sale a più 429 euro annui se si considera un nucleo con due figli – spiega il Codacons – Ad incidere sull’aumento di spesa sono in particolare i beni alimentari, che a febbraio registrano una crescita del +2,1%, con un maggiore esborso che raggiunge i più 155 euro annui per una famiglia con due figli».
(da agenzie)
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