Marzo 30th, 2019 Riccardo Fucile
CI RIVEDIAMO MARTEDI 9 APRILE
Dopo altri sette mesi senza sosta (siamo uno dei pochi blog che aggiorna le notizie anche sabato e domenica) è il momento di prenderci una prima pausa , certi di ritrovarvi tra dieci giorni .
Un grazie alle centinaia di amici, comunque la pensino, che ogni giorno visitano il nostro sito, anche dall’estero, gratificandoci del loro interesse.
Essere da 12 anni tra i primi blog di area in Italia, considerando che siamo notoriamente “scomodi” al potere gialloverde, è un risultato che premia la nostra coerenza e la nostra indipendenza, ma soprattutto testimonia che non siete in pochi a pensarla come noi.
Orgogliosi di rappresentare una destra diversa, popolare, sociale, nazionale, antirazzista, solidale, legalitaria, attenta ai diritti civili.
Un abbraccio a tutti e a presto.
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI SPUTTANATO DALLA UE: “LA LIBIA NON E’ MAI STATO E NON E’ UN PORTO SICURO, NON RISPONDE AI REQUISITI FISSATI DALLA CONVENZIONE ONU”… LA ZONA SAR I LIBICI SE LA SONO AUTO-ATTRIBUITA, I LAGER LIBICI IN MANO A CRIMINALI COLLUSI CON IL GOVERNO
La Libia non è mai stato un “porto sicuro”.
È direttamente la Commissione europea a smentire, e a smontare, il nuovo “piano” di Matteo Salvini che sta ridisegnando, aggiornandola, la Direttiva sulle frontiere marittime.
Secondo il Viminale la presenza dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) garantirebbe, di fatto, il rispetto dei diritti degli immigrati “e, nel contempo, salvataggi più rapidi”.
Niente di più errato secondo la Commissione Ue che non considera, e non ha mai considerato, i porti libici come “sicuri”.
Non a caso nessuna nave battente bandiera europea può sbarcare a Tripoli, Homs o al-Zawiya, tanto per citare i porti elencati dal Viminale.
Questa la tesi sostenuta dalla portavoce dell’esecutivo Ue che si occupa del dossier migranti, Natasha Bertaud, che ha ribadito, ancora una volta, che “per quanto riguarda i porti di sbarco” c’è “una definizione della Convenzione Onu sul diritti del mare” che definisce come “sicuro” un porto “dove possono effettuarsi le operazioni di salvataggio e dove la vita delle persone salvate non è minacciata”.
“La Commissione europea”, ha aggiunto la portavoce, “ha sempre sostenuto che queste condizioni non sono rispettate nei porti libici”.
Sul tema è intervenuta anche Mediterranea Saving Humans, la rete elle associazioni italiane che con Nave Mare Jonio si alterna nel Mediterraneo con le Ong Open Arms e Sea Watch.
“Gli schiamazzi del Viminale sulla Libia raccontano la difficoltà del governo nel continuare a giustificare le sue politiche illegali e disumane. Ancora una volta, la verità viene distorta in nome della propaganda politica calpestando i valori del rispetto della vita umana e della sua dignità ”, spiegano da Mediterranea.
Le zone SAR, come spiegano gli attivisti al ministro Salvini, funzionano per “autoattribuzione degli Stati” che le comunicano all’Organizzazione marittima internazionale (IMO).
Da qui, sottolineano, il paradosso di un Paese dal quale le ambasciate europee ordinano ai propri cittadini di allontanarsi per l’alta pericolosità , che però gestisce 80 miglia di mare coordinando gli interventi sulle barche in difficoltà , pur non avendo alcun porto sicuro dove riportare i naufraghi.
In fondo, basta leggere il rapporto dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani sugli “indicibili orrori” che avvengono nei campi di concentramento libici. E, soprattutto, guardare le immagini che arrivano da quello che per Salvini è un “porto sicuro”.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
INTESA VICINA CON MDP, ZINGARETTI TESSE LA TELA
Oggi Nicola Zingaretti ha avuto non pochi motivi per essere di buon umore.
Il suo Partito democratico sta piano piano riconquistando un ruolo centrale in Italia e in Europa, in vista delle elezioni del 26 maggio.
Lo ha certificato stamattina l’arrivo del sondaggio mensile commissionato dal Parlamento di Strasburgo, con un 20,6% assegnato ai dem (+3,7 rispetto a febbraio), che li proietta non solo a un’incollatura dal M5S in Italia, ma anche a parità di seggi (18) con la Spd tedesca e in grado di competere con i socialisti spagnoli (attualmente quotati a 19) per mantenere lo scettro di prima delegazione all’interno del gruppo dei S&D anche nella prossima legislatura. Certo, rimarrebbero comunque ben lontani dai 31 eurodeputati uscenti, ma in tempi di magra come questi ogni segnale positivo è ben accetto.
C’è da considerare inoltre che in quel 20,6% non sono comprese le quote che potrebbero portare in dote il Psi di Riccardo Nencini e Mdp di Roberto Speranza.
I primi hanno aperto oggi il loro congresso, che si concluderà domenica con l’elezione del segretario. In corsa ci sono Enzo Maraio (sostenuto da Nencini) e l’outsider Luigi Iorio, con il primo che sostiene un asse con Mdp (e quindi anche con il Pd alle europee) e il secondo che guarda invece a +Europa.
Ma oggi si è riunito soprattutto il coordinamento nazionale di Mdp, che ha dato mandato a Speranza per “verificare le condizioni di un’intesa per una lista che tenga assieme tutte le forze che si riconoscono nella famiglia del socialismo europeo per le prossime elezioni del 26 maggio”. È, in pratica, il riconoscimento della ricerca di un accordo con il Pd per provare ad avere dentro le liste dem almeno un candidato per circoscrizione sul quale far confluire i propri voti. La trattativa, già iniziata nelle scorse settimane, proseguirà tra lunedì e martedì, con un incontro — stavolta ufficiale — tra Speranza e Zingaretti.
Il segretario dem preferirebbe che Mdp suggerisse dei nomi di personalità di area, non di politici veri e propri. Una ipotesi che circola con insistenza è quella dell’ex segretario della Cgil, Susanna Camusso. Ma Speranza proverà a far passare anche i due uscenti che vanno a caccia di una (difficilissima) riconferma, Antonio Panzeri e Massimo Paolucci.
La partita delle preferenze sarebbe comunque proibitiva per loro, ma quello che Mdp chiede è il riconoscimento di una soggettività propria dentro le liste dem. Una ipotesi che finora al Nazareno viene respinta con forza, anche per evitare le contestazioni da parte della minoranza giachettiana, che non vuole avere a che fare con “chi ha fatto la guerra al Pd e ai governi dem”.
Intanto, domani Zingaretti presenterà insieme a Gentiloni e Calenda il simbolo che sarà stampato sulle schede elettorali: il logo del Pd sarà affiancato dai richiami sia al movimento “Siamo Europei” dell’ex Ministro dello Sviluppo, sia soprattutto ai Socialisti e Democratici, come unica lista che vedrà approdare i propri eletti in quel gruppo a Strasburgo. Era una delle richieste dei possibili alleati, forse la più semplice da soddisfare.
Se il socialismo europeo rimane il riferimento imprescindibile, Zingaretti non abbandona la costruzione di una rete di relazioni che vada al di là di quei confini. Come certificato anche dal sondaggio di Eurobarometro, l’alleanza tra S&D, Ppe e Alde (con l’eventuale aggiunta dei Verdi) rimane l’unica
ancora in grado di ottenere una maggioranza, a discapito delle forze nazionaliste e populiste. E il leader del Pd vuole presentarsi come possibile protagonista di quell’asse.
Oggi ha avuto il primo incontro, seppure fugace, con Angela Merkel: un rapido saluto e le congratulazioni della Cancelliera per la vittoria alle primarie, a margine della cerimonia di consegna della Lampada della Pace al re Abdallah II di Giordania ad Assisi.
Più solido è già il rapporto con il partito del Presidente francese Emmanuel Macron, per mezzo del suo delegato Stanislas Guerini. Ieri i due si sono sentiti per “parlare della loro visione dell’Ue — riferiscono all’Ansa fonti di En Marche — per vedere quali sono i punti di contatto che possono esserci, i problemi sui quali possono ritrovarsi per far avanzare l’Europa e trasformarla profondamente”.
Ma soprattutto, da una parte e dell’altra non si mette in discussione la necessità di un asse europeista, che comprenda anche i Popolari, “per unire le forze di fronte al pericolo che incombe”. E il pericolo, in Italia come in Francia, ha nomi e volti ben definiti: Matteo Salvini e Marine Le Pen.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
OSPITI I FEDELI DI PUTIN E GLI AMICI DI ORBAN
Antiabortisti, membri di organizzazioni che combattono i diritti Lgbt e attivisti pro-life arrivano da Europa, America, Africa e Oceania per partecipare al Congresso Mondiale della Famiglia, a Verona. Ma la discussione sulla difesa di quella che gli organizzatori definiscono “la famiglia naturale o tradizionale” non sarà il solo collegamento tra chi prenderà parte all’evento, compresi anche gli esponenti del governo italiano come il vicepremier Matteo Salvini, il ministro per la Famiglia e la Disabilità , Lorenzo Fontana, e quello dell’Istruzione, Marco Bussetti.
Tra membri della cultura, dello sport, della politica, dell’associazionismo, ci saranno anche rappresentanti di governi stranieri che non nascondono la collaborazione con il Carroccio.
La “famiglia naturale” non è solo una battaglia di principio, ma un punto d’incontro per creare alleanze politiche che avvicinano la Lega alla Russia di Putin e a Budapest, capitale del sovranismo europeo.
Primo e più importante anello che lega Roma a Mosca è Alexey Komov, presidente onorario di quell’associazione Lombardia-Russia che è di fatto un canale di collegamento diretto tra i membri del Carroccio e il Cremlino. Komov è anche membro della Fondazione San Basilio Magno, la più ricca di Russia con un budget di oltre 40 milioni di dollari, finanziata da Konstantin Malofeev, oligarca legato a doppio filo a Vladimir Putin e, secondo il Dipartimento del Tesoro americano, “uno dei principali finanziatori dei gruppi separatisti ucraini”.
Se Russia Unita è da anni fonte d’ispirazione per la Lega in diversi campi, la presenza di Komov, già ospitato in precedenti congressi del Carroccio, e di numerosi rappresentanti del partito di governo italiano suggerisce che questa sintonia si ritrovi anche sul tema della famiglia.
In un’intervista a Il Giornale del 2016, il relatore russo, che è anche membro del consiglio d’amministrazione di CitizenGo, gruppo internazionale che organizza campagne come quella che indicava l’aborto come prima causa di femminicidio nel mondo, ha espresso le sue idee in fatto di famiglia e diritti Lgbt, non nascondendo il suo sostegno per il modo in cui certi temi vengono affrontati in patria da Vladimir Putin, sotto la cui presidenza è stata approvata la legge che vieta la “propaganda omosessuale” poi dichiarata “discriminatoria e contro la libertà d’espressione” dalla Corte europea dei diritti umani.
Nel rispondere alle domande del quotidiano, Komov si dichiarava contrario a riconoscere “la stessa dignità a ogni tipo di orientamento sessuale. Ricordiamoci che adozioni gay, utero in affitto, gender nelle scuole, sono elementi di una grande rivoluzione antropologica che mira a distruggere l’identità più profonda dell’essere umano e a trasformarlo in un ente indistinto alla mercè dei grandi potentati che dominano il mondo”.
L’altro fedelissimo di Mosca presente al congresso arriva da ChiÈ™inău, capitale della Moldavia, ed è il Presidente della Repubblica Igor Dodon.
Anche lui fedelissimo di Vladimir Putin, tanto da dichiarare la Crimea territorio russo, nonostante il Paese non abbia mai riconosciuto ufficialmente questa sua posizione, pochi giorni dopo la sua elezione, nel dicembre 2016, ha fatto rimuovere la bandiera dell’Ue dal palazzo presidenziale e avviato una manovra di avvicinamento per tentare l’entrata nell’Unione Economica Euroasiatica.
In Moldavia, non a caso, l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti della comunità Lgbt non si discosta molto da quello russo. Durante il Pride 2017, la polizia ha interrotto la marcia con la scusa di non poter garantire la sicurezza dei partecipanti in caso di attacchi da parte di contromanifestanti. Ma l’evento era stato criticato proprio dal presidente che lo ha definito contrario ai “valori tradizionali” del Paese.
Sempre dalla Russia arriva poi Dmitri Smirnov, arciprete della Chiesa ortodossa che in patria è diventato una vera star propinando messaggi ultraconservatori e radicali riguardo ai diritti Lgbt. In questo caso, però, nessun contatto diretto con il Cremlino. Smirnov paragona “l’omosessualismo”, termine utilizzato con accezione negativa, all’abuso di droghe, alcool e all’omicidio.
In un’intervista a un giornale russo ha dichiarato che uomo e donna non sono uguali, con i primi che godrebbero di “un’intelligenza superiore”.
Ha poi definito l’aborto “un innaturale massacro” e dichiarato che “uccidere il proprio figlio è molto brutto. Dopo che le tue braccia saranno macchiate di sangue fino ai gomiti, e che tra i tuoi piedi sarà passato il sangue dei tuoi figli assassinati, non puoi sperare di trovare la felicità . Una persona non può trovare la felicità se è l’assassino dei propri figli. Questi cannibali devono essere cancellati dalla faccia della Terra”.
Nel 2017 fu l’Ungheria a ospitare il Congresso Mondiale della Famiglia, con il premier Viktor Orbà¡n che per questo attirò le critiche dell’opposizione.
Le proteste sono tornate a farsi sentire anche un anno dopo, quando il governo ungherese, insieme a quello polacco, si è opposto a una risoluzione del Consiglio Ue che inseriva tra le categorie da proteggere gli Lgbt.
Una delegazione dell’esecutivo di Budapest, modello di governo sovranista anche per Matteo Salvini che avrebbe tanto voluto accoglierlo nella coalizione che a maggio sfiderà le storiche famiglie politiche europee, sarà comunque presente anche all’edizione veronese.
Tra i relatori ci saranno Atilla Beneda e Katalin Novà¡k, rispettivamente viceministro e ministro per la Famiglia. Novà¡k, in realtà , si era conquistata la nomea di faccia pulita del partito anche all’interno della comunità Lgbt magiara.
Poi la sua posizione è cambiata, allineandosi a quella del partito. Novà¡k ha dichiarato che la famiglia tradizionale è una base fondamentale, formata da una donna e un uomo e che non si deve avere timore di affermarlo: “Alcuni stanno combattendo per i diritti di una piccola minoranza e dimenticano la maggioranza. Non dovremmo dimenticare la maggioranza, dovremmo difendere i loro valori e dichiarare che un uomo e una donna sono necessari per una famiglia e un uomo e una donna sono sufficienti per una famiglia”.
Non solo Europa, però.
A mostrare il proprio sostegno alla “famiglia naturale” sono arrivati rappresentanti di altri tre continenti. È folta la rappresentanza dei membri di CitizenGo. Oltre a Komov, interverranno anche il presidente, Ignacio Arsuaga, spagnolo e antiabortista convinto che nel 2017 lanciò una campagna transfobica portando in giro per Madrid un bus con su scritto: “I bambini hanno il pene, le bambine la vagina, non farti ingannare. Se nasci uomo sei un uomo, se nasci donna lo continuerai a essere”.
A Verona arriveranno anche altri membri di CitizenGo, come lo statunitense Brian Brown che è anche Presidente dell’Organizzazione Internazionale per la Famiglia che organizza il congresso. Nel suo curriculum vanta battaglie contro i diritti di trans e omosessuali, sostenendo che l’omosessualità sia
degradante per l’essere umano e contro natura. Ha difeso i commercianti che si sono rifiutati di servire i gay e sostiene che l’omosessualità sia curabile.
Ma il gruppo degli americani non finisce qui.
Ci saranno anche Christine de Marcellus Vollmer, fondatrice di Alleanza per la Famiglia, preoccupata dal fatto che “il Pontificato di Francesco sia stato dirottato dalla lobby gay così discussa di recente e che sia manipolato da prelati omosessuali”.
Si è anche detta convinta che “il fumo di Satana si è infiltrato nella Chiesa”.
Ci sarà John Eastman, professore di diritto e servizio comunitario presso la scuola di legge Fowler della Chapman University, che ha definito aborto e omosessualità “le due forme di barbarie del XX secolo”. E infine il Pastore Jim Garlow, convinto che le cliniche dove si praticano aborti saranno visitate in futuro come i campi di concentramento e che Satana sta usando l’omosessualità per distruggere l’immagine di Dio sulla Terra. Schierandosi contro le adozioni per persone dello stesso sesso, ha paragonato i figli di coppie omosessuali agli orfani dell’11 settembre.
Dall’Africa arrivano rappresentanti come la nigeriana Theresa Okafor, contraria all’uso dei contraccettivi in uno dei Paesi primi al mondo per tasso di natalità e numero di persone affette da Hiv, e il ministro ombra per lo Sviluppo Sociale dell’Uganda, Lucy Akello, antiabortista e accusata di essere una sostenitrice della cosiddetta “Kill the gays bill”, legge bocciata dalla Corte Costituzionale nel 2014 che prevedeva dieci anni di carcere per chi diffondeva messaggi a sostegno dei diritti Lgbt e fino alla pena di morte, poi ridotta all’ergastolo, per chi compie atti omosessuali.
Alcuni relatori arrivano addirittura dall’Australia. Fra questi spicca Damian Wyld, direttore dell’Australian Family Coalition, organizzazione che ha fatto parlare di sè per aver prodotto una pubblicità con un cappio arcobaleno avvolto intorno al collo di una ragazza. Il messaggio che voleva lanciare era molto chiaro: il matrimonio tra persone dello stesso sesso aumenterà il numero di suicidi tra le persone che sono contrarie, visto che saranno vittime di bullismo per le loro opinioni.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
IRRITAZIONE DEL M5S, SUI SOCIAL: “DIMETTITI”
Sul Congresso della Famiglia i vertici si erano spesi in modo perentorio: i temi discussi a Verona non fanno parte dell’agenda del Movimento 5 Stelle e non faranno parte di quella del Governo.
Dal vicepremier Luigi Di Maio al sottosegretario Vincenzo Spadafora, nei giorni precedenti alla kermesse le dichiarazioni pubbliche dei grillini hanno dato luogo a un crescendo di lettere, marcate prese di distanza e critiche.
Non poteva quindi che fare scalpore l’apparizione sul palco del 13esimo Congresso mondiale della Famiglia di Tiziana Drago, senatrice M5S, in chiara contrapposizione con il Movimento e in violazione di un esplicito divieto di adesione alla kermesse, lanciato da Di Maio lo scorso 18 marzo: “Se qualcuno di voi pensa che la donna debba restarsene a casa a farsi dire quello che deve fare, allora il MoVimento 5 Stelle non è per voi. Io a un convegno come quello di Verona non ci vado. E non ci andrà nessun parlamentare del MoVimento!”, tuonava su Facebook.
E invece: “Ho ricevuto l’invito tempo fa – ha detto, accolta da un applauso – e ci ho pensato. Auspico che su questi temi ci sia un dialogo. Non è stato facile venire qui e voglio dire che è stata una scelta personale”, ha ammesso Drago.
“Il M5s non è una realtà politica legata solo alle dichiarazioni di questi giorni, ci sono anche senatori e deputati che hanno apertura verso la famiglia tradizionale. Bisogna tutelare i diritti di tutti, e quelli dei bambini vanno al primo posto”, ha poi continuato la senatrice. Dopo le sconfitte elettorali degli ultimi mesi, Di Maio ha annunciato un cambio di linea, o meglio di stile politico, fino ad oggi troppo sulla difensiva rispetto a quello arrembante del collega leghista Matteo Salvini, che gli ha garantito una discreta incetta di consensi. Di qui la scelta di marcare in modo più netto e aggressivo le distanze dal suo alleato di governo, ritrovando una compattezza su tutte le questioni politiche: non solo Tav e legge sulle armi, ma pure sulle questioni che interessano i diritti civili, come la concessione della cittadinanza a Ramy, il bimbo-eroe di San Donato Milanese. O come, appunto, i temi sollevati al Congresso di Verona.
Le reazioni pubbliche alla presenza della Drago sul palco sono state poche, e misurate.
“Conosco la senatrice Drago che appartiene al mio collegio, naturalmente ognuno di noi è libero di aderire alle manifestazioni che ritiene più opportune”, ha detto la ministra della Salute Giulia Grillo in una difesa più di facciata.
“Non si tratta di difendere la Famiglia, tutti quanti ovviamente abbiamo un sentimento di amore verso la nostra famiglia – ha proseguito il ministro – Mi auguro che non condivida i toni che possono utilizzati da alcuni relatori nei confronti degli omosessuali o delle unioni civili. Bisogna stare attenti a non discriminare, a non ghettizzare e non creare stereotipi che negli anni si è cercato di abbattere perchè è un progresso per tutti e non un’involuzione”, ha concluso la ministra che aveva definito poco prima la manifestazione di “estrema destra”.
A chi le ha chiesto se il M5S prenderà provvedimenti per la sua partecipazione, ha risposto “non credo”. Eppure trapelano nervosismo e forte disappunto per la presenza di Drago sul palco di Verona, che sui social, nei commenti degli attivisti, si trasformano in collera, con esplicite richieste di punizioni: “Vergogna”, “va subito espulsa”. Alcuni si sono detti “disgustati” prendendo di mira la sua
pagina facebook.
“Bisogna tutelare il diritto delle donne ad abortire iniziando con il buttare fuori gli obiettori dagli ospedali. Sono disgustata dalla sua partecipazione”, scrive Alessandra.
Tiziano chiede l’espulsione immediata della senatrice siciliana: “Vattene con i tuoi amici leghisti e fascisti, spero che ti buttino fuori dal movimento subito”.
Anche Enzo vede nella partecipazione della senatrice grillina un doppio fine: “Passa alla Lega? Persone come lei ci mancavano proprio in Italia…”.
Scrive invece Roberta: “Io non riesco a credere che abbia potuto fare una cosa simile giustificando la sua presenza quale iniziativa personale. Come si permette? Sarebbe anche una mia portavoce ed io non sono affatto d’accordo! Vergogna!”.
In sintesi, la presenza di Drago ha rischiato di rompere il fronte compatto dei 5 Stelle rispetto alla Lega, che ha messo sul congresso il suo cappello politico, con la partecipazione tra gli altri di tre ministri dell’esecutivo, incluso il vicepremier Salvini.
Sabato mattina Di Maio parteciperà , insieme al sottosegretario con delega alle Pari opportunità Spadafora, ad un evento con i giovani per parlare di diritti e di futuro.
Proprio mentre Salvini è atteso a Verona e mentre per le strade della città ci sarà il clou delle proteste guidato dal corteo anti-congresso. Il vicepremier M5s nei giorni scorsi è stato ‘tranchant’ nel dire che così la Lega volge lo sguardo al Medioevo, mentre “noi vogliamo guardare avanti”. Ha quindi il sapore della beffa il comunicato di ringraziamento degli organizzatori ai partecipanti alla prima giornata: “Grazie a tutti, in particolare a Tiziana Drago”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
SMONTA L’INTENZIONE DI LEGA E M5S DI TRASFORMARE LA COMMISSIONE IN UN TRIBUNALE DEL POPOLO
La firma era inevitabile, perchè Mattarella non poteva fare altrimenti. Se non avesse dato il via libera alla legge per istituire la commissione banche, rispedendola alle Camere, sarebbe accaduta una cosa molto semplice: che le Camere l’avrebbero rispedita a Mattarella, riapprovandola tale e quale, in un clima di conflitto istituzionale, polemiche e argomentazioni perfette per i comizi elettorali col capo dello Stato esposto alla pubblica gogna perchè “non vuole che si faccia chiarezza su chi ha truffato i risparmiatori”.
Funziona così, di questi tempi in cui le istituzioni vengono vissute come facili bersagli, non come luoghi di garanzia per tutti.
Però, e non è un dettaglio, anzi questa è la notizia, mai si era vista, in questo mite e prudente settennato, una promulgazione di una legge accompagnata da una lettera che, di fatto, la demolisce rispetto alle intenzioni con cui era stata approvata.
Proprio così, la demolisce, in modo severo e puntiglioso, con lo spirito del rigoroso giurista che spiega a una banda di ragazzini che a giocare col fuoco ci si fa male, e si rischia di far male al paese, proprio in un momento delicato, in cui tutti gli indicatori economici ripropongono il tema del “rischio Italia”. Ed è cruciale la tutela della reputazione delle istituzioni più importanti del paese, a partire da Bankitalia e Consob, la salvaguardia della loro di autorevolezza interna e internazionale e credibilità per i mercati.
Leggiamo solo titoli
Punto 1: “No al controllo del credito”. Punto 2: “Condizionare le banche sarebbe fuori dalla Carta”. Punto 3: “Bankitalia e Bce sono indipendenti dai governi”. Punto 4: “Commissione non si sovrapponga a Consob”. Punto 6: “Commissione non interferisca con Giustizia”. Punto 7: “I presidenti delle Camere vigileranno”.
Nel linguaggio del Quirinale siamo di fronte a considerazioni dure e asciutte che delimitano ambiti e perimetro d’azione della commissione. Certo affidato a richiamo politico, perchè il testo resta quello. Però non è affatto poca cosa.
E rivelano, innanzitutto, la volontà di mettere in luce tutta la miseria propagandistica di una operazione concepita non per amor di verità , ma come una clava, con lo spirito di chi si predispone interrogare imputati già considerati colpevoli, che devono solo rivelare i nomi di complici politici e mandanti delle truffe ai risparmiatori.
Solo che questi presunti colpevoli sono istituzioni vitali per il sistema creditizio, la cui destabilizzazione potrebbe creare crisi finanziarie. E la tutela del risparmio rientra tra quei valori costituzionali di cui il capo dello Stato è garante.
Per come è scritta, la legge in questione ha poteri così estesi e un campo di indagine così vasto, da poter creare conflitti con tutti, siano organi dello Stato come la magistratura sia autorità europee di Vigilanza. Ecco, proprio questa brusca delimitazione degli ambiti è l’oggetto della disamina presidenziale che mette in luce tutto il pericoloso mix di incompetenza sul merito e azzardo politico, insito nell’operazione, proprio alla vigilia della campagna elettorale. Perchè, parliamoci chiaro, le intenzioni su cui è stata approvata la legge, erano di ripartire da dove aveva finito il Pd di Renzi nella scorsa
legislatura, o meglio da dove non era riuscito il Pd. Ovvero dal “grande processo” a Bankitalia.
Colpisce lo stile di Mattarella stavolta. Dietro il glaciale distacco presidenziale si avverte una sottile forma di sdegno verso chi non sa, fa finta di non sapere, e gioca a trasformare il parlamento in un tribunale che popolo che fa processi sommari.
Leggete i passaggi che iniziano con un “ricordo che”, ad esempio, nè le banche centrali nè, tantomeno, la Banca centrale europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri. O il passaggio in cui viene ricordata la riservatezza dei dati agli agit prop dell’invidia sociale.
Diciamo le cose come stanno. Altre volte la formula della lettera di accompagnamento aveva rappresentato un “warning giuridico”, come nel caso del decreto sicurezza.
Questa volta il warning è soprattutto politico. E chiama in causa, i presidenti di Camera e Senato, cui spetta il controllo sulla corretta attività della Commissione d’inchiesta che, secondo le intenzioni, durerà tutta la legislatura.
Esperienza del vecchio cronista suggerisce che, in questi casi, se c’è stata una promulgazione dopo un incontro, qualche rassicurazione c’è già stata. Sia come sia, se a qualcuno verrà la brillante idea di esondare dagli ambiti elencati, spetterà innanzitutto a Fico e Casellati alzare la cornetta e ricordare ciò che si può fare e ciò che non si può fare.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
DIMISSIONI IN BLOCCO DELLA MINORANZA E DI TRE CONSIGLIERI DELLA LEGA: “CLIMA MAFIOSO”
Fino a ieri era una vicenda tutta politica, con una giunta guidata dal centrodestra sfiduciata da più della metà del consiglio comunale, una lunga polemica su nomine e rimpasti, il prefetto incaricato di dirimere la questione.
Ma la caduta della giunta di Legnano, comune alle porte di Milano, assume adesso altre sfumature, che virano al nero: perchè ieri pomeriggio i due consiglieri comunali della Lega che si sono dimessi con tutta la minoranza – Antonio Guarnieri e Federica Farina, marito e moglie – hanno trovato morto il loro cane, sotto una siepe a pochi passi dalla loro abitazione.
“Non sono un complottista, ma la contestualità delle due vicende, le nostre dimissioni e la morte del nostro cane, mi lascia molti dubbi. Per questo ho avvisato i carabinieri e chiesto un’autopsia sul cane”.
E’ una storia intricata, quella di Legnano.
Con il sindaco sfiduciato, Gianbattista Fratus, eletto in quota Lega nel 2017, che adesso attacca: “La macchina del fango viene messa in moto quando ancora non si conoscono causa, dinamica ed eventuali responsabilità che hanno determinato il decesso dell’animale, la città di Legnano è stata dipinta come afflitta da un clima mafioso: difenderemo la reputazione della città e ci riserviamo di tutelare presso le autorità competenti il nostro buon nome”.
Le parole di Fratus si riferiscono a due diversi comunicati.
Il primo, della segreteraria metropolitana del Pd Silvia Roggiani, attacca: “Siamo venuti a conoscenza di un brutto atto intimidatorio verificatosi a Legano, che temiamo possa essere legato alla crisi politica che sta investendo la giunta fratus. Esprimiamo netta condanna per l’accaduto, solidarietà alla persona raggiunta dalla minaccia e continuiamo a chiedere un intervento delle autorità competenti perchè venga sciolto il Consiglio comunale”.
L’altro del Movimento 5 Stelle, il cui unico consigliere comunale si è dimesso con gli altri colleghi di minoranza mercoledì: “Non è tollerabile che Legnano vada verso il voto europeo in un clima mafioso, il ministro dell’Interno Salvini intervenga per far sciogliere il consiglio comunale e far nominare rapidamente un commissario”.
Il nodo politico della vicenda è proprio questo.
Da mesi a Legnano c’è un duro scontro all’interno del consiglio comunale e della stessa maggioranza per una serie di decisioni di Fratus che – dice adesso Guarnieri – “non sono mai state condivise con la maggioranza”.
L’ultima in ordine di tempo è la nomina ad assessore ai Lavori pubblici di Chiara Lazzarini, già presidente della società partecipata Amga Spa e coinvolta in vicende giudiziarie relative alla sua gestione della stessa società .
Una nomina mal digerita, a detta dei consiglieri leghisti dissidenti, anche da parte della maggioranza proprio per questioni di opportunità politica. Il 19 marzo scorso la minoranza ha presentato una mozione di sfiducia contro Lazzarini, mozione che la maggioranza voleva fosse votata a scrutinio palese (per evitare franchi tiratori): ma il presidente del consiglio comunale Guarnieri impone il voto
segreto come da regolamento comunale, e così soltanto con l’abbandono dell’aula da parte del sindaco e della maggioranza si evita la sfiducia.
Si arriva in questo modo all’ultimo atto: il 25 si dimette ufficialmente per motivi personali il consigliere leghista Rolfi, due giorni dopo il presidente del consiglio comunale Guarnieri, la consigliera leghista Farina (sua moglie) e tutta la minoranza si dimettono.
In dodici lasciano, ma il sindaco prova a forzare la mano per la surroga dei consiglieri. Una situazione di scontro politico e amministrativo che, adesso, è nelle mani del prefetto che dovrà decidere se sciogliere o meno il consiglio comunale.
Ed è in questo clima che arriva la notizia – che altrimenti sarebbe rimasta come dolore privato – della morte improvvisa del cane degli ormai ex consiglieri Guarnieri e Farina. “Voglio capire cosa è accaduto: il cane era all’esterno del nostro giardino, sul corpo non aveva alcun segno che possa far pensare all’urto accidentale di un’auto. Ho consegnato ai carabinieri anche i filmati della telecamera di sorveglianza perimetrale: aspettiamo l’autopsia per sapere, ma di sicuro non c’è un bel clima”.
(da “La Repubblica”)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
ACCORDO RAGGIUNTO PER L’EUROPARLAMENTARE DI FORZA ITALIA
“La conferma me l’ha data Silvio Berlusconi al telefono. Adesso posso finalmente mettermi anche ufficialmente al lavoro per ridare al centrodestra la guida della Regione Piemonte. Con una motivazione in più. Essere il primo esponente della provincia di Cuneo a trent’anni di distanza da Aldo Viglione, chiamato a questa sfida”.
Alberto Cirio, albese, 46 anni, europarlamentare, già assessore regionale, sarà il candidato alla presidenza della Regione Piemonte per il centrodestra alle prossime elezioni del 26 maggio.
Lo conferma lui stesso, in assenza al momento di un comunicato ufficiale, senza tradire quella che pure deve essere un’emozione, dopo più di sei settimane di attesa.
Durante le quali ci sono stati anche momenti in cui sembrava che qualcosa, per lui, potesse “andare storto”. Soprattutto a causa di quel silenzio assordante del leader della Lega Matteo Salvini, dal quale si aspettava il via libera definitivo.
Perchè è vero che fin dall’autunno il patto fra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia voleva che fosse un esponente di F.I. il candidato alla presidenza del Piemonte. Ed è altrettanto vero che da subito Cirio è stato indicato come il nome più accreditato.
Ma dal momento in cui l’europarlamentare albese aveva dato ufficialmente la sua disponibilità a candidarsi, poche ore dopo aver avuto la sostanziale certezza che sarà archiviata la sua posizione nell’ambito dell’inchiesta Rimborsopoli bis, a metà febbraio, sono poi seguiti lunghi giorni in cui le voci sulla sua candidatura ufficiale hanno continuato ad alternarsi a quelle di “perplessità ” da parte del Carroccio.
Il capogruppo delle Lega a Montecitorio, il piemontese Riccardo Molinari, aveva manifestato stima, amicizia e apprezzamento per Cirio. Così come il senatore cuneese del Carroccio Giorgio Bergesio. Senza che però quelle dichiarazioni avessero sortito una scelta definitiva. Anzi proprio negli ultimi giorni anche i «sostenitori» di Cirio avevano scelto il riserbo più assoluto sulla vicenda.
L’incertezza pareva essere legata anche a una candidatura alternativa, mai ufficializzata, quella dell’imprenditore del settore agroalimentare e presidente della «Film Commission» Paolo Damilano, anch’egli di origini cuneesi, che sarebbe stato considerato proprio da ambienti vicini alla Lega più «visibile» di Cirio nel capoluogo regionale e nell’area metropolitana.
E neppure l’endorsement dell’ex parlamentare e viceministro di Fratelli d’Italia Guido Crosetto (“Ci vuole un uomo di esperienza per guidare una Regione” aveva detto a proposito del candidato alla presidenza, riferendosi evidentemente a Cirio) era servito a sbloccare la situazione. Pure se la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, altro elemento chiamato a decidere della candidatura, aveva ricordato che i patti assegnavano a Forza Italia la decisione e come «non ci fosse più tempo da perdere».
Poi la decisione sembrava fosse legata ai risultati elettorali in Basilicata. I festeggiamenti del centrodestra di lunedì avevano fatto pensare che in poche ore per il Piemonte il nome di Cirio sarebbe stato ufficializzato.
(da agenzie)
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Marzo 29th, 2019 Riccardo Fucile
DOPO LA TERZA BOCCIATURA, TUTTI GLI SCENARI POSSIBILI, DAL NO DEAL AL RINVIO
E ora che succede? Dopo la terza bocciatura dell’accordo di divorzio fra Londra e Bruxelles, si aprono diversi scenari, che vanno dal no deal ad una lunga estensione dell’articolo 50, fino alla possibilità di cancellare la Brexit.
La prossima scadenza importante è il 12 aprile. L’ultimo Consiglio Europeo ha stabilito che, in caso di nuova bocciatura del piano May, si potrà prendere in considerazione prima di quella data una nuova richiesta, motivata, di una lunga estensione dell’articolo 50, altrimenti la Gran Bretagna uscirà tra due settimane esatte.
Lunedì primo aprile il parlamento britannico si riunirà per una serie di voti indicativi su possibili alternative al piano May.
Se si riuscirà a trovare un accordo su una proposta, bisognerà vedere se il governo accetterà di sostenerla. In questo caso la May potrebbe chiedere un’estensione dell’articolo 50 per realizzare il nuovo progetto.
Se passerà l’idea di una soft Brexit, ovvero l’unione doganale caldeggiata dai laburisti, non è escluso che l’accordo di divorzio possa essere finalmente approvato, magari grazie ad una revisione in questo senso della dichiarazione politica che l’accompagna. In questa eventualità la Gran Bretagna lascerebbe l’Ue il 22 maggio nell’ambito di un accordo. E poi dovrebbe negoziare i termini dell’unione doganale durante il periodo di transizione.
Se nessuna proposta alternativa otterrà la maggioranza, oppure se il governo non vorrà appoggiare le decisioni della Camera dei Comuni, le strade sono due: uscita dall’Ue senza accordo il 12 aprile, oppure richiesta di una estensione lunga, nove mesi o un anno, il che comporterà la partecipazione alle elezioni europee di maggio.
Il governo di Londra dovrà motivare la richiesta di estensione perchè sia accettata dagli altri 27 paesi. Il rinvio potrebbe essere chiesto per tentare di negoziare un diverso accordo, votare un’ennesima volta sul piano May, convocare nuove elezioni oppure indire un secondo referendum. E alla fine potrebbe anche succedere che la Brexit venga revocata.
Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha intanto convocato un vertice straordinario per il 10 aprile. Se non giungerà nessuna richiesta da Londra, la Ue potrebbe decidere di tagliar corto e prepararsi al no deal, oppure – ipotizza il Guardian – lanciare un ultimo appello ai deputati britannici, offrendo un rinvio della Brexit a determinate condizioni che Westminster potrebbe decidere di mettere ai voti.
(da “La Stampa”)
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