Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
LO SCONCIO DEL TG2 LEGHISTA: LA MANIFESTAZIONE DI MILANO DIVENTA LA QUARTA NOTIZIA E SI CERCA DI MINIMIZZARLA … PER SKY, LA7 E RETEQUATTRO ERA LA PRIMA NOTIZIA
Si può dire “migliaia” o “250.000” e l’impatto decisamente cambia.
Come cambia il racconto che i tg del sabato sera hanno fatto della grande manifestazione “People, prima le persone” che ha invaso le strade di Milano fino al Duomo per tutto il pomeriggio.
I telegiornali della Rai sovranista si tengono bassi, la cattura del superlatitante Di Lauro guadagna con facilità le aperture di Tg1 e Tg2. Ma per iI telegiornale di Gennaro Sangiuliano prima di Milano passano i servizi sulla Tav e persino Trump.
E quando arriva il servizio sulla manifestazione antirazzista la partecipazione “imponente” resta sul vago, “migliaia”.
Anche il Tg1 apre con l’arresto di Di Lauro, poi dà conto del corteo del “popolo della sinistra”, “decine di migliaia”, mostra Martina, Zingaretti, Boldrini, Fratoianni, dà voce ad una manifestante che afferma che “senza gli stranieri l’Italia affonda”.
Prima pagina e 200.000 persone in marcia per i Tg Sky che hanno seguito in diretta per tutto il pomeriggio il corteo, apertura di giornale con un servizio ricco di interviste alla gente in piazza per il Tg 3 e apertura anche per il Tg 4 che definisce una “grande manifestazione” quella di Milano, la interpreta come la “protesta delle opposizioni contro il governo”, dà voce a Martina e Zingaretti.
Il sindaco Sala trova spazio quasi ovunque anche sul Tg5 che relega però il servizio a metà telegiornale dopo ben tre servizi sulla Tav, sullla manifestazione di Berlusconi e persino sulle primarie. Poi spazio alla “piazza Duomo gremita”.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
50% PIU’ UNO PER AVERE UN SEGRETARIO LEGITTIMATO E NON PRIGIONIERO DELLE CORRENTI
Sono due i dati che dovranno essere tenuti d’occhio domani sera a partire dalle 20, quando si chiuderanno i seggi delle primarie del Partito democratico.
Il primo è certamente quello dell’affluenza: sarà il termometro che misurerà lo stato di salute del Pd presso i suoi elettori, ma anche la forza che avrà il prossimo segretario per imporre le proprie scelte e non presentarsi sin dall’inizio come una ‘anatra zoppa’.
Il secondo, ovviamente, la percentuale del primo arrivato: se Nicola Zingaretti, il grande favorito, si attesterà saldamente sopra il 50%, potrà contare più facilmente su una luna di miele in grado eventualmente di superare anche i primi ostacoli che si potranno frapporre sul suo cammino, dalle regionali in Basilicata (il 24 marzo) alle più importanti elezioni europee del 26 maggio.
Gli ultimi sondaggi sembrerebbero sostenere il segretario in pectore su entrambi questi dati.
La sua candidatura potrebbe raccogliere secondo le rilevazioni di alcuni tra i principali istituti demoscopici una percentuale compresa tra il 55 e il 60%, mentre a recarsi negli oltre 7000 seggi allestiti in tutta Italia e anche (150) all’estero dovrebbe essere (sostiene Emg) circa un quinto degli elettori dem, ossia – considerando i 6,1 milioni di voti delle politiche 2018 – più o meno un milione e 200mila persone.
L’asticella fissata virtualmente da Zingaretti e Martina è di un milione di votanti e in questo modo sarebbe ampiamente superata.
Negli ultimi giorni, d’altra parte, anche i ‘padri nobili’ Romano Prodi e Walter Veltroni si sono spesi in appelli pubblici per esortare a popolare i gazebo.
L’impresa, c’è da dire, appare comunque difficile.
Quella che sta per terminare è stata infatti la campagna congressuale meno esaltante nella storia del Pd: un candidato favorito (ma non abbastanza da poter puntare a una semplice ‘incoronazione’ a furor di popolo) che non ha saputo, o forse nemmeno voluto, scaldare più di tanto gli animi del popolo dem; il suo principale avversario (Martina) imprigionato tra la continuità con la passata stagione renziana, di cui si porta dietro buona parte della classe dirigente, e un afflato al rinnovamento tenuto prudenzialmente sotto controllo; un outsider (Giachetti) certamente appassionato e talvolta sopra le righe, che non garantisce nemmeno la sua permanenza all’interno del partito se dovesse perdere.
D’altra parte, questo è stato l’aspetto principale che ha determinato tutti gli equilibri congressuali.
Segnati da un grande nodo irrisolto, la questione Renzi: il che cosa è stato e il che cosa farà , all’interno di una gigantesca rimozione della sconfitta è evidente che l’ex segretario ha puntato al fallimento delle primarie del Pd, inaugurando il tour del suo libro in contemporanea e politicizzando la vicenda degli arresti dei genitori, con una torsione berlusconiana sulla giustizia. E’ evidente che l’ombra del suo partito personale ha avvolto le primarie del Pd.
Il Partito democratico dopo queste primarie sopravviverà così come l’abbiamo conosciuto o è destinato a essere sostituito da qualcos’altro?
Le spinte disgregatrici sono tante e vanno in molteplici direzioni: la lista unitaria per le europee proposta dall’ex ministro Calenda, la disponibilità a rinunciare al simbolo ventilata da Zingaretti (e poi lasciata cadere), fino alla costante seppur sempre smentita minaccia di una scissione guidata da Matteo Renzi, che ha finito per spaccare anche il suo stesso Giglio magico, con Maria Elena Boschi da una parte (con Giachetti, nell’area pronta all’exit strategy) e Luca Lotti dall’altra (con Martina, ancorati al Pd).
Proprio la garanzia di rimanere dentro il partito a ogni costo era stata la condizione pregiudiziale posta a suo tempo da Marco Minniti per candidarsi a segretario sotto l’egida renziana, una condizione che non ha trovato riscontro dalle parti di Rignano.
È stato quello il passaggio che, in qualche modo, ha chiuso la sfida congressuale, togliendo dal campo l’unico candidato che avrebbe potuto dare del filo da torcere a Zingaretti.
Ed è stata anche la conferma della spada di Damocle che penderà ancora a lungo sulla testa del prossimo segretario, che sarà costretto a calibrare bene le sue mosse per evitare di dare alibi a Renzi per riattivare i suoi comitati civici, rimasti in sonno fino ad ora, e dare vita a un partito a sua immagine e somiglianza.
Tutte le altre cose appaiono come dettagli: la scelta delle alleanze, una vocazione maggioritaria ormai archiviata, la distinzione tra segretario e candidato premier, le forze civiche da aggregare (quali? come?), le personalità da coinvolgere nella lista aperta per le europee, il rapporto con gli ex elettori dem transitati con il M5S.
Sono le scelte che il prossimo segretario dovrà affrontare, se il partito non subirà prima un’onda d’urto più impetuosa.
Pur con tutti i suoi limiti, il Pd rimane comunque l’unico partito italiano in grado di mobilitare 35mila volontari impegnati nell’organizzazione e centinaia di migliaia di elettori per eleggere democraticamente il proprio leader.
Persone che si incontrano, discutono, accettano di iscriversi a un albo e alla fine decidono con il loro voto. Un processo di partecipazione che merita rispetto, nonostante le prevedibili e già ventilate possibili irregolarità che possono riscontrarsi in qualche realtà (osservate speciali sono Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, nonchè Roma e Frosinone).
L’ipotesi di un clamoroso stravolgimento dei risultati delle primarie, con Martina e Giachetti che si accordano per scalzare Zingaretti se dovesse stare sotto il 50%, appare assai improbabile. Ma certamente dover passare da un accordo con il secondo arrivato non sarebbe per chiunque un buon viatico per una leadership destinata a durare quattro anni.
Lo spoglio inizierà subito dopo la chiusura dei seggi. Al Nazareno sarà allestita una sala stampa e nella stessa sede dem sarà presente anche Maurizio Martina, mentre Nicola Zingaretti attenderà i risultati con il suo comitato alla Domus Circo Massimo a Roma, in via dei Cerchi 89. La sala stampa sarà aperta a partire dalle ore 19.30.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
COME E DOVE SI VOTA… AI GAZEBO SI SCEGLIERANNO ANCHE I COMPONENTI DELL’ASSEMBLEA NAZIONALE
Domenica 3 marzo si vota per eleggere il segretario del Pd. I candidati a guidare il partito sono Maurizio Martina, Nicola Zingaretti e Roberto Giachetti. Ai gazebo si sceglieranno anche i componenti dell’Assemblea nazionale, il massimo organismo democratico del partito creato per decidere sulla politica e sull’organizzazione del Pd.
Rimane in carica quattro anni, come la segreteria, ed è composto da mille persone elette alle primarie con le liste collegate ai candidati, cui si aggiungono trecento rappresentanti eletti in concomitanza con le elezioni delle Assemblee regionali e cento componenti eletti dai parlamentari.
QUANDO SI VOTA?
I seggi saranno aperti dalle 8 alle 20.
DOVE?
Sono circa 7mila, tra sedi Pd e gazebo allestiti in piazza, i seggi presenti in tutta Italia. Per trovare quello più vicino basta collegarsi al sito del Pd dedicato alle primarie (https://www.pdprimarie2019.it) e inserire il proprio comune ed eventualmente anche il numero della sezione elettorale, che si trova sulla tessera con la quale si vota alle elezioni Politiche o Amministrative.
CHI PUO’ VOTARE?
Per votare è necessario recarsi al seggio con un documento di riconoscimento in corso di validità e la tessera elettorale. Gli elettori fuorisede, i giovani fra i 16 e i 18 anni, i cittadini italiani residenti all’estero o temporaneamente all’estero che si siano precedentemente registrati online (il termine è scaduto lo scorso 25 febbraio) devono presentarsi con un documento di riconoscimento. I cittadini comunitari non italiani ed extracomunitari possono votare portando un documento di riconoscimento o il permesso di soggiorno o ancora la ricevuta di richiesta di rinnovo.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE
Chi vuole votare deve versare un contributo minimo di due euro.
PER VOTARE BISOGNA ESSERE ISCRITTI AL PD?
No, basta firmare una dichiarazione in cui si conferma di riconoscersi nella proposta politica del Pd e di sostenere i Dem alle prossime elezioni.
COME ESPRIMERE LA PROPRIA PREFERENZA?
L’elettrice/elettore sceglie il suo segretario tracciando un unico segno su una delle liste di candidati all’Assemblea nazionale.
CHI VINCE?
Vince il candidato che avrà ottenuto il 50 per cento più uno dei consensi, che corrispondono ai componenti dell’assemblea nazionale attraverso il meccanismo delle liste collegate. La proclamazione ufficiale a segretario avviene durante la prima riunione dell’Assemblea nazionale, che è già stata convocata per domenica 17 marzo. Se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta, i due più votati vanno al ballottaggio. A scegliere il segretario saranno quindi i mille delegati eletti nel corso della prima Assemblea nazionale.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
POLITICA FALLIMENTARE SUI RIMPATRI MASCHERATA DA MISTIFICAZIONE DELLA REALTA’… DI QUESTO PASSO PER RIMPATRIARE GLI IRREGOLARI OCCORRERANNO 99 ANNI E SEI MESI
Matteo Salvini esulta perchè, nei primi due mesi del 2019, il saldo fra arrivi e rimpatri di migranti è negativo, ovvero sono sbarcate 262 persone a fronte di 1099 rimpatri (di cui solo 86 volontari).
In pratica, dal primo gennaio al 28 febbraio le politiche del ministero dell’Interno hanno determinato la diminuzione di 837 unità del numero di migranti “irregolari” presenti sul territorio nazionale.
Dati che il leader leghista deve considerare estremamente positivi, visto che li utilizza per rilanciare la propria campagna “dalle parole ai fatti”, con tanto di hashtag e di comunicazione trionfalistica a mezzo social network.
La campagna del ministro dell’Interno è interessante proprio perchè dimostra lo scarto che c’è fra la propaganda e la realtà , uno iato che la macchina salviniana prova a colmare agendo in diverse direzioni: enfatizzando risultati oggettivamente scarsi, mistificando il dato numerico e battendo su una presunta discontinuità col passato.
Uno dei cavalli di battaglia del leader leghista è il rimpatrio degli irregolari presenti sul territorio nazionale, una cifra quantificata sempre da Salvini tra i 500mila e i 600mila.
Anche il contratto di governo con il Movimento 5 Stelle parla di una “seria ed efficace politica dei rimpatri indifferibile e prioritaria”, che riguarderebbe i “circa 500 mila i migranti irregolari presenti sul nostro territorio”, con singole pratiche da sbrigare “in un tempo massimo complessivo di diciotto mesi” (mentre i fondi per in rimpatri sarebbero dovuti arrivare da quelli precedentemente stanziati per l’accoglienza).
Il calcolo, sulla scia dei dati trionfalmente elencati da Matteo Salvini, è abbastanza semplice: con questo ritmo, per rimpatriare 500mila persone, sarebbero necessari 1194 mesi, pari a 99 anni e 6 mesi.
Questo anche ammesso che nei prossimi anni gli sbarchi siano davvero “zero” (ed è molto improbabile).
Non c’è sostanziale discontinuità con il passato neanche per quel che concerne il numero di rimpatri, considerando ad esempio, che nello stesso periodo preso in esame da Salvini nel 2017 i rimpatri erano stati 1138 e nel 2018 erano stati 831.
Scarto minimo, statisticamente irrilevante, anche in questo caso.
Ma non basta, perchè il numero dei cosiddetti irregolari è destinato comunque ad aumentare, per effetto del decreto che porta la firma dello stesso Matteo Salvini.
Come ha spiegato Matteo Villa per ISPI, infatti, l’effetto combinato della lentezza del meccanismo dei rimpatri e dell’abolizione de facto della protezione umanitaria non potrà che produrre un aumento del numero di persone non in regola:
Il decreto-legge dello scorso ottobre (da poco convertito in legge) potrebbe aggiungere al numero dei nuovi irregolari previsti dallo scenario base ulteriori 70.000 irregolari, più che raddoppiando i nuovi irregolari presenti in Italia.
Ai ritmi attuali, i rimpatri dei migranti irregolari nei loro paesi di origine avranno un effetto solo marginale: per rimpatriarli tutti sarebbero necessari 90 anni, e solo a condizione che nel prossimo secolo non arrivi più nessun irregolare. […] I richiedenti asilo che ancora attendono una valutazione della domanda non potranno più ricevere la protezione umanitaria, e correranno dunque un maggior rischio di vedersi negato almeno un livello di protezione, scivolando nell’irregolarità ; gli attuali titolari di protezione umanitaria non potranno chiederne il rinnovo, diventando dunque irregolari
La realtà è ostinata e i fatti continuano a dare torto al ministro Salvini, insomma. Che non solo non ha la minima idea di come portare a termine promesse ciniche e strampalate (e per fortuna, verrebbe da dire), ma intanto ha messo nero su bianco un decreto destinato a lasciare soltanto macerie.
Resta la propaganda, che comunque già è riuscita a legittimare la tesi per cui rimpatriare 500mila persone sia accettabile umanamente e necessaria politicamente.
Un danno mica da poco, lo sdoganamento del cinismo e dell’indifferenza nei confronti dei bisogni e delle esistenze di migliaia di persone.
Di quelle che sono ormai nel nostro Paese e di quelle cui abbiamo chiuso la porta, in maniera cinica e irresponsabile.
(da FanPage)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
M5S ACCERCHIATO DAGLI INTERESSI DEI COSTRUTTORI, LA MINI TAV NON DECOLLA E DI MAIO RISCHIA LA LEADERSHIP SUL COMPROMESSO DOPO LE EUROPEE
La follia della TAV, quel bisogno di tunnel che non vuole sentire ragioni: ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha smentito con una nota ufficiale di Palazzo Chigi di aver richiesto una nuova analisi costi-benefici al ministero delle Infrastrutture e alla commissione guidata dal professor Marco Ponti.
Il punto, e il problema, è che a dare notizia della richiesta era stato lo stesso Ponti, il quale aveva detto che era pronta “l’integrazione (alla ACB, ndr) chiesta da Conte”.
La nota della presidenza del Consiglio recita così: Conte «non ha aperto a nessuna ipotesi di mini-Tav nè ha mai richiesto un ulteriore contributo dell’analisi costi-benefici dell’opera, contributo che è stato invece sollecitato dal Ministero dei Trasporti».
Primo dettaglio importante. Il ruolo del ministro Danilo Toninelli.
Una nota del Mit, partita qualche minuto prima, sembrerebbe confermare la tesi: «Il supplemento di analisi è stato prodotto dal gruppo del professor Ponti su uno specifico input giunto non dalla presidenza del Consiglio ma del Mit».
Certo, quanto vale la parola di Conte lo sappiamo dall’epoca del global compact e nell’occasione, secondo i retroscena dei giornali di oggi, è andato in scena un dramma interno al MoVimento 5 Stelle: i giornali ieri aprivano tutti con le nuove ipotesi di accordo sulla TAV, dicevano che non c’era molto spazio per la trattativa e oggi il Corriere sostiene che “!Di Maio si è convinto del progetto quando ha scoperto che la stragrande maggioranza degli elettori grillini è favorevole all’opera”
Ma anche questo è un tarocco pilotato ad arte da ambienti interessati al cemento perchè i pochi sondaggi che esistono danno oltrel’80% degli elettori Cinquestelle contrari alla Tav, loro cavallo di battaglia.
Sulla TAV il governo prende tempo prima di varare un nuovo capitolo del rapporto conflittuale tra M5S e realtà che ha già visto i dossier TAP, ILVA e Terzo Valico finire con l’addio alle promesse elettorali impossibili da realizzare e il codazzo di elettori (scemi e) delusi perchè avevano creduto a quello che i giornali spiegavano loro con dovizia di particolari essere impossibile. Quei cattivoni dei giornalisti, ovvio.
La Stampa racconta che nel M5S non ci sono solo i falchi contro la Tav, il presidente della Camera Roberto Fico su tutti, o Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, pronti a sfiduciare Di Maio se dovesse cedere sulla Torino-Lione.
Ci sono anche presidenti di commissione e sottosegretari che minacciano di lasciare. La situazione sta sfuggendo di mano. Anche perchè da mesi è in ballo lo studio di un progetto alternativo, con cui tentare di convincere i francesi e che i No-Tav duri e puri guardano con sospetto, perchè credono possa essere il cavallo di Troia per il Sì.
Ed è proprio questo il punto. […] Conte ha ripetutamente chiesto a Toninelli di fornirgli un nuovo piano da proporre all’opinione pubblica come surrogato della Tav.
Un’idea che, a partire dal potenziamento della linea storica e senza bucare la montagna, il premier possa portare a un tavolo di trattativa con Parigi, sempre che i francesi accettino di sedersi a quelle condizioni.
Da qui deriva anche l’insofferenza crescente di Di Maio verso Toninelli, accusato di non essere stato «capace di proporci nulla». Neanche uno straccio di disegno da cui far ripartire la narrazione per cancellare l’immagine dei 5 Stelle come Movimento del No.
Perchè, come confermano fonti governo, sarebbe stato quello il progetto rivisto a cui facevano riferimento le indiscrezioni su Conte.
Intanto a marzo partiranno i bandi di gara per la TAV che dovevano essere fermati da Toninelli ma che alla fine costituiranno il segnale più importante dal punto di vista politico: il ministro ha dichiarato che entro marzo partiranno i bandi previsti (da cui dipendono 300 milioni di finanziamenti). Il ministro dice che saranno comunque revocabili prima dell’inizio dei lavori, tra sei-otto mesi.
Il tempo necessario per trovare una sintesi con la Lega? Forse, ma a patto di lasciar lacerare e marcire il problema per un tempo che sembra irragionevole, specialmente se la fine della storia dovesse arrivare con l’ok alla TAV.
Conte dovrà trovare un accordo politico prima che la vicenda finisca per travolgere il suo governo. E nel farlo dovrà tenere conto di tutte le problematiche insite nella questione delle penali che non sono penali ma che rappresentano comunque un costo e, insieme, un elemento adatto a costruire una strategia di comunicazione intorno all’ok all’opera. Come è successo per il Terzo Valico.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
“UN ANNO E MEZZO DI INTERCETTAZIONI PER SCOPRIRE CHE NON MI SONO MESSO IN TASCA UN EURO”
L’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, è pronto a farsi processare. “Io sarò orgoglioso di andare sotto processo, non farò come Salvini che si è protetto anche col sostegno di chi aveva garantito di cambiare l’Italia in nome dell’onestà ”, afferma in un’intervista rilasciata a Left e riferendosi al ministro dell’Interno e al voto della Giunta per le immunità del Senato sul caso Diciotti.
“C’è chi vuole che vincano la rassegnazione e il silenzio rotto solo dalla violenza — afferma Lucano — chi vuole togliere senso alla vita per chi resta qui. Cosa fanno oggi a Riace quelli in cassa integrazione che lavoravano con noi? Io sono accusato e intanto qui non funzionano nè trasporti nè ospedali e lo Stato trova solo il tempo per accanirsi contro di me. Dopo 18 mesi di intercettazioni hanno scoperto che non mi sono messo neanche una lira in tasca, ecco il risultato. E io sarò orgoglioso di andare sotto processo, non farò come Salvini che si è protetto anche col sostegno di chi aveva garantito di cambiare l’Italia in nome dell’onestà ”.
Lucano ha chiesto al gip di revocargli l’esilio dal suo comune e nei prossimi giorni arriverà la decisione del giudice: “Potrei tornare a essere una persona libera. Chi non può tornare a casa sua non è una persona libera”.
Per quanto riguarda quello che gli è successo, spiega ancora: “Ritengo che ci sia stato un metodo scientifico nel perseguitare l’esperienza di Riace e mi piacerebbe comprenderne meglio alcune chiavi di lettura. Contro di noi si è agito in modo graduale, attraverso continui appunti, ricorrendo a critiche riguardanti gli aspetti burocratici e con un ruolo determinante giocato dalla prefettura e da chi determinava l’accesso ai progetti Sprar. Non voglio riutilizzare il luogo comune dell’accoglienza dei migranti come risorsa, ma come fare a non capire che se un paese semi-abbandonato rinasce in maniera trasparente è un bene e non un male per lo Stato?”.
Proprio con i poteri dello Stato se la prende Lucano: “Hanno dimostrato ancora una volta di non essere nè asettici nè neutrali. Ma vi ricordate Berlusconi, la sua carriera, Mangano, Dell’Utri, i legami con Cosa nostra di cui è stato accusato? Lui non ha pagato nulla, io che non sono niente, che vivo in una casa senza riscaldamento, che ho dovuto fare una colletta per andare avanti mi ritrovo in questa condizione. I poteri forti, la massoneria sono da un’altra parte, quelli come noi che continuano a portare avanti ideali ne pagano le conseguenze”.
(da Globalist)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
BUFERA NELLA LEGA: “INACCETTABILE, NON RISPECCHIA IL NOSTRO PENSIERO”…. LA TARDIVA RETROMARCIA: “MI SCUSO, NON VOLEVO OFFENDERE NESSUNO”
“Ho una famiglia normale, non ho gay, non ho niente”. Si presenta così il candidato a sindaco della coalizione di centrodestra a Pontedera, nel pisano, l’avvocato Giuseppe Brini.
E immediatamente nella Lega scoppia un caso senza precedenti.
Per capire quanto e che tipo di imbarazzo abbiano creato e stiano creando quelle frasi occorre guardare bene il volto e le espressioni dei due volti più in vista del Carroccio toscano, la commissaria Susanna Ceccardi, pupilla di Salvini, e il deputato pisano Edoardo Ziello.
Appena hanno sentito Brini hanno accennato un mezzo sorriso tra stupore e sorpresa. Il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, presente anche lui, si è avvicinato a Ceccardi per avvertirla che presto sarebbero scoppiate le polemiche.
Nel video si vede bene Ziello che si passa la mano in faccia imbarazzato. Sui social network appena il video comincia a girare fioccano denunce e rabbia.
Dopo appena un’ora arriva una nota dello stesso Brini, costretto a chiedere scusa da Ceccardi e Ziello, furiosi: “Mi scuso perchè le parole che ho usato possono essere offensive della sensibilità di persone che non debbono essere giudicate per la propria inclinazione sessuale. Mi sono espresso male e probabilmente qualcuno si sarà offeso delle mie parole e me ne dispiaccio” dice Brini.
Ma non basta.
La polemica ormai è al massimo: “La frase sui gay è inaccettabile e non rispecchia in alcun modo il pensiero della Lega. La frase sui gay, pronunciata da Giuseppe Brini durante il suo discorso di ufficializzazione della candidatura a sindaco, è imbarazzante e non rispecchia in alcun modo il pensiero della Lega, partito inclusivo che guarda al futuro. Per noi ognuno è libero di seguire l’orientamento sessuale che più lo aggrada e questo è testimoniato dal fatto che abbiamo iscritti e simpatizzanti omosessuali”, si sfoga Ziello.
Partono anche gli attacchi dal Pd: “Penso che Pontedera meriti davvero altre parole ed altri valori” dice il sindaco uscente Simone Millozzi.
(da agenzie)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
I CARABINIERI A SUBIACO DENUNCIANO UN UOMO CHE VOLEVA FAR CREDERE ALLA DONNA CON CUI AVEVA UNA RELAZIONE DI ESSERE UN TUTORE DELL’ORDINE
La sfortuna di essere una persona normale, un semplice appartenente al ‘popolo’ , e di non chiamarsi Matteo Salvini, uomo che sta per essere salvato da un processo per sequestro di persone e abuso di potere, che indossa divise che non potrebbe indossare e che è leader di vin partito pieno di condannati per l’uso improprio di denaro pubblico.
Ossia le famose rimborsopoli nelle quali i politici si mettevano in tasca denari illecitamente.
E’ capitato così che un uomo è stato denunciato dai carabinieri per essersi vestito da poliziotto malgrado non facesse parte delle forze dell’ordine.
È accaduto ad Agosta, piccolo centro a pochi chilometri da Subiaco, in provincia di Roma. L’uomo ha detto di essersi travestito da poliziotto per incontrarsi con una donna del luogo, con la quale intrattiene una relazione sentimentale.
Il finto poliziotto è stato notato attraversare la piazza principale del paesino dai carabinieri della stazione locale.
I militari, insospettiti dal fatto che nel comune laziale non sia presente alcun commissariato, hanno fermato il 53enne di fronte alla caserma, e hanno effettuato un controllo.
Morale: se un cittadino normale di traverste da poliziotto per amore viene denunciato. Se un ministro lo fa reiteratamente e di fronte a poliziotti, finanzieri, carabinieri, per intortare gli elettori, allora tutti sugli attenti, a testimonianza che la legge non è uguale per tutti.
(da Globalist)
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Marzo 2nd, 2019 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI BONELLI (VERDI): “NON SI E’ MAI SMESSO DI INQUINARE”
“In un anno il valore della diossina a Taranto è aumentato del 916%”, passando “da 0,77 picogrammi del 2017 a 7,06 picogrammi del 2018, molto vicino agli 8 picogrammi del 2009” quando nella “masseria Carmine furono prelevati 1.124 capi di bestiame per essere abbattuti”. Lo denunciano il coordinatore nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, e il consigliere comunale Vincenzo Fornaro, ex allevatore, riportando “i dati di Arpa Puglia”.
Secondo i dati, “nella masseria Carmine si è passati da 0,77 picogrammi per metro quadro ‘Die’ ad un dato del 2018 pari a 7,06 picogrammi”.
Bonelli e Fornero sostengono che “sono in aumento le diossine anche nell’area dell’agglomerato del siderurgico con un valore di 11 picogrammi, e nel quartiere Tamburi, in via Orsini, con valore pari 5,5 picogrammi”. “In altri paesi europei come Francia e Germania – sottolineano – i valori limiti sono pari a 5 e 4 picogrammi”.
Secondo Bonelli e Fornaro “ci troviamo di fronte ad una situazione drammatica che evidenzia come a Taranto non si sia mai smesso di inquinare e che il regime d’immunità penale ha favorito questa gravissima situazione”. “Presenteremo un esposto all’autorità giudiziaria – annunciano – perchè a questo punto sarà inevitabile aprire una nuova inchiesta ‘Ambiente svenduto 2’, perchè l’inquinamento a Taranto non è mai cessato”.
La città di Taranto viene “colpita e affondata – sostengono – dalla latitanza del ministro Costa e del ministro Di Maio che hanno irresponsabilmente confermato la norma sull’immunità penale prevista dal decreto 98/2016, voluta da Renzi e Calenda, e peggiorato la situazione ambientale con il famoso addendum di Arcelor Mittal”. “Già lunedì – concludono – invieremo una diffida al ministro Costa affinchè ordini il riesame dell’Aia dell’ex Ilva di Taranto, oggi di proprietà Arcelor Mittal, e al ministro Di Maio chiedendogli di abrogare la scandalosa immunità penale”.
(da agenzie)
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