Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
E L’HASHTAG #MATRIMONIMISTI DIVENTA TRENDING TOPIC
Scintille social tra Carlo Calenda e Giorgia Meloni sulla famiglia e sul congresso di Verona di fine marzo. L
a leader di Fratelli d’Italia, su Twitter, scrive: “#M5S diffonde fake news sul congresso @wcfverona, sostenendo che sia contro la libertà delle donne. Dichiarazioni ridicole senza alcun riscontro. Loro invece sono per la droga libera, la propaganda #gender, i matrimoni misti: praticamente una comitiva di #punkabbestia al governo”.
Il messaggio non sfugge a Calenda che replica, sempre via Twitter alla Meloni: “Ma ti sei bevuta il cervello? I matrimoni misti! Cosa sei la versione burina del KKK (Ku Klux Klan, ndr). Prenditi una pausa. Lunga”.
In un altro tweet, sempre sullo stesso tema, l’ex ministro chiarisce: “Ma quali idee di sinistra. Essere contro i matrimoni misti (religione, razza etc) vuol dire collocarsi tra i movimenti razzisti che nei paesi civili sono fuori dall’arco costituzionale e vengono isolati da TUTTE le forze politiche”.
La Meloni cerca di rimediare : “Mi riferivo alla proposta sui matrimoni di gruppo e tra specie diverse. Misti non è la parola giusta. Poi non so cosa c’entri ‘burina’, cafone”
Poi, in un altro messaggio, Meloni specifica: “Qui il post scritto su Facebook riguardo i matrimoni multipli e tra specie diverse, che sintetizzato su Twitter in ‘matrimoni misti’ è stato cavalcato dai soliti disperati in cerca di inutili polemiche”.
Ma ormai la frittata l’aveva fatta.
La polemica è andata avanti scatenando un putiferio social, al punto che l’hashtag #matrimonimisti è diventato trending topic su Twitter.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
NE FURONO VITTIME CINQUE PARLAMENTARI GRILLINI, TRA CUI DI BATTISTA E LA SARTI, DI CUI VENNERO DIFFUSE FOTO PERSONALI… ORA SI SCOPRE CHE L’HACKER ERA UN GRILLINO E IL MOTIVO UNA LOTTA INTERNA
Si facevano chiamare “gli hacker del PD” e nell’aprile del 2013, poco dopo le elezioni di marzo
che videro l’exploit straordinario del MoVimento 5 Stelle e una situazione di stallo istituzionale sulla nascita di quello che poi sarà il governo Letta avevano pubblicato una serie di leaks di caselle di posta elettronica.
Tra le vittime degli Anonymous del PD c’era anche la deputata pentastellata Giulia Sarti che in un primo momento derubricò lo scoop de L’Espresso dicendo che era una bufala.
Si scopre oggi, grazie all’anticipazione del servizio di Filippo Roma delle Iene che quegli hacker piddini forse in realtà erano del MoVimento 5 Stelle.
Ad essere colpiti dall’hack furono diversi parlamentari del M5S, tra cui anche Alessandro Di Battista e Stefano Vignaroli.
Il caso della Sarti fu particolarmente doloroso e odioso perchè i sedicenti hacker del PD pubblicarono in Rete l’archivio delle mail personali della deputata, all’interno delle quali c’erano anche alcune foto senza veli (non porno o hard, semplicemente di quelle che si mandano tra fidanzati). Un’intrusione vergognosa nella privacy della pentastellata, per nulla giustificata da presunte finalità “politiche” della presunta azione dimostrativa nei confronti del MoVimento.
In un comunicato — e in una delirante intervista all’Espresso — gli hacker che si definivano “simpatizzanti del PD” facevano sapere che avrebbero obbligato Casaleggio alla trasparenza e promettevano di pubblicare ogni settimana la casella di posta di un senatore o di un deputato a 5 Stelle.
Curiosamente però dopo il primo leak le pubblicazioni non andarono avanti. La cosa finì lì e non si seppe nemmeno se i colpevoli vennero identificati.
Eppure il reato commesso era uno di quelli particolarmente gravi, tanto più che erano state diffuse informazioni sensibili come le foto della Sarti.
E proprio la deputata riminese fu di fatto l’unica vittima dell’hack, nelle mail pubblicate ad esempio una saltò subito all’occhio per il suo valore “politico”: quella in cui criticava la scelta da parte dei vertici della comunicazione di assumere come videomaker Nik il Nero.
Il camionista star di YouTube (e autore del famoso video di Paola Taverna sul ritorno alla lira) che fu al centro anche di un altro “mailgate” quello che vide la pubblicazione di alcune mail poco lusinghiere scritte dai consiglieri regionali (espulsi) Giovanni Favia e Federica Salsi.
E proprio Favia qualche giorno fa in un’intervista aveva parlato di una guerra interna al M5S dietro il leak degli hacker del PD: «No, credo siano una vendetta politica interna al M5S. Lì dentro c’è una cyberguerra. Alla Casaleggio avevano una fobia nei miei confronti e tutti quelli che erano stati vicini a me erano visti con sospetto e subivano uno spionaggio stile Stasi. Non si fidavano di lei, pensavano che avesse dentro il germe della dissidenza. Il suo nemico era Max Bugani, l’unico in Emilia che ha tradito me e Pizzarotti».
Secondo Filippo Roma però la storia è un’altra da quella raccontata dagli hacker all’epoca. Ed è quella racconta dell’indagine sulle violazioni informatiche ai danni dei parlamentari del M5S.
Alessandro Di Battista, confessa candidamente di non ricordare come andò a finire e fa sapere che alla fine non aveva sporto denuncia. Ma qualcuno però racconta un’altra versione.
A partire da una cosa che avevano in comune i parlamentari hackerati, l’ipotesi che utilizzassero la stessa password per l’account di posta elettronica e per accedere al sistema operativo del M5S.
Ed è da questo elemento, pare di capire, che prende le mosse l’inchiesta delle Iene che hanno raccolto la testimonianza di un anonimo (ma non Anonymous) ex-parlamentare pentastellato che ha dichiarato come Stefano Vignaroli gli avesse raccontato che «l’indagine su chi avesse hackerato gli account di cinque parlamentari M5S si fermò quando si accorsero che il lavoro di accesso fu fatto da delle macchine della Camera».
Insomma in base agli indirizzi IP dei computer da cui è partito l’attacco hacker si è dedotto che gli hacker stavano a Montecitorio e addirittura da ambienti interni al MoVimento.
Insomma non è che il primo che passa è entrato alla Camera ed è riuscito a “bucare” gli account privati di 5 parlamentari.
A quanto pare, sostiene sempre la fonte delle Iene, si trattò di un intricato auto-hackeraggio interno.
Spiega l’anonimo ex-parlamentare che quindi sono stati i vertici del M5S (o persone a loro vicine) a entrare nelle caselle di posta elettronica
«Per controllare determinate persone». Secondo Roma il responsabile va cercato tra chi all’epoca aveva accesso al rudimentale sistema operativo decisionale del MoVimento il quale avendo le password del “sistema operativo” potrebbe aver scoperto che in alcuni casi coincidevano con quelle delle caselle email.
Ed è noto che fino a poco tempo fa anche su Rousseau le informazioni erano accessibili agli hacker che hanno più volte “bucato” la piattaforma riuscendo ad estrarre password ed informazioni personali di diversi parlamentari e ministri.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA FABIO CHIUSI SI DIMETTE DAI COLLABORATORI DI D’INCA’ (M5S)
Il giornalista Fabio Chiusi lascia lo staff del Questore della Camera, il grillino Federico D’Incà , in polemica col governo gialloverde.
Chiusi scrive le sue motivazioni in un lungo post pubblicato sulla propria pagina Facebook.
Chiusi spiega: “Le politiche digitali, ciò di cui mi sono occupato direttamente, sono solo una parte della politica. E, in troppe altre questioni riguardanti i diritti fondamentali degli individui, questo governo si sta muovendo in una direzione opposta alle mie convinzioni di fondo, che non posso accettare in silenzio. Gli attacchi continui ai giornalisti e ai critici, le prese di posizione a mio avviso intollerabili sui migranti, lo sdoganamento di una retorica che finisce per promuovere gli intolleranti e chi non ha intenzione di discutere civilmente sono solo alcuni degli aspetti che mi fanno pensare che sia giunto il momento in cui le personali convenienze lascino il posto a quello che tanti, troppi chiamano con scherno “idealismo””.
Il giornalista continua: “Guardare a una parte senza considerare il tutto è un lusso che sento di non potermi più concedere. Questa marea montante di destra, questa corrosiva egemonia culturale incolta che ha finito per condizionare così fortemente anche l’operato del governo italiano, è un mostro ideologico che va combattuto pubblicamente e con ogni mezzo. Nessun silenzio strategico, nessuna indifferenza sono consentite. Per me, per la mia coscienza, è venuto il momento di schierarsi, e di farlo apertamente e con nettezza. Almeno, io ne sento il bisogno”.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
GRILLO E CASALEGGIO SENIOR ERANO DUE CONTESTATORI DEL SISTEMA, IL LEONE DA PALCOSCENICO E IL SOGNATORE DIGITALE… DI MAIO E CASALEGGIO JR RAPPRESENTANO L’ICONOGRAFIA DEL POTERE, CON LA GRISAGLIA D’ORDINANZA, TIPICA DELLE ELITE
Punto primo: finiti tutti i ragionamenti (più o meno sensati) sui programmi e la loro
attuazione, restano le emozioni, quelle scatenate “a pelle”.
I comportamenti elettorali infatti sono spesso determinati da sensazioni che poco hanno a che fare con la concretezza, anche perchè, in fondo, siamo tutti immersi in un gigantesco villaggio globale che vive nella bolla delle impressioni (digitali in primo luogo).
Punto secondo: nei dati SWG di ieri per la prima volta dalle elezioni del 2018 il PD supera (di un microscopico 0,1 %) il M5S, segnando però un spartiacque “psicologico” della legislatura. Ecco allora la domanda che “sorge spontanea” (direbbe quel gigante della TV e del giornalismo che è Antonio Lubrano): c’è una connessione tra i punti uno e due? E, in caso affermativo, quale?
Una connessione c’è ed è tutta spiegabile nel passaggio di testimone dall’era Grillo-Casaleggio (padre) a quella Di Maio-Casaleggio (figlio).
Già perchè qui non siamo semplicemente al trasferimento di responsabilità , con l’aggiunta dolorosa della prematura scomparsa di Gianroberto Casaleggio (che, comunque la si pensi, resta un innovatore assoluto nella sfera politica italiana). Siamo di fronte ad un fenomeno assai più complesso, cui vale la pena dedicare qualche momento di attenzione.
Cos’erano, in fondo, Grillo e Casaleggio senior?
Erano due moderni e complementari contestatori del sistema, capaci di recitare in perfetta simbiosi due parti in commedia: quella del leone da palcoscenico che irride i potenti (rendendoli meschini, mettendoli alla pubblica gogna e facendo così intravedere che un altro mondo è possibile) e quella del sognatore digitale, un po’ ingegnere e un po’ profeta, capace di parlarti di un futuro straordinario ed anche inquietante, ma comunque intrigante e, perchè no, assai misterioso.
Un uomo “tutto pubblico” come Grillo dunque, che interpreta ogni atto della sua vita come un momento da palcoscenico perchè quella è la sua cifra esistenziale e un uomo prevalentemente privato come Casaleggio senior, poco avvezzo ai media e certamente non a suo agio di fronte alle folle.
In comune però avevano non solo l’avversione al “potere costituito” ma anche il modo di proporsi, che era comunque non convenzionale. Grillo vestito come gli artisti, quindi al di sopra di ogni regola e Casaleggio, pur in giacca e cravatta, del tutto “alternativo”, mai assimilabile ai potenti ( del business e della politica).
Ebbene cosa è successo nel passaggio di consegne alla coppia Di Maio-Casaleggio junior?
È successo (complice la vittoria alle elezioni e la conseguente conquista del governo) che i nuovi due leader sono perfettamente inseriti nella “iconografia” del potere, come dimostra il loro modo di vestire.
Amano i completi scuri (blu o grigi), sono composti, ragionevoli: tutto sommato “ministeriali”. La scelta consapevolmente, volutamente e ripetutamente “borghese” del modo di vestire di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio fa di loro una perfetta rappresentazione del nuovo establishment, nuovo ma (proprio per questo), desideroso di legittimazione dentro e fuori i confini nazionali.
Il punto però è che Grillo è Casaleggio senior hanno promesso la rivoluzione, mente Di Maio e Casaleggio junior tentano (operazione difficilissima in Italia) di fare qualche riforma.
E ci stanno provando con la grisaglia d’ordinanza, elemento distintivo delle èlite (avversarie del popolo, nella versione da campagna elettorale).
(da “Huffingtonpost“)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
RICCARDO OLGIATI E’ LA NUOVA STAR, IL TRONO DA GAFFEUR DI TONINELLI E’ IN PERICOLO
Riccardo Olgiati è la nuova star del Movimento 5 Stelle, l’uomo che potrebbe contendere il posto di Toninelli a colpi di Uestmainster.
Il deputato del Movimento 5 Stelle oggi, durante la discussione alla Camera dei deputati sulla Brexit ha candidamente pronunciato le parole “popolo sovrano di Uestmainster” invece di pronunciare correttamente il nome della località in Uk “Westminster”.
Chissà se sa cosa è.
Lui non sembra comunque essersi accorto di niente:
Anche nelle seconde file il Movimento nasconde doti nascoste e pronte a venire allo scoperto alla bisogna.
Toninelli trema, il tuo trono da gaffeur ti sta sfuggendo.
(da agenzie)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
DOMANI SI VOTA SULLA DICIOTTI, NUMERI RISICATI, SALVINI SARA’ SALVATO DAI TRADITORI DELLA LEGALITA’, SIA DELLA SEDICENTE DESTRA CHE DEI GRILLINI
Niente toni duri e furiosi. Il Movimento 5 Stelle prende le distanze dall’alleato Matteo Salvini
che invoca l’arresto nei confronti del personale della nave ‘Mare Jonio’ di Mediterranea Saving Humans posta sotto sequestro dopo aver soccorso 49 migranti. “Gli arresti li decide l’autorità giudiziaria, non un ministro degli Interni”: Stefano Patuanelli risponde a muso duro al titolare del Viminale.
Il capogruppo dei senatori grillini nel cortile di Palazzo Madama si prepara ad andare in Aula, dove nel tardo pomeriggio inzierà la discussione sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini sul caso Diciotti.
E i numeri dei pentastellati potrebbero non essere così scontati. Per tenere buoni i senatori in subbuglio, coloro che dal primo momento non hanno condiviso la chiusura dei porti, occorre non appiattirsi sulla Lega anche perchè il Partito democratico è in agguato.
E infatti Luigi Di Maio, pur sottolineando che l’Ong battente bandiera italiana forse non avrebbe rispettato le regole, rimarca che il governo ha avviato una verifica delle condizioni di vita delle persone a bordo, che poi sono state fatte sbarcare: “Io sto sentendo il presidente del Consiglio, il ministro dell’Interno, quello della Difesa – dice – perchè in queste ore noi vogliamo verificare pure come voler far rispettare le regole a questa Ong”.
A differenza di Salvini però dal primo momento non ha escluso lo sbarco: “Le procedure – replica il leader politico M5S – sono rispetto delle regole, salvataggio delle vite umane e faremo in modo che questo non sia un nuovo caso Diciotti. Questo è il nostro obiettivo”.
E il pensiero va ai migranti che, nell’agosto scorso, sono rimasti a bordo della nave per giorni e di conseguenza il tribunale dei ministri di Catania ha accusato Salvini di sequestro di persona.
Questa volta il capo politico M5s vuole evitare che si arrivi alle estreme conseguenze anche perchè il suoi gruppi parlamentari di Camera e Senato non glielo perdonerebbero.
Patuanelli, colui che ha il compito di tenere le redini del gruppo dei senatori, si mostra tranquillo: “Sono sicuro che la maggioranza sarà autosufficiente. Noi rispetteremo il voto degli iscritti”.
Il 60% ha votato per negare la richiesta di autorizzazione a procedere, ma tra gli eletti ci sono state voci in dissenso, come quelle di Elena Fattori e di Paola Nugnes, che mercoledì voteranno per mandare il vicepremier leghista davanti ai giudici.
Alberto Airola, mentre sorseggia un caffè nella buvette del Senato, tiene a precisare: “Io sono nel 40% che ha votato affinchè Salvini venga processato, ma mi adeguo al volere degli iscritti”.
Il voto di domani sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini potrebbe tuttavia essere a rischio, nel senso che la maggioranza potrebbe non essere autosufficiente, al contrario di ciò che dice Patuanelli.
In soccorso ci saranno i voti di Forza Italia e Fratelli d’Italia, quindi la richiesta sarà bocciata. Tuttavia potrebbero mancare diversi voti M5s e in virtù di ciò i vertici pentastellati preferiscono non esasperare i toni di fronte a questa nuova emergenza che riguarda la nave ‘Mare Jonio’, le cui ripercussioni potrebbero ricadere sul voto riguardante la nave Diciotti.
Patuanelli tiene il conto degli assenti giustificati: “Matteo Mantero mi ha detto che sta male, ha anche il certificato del medico del Senato”. Anche la senatrice Vittoria Bogo Deledda non ci sarà per ragioni personali.
A questo punto, pallottoliere alla mano, la maggioranza che conta su sei voti di margine, di cui due sono del gruppo Maie, scende a più quattro.
Se si considera che Nugnes e Fattori voteranno a favore dell’autorizzazione a procedere, i numeri si restringono visibilmente. E Salvini con ogni probabilità la spunterà con l’appoggio del gruppo Maio, di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, mentre il Movimento potrebbe perdere qualche pezzo a maggior ragione davanti al sequestro della nave ‘Mare Jonio’.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
LA MAGISTRATURA APRE FASCICOLO PER ACCERTARE SE ESISTONO REATI, LA GDF SU IMPUT DEL GOVERNO SEQUESTRA LA NAVE MA ENTRO 48 ORE DECIDERA’ LA PROCURA… RIASSUMENDO: LA DIRETTIVA E’ CARTA STRACCIA, I PORTI NON SONO CHIUSI, I MIGRANTI SONO SBARCATI, SALVINI HA RIMEDIATO UNA FIGURA DI MERDA
È entrata nel porto di Lampedusa, scortata dalla Guardia di finanza, la nave Mare Ionio, battente bandiera italiana, del progetto Mediterranea, che aveva soccorso 49 migranti, tra cui 12 minori, davanti alle coste libiche.
Al momento dell’approdo, dalla nave si è sollevato il grido «Libertè! Libertè». L’imbarcazione ha dovuto aspettare oltre 12 ore prima di ricevere via libera all’attracco, su ordine della Magistratura.
. Alla Mare Jonio è stato notificato un decreto di sequestro probatorio dalle Guardia di finanza, in qualità di polizia giudiziaria.
Il provvedimento entro 48 ore dovrà essere confermato dalla procura di Agrigento cheha aperto un fascicolo senza indagati per accertare i fatti.
(da “La Stampa”)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
NON C’E’ ALCUN PROVVEDIMENTO UFFICIALE DI CHIUSURA DEI PORTI PERCHE’ NESSUNO METTEREBBE LA FIRMA A UNA NORMA CHE GLI APRIREBBE LE PORTE DELLA GALERA… TUTTE LE NORME CHE IL GOVERNO STA VIOLANDO, DALL’ART 33 DELLA CONVENZIONE DI GINEVRA ALL’ART 10 DEL T.U. ALLA LEGGE 47/2017 SUI MINORI
Come vi stiamo raccontando, da ore le 49 persone a bordo della nave Mare Jonio, battente
bandiera italiana e con equipaggio italiano, sono al largo di Lampedusa, in attesa di ricevere dalle autorità italiane l’indicazione di un place of safety in cui sbarcare.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha fatto sapere di non voler permettere lo sbarco dei migranti nè l’attracco della nave in un porto italiano, dicendo di aspettarsi che l’equipaggio della Mare Jonio venga arrestato.
Come ha spiegato il corrispondente de La Repubblica Giorgio Ruta, che si trova tuttora a bordo, la nave della ONG aveva raggiunto un natante in difficoltà a circa 40 miglia dalle coste libiche e aveva proceduto all’intervento di salvataggio, mettendo in sicurezza i migranti.
La segnalazione era giunta da un aereo di ricognizione della ONG Sea Watch e prima di procedere al soccorso l’equipaggio della Mare Jonio aveva informato la centrale operativa della Guardia Costiera italiana.
In zona si era successivamente recata anche una motovedetta della cosiddetta Guardia Costiera libica, che si era poi allontanato dopo qualche minuto (non è chiaro se ci sia stata una interlocuzione fra i libici e l’equipaggio).
La nave aveva così fatto rotta verso le coste italiane, ma a circa 10 miglia da Lampedusa era stata intercettata da due unità della Guardia di Finanza, che avevano intimato al comandante di spegnere i motori.
Ordine disatteso, dal momento che, nella lettura del capitano, le condizioni del mare avrebbero messo in grave pericolo i naufraghi e l’equipaggio.
Successivamente, la Guardia Costiera aveva concesso un “punto di fonda” a mezzo miglio dal porto di Lampedusa per ripararsi dalle onde e, poco dopo, la Guardia di Finanza era salita a bordo per una ispezione, conclusasi con un “tutto ok”.
La dinamica dei fatti non è molto dissimile da altri episodi degli ultimi mesi.
In questo caso, però, stiamo parlando di una nave battente bandiera italiana, con equipaggio italiano, che ora è in acque territoriali italiane.
La giurisdizione è pienamente e completamente italiana, dunque.
Per questo motivo acquistano particolare rilevanza le decisioni e il comportamento del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che ha esternato a raffica, soprattutto sui suoi profili social.
Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è invece limitato alle solite frasi di circostanza, dicendosi certo della risoluzione della vicenda (non si veda quale altro modo ci sia, considerato che stiamo parlando di nave italiana, in territorio italiano, ovvero un Paese che rispetta il principio di non refoulement, eccetera). Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli non pervenuto, invece.
Torniamo quindi a Salvini, che ieri sera ha diramato una direttiva “per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale”.
L’obiettivo è quello di evitare “la possibile strumentalizzazione degli obblighi internazionali sanciti nelle stesse norme pattizie e la metodica violazione delle norme nazionali ed europee in materia di sorveglianza delle frontiere marittime e di contrasto all’immigrazione illegale”.
In sostanza, il Viminale ci sta dicendo che qualcuno usa i trattati internazionali in maniera “strumentale”, al fine di permettere alle ONG che operano nel Mediterraneo di portare in salvo sulle nostre coste i naufraghi salvati in mare aperto. Una attività di salvataggio che, per quanto “doverosa”, dice sempre la direttiva, farebbe il gioco dei trafficanti di uomini.
Di conseguenza, compito dell’autorità di pubblica sicurezza non può che essere quello di “accertare e verificare in modo immediato se, nella situazione concreta, vi sia stata una violazione dolosa e preordinata delle norme internazionali in materia di soccorso, allo scopo di eludere le norme che regolano l’immigrazione regolare, ponendo in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica interna dello Stato costiero”.
Come? Il Viminale spiega che nel caso in cui le navi delle ONG o commerciali “battenti bandiera straniera o nazionale abbiano soccorso in aree SRR (Search and Rescue Region — area di responsabilità ) non italiane imbarcazioni con migranti a bordo e abbiano disatteso, in violazione del diritto internazionale del mare, le direttive delle competenti Autorità SAR, che avevano assunto il coordinamento dell’evento, effettuando il soccorso d’iniziativa e dirigendosi, poi, verso le frontiere marittime europee”, allora “non sussistono i presupposti per l’assegnazione di un place of safety in Italia”.
Una decisione che troverebbe legittimità in base all’articolo 2 della UNCLOS che dice che “nel mare territoriale lo stato costiero esercita in maniera piena la sua giurisdizione legislativa ed esecutiva, su tutte le materie e su tutti i soggetti in maniera esclusiva, salvo quanto diversamente previsto dal diritto internazionale”; ma anche dalla Convenzione UN sul diritto del mare da cui deriverebbe “un potere generale di regolamentare, e se del caso di escludere, l’accesso di navi alle acque comprese fra la linea della costa e il limite delle 12 miglia marine”.
Nel caso in cui un comandante, che non può non essere a conoscenza di tale quadro politico — normativo, abbia “deliberatamente condotto l’imbarcazione verso le coste italiane”, spiega la direttiva, saremmo in presenza di un “modus operandi di una attività di soccorso svolta con modalità improprie, in violazione della normativa internazionale sul diritto del mare e, quindi, pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello stato costiero”.
E quindi? Quindi Polizia, Carabinieri, Finanza e Guardia Costiera devono impartire “le conseguenti indicazioni operative al fine di prevenire, anche a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica dello Stato italiano, l’ingresso illegale di immigrati sul territorio nazionale”.
Tradotto: quella delle ONG e delle navi commerciali che portano i migranti in Italia è da ritenersi attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dunque si può impedire a tali navi di entrare nelle acque territoriali italiane e (continuare a) non indicare un POS.
Ecco, qui la direttiva diventa un po’ più “problematica”, proprio perchè il ministro dell’Interno intende “legittimare” la propria condotta con una propria direttiva, che però non ha e non può avere (per fortuna) alcun valore di legge.
Inoltre, è un provvedimento ministeriale che come spiega Annalisa Camilli su Internazionale, citando il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, “tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita ed alla integrità fisica delle persone”.
Mario Morcone, del CIR, va più nel dettaglio, mettendo in evidenza anche le lacune “politiche” di una simile direttiva, che appare improvvisata e gravemente lacunosa:“È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale. Ci si comporta come se i Paesi con cui dividiamo lo spazio del Mare Mediterraneo fossero l’Olanda, la Germania o la Svezia. Ma, evidentemente, così non è”.
La realtà dei fatti, ufficializzata dalla risposta di ministero dell’Interno e dei Trasporti ad ASGI, è che non esiste alcun decreto ministeriale di chiusura dei porti, e “non vi è alcun ostacolo giuridico opponibile alle navi delle organizzazioni umanitarie in relazione all’attracco sulle nostre coste”.
Soprattutto perchè, come già ricordato, è la stessa legge italiana (articolo 10 del testo unico sull’immigrazione) a vietare i respingimenti dei richiedenti asilo (per non parlare del fatto che in presenza di minori si applicherebbe la legge 47/2017 che non consente nè respingimenti nè quote di accoglienza).
Una direttiva, di Salvini o di chiunque altro, non può in alcun modo scavalcare la legge.
Il “problema” è che Salvini non riesce a dare consistenza formale alla sua propaganda dei porti chiusi. E questa direttiva serve a poco o nulla.
La verità è che il governo non ha una linea e si limita a improvvisare.
In un triste gioco cinico in cui, come vi spiegavamo qui, “non ci facciamo più carico delle chiamate di soccorso che giungono in area SAR libica o maltese, non coordiniamo più i soccorsi, non diamo più supporto a La Valletta, abbiamo più che dimezzato il nostro impegno nella search and rescue, non indichiamo più un place of safety e non autorizziamo il trasferimento in Italia dei migranti soccorsi dalle ONG, scoraggiando anche la presenza di navi private o mercantili commerciali”.
(da Fanpage)
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Marzo 19th, 2019 Riccardo Fucile
NON HA MAI SOTTRATTO 49 MILIONI AGLI ITALIANI E NON HA MAI SEQUESTRATO PERSONE… E’ UNA PERSONA COERENTE CHE MERITA RISPETTO, A DIFFERENZA DI CHI FREQUENTAVA I CENTRI SOCIALI E ORA VUOLE CHIUDERLI, DI CHI SI PROCLAMAVA COMUNISTA E ORA RECITA LA PARTE DEL SOVRANISTA
Matteo Salvini, per orientare l’opinione pubblica sulla vicenda della Mare Jonio e per giustificare la sua condotta attraverso la quale sta impedendo illegalmente lo sbarco della nave che ha salvato 49 migranti nel Mediterraneo, ha chiesto ai suoi followers di andare a verificare i reati commessi da Luca Casarini, definendo la Mare Jonio la nave dei centri sociali.
Come abbiamo avuto modo di dire già in altre occasioni, Luca Casarini ha militato a lungo in movimento no global del nord-Est e si è distinto particolarmente come portavoce dei Disobbedienti dopo i fatti del G8 di Genova.
La sua è una lunga carriera di militanza e di proteste simboliche e clamorose che gli sono costate alcune condanne.
Condanne che sono arrivate per il suo attivismo politico.
Lo stesso Casarini fece l’elenco dei suoi reati in un post diventato un po’ il manifesto della sua militanza quando, nel 2016, fu condannato a tre mesi di carcere per l’occupazione di una casa sfitta da anni dell’Ater di Venezia, la casa a Marghera nella quale abitò per una vita.
In quella circostanza, Luca Casarini elencò tutti gli altri reati per i quali è stato condannato, non pentendosi e sostenendo di volerli replicare, pur di portare avanti i propri ideali.
«Bloccherei seduto sui binari ancora una volta quel treno carico di armi per la guerra in Iraq per il quale ho preso un anno di reclusione. Manifesterei contro la fiera del Biotech a Genova ancora con Don Gallo, come allora, anche se mi è costato un altro anno. Disobbedirei ai centri di detenzione per migranti ancora e ancora, come feci a Trieste nonostante l’anno e mezzo di condanna. Occuperei e ristrutturerei con autorecupero come ho fatto con centinaia di altri organizzati nell’Agenzia Sociale per la Casa, altre abitazioni pubbliche tenute vuote e fatiscenti mentre tantissime persone ne hanno bisogno. I quattro anni, adesso questi tre mesi, i fogli di via, la sorveglianza speciale, le espulsioni da israele, Colombia e Messico, non sono niente»
Insomma, Matteo Salvini per screditare Luca Casarini fa riferimento a questo tipo di reati. Ma la questione più urgente in questo momento non sembra essere quella della fedina penale di un membro dell’equipaggio della nave Mare Jonio.
La priorità deve essere quella di salvare le 49 vite umane a bordo dell’imbarcazione.
(da “Giornalettismo”)
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