Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
LETTERE RISERVATE PASSATE AI GIORNALI, SMENTITE E CONTROSMENTITE, CACCIA ALLA TALPA, MINACCE LEGALI, VERTICI CHIESTI E MAI SVOLTI
Solo in Italia palazzo Chigi, il cuore del governo, è il luogo in cui abita un tragico vuoto politico, con l’avvocato Giuseppe Conte che, a metà pomeriggio, annuncia che “sarà perseguita in giudizio la talpa” che ha diffuso la bozza della lettera di risposta alla Commissione europea sulla procedura di infrazione.
Annuncio che arriva dopo una analoga smentita da parte del Tesoro, in un clima di panico, incertezza. Per dirla in modo tanto gergale, quanto efficace, di casino mai visto.
E solo in Italia questo giallo avviene sullo sfondo di un contesto drammatico per il paese, in cui si spalancano le porte di una nuova crisi economica: lo spread che vola a 290 punti, i titoli di Stato a cinque anni giudicati dai mercati più rischiosi di quelli della Grecia, l’Istat che, con i suoi dati, seppellisce la retorica dell’anno bellissimo, e Bankitalia che lancia il warning verso l’allegria delle cicale anti-europeiste del paese. Il giallo della lettera diventa metafora di un collasso istituzionale: la crisi, il vuoto nel cuore della direzione politica del paese, un Grande Fratello come prassi, per cui una bozza riservata diventa strumento pubblico di lotta politica a mercati aperti.
E chissà se l’avvocato Conte, nel paventare azioni giudiziarie non abbia già messo le mani avanti in tal senso, per certificare la sua estraneità di fronte a una eventuale indagine.
I fatti: nel pomeriggio escono delle anticipazioni della lettera del Mef, che prevede la riduzione della spesa sulle “nuove misure di Welfare”, il che significa reddito di cittadinanza e quota cento.
A stretto giro, pochi minuti dopo le anticipazioni, Di Maio dice di non saperne nulla e invoca un vertice di maggioranza. Poi piovono smentite categoriche dallo stesso Mef in cui si dice che la lettera non corrisponde al vero, mentre gli organi di informazione, tra cui l’HuffPost, la pubblicano.
Di Maio contro Tria, Tria contro Di Maio, l’avvocato del popolo che non riesce a difendere e tutelare la necessaria riservatezza istituzionale. Ci sarebbero già sufficienti elementi per giustificare, a poche ore dal termine per l’invio della questa lettera, una convocazione del premier “a sua insaputa” al Quirinale tanto per capire se c’è ancora un governo in grado di garantire una operatività o se non sia il caso di rendere formale una crisi di fatto, di un governo paralizzato da settimane e imploso nel dopo-voto.
Nemmeno oggi si è potuto tenere il Consiglio dei ministri e, con buone probabilità , la prima data utile è venerdì prossimo, quando Salvini avrà terminato i suoi comizi per il ballottaggio, Di Maio si sarà schiarito le idee sulla “strategia” per questa nuova fase e Conte sarà rientrato dal suo viaggio all’estero in Vietnam.
Nel frattempo, il Tesoro è diventato una sorta di Saigon, il luogo della battaglia finale tra la Lega e i Cinque Stelle, combattuta oggi con la guerriglia sulle bozze.
Perchè la dinamica questo racconta, come ha ben capito Conte, il quale ha ricevuto da Tria la lettera attorno a ora di pranzo, quando il ministro del Tesoro si è recato a palazzo Chigi, per un confronto riservato sui contenuti di quella versione del documento.
E poi, con grande stupore, ha appreso della sua diffusione mentre era fuori da palazzo Chigi. È chiaro come a quel punto Conte abbia cercato di contenere il danno: dopo un affannoso contatto telefonico con Tria, sono state concordate due smentite, pressochè in contemporanea, in cui si rendeva noto che solo di bozza si trattava, e non di un testo definitivo.
Fonti degne di questo nome raccontano che l’elegante avvocato era letteralmente furioso, al punto da tradire nel tono di voce e nel gergo il suo tradizionale aplomb, e non c’è da dubitarne, perchè questa vicenda squarcia il velo di ipocrisia sulla sue capacità decisionali, artatamente costruito dai suoi abili comunicatori, rivelando l’essenza della sua figura di premier unfit to lead, incapace di assicurare la direzione politica, come la riservatezza di un documento evidentemente passato ai media da esponenti del suo partito con l’obiettivo malcelato di dimostrare che ormai Tria, oggetto di un malessere mal sopito sin dal tempo del dossieraggio a mezzo stampa sui suoi collaboratori, è un “ministro della Lega”.
Sordo rispetto alle esigenze di collegialità , politicamente schierato, troppo autonomo rispetto alle richieste del fu partito di maggioranza relativa, diventato, dopo il voto di domenica, di minoranza relativa.
Nella caccia alla “talpa” c’è tutta la consapevolezza di una situazione sfuggita di mano, proprio all’interno dei Cinque Stelle.
Sono sufficienti le domande, per ora senza risposte, a leggere il collasso politico-istituzionale, dal punto di vista pentastellato. Ad esempio: Di Maio, che ha dichiarato quasi in tempo reale rispetto alla pubblicazione della bozza, sapeva che sarebbe uscita? La dichiarazione di Conte, di irritazione istituzionale e di preoccupazione per i mercati aperti, e quella di Di Maio che a mercati aperti ha colto l’occasione per una polemica con l’avversario leghista suggeriscono due approcci diversi in termini di opportunità politica. Radicalmente diversi.
E se appare difficile che qualcuno abbia potuto prendere la lettera dalla scrivania del premier, nell’ora del sospetto è chiaro che la caccia alla talpa si indirizzi verso esponenti del Mef che orbitano attorno ai Cinque Stelle.
Nè fuga i dubbi la dichiarazione in cui il viceministro Laura Castelli ammette di aver letto la lettera comparsa su siti e agenzie nel pomeriggio.
Al netto della risoluzione del giallo, il dato è che il governo non c’è più, incapace non solo di decidere, ma anche solo di riunirsi, e non da oggi.
C’è l’amaro sapore dell’inconsistenza politica nella scena del “cacciatore di talpe” che, in una giornata come questa non ha forza di convocare a palazzo Chigi un vertice di governo anche per rendere plastico, agli occhi dei partner internazionali, che esiste ancora.
Lunedì, così fanno sapere a palazzo Chigi, Conte parlerà alla nazione, probabilmente in conferenza stampa, ma in agenda al momento non c’è nessun “chiarimento” con Salvini e Di Maio.
Ed esattamente un anno dopo il giuramento del governo del cambiamento, resta solo un collasso politicoe l’immagine di palazzo Chigi come del luogo del vuoto, sia pur con una elegante pochette nel taschino.
(da “Huffingtonpost)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
SPREAD ALLA GRECA, CRESCITA ZERO, L’ALLARME DI VISCO, BOZZE DI LETTERE CHE CIRCOLANO, VERTICI DI GOVERNO INVOCATI E NON TENUTI, ESECUTIVO ALLO SBANDO
Fosse stata una giornata litigiosa come le tante a cui questo governo ha abituato il Paese, la rabbia di Luigi Di Maio contro Giovanni Tria sulla lettera di giustificazione a Bruxelles sarebbe stata archiviata come un film già visto, ennesimo fotogramma di un governo che non ha collante interno e che comunque tiene.
E lo stesso ragionamento, con una sfumatura più pessimista, si sarebbe applicato al veleno post elettorale che si sono gettati addosso Lega e 5 stelle, uno per rafforzare l’operazione Salvini premier di fatto, l’altro per riabilitare il suo capo politico e un partito in affanno.
E no, però per l’Italia è stata una giornata anomala. Drammatica.
Lo spread schizzato oltre i 290 punti, i titoli di Stato a cinque anni giudicati dai mercati più rischiosi di quelli della Grecia, la crescita zero certificata dall’Istat, la stroncatura della strategia economica da parte della Banca d’Italia.
È stato un giorno da rischio Paese.
È stato un giorno in cui la natura bicefala del governo si è ulteriormente rarefatta in un ectoplasma incapace di tenere la barra del comando in mano. Il litigio sulla lettera ne è la prova.
Di Maio contro Tria. Tria che smentisce Di Maio. Bozze di lettere che circolano, vertici di governo invocati via Facebook quando da settimane non si tiene un Consiglio dei ministri.
Salvini che fa da solo e avanza ancora, bussando alla porta di Draghi per provare a fare dello spread un altro tassello di una strategia che punta a cambiare Europa e Bce. Conte e la sua mediazione in rincorsa, disallineata nei tempi.
Il tratto che accomuna questo puzzle che non trova la quadra dei suoi tasselli è quello della confusione, che genera debolezza perchè non si può che definire debole un governo che su quella che doveva essere la strategia della rivincita contro l’Europa si è fatto la guerra in casa.
E dentro questa guerra sono affiorate tutte le contraddizioni politiche, di contenuto, con il Tesoro prudente che voleva lasciare qualcosa di tangibile a Bruxelles per salvare la pelle all’Italia e Di Maio che invece ha puntato i piedi contro i tagli al reddito di cittadinanza e quota 100.
Da una parte la sconfessione della strategia economica voluta dai due vicepremier, che è anche tentativo di rivincita di Tria, dall’altra il vicepremier grillino intento a salvarla perchè tagliare il reddito significa derubricare l’esperienza al governo a una visita turistica in un museo.
E in mezzo Salvini, che ha portato Tria dalla sua parte sulla flat tax. Ancora confusione.
Ecco che così il litigio interno al governo è diventato qualcos’altro. Pericolosamente qualcosa altro perchè l’incendio divampato sui mercati è qualcosa di più e di diverso rispetto alle tensioni che si sono registrate in altri passaggi critici della vita di questo governo, come in occasione della gestazione della manovra dello scorso autunno. Quello che i mercati hanno detto oggi è che sì le tensioni sono state causate dalle politiche sui dazi di Donald Trump e da un Bund tedesco che è diventato super conveniente. Ma ha soprattutto ha generato – attraverso i numeri, che sono i riflessi dei comportamenti degli investitori, cioè di chi ci mette i soldi – un’immagine da brivido: l’Italia come la Grecia.
L’Italia come il Paese che qualche anno fa è andato con le gambe per aria e poi sottoposto a una cura da cavallo per mano della troika. Sembra di essere ritornati al 2011, con tutte le conseguenze politiche che lo scenario di allora evoca, cioè incapacità del governo di rispondere ai mercati, di fronteggiare il rischio Paese.
Lo ha detto anche Carlo Cottarelli, che conosce bene i meccanismi dell’economia e della politica, in un’intervista a Huffpost: “Rischiamo di tornare al 2011-2012, con lo spread che arriva a 500-600 punti”.
E litigare oggi, dare al Paese e ai mercati la dimostrazione che non si è neppure capaci di mettersi d’accordo in quella che doveva essere la risposta alle critiche ritenute ingenerose da parte di Bruxelles sui conti pubblici, attesta che il governo così come l’abbiamo conosciuto fino al 26 maggio, prima del voto europeo, davvero non esiste più.
Che sia diventato altra cosa si è capito da qualche giorno, da quando Salvini ha deciso di occuparsi di tutto, travalicando competenze e ruoli non solo rispetto a Di Maio e ai 5 Stelle, ma anche nei confronti del ministro dell’Economia.
Anche oggi Salvini ha giocato da premier o quantomeno ha provato a farlo, approfittando di un presidente del Consiglio, Conte, che ha rimandato a lunedì – un tempo che si centuplica visto il rischio che corre l’Italia sui mercati – la sua analisi sullo stato dell’arte del governo e del Paese.
Lo spread e la lettera alla Ue non sono stati l soli fattori che hanno dato natura diversa allo sbandamento totale del governo. La Banca d’Italia ha strigliato e non poco il tentativo di sabotare il progetto europeo, lanciando un warning chiaro al governo: o si resta in Europa o si diventa più poveri.
E stare in Europa significa credere nell’euro, costruire l’Unione bancaria, tutti tratti di un’Europa lontana anni luce da quella sovranista che la Lega vorrebbe costruire dopo il voto che le ha consegnato oltre il 30% dei consensi.
Nelle raccomandazioni del governatore Ignazio Visco c’è la bocciatura della ricetta economica del governo, che passa dal reddito di cittadinanza e dalla quota 100.
C’è la previsione di un debito più alto, di conti pubblici che rischiano di andare ancora di più allo sbando e di colpire un’economia reale che non si è risollevata, con imprese e famiglie che fanno ancora fatica. E poi l’Istat, che ha non ha lasciato spazio a possibilità di aggrapparsi agli specchi: se si va avanti così non ci sarà crescita. Nessun miarcolo in vista.
In questo campo ha giocato oggi il governo. In maniera confusa, senza una direzione di marcia univoca, litigando, usando spin.
Un gioco sulla pelle del Paese.
(da “Huffingtonpost“)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
IL FERETRO DI LORENZO ORSETTI ACCOLTO SOLO DA UNA DELEGAZIONE DI CURDI RESIDENTI IN ITALIA… QUEI VOMITEVOLI SOVRANISTI CHE COMBATTONO L’ISIS SULLA TASTIERA E NON HANNO RISPETTO DI UN CADUTO AL FRONTE DELLA LIBERTA’
È morto lo scorso 18 marzo Lorenzo Orsetti, il fiorentino di 33 anni ucciso dall’Isis in Siria mentre combatteva, sotto il nome di battaglia di Tekoser, a fianco delle milizie curde in Rojava.
Ma la sua salma è stata riportata in Italia solo oggi, 31 maggio, e la comunità curda di Roma si è organizzata per accogliere il giovane combattente a Fiumicino intorno alle 15, per poi seguire il feretro all’istituto di medicina legale del quartiere San Lorenzo.
E la polemica viene fatta scattare da chef Rubio, che su twitter scrive: “Oggi il centro socio culturale Ararat di Roma celebra il rientro della salma di Orso. Nessun rappresentante delle istituzioni”
Il rientro della salma in Italia era stato più volte rimandato a causa di problemi sorti in loco tra il Consolato italiano in Iraq e l’autorità del Rojava, non riconosciuta a livello internazionale.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
CHE FINE HA FATTO IL LEADER DELL’EUROPA DEI POPOLI? UNA FIGURA DA PERACOTTARO
La politica è fatta di alleanze, se non prendi abbastanza voti ti devi alleare con qualcuno che i voti che ti mancano li ha.
È successo al MoVimento 5 Stelle, è successo al PD. Succederà anche alla Lega?
Da giorni Salvini — con la complicità di certi telegiornali pagati coi soldi pubblici — ci racconta della grande vittoria dei sovranisti in Europa.
Ma ultimamente a nessuno dei grandi amici europei di Salvini piace l’idea di farsi vedere assieme agli eurodeputati della Lega.
Ma oltre la propaganda di Morisi sul nuovo leader dell’Europa dei Popoli la verità è che il gruppo dei sovranisti europei non ha i numeri per fare altro che stare all’opposizione. Altro che magnifiche sorti e riforme progressive dell’Unione Europea.
Anche questa volta gli eurodeputati leghisti andranno in Europa (se ci andranno, visto l’esempio del capo leader) per scaldare la seggiola.
O al più per lanciare vibranti accuse contro l’Europa dei banchieri e dei burocrati, ad uso e consumo dei talk nostrani.
Salvini lunedì parlava di un gruppo da 100-150 membri, ovviamente non si tratta solo degli eletti all’interno di ENL ma anche dei 29 seggi di Farage più altri euroscettici sparsi all’interno dei gruppo parlamentari più importanti.
Ma la prima doccia fredda arriva proprio dal brexiter che ha annunciato di non voler abbandonare l’EFDD, il gruppo nel quale fino alla scorsa legislatura militavano anche gli eurodeputati pentastellati.
Restano però altri “amici” di Salvini. Ad esempio i tredici parlamentari europei eletti da Fidesz, partito del primo ministro ungherese Viktor Orbà¡n.
Ed è proprio lui — l’amico Viktor — a gelare le speranze di Salvini. Il premier magiaro ha detto che rimarrà nel PPE (dove però in teoria il partito è sospeso per dei problemucci circa lo stato di diritto in Ungheria).
Ieri il capo dello staff di Orbà¡n, Gergely Gulyà¡s, ha detto durante una conferenza stampa di non vedere «molte possibilità di collaborazione tra Fidesz la Lega» nè a livello di partito nè all’interno di un gruppo parlamentare comune.
Al tempo stesso come gesto di buona volontà nei confronti del PPE l’Ungheria ha deciso di rinviare indefinitamente il programma di riforma del sistema giudiziario che era stata la causa degli attriti con Bruxelles e che avevano portato alla sospensione di Fidesz dal gruppo dei Popolari Europei.
Anche il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer volta le spalle a Salvini.
Proprio lui che nel luglio del 2018 assieme al nostro ministro dell’Interno e all’austriaco Herbert Kickl aveva dato vita al cosiddetto “asse dei volenterosi” che voleva cambiare le politiche europee nella gestione dei flussi migratori.
In un’intervista rilasciata alla DPA Seehofer ha detto che «dopo l’incontro di Salvini con l’Afd e con Marine Le Pen per me non erano più possibili intese politiche. Almeno non oltre quella che è l’usuale collaborazione tra Stati».
Insomma il fatto che Salvini voglia costruire una cosa nera europea con un partito come Alternativ fà¼r Deutschland non è piaciuto ad uno dei possibili alleati della Lega in Europa. Il ministro dell’Interno tedesco è netto: «con Matteo Salvini “una base di fiducia praticamente non è più possibile».
Ora qualcuno dovrebbe raccontarci in che modo il leader dell’Europa dei Popoli può essere leader se i popoli europei gli voltano le spalle. Ma sono dettagli.
Forse gli ungheresi non hanno gradito la proposta di Salvini di far pagare il debito italiano alla BCE? Strano!
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
PER IL 47% DI CHI HA ANCORA VOTATO M5S, DI MAIO DEVE RESTARE CAPO POLITICO, MA PER IL 43% DEVE ANDARSENE… E QUESTI SONO QUELLI CHE LI HANNO VOTATI, FIGURATEVI I SEI MILIONI DI ELETTORI CHE HANNO CAMBIATO VOTO O SI SONO ASTENUTI
La rilevazione è quella effettuata da Winpoll per Scenaripolitici.com: si chiede agli elettori cosa pensano che debba fare il governo dopo il voto delle europee.
Secondo il 36% del campione, l’esecutivo deve continuare la sua esperienza: lo sostengono soprattutto gli elettori del M5s (il 68% di loro) e della Lega (il 47%).
Al contrario ritiene che sia giusto andare ad elezioni anticipate il 64% degli elettori, soprattutto quelli di Forza Italia (84%), Fratelli d’Italia (77%) e Pd (75%), ma anche quelli della Lega (53%).
Sul futuro di Luigi Di Maio viene chiesto agli intervistati cosa dovrebbe fare il leader del Movimento 5 Stelle dopo la sconfitta delle europee.
La domanda è stata posta prima del voto della piattaforma Rousseau con cui Di Maio è stato confermato capo politico del M5s.
Secondo il 34% degli elettori Di Maio dovrebbe dimettersi da leader del M5s ed è quello che sostiene anche il 43% degli elettori pentastellati.
Per il 32% (di cui il 47% degli elettori M5s) Di Maio dovrebbe rimanere al suo posto. Ancora, solo il 5% ritiene che Di Maio dovrebbe dimettersi da ministro, mentre il 29% sostiene che la soluzione migliore siano le dimissioni da tutti i suoi incarichi (lo pensa anche l’8% degli elettori pentastellati).
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
CONTE IN ALLARME, RISCHIO DI ANDARE SOTTO IN PARLAMENTO… “APRE LA STRADA ALLA CORRUZIONE, SALVINI CERCA UN PRETESTO PER FAR SALTARE IL GOVERNO”
Senatori M5s riuniti. Sul tavolo la sospensione del codice degli appalti per due anni chiesta dalla Lega sottoforma di proposta di modica al decreto Sblocca cantieri: “È un emendamento irrazionale, tutto da riscrivere”.
I toni, contro l’alleato, sono tesi. Nessuna schiarita dopo il voto di domenica scorsa. I grillini, che fanno parte della commissione Lavori pubblici, hanno deciso che la sospensione non passerà mai.
Nello stesso tempo è impossibile aprire un dialogo con i colleghi della Lega e il tempo si assottiglia.
Martedì l’intero provvedimento arriverà in Aula, dunque l’incidente parlamentare è dietro l’angolo. Il primo banco di prova, se la situazione non dovesse precipitare prima, è questo.
Il ministero dei Trasporti, che ieri ha studiato la proposta della Lega, oggi non commenta.
La protesta del Movimento arriva nella sede del governo, dove solo ieri il premier ha riunito tutti i capigruppo per provare a sciogliere i nodi ma a quanto pare ancora si è molto lontani.
La palla ormai è in mano al premier Giuseppe Conte: “Se ci sono emendamenti che una forza politica rivendica a livello di vertice, li porterà a Palazzo Chigi”.
E la sospensione del codice degli appalti rientra tra questi. Un accordo parlamentare non c’è, si attende un vertice di governo tra il premier, Salvini e Di Maio che al momento non è stato ancora fissato. La discussione dell’emendamento della discordia potrà slittare ancora di qualche giorno, oltre martedì, ma certamente il dato segnata è la prossima settimana.
Il colpo basso piazzato dalla Lega, l’ennesima provocazione del segretario leghista, viene vissuto dai 5Stelle come la volontà da parte di Salvini di arrivare alla rottura: “Abbiamo lavorato insieme ai senatori leghisti per tanti mesi, abbiamo raggiunto un accordo delle modifiche da apportare al codice degli appalti, e adesso Salvini parla di sospensione. Ma come gli viene in mente?”.
Anche perchè il codice degli appalti per i pentastellati è un argine irrinunciabile ai rischi di corruzione nei lavori pubblici, di conseguenza i senatori non potranno mai dare il via libera alla sospenzione. Significherebbe derogare ai propri principi.
Così i senatori grillini ricordano tutte le modifiche già concordate con la Lega, che avevano avuto il via libera. Niente più obbligo di indicare terna subappaltatori, limite del 40% del valore dei lavori subappaltabili, individuazione dei commissari per le opere strategiche e urgenti.
Soglie di affidamento degli appalti: da 0 a 40 mila affidamento diretto; da 40mila a 150mila affidamento diretto con valutazione di almeno tre preventivi (come già previsto in Manovra); da 150mila a 350mila procedura negoziata con consultazione di almeno 10 operatori; da 350mila a 1milione procedura negoziata con consultazione di 15 operatori; oltre 1 milione e fino alla soglia comunitaria (5,2 milioni) con gara a procedura aperta.
Sarebbero tutte modifiche alle quali la Lega ha dato il via libera prima del voto delle Europee ma ora lo scenario è totalmente diverso. “Salvini cerca un espediente, un pretesto per far cadere il governo o per rivendicare come proprio lo Sblocca cantieri”, dicono i 5Stelle, convinti sempre più che così come è stato scritto la proposta di modifica targata Lega non passerà .
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
A RISCHIO SIBILIA, FERRARESI E VILLAROSA
Un doppio tagliando, sull’organizzazione del Movimento e sulla squadra di governo, ma senza un rimpasto vero e proprio.
Da fare seguendo una road map tortuosa e imprevedibile. Luigi Di Maio dalla notte elettorale è chiuso nel suo bunker.
Dopo un primo vertice lunedì, il via vai di fedelissimi e consiglieri si è man mano assottigliato e sempre più ristretto, le scelte valutate e condivise da una cerchia sempre più selezionata.
Quel che il leader ha in mente di fare, da subito, è un’accelerazione brusca sul versante riorganizzazione. Ma la testa è anche sul governo, e con il passare delle ore la convinzione è sempre più quella che qualcosa vada cambiato.
Andiamo con ordine. La gragnola di critiche piovute sulla testa del capo politico sullo scollamento con il territorio, l’incomunicabilità con la stanza dei bottoni, le faide interne incontrollate sui territori che portano a sfaldamenti locali, lo ha convinto che la riforma del Movimento è improcrastinabile.
Cosa fare e come farlo lo vuole condividere con alcuni dei pilastri del “Movimento delle origini”, che i 5 stelle hanno visto nascere e crescere e, in ultimo, sprofondare.
Da riunire in conclave, per due o tre giorni, e elaborare un quadro coerente di proposte da sottoporre tanto al gruppo parlamentare quanto alla base di attivisti.
Sono Alessandro Di Battista, Paola Taverna, Chiara Appendino e Roberto Fico i nomi individuati.
Il presidente della Camera non avrebbe ancora dato la propria disponibilità ufficiale a partecipare, ma si confida nel sì di una delle figure da sempre più carismatiche.
“Chiara è importante per il contributo che può dare per la gestione del territorio, il rapporto con i consiglieri comunali e regionali”, spiega un uomo vicino al leader. È stato Di Battista, nel corso dell’assemblea fiume di mercoledì, ad avanzare anche i nomi di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. Entrambi sarebbero intenzionati a declinare la proposta. Soprattutto sull’imprenditore sarebbero già circolati alcuni mugugni. “Ma se Luigi gli chiede di raggiungerlo per un paio di giorni pensi che si rifiuterebbero?”, chiede chi gli sta dando una mano a riorganizzare i territori.
C’è poi il lato governo, assai più scivoloso e da maneggiare con cura. Emilio Carelli, che di Di Maio a tutti gli effetti è un consigliere, in congiunta ha svelato la nudità del re pronunciando la parola tabù: rimpasto.
Il capo politico da un lato non lo vorrebbe: toccare anche la minima casella potrebbe voler dire creare una valanga capace di arrivare con forza a valle. Dove siede il Consiglio dei ministri, con la sua maggioranza al momento saldamente in mano al Movimento, che si potrebbe ribaltare. “Perchè considera che Tria e Moavero, che formalmente sono tecnici, sono totalmente appiattiti sulla Lega”, ragionano i suoi.
E c’è la casella degli Affari europei da assegnare. Traducendo: uno o due ministri si possono cambiare o sostituire. Se il numero aumenta, diventa impossibile farlo senza aprire una crisi formale di governo. A quel punto l’intera squadra verrebbe automaticamente rimessa in discussione.
Il vicepremier si muove sulle uova, spera che lasciando decantare la situazione quella che fu di Paolo Savona e il Commissario che il governo indicherà a Bruxelles siano le uniche due caselle in grado di placare gli appetiti di Matteo Salvini.
E che possano dare il là a un tagliando dei pentastellati di governo. I ministri sono tutti inamovibili. O quasi. Perchè sarebbe maturata da tempo l’idea di sostituire Danilo Toninelli alle Infrastrutture. E non è passato inosservato che Salvini non abbia nemmeno accennato all’urgenza di sostituire Armando Siri, che del Mit era sottosegretario, nè tanto meno di Edoardo Rixi, sottosegretario nello stesso ministero. Per questo la cautela è d’obbligo.
Anche se il nome sarebbe già pronto, e circolerebbe da tempo. E sarebbe quello di Mauro Coltorti, geologo già nella squadra pre elettorale dei 5 stelle.
Che fu ministro in pectore nelle ore precedenti alla formazione del governo, salvo poi saltare per una scelta più politica dovuta all’improvvisa accelerazione di quei giorni e alla necessità di avere un uomo di fiducia in uno dei ministeri dal portafoglio più sostanzioso.
“Chi era con Danilo a Palazzo Chigi per il vertice fiume sul Tav?”, chiede uno degli uomini più vicini rispondendo con una domanda alla richiesta di conferma. Per il resto il capo politico non vorrebbe toccare i dicasteri. Elisabetta Trenta e Sergio Costa, nonostante le frecciate, sono considerati inamovibili, un po’ meno Giulia Grillo, con Pierpaolo Sileri indicato come favorito per la successione.
Diversa è la questione sottosegretari. Con Angelo Tofalo a un passo dall’addio, un altro indiziato è Carlo Sibilia. Un ottimo rapporto con il vicepremier, ma su di lui si addensano nuvoloni di critiche da parte di una larga fetta di parlamentari: “Al ministero dell’Interno non esistiamo”. Sostanzialmente le stesse critiche mosse sull’Economia. E se Laura Castelli non è in discussione, il turn over potrebbe riguardare Alessio Villarosa, così come uno degli indiziati al passo indietro sarebbe Michele Dell’Orco, che tuttavia rientra nella più complessa partita del Mit.
Per capire il clima bisogna tornare a giovedì sera.
Al Senato va in scena una drammatica riunione dei senatori pentastellati, oggetto l’emendamento che sospende il codice degli appalti per due anni.
I temi nel calderone si aggiungono man mano che si va avanti, i tanti onorevoli avvocati presenti si lasciano andare. Emerge una generale insoddisfazione nei confronti del ministero della Giustizia, nei confronti di Alfonso Bonafede, ma soprattutto del suo giovane braccio destro Vittorio Ferraresi:
“Ma possibile che io esercito da lustri, e un ragazzino che si è laureato la scorsa legislatura mi tiene nascosti i testi degli articolati?”, è sbottato uno dei presenti. Rivendicazioni di natura organizzativa che si saldano a quelle sulla squadra di governo. Con la consapevolezza che cambiare il cambiamento con un gioco a somma zero è impresa non ardua, quasi disperata.
(da “Huffingptonpost”)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
ARPINO, TRICARICO E CAMPORINI ANNUNCIANO CHE NON PARTECIPERANNO ALL’EVENTO : “PENSIONATI SOTTOPOSTI ALLA GOGNA MEDIATICA”
“Alla parata non ci sarò, attendo un clima più sereno”, con queste parole – affidate all’AdnKronos, il generale Mario Arpino – già capo dello Stato della Difesa – annuncia che non parteciperanno al tradizionale evento del 2 giugno.
Non è il solo ad aver preso questa decisone: con lui ci sono Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, e Leonardo Tricarico, in passato capo di Stato maggiore dell’Aeronautica.
“Non è tollerabile – spiega ancora Arpino – la gogna mediatica a cui sono stati sottoposti i pensionati. Non ne faccio una questione personale: trovo inaccettabile sentire parlare di pensioni d’oro, quasi incitando all’odio di classe”.
“Sarebbe ipocrita da parte mia – prosegue – stringere le mani di chi ha tagliato le pensioni. Non è una colpa, ma un merito avere una pensione più alta per chi ha lavorato tutta la vita. Io ho cumulativamente 55 anni di servizio. Non mi sembra che l’atteggiamento di alcuni ministri sia giusto. Penso che l’indecisione di questo governo su tantissimi temi sia molto grave. Le questioni militari, penso ad esempio agli F-35, sono passate completamente in secondo piano”.
Dal canto suo, invece, Tricarico dichiara di non poter partecipare allo stesso evento insieme con chi lavora per indebolire le forze armate: “Non parteciperò perchè sarebbe ipocrita applaudire i nostri soldati in compagnia di soggetti che stanno contribuendo a un progressivo e, per certi versi, irreversibile indebolimento delle Forze Armate”.
Il dito dell’ex vertice dell’Aeronautica è puntato contro il governo Lega-M5s o, almeno, contro una parte di esso: “Una componente della maggioranza giallo-verde – lamenta il generale – sta portando avanti un atteggiamento ostile nei confronti di una delle poche Istituzioni che funzionano bene in Italia: le Forze Armate, Per di più, noi generali in pensione veniamo trattati dei malfattori per via della polemica sulle così dette pensioni d’oro”.
Nello spiegare le sue motivazioni chiama in causa il vicepremier 5 stelle: “Addirittura Luigi Di Maio pronunciò la frase ‘si debbono vergognare’. Non capisco di cosa dovrei vergognarmi. Ho servito lealmente il mio Paese per 40 anni, rischiando la vita su un aeroplano”.
Camporini, invece, affida il suo pensiero a Facebook: “Comunico a tutti gli amici che quest’anno ho deciso di non accettare l’invito ad assistere alle celebrazioni del 2 Giugno in via dei Fori imperiali: troppe le disattenzioni del governo nei confronti dei temi della Difesa, spesso snaturata con una ipocrita enfasi sul ‘dual use’, a partire dalla perdurante mancata presentazione del ‘decreto missioni’, dalla sostanziale paralisi delle attività amministrative per l’ammodernamento dei mezzi, da dichiarazioni di vuoto pacifismo del presidente del Consiglio e potrei continuare. Sono assolutamente certo che nessuno sarà sconvolto dalla mia assenza, ma personalmente non me la sento di avallare ipocritamente con la mia presenza una gestione che sta minando un’istituzione di cui il Paese deve essere orgoglioso”.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2019 Riccardo Fucile
“SE UN GOVERNO NON CE LA FA, MEGLIO NUOVE ELEZIONI”
“La lettera di Tria magari servirà a indurre la Commissione europea a rimandare l’eventuale procedura sul debito a dopo l’estate. Ma non può indurci a stare tranquilli. Rischiamo di tornare al 2011-2012, con lo spread che arriva a 500-600 punti… Voglio dire che la ‘casa Italia’ è fragile equindi, o perchè non si trova la quadra per il 2020 o perchè c’è un peggioramenteo del mood dei mercati o perchè ci sono degli scossoni, delle guerre, insomma in questi casi noi siamo i primi della lista a essere attaccati dai mercati”.
Come oggi, esattamente un anno fa, Carlo Cottarelli saliva al Quirinale per rimettere l’incarico di formare un governo.
Sergio Mattarella aveva pensato a lui, ex commissario della Spending review, ex Direttore del Dipartimento di Finanza Pubblica all’Fmi, quale premier di un governo tecnico in mancanza di una maggioranza dopo le politiche del 4 marzo.
Durò pochi giorni. Al 31 maggio 2018 l’idea di un governo Cottarelli era già sfumata, perchè nel frattempo Matteo Salvini e Luigi Di Maio avevano cambiato idea, pronti a sostenere insieme un esecutivo con un altro premier, Giuseppe Conte appunto.
A un anno dai fatti e soprattutto nel bel mezzo di tante preoccupazioni sui conti pubblici, con lo spread tornato di nuovo ballerino e i mercati che sembrano ritenere l’Italia più rischiosa della Grecia, Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica, ci concede questa intervista.
Oggi lo spread è salito ai livelli massimi toccati a dicembre, 296 punti, dopo è sceso ma comunque ha chiuso in rialzo a 286. Sembra che i mercati considerino i titoli italiani più rischiosi di quelli greci. E’ davvero così?
Infatti, nella seconda parte della giornata è sceso. Non enfatizzerei troppo, il problema è generale. Ma è vero che lo spread è già più alto di un mese fa, ben prima di subire i possibili effetti della discussione tra il governo e la Commissione europea sulla manovra 2020, discussione che non è ancora iniziata.
Oggi il ministro Tria ha risposto alla richiesta di spiegazioni di Bruxelles. Come valuta la lettera del ministro?
E’ una lettera che cerca di dare delle spiegazioni e io penso che sarà sufficiente per far rimandare le cose.
Cioè ritiene che la lettera riuscirà a convincere la Commissione a non annunciare l’apertura di procedura per debito mercoledì prossimo?
Per il 2018 e il 2019, Tria ha argomenti validi e le cose non sono cambiate molto dal dicembre scorso. L’economia è cresciuta meno e questo spiega l’aumento del deficit. Ma la lettera è poco convincente sul 2020-2022. Come si fa a raggiungere l’obiettivo di un disavanzo nominale al 2,1 per cento, cui si fa esplicito riferimento, se poi nella stessa lettera si dice che i partiti politici non vogliono aumentare l’Iva? Che vuol dire questo? I partiti politici sono Lega e Cinquestelle e sono al governo insieme a Tria! E a volte dicono di voler sfondare il 3 per cento del rapporto tra deficit e pil, altre che devono finanziare la flat tax in deficit, ecc. Questi annunci rendono il quadro instabile e oscuro.
Nella lettera Tria annuncia tagli al welfare, giusto leggerla in questo modo?
A me sembra che si tratti di qualcosa di già scontato e non di nuovi tagli. Credo si riferisca al fatto che il reddito di cittadinanza è costato meno di quanto preventivato. Si parla invece di trovare i soldi per la flat tax… Ma data tutta questa incertezza, mercoledì prossimo la Commissione potrebbe rimandare il giudizio a settembre in occasione della presentazione del piano di medio termine e lì prendere una decisione. Non mi piace scommettere ma se fossi forzato a farlo, dire che il 5 giugno il rapporto della Commissione non conterrà la stessa frase critica che c’era nel rapporto dello scorso novembre.
La frase critica era che la procedura sul debito sarebbe “giustificata”, poi fu rimandata a dopo il voto, come si sa.
Sì, penso che in questa fase, considerato che la Commissione Juncker è in uscita, prevarrà un tono più interlocutorio.
Non la sento allarmato dalla situazione economica italiana.
Invece lo sono ma il problema scoppierà a settembre-ottobre. Perchè resta un buco nel bilancio 2020 e ancora non si è capito come lo riempiono. Dunque potrebbe ripetersi una crisi sui mercati, con lo spread che sale rapidamente, partendo già da un livello alto. Lo scenario è che rischiamo di tornare alla situazione del 2011-12.
Fu la situazione che portò al governo Monti. Prevede un altro governo tecnico? Esattamente un anno fa lei era al Quirinale, Mattarella le diede l’incarico di formare un governo, poi non andò così…
No. Io vedo il rischio che lo spread arrivi a 500-600 punti percentuali di differenza col bund tedesco. Magari non si verificherà ma il rischio c’è. E’ vero che alla fine i mercati sono abbastanza tolleranti e gli eventi del 2011 sono davvero rari. Ma la ‘casa Italia’ è fragile e quindi, o perchè non si trova la quadra per il 2020 o perchè c’è un peggioramenteo del mood dei mercati o perchè ci sono degli scossoni, delle guerre, insomma in questi casi noi siamo i primi della lista a essere attaccati dai mercati.
Se tutto questo avviene, ci si può immaginare la riedizione di un governo tecnico alla Monti come se 8 anni non fossero passati?
Io credo che questo governo terrà , se non ci sono problemi, se non c’è una crisi finanziaria: alla fine, si metteranno d’accordo. Se invece lo scenario è di crisi, se ci fosse una crisi economica che si estende a una crisi politica, allora l’unica cosa sensata è andare a nuove elezioni. Resta in carica il governo corrente fino a nuove elezioni.
Un anno è passato: il governo tecnico che lei avrebbe potuto guidare sarebbe stato sufficiente a evitare l’attuale situazione di preoccupazione?
Il mio governo tecnico sarebbe stato lì per uno scopo molto limitato, massimo 4 mesi, per fare delle cose e portare il paese a nuove elezioni. Una specie di ‘governo balneare’. Per fare riforme vere ci vuole una maggioranza politica e questa c’è ora. Non vedo alternative al governo attuale.
Non c’è all’orizzonte un altro tentativo di governo Cottarelli, mi permetta…
Non c’è al momento una maggioranza di governo alternativa a quello attuale. Gli italiani hanno votato e l’unica maggioranza possibile è quella che è stata formata da Lega e M5s. Andranno avanti, anche se non è solidissima. Se non ce la fanno, vedo le elezioni.
Ecco, allora il discorso è tutto politico. La critica all’austerity è diventata quasi tutta appannaggio dei soli sovranisti, a giudicare da quanti voti prendono. Per l’opposizione non populista si tratta di trovare il modo di convincere l’elettorato sulle ricette di lungo periodo per rimettere in sesto i conti. Come si fa?
Dipende da cosa intendiamo per austerity. L’austerity è la modalità per evitare un aumento del deficit con un taglio drastico del deficit. Ecco questa secondo me non è la soluzione per l’Italia. Io sono per natura gradualista. Ritengo necessarie politiche che rilancino la crescita senza usare i soldi pubblici per poi mettere da parte le maggiori entrate che arrivano. Ecco questa non la chiamerei austerity: non è necessario fare i tagli alla spesa pubblica. Se avessimo iniziato dal 2015, avremmo il bilancio in pareggio senza fare tagli. Dobbiamo fare riforme che riducano la burocrazia, rendano più facili gli investimenti senza far impazzire gli imprenditori, combattere la corruzione, ridurre le tasse ma trovare risparmi sul lato della spesa: se cosi si recupera competitività , si cresce.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: economia | Commenta »