Destra di Popolo.net

LA GRUBER DISTRUGGE UN SALVINI BOLLITO: “SE LE SUE PROMESSE VANNO A FINIRE COME IL MIO MAZZO DI ROSE, I SUOI ELETTORI STANNO MESSI MALE”

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

SALVINI NON RIESCE A DARE UNA RISPOSTA SENSATA, VISIBILMENTE BOLLITO… E TIRA FUORI ANCHE L’IMMAGINETTA DI PADRE PIO, ORMAI NON SA PIU’ A CHE SANTO VOTARSI

Nuovamente ospite di Otto e Mezzo, il leader della Lega — in collegamento video con lo studio — non ha onorato la sua promessa di omaggiare con un mazzo di fiori la conduttrice di La7.
In una puntata di qualche settimana fa, infatti, Salvini aveva chiesto scusa alla Gruber per le sue frasi in merito alla sua presenza in trasmissione e aveva tirato fuori la storia del mazzo di fiori.
Dopo aver litigato praticamente su qualsiasi argomento trattato nel corso dell’intervista, Lilli Gruber ha apostrofato Salvini sul finale della trasmissione: «Io le sue rose non le ho ancora viste — ha detto la giornalista al ministro dell’Interno -: se le sue promesse elettorali vanno a finire come quella sul mio mazzo di rose, i suoi elettori stanno messi male».
Matteo Salvini ha prima provato a rintuzzare la battuta della Gruber, rincarando la dose e promettendole anche dei cioccolatini di Novi Ligure (dove questa sera il ministro terrà  il suo comizio).
Poi si è limitato a un semplice sorriso di circostanza e ha borbottato qualcosa su «noi maschietti».
La conclusione definitiva delle schermaglie andate avanti per quasi tutta la durata della trasmissione, con Matteo Salvini che ha addirittura tirato fuori, a un certo punto, l’immaginetta di Padre Pio.

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IL LIBRO INTERVISTA SU SALVINI E’ UN FLOP CLAMOROSO: IN LIBRERIA VENDUTE SOLO 243 COPIE IN UNA SETTIMANA IN TUTTA ITALIA

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

SMONTATI ANCHE I TONI TRIONFALISTI DELL’EDITORE SULLE VENDITE ON LINE: E’ GIA’ PRECIPITATO AL 12° POSTO

Il successo online dei primissimi giorni del libro-intervista su Matteo Salvini non è stato seguito dallo stesso successo anche nelle librerie.
‘Io sono Matteo Salvini — intervista allo specchio’ rischia di essere, almeno per quanto riguarda i dati delle vendite in libreria, un flop editoriale.
Nella prima settimana, quella che va dal 12 al 18 maggio, in libreria sono state vendute solamente 243 copie del libro pubblicato da Altaforte, la casa editrice vicina a Casapound.
L’intervista è stata scritta da Chiara Giannini, giornalista finita al centro della polemica, insieme alla casa editrice, nei giorni del Salone del Libro di Torino. La prefazione, invece, è stata affidata al direttore de La Verità  Maurizio Belpietro.
Per un libro che viene descritto dalla stessa Altaforte, sul suo sito, come la risposta alle “cento domande all’uomo più discusso d’Europa”.
I dati sono quelli della Nielsen Bookscan, che si occupa proprio di raccogliere i numeri sulla vendita nelle librerie.
La Nielsen è una delle due società  che si occupa di questi servizi statistici, opera in tutto il mondo e negli scorsi anni si è fusa con Bookscan.
In questa storia di classifica vengono considerate sia le librerie indipendenti che le grandi catene editoriali
I numeri fanno riferimento solo alla vendita fisica dei libri, escludendo quindi sia l’e-book che il mercato online.
Così come — ma con i libri appena usciti è un dato meno rilevante — l’usato e le bancarelle.
Va inoltre ricordato che molte librerie hanno scelto di non avere tra i loro scaffali copie del libro edito da Altaforte.
Per esempio, 120 librai della Feltrinelli avevano spedito negli scorsi giorni una lettera per chiedere che il libro-intervista fosse bandito dagli scaffali.
Nei primissimi giorni le vendite sembravano invece avere ben altro risultato. Tanto che tra il 9 e il 10 maggio il libro di Chiara Giannini è stato nei primissimi posti dei libri più venduti su Amazon. In quei giorni il libro-intervista non era ancora uscito in libreria ma era comunque possibile pre-ordinarlo.
Va detto che le classifiche di Amazon sono basate su un lasso di tempo molto ristretto (non sono su base settimanale o mensile) o sono quindi soggette a una forte variabilità . A due settimane di distanza — il libro di Salvini è sceso al dodicesimo posto nella graduatoria di Amazon.
I dati sulle vendite online avevano portato l’editore di Altaforte, Francesco Polacchi, ad esultare e ad esclamare che “il libro di Salvini è in testa alle classifiche”.
E aveva ironizzato tornando sulla polemica del Salone del Libro: “Il libro-intervista è il numero 3 dei libri più venduti su Amazon e sappiamo che Salvini verrà  votato da un italiano su tre, quindi anche in ottica commerciale, non dico che lo compreranno uno su tre, ma sarà  un best seller”.
Dati veri, ma solo per quanto riguarda le pre-vendite online dei primi giorni.
Ma aspettative deluse dal punto di vista della distribuzione nelle librerie, almeno per i primi giorni.

(da Fanpage)

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SALVINI IN FUGA DA MIRANDOLA

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

NELLA SUA SETTIMANA PIU’ NERA, SALVINI CANCELLA IL TOUR IN EMILIA PER TENERSI LONTANO DAL LUOGO DELLA “FALLA” NELLA SUA SICUREZZA PATACCA

È la sua settimana nera, iniziata con Salvini che, in maniche di camicia e collo gonfio di rabbia, assiste in diretta tv allo sbarco della nave Sea Watch “a sua insaputa” minacciando denunce alla procura e vendette agli alleati.
Proseguita col rinvio del decreto sicurezza bis, la pistola fumante che voleva ostentare il “fannullone” del Viminale, che quest’anno ha lavorato solo 17 giorni, perchè troppo impegnato in chiacchiere e comizi.
La settimana si chiude con la fuga di Salvini dall’Emilia Romagna, ad eccezione di un passaggio a Piacenza.
Ma non ci sarà  il giro che i suoi si aspettavano, perchè il ministro, evidentemente, si tiene alla larga da Mirandola, dove si è appreso che il giovane nord-africano che ha appiccato il fuoco al Commissariato doveva essere espulso, ben prima che appiccasse il fuoco al commissariato causando morti e feriti. Come ama ripetere il ministro “andava messo sul primo aereo”.
Immaginate cosa sarebbe successo a parti invertite, con al Viminale il ministro senza quid (Alfano) o il ministro con tanto di quel quid (Minniti) che, ai tempi, per contestarlo Salvini sosteneva che la sicurezza non è questione di numeri, ma di percezione.
Perchè i numeri raccontavano il picco dei rimpatri, la percezione ansiogena alimentata dalla grancassa dei media, compresa Mediaset, rappresentava una invasione di delinquenti con la pelle nera.
Ebbene, a parti invertite, come un lupo che sente l’odore del sangue, Salvini avrebbe fatto un comizio davanti alla sede della polizia bruciata. E invece, da ministro che recita l’improbabile spartito di uno che sta all’opposizione anche quando ha la responsabilità  del governo, stavolta fugge.
Il Corriere di Bologna scrive che Salvini era atteso per un ultimo tour elettorale, a Ferrara, con possibile passaggio a Modena e Lugo, dove il partito si era già  rivolto al prefetto affinchè il comizio si svolgesse in un clima sereno, quindi era una tappa piuttosto certa, non una eventualità  sennò, su una semplice eventualità , non vai a scomodare la prefettura per salvaguardare l’ordine pubblico.
Poi il programma è cambiato, guarda caso dopo l’episodio di Mirandola.
Paura, quella mai, perchè per la “bestia” comunicativa leghista, il ministro è come lo spot dell’uomo Denim, che non deve chiedere mai. Non fugge, è macho per definizione.
È un fatto però che, fino a qualche giorno fa era atteso in Emilia e Romagna, e adesso se ne tiene alla larga.
In Emilia si vota, a Modena, Reggio, Ferrara, antiche roccaforti della sinistra, dove la Lega è diventata competitiva e la partita è tutt’altro che scontata rispetto a una volta. Però, proprio sul terreno della sicurezza, su Mirandola, i ruoli si sono invertiti.
Bastava ascoltare il sindaco di Modena, rivolgere a Salvini le domande che il ministro era avvezzo rivolgere agli altri: “Come è possibile che uno straniero irregolare sia potuto arrivare nel modenese a compiere il suo criminale gesto?”.
La verità  è che Salvini ancora non ha fornito una ricostruzione dettagliata e convincete dell’accaduto, dopo che, a caldo, aveva provato a cavalcare il caso, “tutti casa”, prima di apprendere che il piromane si trovava a Modena perchè c’è stato qualcosa che non è andato nella gestione dei rimpatri, fiore all’occhiello della propaganda leghista, a dispetto dei numeri che dicono il contrario.
Fermato il 14 a Roma, raggiunto da un foglio di via, invece di essere rispedito a casa sua, circolava liberamente per l’Emilia. La sera prima era stato ricoverato all’ospedale di Mirandola, ma si è strappato la flebo dal braccio ed è fuggito.
Ed è stato trovato che girava, in stato di malessere, nei pressi della sede della Polizia che aveva bruciato proprio nel giorno in cui scadeva il suo decreto di espulsione.
Ieri a Mirandola si è presentato il sottosegretario Molteni, per spiegare che il giovane nordafricano aveva espresso intenzione di fare richiesta di asilo. E per questo non era stato espulso.
Il problema è che in questa versione c’è qualcosa che non va. È confusa, lacunosa, incerta nell’indicare le responsabilità  perchè stavolta non sono scaricabili sugli altri, ma è evidente che c’è stata una falla nella catena di comando.
Diciamo le cose come stanno: se il ragazzo, come ha spiegato il Viminale, era minorenne, o presunto minorenne, non doveva essere lasciato per la strada a Roma   ma preso in carico da Comune, perchè, come noto, ai minorenni non si può dare il foglio di via.
Se invece, come era effettivamente, era maggiorenne non si capisce perchè, dopo che è stato fermato, non è stato nè arrestato nè portato in un Cas (centri accoglienza straordinaria).
Ma, anche una volta dichiarata la volontà  di fare richiesta di protezione umanitaria, è stato lasciato per la strada.
Però per la macchina della propaganda leghista attribuisce la prevenzione di questi casi al “decreto sicurezza 2”, un decreto fantasma, con tanta indulgenza sul “decreto 1” che ha già  prodotto i suoi disastrosi effetti perchè la chiusura degli Sprar ha fatto saltare i meccanismi di inclusione e integrazione, proprio dei richiedenti asilo e protezione.
Col risultato che è finito in strada un esercito di invisibili, come il giovane di Mirandola.
In un paese normale il ministro dell’Interno andrebbe in Parlamento a spiegare perchè, nonostante il decreto di espulsione, quel giovane nordafricano era ancora a piede libero, che cosa non ha funzionato, di chi è la responsabilità .
E magari andrebbe, senza fare comizi, in quel commissariato di Mirandola come segno di attenzione. Come se fosse un ministro. Chi concepisce la politica solo come comunicazione, cambia l’itinerario del tour.

(da “Huffingtonpost”)

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SALVINI NON HA TROVATO IL CORAGGIO PER ANDARE AL VITTORIO EMANUELE DI PALERMO

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

AVEVA ANNUNCIATO CHE AVREBBE INCONTRATO GI STUDENTI DELLA DOCENTE SOSPESA … “LO ABBIAMO ASPETTATO, NON SI E’ VISTO, SIAMO DELUSI: DA UN ADULTO CHE RAPPRESENTA LE ISTITUZIONI NON E’ UN BELL’ESEMPIO”

«Giovedì prossimo sarò a Palermo a testimoniare la lotta alla mafia e per onorare la memoria del giudice Falcone e dei caduti della strage di Capaci» così il ministro Matteo Salvini una settimana fa parlando del caso della docente dell’Itis Vittorio Emanuele III sospesa per quindici giorni perchè i suoi alunni avevano accostato la discriminazione nei confronti dei migranti nel Decreto Sicurezza alle Legge Razziali.
Salvini aveva anche fatto sapere che nell’occasione ci sarebbe stata anche la possibilità  di incontrare la professoressa Rosa Maria Dell’Aria, «e gli studenti di quella scuola per spiegare cosa sto facendo per la sicurezza del mio Paese e la distanza abissale tra le mie idee e progetti e le leggi razziali del periodo fascista».
Oggi Salvini era a Palermo, nell’aula bunker dell’Ucciardone, a cinquecento metri dal Vittorio Emanuele III. È la giornata del ricordo dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli uomini e le donne della scorta uccisi nei due terribili attentati del 1992.
Il ministro però a quanto pare non ha trovato il tempo per andare a fare quello che aveva promesso: incontrare gli studenti dell’Istituto che avevano accostato — in un lavoro per la Giornata della Memoria — il suo decreto sicurezza alle leggi razziali del 1938.
Gli studenti lo aspettavano, avevano pure preparato quegli striscioni che piacciono tanto al vicepremier.
Ma Salvini non è andato a confrontarsi o a incontrare gli alunni. Che si sia spaventato dopo aver visto gli striscioni?
Alessandro Tuti rappresentate d’Istituto del Vittorio Emanuele ha diffuso un comunicato stampa dove chiede come mai Salvini non abbia mantenuto la promessa: «i ragazzi del Vittorio Emanuele III erano aperti e pronti al dialogo, perchè il diritto di parola a noi negato, attraverso il provvedimento alla Professoressa Dell’Aria, noi lo riconosciamo a chiunque. Stamattina eravamo davanti alla nostra scuola con un messaggio scritto su uno striscione: Salvini noi siamo qua, cosa dovevi dirci?!, eppure sebbene ci hanno detto a più riprese che il Ministro sarebbe arrivato, non abbiamo visto nessuno».
Gli studenti dicono di essere “profondamente delusi dall’operato di un adulto che rappresenta le Istituzioni ai più alti vertici” dello Stato, non proprio un gran bell’esempio.

(da agenzie)

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PER SALVINI LA CERIMONIA PER FALCONE ERA UN EVENTO ELETTORALE

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

SUL MANIFESTO E’ FINITO TRA UN COMIZIO E L’ALTRO… E LUI SCARICA LO STAFF: “NON ME NE SONO OCCUPATO IO”

Non bastava la polemica con le associazioni antimafia che hanno scelto di non partecipare alla commemorazione di Falcone, nell’aula bunker dell’Ucciardone, per contestare la presenza di Matteo Salvini (tra i volti storici dell’antimafia che hanno boicottato la cerimonia ufficiale c’è anche Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, ucciso da Cosa Nostra).
Il ministro dell’Interno ha scatenato proteste anche per un manifesto elettorale a dir poco discutibile. Con la commemorazione – avvenuta alle 10 a Palermo – infilata subito prima di un comizio a Novi Ligure.
E con una carrellata di altri comizi per la giornata conclusiva di venerdì 24 maggio, con ben quattro appuntamenti tra Piemonte ed Emilia. E lo slogan “Prima l’Italia”.
Il ministro è stato costretto a difendersi rispetto alla polemica: “Sono venuto a Palermo da ministro. Non faccio io i manifesti elettorali”
Ma era sbagliato quel volantino? “Sì”, ha ammesso imbarazzato il leader della Lega

(da agenzie)

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EXIT POLL IN OLANDA, SCONFITTA CLAMOROSA DEI SOVRANISTI, VINCONO LABURISTI E VERDI, BENE LIBERALI, STABILI I CONSERVATORI

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

SALIRE SUL PALCO CON SALVINI PORTA SFIGA: WILDERS PASSA DA 4 A 1 SEGGIO

Urne chiuse in Olanda, primo Paese Ue al voto.
Negli exit poll il Forum per la democrazia (Fvd, sovranisti moderati) nato solo tre anni fa, otterrebbe 3 seggi, un risultato che però è inferiore alle attese (intorno all’11%) e va letto in parallelo al crollo del Pvv di Geert Wilders (sul palco con Salvini a Milano), che passerebbe da 4 seggi a solo 1.
In totale quindi le destre euroscettiche manterrebbero 4 seggi totali, con un travaso di seggi dal Pvv al Fvd.
Gi exit poll Ipsos pubblicati dalla tv olandese danno come primo partito i laburisti, che conquisterebbe 5 seggi. Guadagna un seggio anche la sinistra verde di Gl, da 2 a 3, mentre ne perde uno il partito socialista (Sp).
I liberali di Libertà  e democrazia (Vvd) guadagnano 1 seggio a scapito dei cristiano-democratici (Cda).
Perde due seggi l’altro partito che aderisce ai liberali europei, D66, che passa da 4 a 2. Stabile la coalizione conservatrice formata da ChristenUnie e Staatkundig Gereformeerde Partij, con 2 seggi.
Alle scorse elezioni politiche olandesi del 2017, il Pvv di Wilders aveva ottenuto il 13,1% (in linea con il 13,3% delle europee di 5 anni fa).

(da agenzie)

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GENOVA, NON E’ FINITA: CORTEO FINO ALLA QUESTURA PER CHIEDERE LA LIBERAZIONE DI DUE FERMATI, IL QUESTORE INVECE DI CHIEDERE IL TRASFERIMENTO VA IN OSPEDALE A TROVARE IL GIORNALISTA FERITO

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

DA’ UNA RICOSTRUZIONE DI PARTE AL FERIMENTO DEL CRONISTA, PICCHIATO ANCHE QUANDO ERA A TERRA COME DIMOSTRATO DAI VIDEO… UNA SERIE DI ERRORI INAMMISSIBILI CHE CONTRIBUISCONO SOLO AD ALIMENTARE LA TENSIONE.. OCCORRE PIU’ CERVELLO E MENO MANGANELLO

Alle 21,30 Genova è ancora in tensione dopo una giornata di scontri: un corteo di protesta sta dirigendosi verso la Questura per chiedere la liberazione di due fermati durante gli scontri tra antifascisti e forze dell’ordine   al grido di “liberi, liberi”.
«Faremo un presidio pacifico finchè non li libereranno», è la decisione degli antagonisti dopo il faccia a faccia con la Digos. Via Brigate Partigiane è chiusa al traffico.
Dalle persone presenti al corteo arrivato davanti alla questura sono stati mostrati e buttati a terra un centinaio di lacrimogeni sparati dalla polizia durante gli sconti del pomeriggio.
Il Questore va in ospedale a visitare il giornalista Origone: “Gli ho chiesto scusa a nome della Polizia”
«Con Origone (il giornalista di Repubblica rimasto ferito – ndr) ho chiarito la dinamica. E’ stata un’operazione convulsa. Mi sono scusato con lui», ha aggiunto Ciarambino.
Poi una versione che non corrisponde alla realtà  mostrata dai video: «Origone era vicino a una persona fermata che stavamo portando via, c’è stato un tentativo da parte dei manifestanti di sottrarlo alla polizia ed è partita una carica, Origone non si è accorto in tempo della carica, è caduto e ha preso qualche colpo» (frattura delle dita e ematoma al torace)
Il comunicato della redazione di Repubblica
Il Cdr di Repubblica condanna fermamente il violento pestaggio da parte della polizia di cui è stato vittima il collega della redazione di Genova Stefano Origone, e pretende che il capo della Polizia e il ministro dell’Interno facciano piena luce sull’accaduto individuando e sanzionando i responsabili di un’azione inaccettabile in un Paese democratico. Stefano non è stato vittima di un colpo sfuggito per sbaglio, è stato preso deliberatamente e ripetutamente a manganellate mentre stava svolgendo il suo lavoro di cronista al seguito della manifestazione degli antagonisti. Ed è stato soccorso solo grazie all’intervento di un ispettore della Questura, che lo conosceva personalmente.
Tutti i giornalisti di Repubblica abbracciano Stefano augurandogli di riprendersi nel più breve tempo possibile, e confidano di riaverlo al loro fianco per continuare a svolgere il compito di informare i lettori.
Le valutazioni del Questore
Giusto quando il questore dice che “non si vietano comizi in campagna elettorale», basta avere l’intelligenza di imporre di farli altrove, non in centro città .
O “per motivi di ordine pubblico” imporre un luogo chiuso, requisendo anche una sala pubblica: per 30 persone presenti ha avuto forse senso creare un “fortino” in centro città  che se fosse stato attaccato con molotov ci scappavano decine di morti anche tra le forze dell’ordine?

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GENOVA, SCONTRI CON FERITI, C’E’ UNA REGIA POLITICA CHE CERCA IL MORTO?

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

CITTA’ NEL CAOS PER IL COMIZIO DI CASAPOUND: CENTINAIA DI AGENTI, DUEMILA MANIFESTANTI, TRENTA AL COMIZIO, FERITO DALLA POLIZIA ANCHE UN GIORNALISTA… UNA GESTIONE DELL’ORDINE PUBBLICO INADEGUATA

Manganellate e fumogeni contro i tentativi degli antagonisti di sfondare la zona rossa posta a difesa di piazza Marsala dove era in programma il comizio di Casapound.
Stefano Origone, cronista di Repubblica che stava seguendo fin dall’inizio il presidio all’inizio di via Assarotti è stato investito da un gruppo di poliziotti in tenuta antisommossa. Come ha raccontato lui stesso è stato ripetutamente colpito con manganellate e a calci anche quando è caduto a terra e ha urlato “Sono un giornalista”: solo l’intervento di un ispettore della Questura di Genova che lo conosce personalmente ha interrotto l’incredibile pestaggio. Secondo le prime informazioni raccolte ha due dita rotte ad una mano e contusioni ed ecchimosi sulla testa e su tutto il corpo.
Tutto evitabile, ma tutto secondo la regia prevista.
1) CasaPound aveva diritto, in base alla legge elettorale, a fare la sua manifestazione: la sinistra che ora si scandalizza aveva tutti gli strumenti per chiederne da anni lo scioglimento e non l’ha mai fatto.
2) La soluzione era semplice e nei poteri del prefetto: spostare la riunione in un luogo al chiuso (come in precedenti occasioni) e non sarebbe successo nulla.
3) Occorre chiedersi perchè non è stato fatto e si è preferito forzare la mano: è evidente che l’ordine è arrivato dal Viminale.
Quanto è costato alla comunità  genovese questa “prova di forza”? Oltre 300 agenti dei reparti mobili fatti convergere su Genova, traffico nel caos, disordini, attacchi dei manifestanti, manganellate persino a giornalisti, ambulanze a sirene spiegate, feriti, centro città  militarizzato, danni al commercio tanto caro al centrodestra di Toti e Bucci.
4) L’area del comizio impacchettata da alari è senza senso: vi immaginate se i contestatori avessero fatto piovere una ventina di molotov nel piccolo quadrilatero e fossero andati a fuoco i mezzi della polizia con le uscite bloccate?
5) La polizia avrebbe dovuto difendere semplicemente l’area interdetta evitando di fare cariche fuori zona, usando gli idranti come fa persino Orban in Ungheria.
Se l’ordine dall’alto è dare manganellate a chi dissente è la fine della democrazia e produce solo l’effetto di far odiare le forze dell’ordine e di far iniziare un periodo buio che chi ha qualche anno ancora ricorda, quello del terrorismo.
Oggi qualcuno a Genova ha cercato il morto?
Questa è la domanda che i media e gli italiani dovrebbero cominciare a porsi.
Avanti così ed è solo questione di tempo.

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FESTE A MALINDI E HOTEL A CINQUE STELLE, I LUSSI DEI SOVRANISTI AL CAVIALE

Maggio 23rd, 2019 Riccardo Fucile

CENE DA 13,500 EURO E 230 BOTTIGLIE DI CHAMPAGNE

Solo il tempo potrà  chiarire se la cacciata dal governo di Vienna del vicecancelliere Heinz-Christian Strache si sarà  rivelata una tempesta destinata a produrre i suoi effetti collaterali giusto tra i confini austriaci oppure se, al contrario, l’apparentemente innocuo tavolino di una lussuosa villa di Ibiza – tutto imbandito di champagne e vodka di primissima scelta – sarà  ricordato come l’incredibile incubatore dei più oscuri presagi destinati all’universo sovranista del Vecchio Continente.
L’unica certezza – confermata dalla storiaccia dello Strache attirato da una sedicente nipote di un oligarca russo in una trappola talmente comoda da fargli scappare la promessa di favori e appalti pubblici in cambio di finanziamenti illeciti per il suo partito – è che il demone del lusso sfrenato, quando si trova in presenza dei leader sovranisti, riesce spesso a trovare terreno fertile.
Troppo facile sarebbe tirare in ballo Donald Trump, nume tutelare dei fanatici del lusso già  dagli anni Novanta, quando la sua fama di ricco per antonomasia gli faceva guadagnare particine e camei in film e serie tv dove interpretava, per l’appunto, se stesso nella parte del miliardario di professione.
«Signor Trump, lei dal vivo sembra ancora più ricco», lo salutava la cugina di Willy il principe di Bel Air nell’omonimo telefilm, nella puntata in cui «The Donald» trattava l’acquisto di una lussuosa villa di Los Angeles.
Decisamente meno «fiction», nell’epoca in cui Trump è il vero presidente degli Stati Uniti, il partito dei sovranisti col Rolex, finora rimasti chissà  come al riparo dalla vulgata che vuole il lusso, in particolare quello sfrenato, appannaggio della sinistra da bere, dei radical chic, degli europeisti incalliti, magari foraggiati dalle banche, dai poteri forti, dai mecenati alla Soros.
Grattando quella leggera patina retorica di chi predica «tutto al popolo sovrano» e agli stati-nazione, vengono fuori alberghi di lusso, champagne a fiumi, pesce crudo, vodka di qualità , come quella che ha stordito il leader sovranista austriaco Strache.
L’ideologo del populismo mondiale Steve Bannon, in questi giorni di stanza a Parigi, non è riuscito a fare a meno dei cuscini soffici dell’hotel Bristol, dove la stanza più scarsa (e lui non ha scelto la più scarsa) costa 1.200 euro a notte.
E che dire dell’astice servito subito dopo un impeccabile assiette di formaggi francesi a chilometro zero scelto qualche tempo fa dal partito di Marine Le Pen per una cena da 400 euro a testa al costosissimo Ledoyen di Parigi, alla quale secondo il settimanale Le Canard enchainè avrebbe partecipato (ma lui ha smentito) anche Matteo Salvini.
Tra le spese rendicontate del gruppo dei sovranisti a Bruxelles, che si chiama «Europa per le Nazioni e la Libertà », sono spuntate l’anno scorso una cena di Natale da 13.500 euro e 230 bottiglie di champagne, oltre a un numero imprecisato di cene e cenette in cui il piatto più salato era sempre il conto.
E non sarà  un caso nemmeno se, volgendo l’occhio al populismo dell’Est, l’accusa principale rivolta in patria a Viktor Orbà¡n è quella di essere una «cleptocrazia».
Certo, forse le «pazzie» natalizie meritano un’indulgenza particolare. Che però non venne concessa, in Italia, all’ideologo del populismo (col Rolex) nostrano, Beppe Grillo, nell’anno 2016. «Voglio farvi gli auguri di Natale con un testo di Goffredo Parise, s’intitola Il rimedio è la povertà . È un po’ lungo ma ne vale la pena», scriveva il garante del M5S sul suo blog.
Il tempo di arrivare alla parte del testo in cui Parise evidenziava che «povertà  e necessità  nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione (mentre) superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”» che Grillo stava festeggiando il capodanno.
Su un eremo francescano? No, a Malindi.

(da agenzie)

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