Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
CHI CONTRASTA UN GOVERNO CHE VIOLA LE LEGGI NON E’ UN PIRATA, E’ UN EROE… E LA GUARDIA COSTIERA LIBICA E’ UN’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE CHE L’ITALIA FINANZIA
“Pirata” è chi ruba. Non chi regala.
“Pirata” è chi depreda e toglie la vita, non chi assiste e salva una vita.
“Pirata” è chi insegue la sua legge contro tutte le leggi, non chi obbedisce alla legge dei diritti umani e del mare.
“Pirata” è chi si arricchisce nell’impresa, non chi si impoverisce.
In questo incredibile ribaltamento di senso che stiamo vivendo, la cosa più interessante è il proliferare delle contro-narrazioni allucinate e deliranti. Per questo apprezzo molto il buonsenso di un moderato come Graziano Delrio che ha usato un esempio chiarissimo: “Anche una ambulanza che corre in ospedale passa con il rosso”.
L’orgia delle contro-narrazioni allucinate e interessate che hanno come obiettivo quello di screditare Carola Rackete e le ONG, chiamando “Pirata” chi — sostanzialmente — non è d’accordo con la politica di Matteo Salvini, purtroppo parte da lontano, inizia con la campagna di discredito contro le missioni di soccorso iniziata due estati fa, quando governava il centrosinistra.
Questo racconto fantastico e manipolato, è come un libro delle favole tagliato a metà a cui mancano i primi capitoli, quelli importanti per capire il senso della storia. E invece il primo capitolo, il primo pezzo di realtà amputato è il più importante.
La Libia non è un “porto sicuro”. La Libia è un paese in guerra in cui i diritti umani non esistono e in cui chi fugge dalla guerra e dalla violenza finisce in un lager.
Il secondo capitolo tagliato è questo: la guardia costiera libica, addestrata da noi, non è una organizzazione di crocerossine dedite alla cura dei bisognosi. E non è nemmeno un corpo militare. Andatevi a vedere le foto, se avete dubbi: quelli si, che sembrano pirati. Svolgono il lavoro sporco, secondini e carcerieri che inseguono chi fugge per riportarlo in carcere.
La nostra Guardia di Finanza, corpo fatto di persone probe e oneste, aveva avuto l’ordine di piazzarsi davanti all’ingresso dell’ospedale per sbarrare la strada all’ambulanza.
Con grande coraggio, perchè adesso l’attende un processo in cui rischia dieci anni di condanna, il capitano della Sea Watch ha fatto sentire il peso delle 600 tonnellate della sua nave, ha costretto la motovedetta ad allontanarsi, con la leggerezza di chi vuole fare una cosa semplice: portare a riva i naufraghi.
Il coraggio è la forza di pagare un prezzo per le proprie idee. Il coraggio è di giocarsi anni di vita per la vita degli altri.
Ma adesso voi fatevi la domanda giusta e chiedetevi: chi ha ordinato di sbarrare la strada alla Sea Watch? Rimettete nell’ordine giusto i capitoli del libro
Se nel 1945 nella cittadina di Oswiecim, in Polonia (meglio nota con il none tedesco di Auschwitz) qualcuno avesse aiutato a far evadere alcuni deportati con il pigiama a strisce, lo avremmo definito “pirata”? E oggi, lo definiremmo “pirata”?
Quando Matteo Salvini per due volte ha bloccato in porto la Nave Diciotti, che fa parte della guardia costiera italiana, nessuno si è curato dei “padri di famiglia” bloccato nel molo con indosso le divise di un corpo dello Stato Italiano.
È una sporca guerra, questa, in cui tutto viene usato, tutto viene contraffatto.
Chi scappa da una guerra, come gli internati di Auschwitz, come i profughi siriani, come i profughi che arrivano dalla Libia non è un “invasore”.
Oscar Schindler, che salvava vite contro la legge del suo stato, non era un “pirata”.
La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo — ecco un altro capitolo da rimettere al suo posto — è nata perchè non accadesse mai più, perchè nessuno potesse più votare leggi criminali. Ma anche quando non esisteva la proclamazione dei diritti esistevano i principi: Ghandi non era un persecutore di “padri di famiglia” britannici.
Gli schiavisti dell’Alabama che bruciavano i neri che avevano l’ardire di violare la legge che imponeva loro il coprifuoco non erano una ronda di cittadini che tutelavano il diritto. Pirata era quella legge iniqua.
Diciassettemila (17.000!) persone, migranti, disperati arrivati dal mare in Italia lo scorso anno, non sono milioni di invasori.
Il vergognoso comportamento dell’Unione europea che si lava le mani di tutto, e che non vuole seccature, perchè considera l’Italia una pattumiera dove risolvere i problemi, non è un alibi per la politica di Salvini, ma casomai il contrario.
Siccome sono ipocriti a cui non importa nulla delle vite umane, e siccome non vogliono problemi, la politica dei “porti chiusi” a loro va benissimo.
Pirata non è chi viola una legge inventata per provare a forzare i trattati e le convenzioni che riconoscono i diritti umani.
Altrimenti significherebbe che non esistono più diritti umani.
E per cancellare il diritto umani e la legge del mare non basta un decreto sicurezza uni, due i tre. Mettere una multa di diecimila euro per ogni vita salvata non è un codice di legge. È una norma che domani potrà portare qualcuno davanti ad un tribunale internazionale.
Pirata non sono le maestre che danno da mangiare anche ai bambini di colore.
Pirata non è l’allenatore che accompagna sul campo il ragazzo di colore integrato allontanato di 80 chilometri dal centro dove abitava e deportato con un provvedimento iniquo perchè torni ad essere uno sbandato, perchè diventi un problema, e perchè produca odio e consenso.
Pirata non è Simone di Torre Maura (“Sà³ de Torre Maura che sì”) che difende una famiglia di Rom legittima assegnataria di una casa.
Pirata non è la famiglia che ha ospitato i deportati a casa propria.
Pirati non sono i tre parlamentari di sinistra italiana e Pd che sono saliti sulla Sea Watch per espletare la loro prerogativa di garanzia ispettiva, e che secondo Matteo Salvini sono traditori che “dovrebbero essere arrestati”.
Un parlamentare ha il diritto di controllare quello che non si può vedere e di far parlare chi non può parlare.
Pirata è chi è andato a gridare “Puttana ti stupro!” alla signora Omerovic.
Pirata è chi pensa che i neri debbano morire in mare perchè sono invasori e neri.
Per questo, se Carola è pirata, siamo tutti pirati.
Luca Telese
(da TPI)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
“SCOSSE ELETTRICHE NEI LAGER LIBICI PER INDURRE I NOSTRI PARENTI A MANDARE SOLDI”… “CAROLA NON SI ‘ MAI ARRESA, HA RESISTITO ANCHE AI CRIMINALI LIBICI”
Khadim Diop è uno dei migranti salvati dalla Sea Watch, che nella notte tra il 28 e il 29 luglio 2019 è sbarcato al porto di Lampedusa, dopo 17 giorni in mare.
Ha 24 anni, ed è stato intervistato da Giorgia Orlandi, di Euronews. Ai suoi microfoni ha raccontato dell’inferno libico.
“C’è un sistema dietro. Assieme a me c’erano più di 300 persone. A Ben Whalid tutti sanno cosa succede, è questo che fanno, vendono persone: neri ma non solo, anche egiziani, tunisini. Portano le persone in una casa isolata, poi le prendono una alla volta e le portano in una stanza con il telefono”, racconta Diop.
“Ci sono cavi elettrici ovunque. Quindi ti dicono: chiama i tuoi genitori e fatti mandare del denaro contante. Se non lo fai, ti picchiano, possono persino ucciderti. Tu cerchi di dire di no, non lo faccio, ma loro cominciano a picchiarti, così finisci per fare quella telefonata. Appena comincia la chiamata, usano i cavi per darti la scossa ai piedi. Ti fanno urlare dal dolore. I genitori al telefono sentendo quelle urla si spaventano, è così che li convincono a pagare”.
Il racconto inquietante si aggiunge alle parole del giovane a proposito dei giorni in mare su Sea Watch, dopo il salvataggio.
“Molte persone stavano male, non è stato facile, ma questa donna, il capitano Carola Rackete, ci ha dato coraggio, non si è mai arresa e ha tenuto alto il nostro morale”, spiega Diop.
“L’unica cosa di cui avevamo paura è di essere rispediti in Libia. Ma lei ci diceva sempre di non preoccuparci, che non saremmo tornati indietro ma che ci avrebbe portato a destinazione. È una brava ragazza, l’Unione europea dovrebbe lodarla. Ha dato tutto, quando sono arrivati i libici per riportarci indietro lei ha resistito”, ha detto il giovane senegalese.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
MA LA LIBIA E’ UN PORTO SICURO PER SALVINI ED E’ DA BUON PADRE DI FAMIGLIA FARLI RITORNARE IN QUEL PARADISO TERRESTRE
Una tragedia, l’ennesima. Tanti sanno, pochi possono far finta di non sapere mentre i carnefici sono sia i torturatori e gli stupratori libici, ma anche coloro che per meschini calcoli politici li rimandano nelle loro grinfie.
Oltre 20 migranti sono morti di fame e di sete chiusi per mesi, in centinaia, in un hangar nel deserto della Libia occidentale pieno di vermi, tra spazzatura ed escrementi.
Testimonianze riferiscono che i detenuti a Zintan dovevano dividere ogni giorno un paio di secchi d’acqua fra tutti e che sopravvivevano a stento con un pasto a giorno.
Si stima che siano almeno seimila quelli rinchiusi in decine di centri di detenzione gestiti da milizie accusate di abusi e violazioni di diritti umani
L’Ue ha affermato che con l’Unione africana e le Nazioni Unite si stanno cercando alternative al di fuori della Libia, anche intensificando i corridoi umanitari e il reinsediamento legale. Ma poco è cambiato a Zintan.
All’interno della struttura sono detenuti 700 africani, in maggioranza eritrei. Fino all’inizio di questo mese erano tenuti in un hangar di cui foto e video postati online dagli stessi migranti hanno attratto l’attenzione dei media. Alcuni di loro sono stati sottoposti a punizioni dai gestori del centro, e lasciati senza cibo nè acqua per giorni
Medici senza frontiere ha confermato di aver trovato alcuni migranti fortemente malnutriti. Ventidue di loro – secondo i resoconti dei sopravvissuti – sono morti a Zintan da settembre ad oggi, i loro corpi lasciati in frigoriferi o stanze con l’aria condizionata, in mancanza di un vero e proprio cimitero. Moltissimi i malati, affetti soprattutto da tubercolosi.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
COSI’ I PROFUGHI POSSONO AFFOGARE MEGLIO E SENZA CHE NESSUNO VEDA
L’animo reazionario sta uscendo tutto. E il capetto politico di quello che resta di un Movimento che pochi ani orsono invocava Gino Strada presidente della Repubblica ormai è alla destra di Salvini nel criminalizzare le Ong e nel tenere bordone nella desertificazione del Meditrerraneo che nello loro bieca logica dovrebbe essere ‘ripulito’ delle navi che salvano chi naufraga.
“Dobbiamo fare in modo che le navi che provocano il nostro Paese, compromettendo anche la sicurezza delle nostre forze dell’ordine com’è accaduto in questi giorni, restino in dotazione allo Stato italiano. Se entri nelle nostre acque violando la legge, perdi definitivamente l’imbarcazione, senza attenuanti e multe che incidono ben poco. Se forze armate, capitaneria o corpi di polizia lo vorranno, daremo a loro le navi confiscate”.
“Stiamo studiando una proposta in questo senso: non si può andare avanti sequestrando e poi dissequestrando la stessa imbarcazione, e sta per accadere di nuovo con la Sea Watch 3. Se quella nave torna in mare con un nuovo comandante cosa cambia?”.
C’è solo da sottolinere la malinconia nel vedere un personaggio che esprime il nulla politico avere un ruolo nel governo di un paese democratico.
Vale la pena ricordargli:
1) chi viola la legge è il governo italiano, non le Ong
2) Il provocatore lo cerchi nel suo governo, fino a che è a piede libero
3) La sicurezza delle forze dell’ordine si garantisce evitando di dare loro ordini illegali
4) Il sequestro di una nave non lo decide lui ma la magistratura
5) Il dissequestro lo decide la magistratura quando il sequestro era illegale
6) Forse non ha capito che può anche affondare una nave, ma migliaia di patrioti europei in una settimana ne ricomprano un’altra perchè ci avete rotto i coglioni con le vostre leggi contrarie al diritto internazionale, in vigore in tutti i Paesi civili
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
L’EDITORIALE DI MARCO TARQUINIO: “IL CODICE CAPOVOLTO DEI VALORI”
L’editoriale del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, è ovviamente incentrato sulla Sea Watch e il giornale dei vescovi sa da che parte schierarsi: l’articolo, intitolato “Se soccorrere diventa reato. Il codice capovolto dei valori” è una lunga riflessione sul sovvertimento dei valoro umani cui stiamo assistendo in Italia e sulle conseguenze che potrebbero verificarsi per il paese.
“Povero è il Paese dove naufraghi senz’altro bagaglio che la propria pelle sono dichiarati nemici e chi li salva è trattato da fuorilegge e da fuorilegge si ritrova ad agire. Povero è il Paese dove i guardiani della legge sono costretti non a difendere i più deboli ma diventano scudo dei più forti. Povero è il Paese dove legge fa a pugni con la Legge, e il diritto si converte nel rovescio della morale. E poveri siamo noi. Come siamo potuti arrivare sin qui? E come possiamo rassegnarci?
“Povera Italia, povera Europa, povera legalità e povera la nostra anima”, afferma il giornale.
“Non c’è ragione e non ci sono ragioni che spieghino e comprendano ciò che nella notte del 29 giugno 2019, notte dei santi Pietro e Paolo, è potuto accadere nel porto di quell’isola immersa nel Mediterraneo e che un po’ tutti negli anni – grazie alla generosità della sua gente e alla salda testimonianza della sua Chiesa – abbiamo imparato ad ammirare, amare e a chiamare ‘speranza’”
“Non c’è ragione e non ci sono ragioni che aiutino a capire perchè una nave con a bordo 40 naufraghi abbia dovuto rischiare la collisione con la nave militare di una nazione come la nostra, che grazie alla sua civiltà – e ai valori che ha scolpito in Costituzione e nei Trattati e nelle Convenzioni che ha firmato e, prima ancora, ha contribuito a scrivere – ha saputo affermare e condividere con gran parte del mondo quei principi umanitari che dovrebbero dare luce e profondità alle regole immaginate per rendere il mondo stesso un posto sempre più accogliente e giusto per gli esseri umani. Soprattutto per i più poveri e i più deboli”, sottolinea Tarquinio
“Non c’è ragione e non ci sono ragioni, decenti e serie, che spieghino perchè proprio quei 40 profughi dalla Libia ‘posto non sicuro’, parola dell’Onu ma anche del nostro Governo, non dovessero mettere piede in Italia dove solo nell’ultimo mese almeno altre 500 persone sono approdate irregolarmente via mare e migliaia e migliaia via cielo e via terra”, aggiunge
“L’unico motivo, nè serio nè decente, potrebbe essere che quelle persone, tenute forzatamente in mare per più di due settimane, dopo mesi e mesi nei disumani centri libici di detenzione degli stranieri in transito, sono state tratte in salvo da un’imbarcazione ‘non governativa’, cioè messa in acqua da un’associazione di volontariato”, argomenta ancora il quotidiano della Cei: “Ma in realtà la spiegazione non regge, perchè in questi mesi lo stesso trattamento è stato riservato a persone salvate da navi italiane e addirittura da navi militari italiane. Semplicemente, incomprensibilmente, la logica – per nulla logica – sembra diventata che chi scampa a un naufragio e viene raccolto in mare non può approdare, chi naviga, non fa naufragio e arriva sino alle nostre coste invece, in qualche modo, sì. Il discrimine è dunque il soccorso”.
“Si sta cercando di affermare definitivamente” osserva Tarquinio, “nell’acquiescenza opaca dell’Europa dei grandi discorsi e dei piccoli egoismi e di un’opinione pubblica italiana e continentale che assiste a tutto questo con modesta sorpresa e insufficiente comprensione e indignazione, un principio negativo”: “un principio negativo – conclude – che capovolge il codice valoriale che, pure, sta alla base del nostro umanesimo e distorce persino lo sguardo cristiano sulla vita propria e degli altri.”
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
SE SCRIVI QUEL NUMERO IN UN COMMENTO AUTOMATICAMENTE NON VIENE PUBBLICATO… MA VIENE FREGATO: ORA SCRIVONO 48+1, 47+ 2
Il test l’ha fatto anche Massimo Mantellini, esperto di tecnologia, la cultura digitale: “Ho voluto provare e in effetti è vero. Se commenti sulla bacheca di Matteo Salvini “49 milioni” il commento viene blacklistato. Il massimo tecnologico che possa organizzare la famosa bestia”.
Il riferimento è ai 49 milioni dei rimborsi intascati dalla Lega Nord e spariti. Soldi su cui indaga la magistratura e di cui il partito avrebbe usufruito grazie a una truffa ai danni di Camera e Senato.
Mantellini poi ha provato a veicolare lo stesso messaggio in modo alternativo, arrivando alla conclusione che, ad esempio, “48 + 1 milioni” invece funziona.
Così come funziona scrivere “quarantanove milioni” e tutte le altre combinazioni numeriche.
Il sistema della blacklist dei commenti funziona sulla pagina pubblica Facebook di Matteo Salvini, ma non su Twitter o su Instagram che non permettono di selezionare i commenti da bannare in base a parole chiave.
(da agenzie)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
LE RUSPE PER LO SHOW SONO COSTATE 40 EURO E I MIGRANTI CHE VOLEVA CACCIARE SI SONO SPOSTATI DI 150 METRI
L’orizzonte nell’area industriale della piana di Gioia Tauro, dal lato di San Ferdinando, è una, due, decine di cataste di rifiuti.
Pannelli di legno, cartoni, materassi, lamiere di amianto, reti accartocciate, tendoni, stracci, ammassati in grossi cumuli che occhieggiano dall’erba ogni giorno un po’ più alta. Quel che resta della baraccopoli di San Ferdinando, sgomberata il 6 marzo scorso con grande ribalta mediatica e tweet entusiasta del ministro dell’interno Matteo Salvini, è ancora lì.
Seicento gli uomini utilizzati, reparti in tenuta antisommossa, 18 pullman per portare via i circa, secondo la Questura, 600 migranti (secondo la Usb molti meno, secondo Salvini 900) che erano rimasti ad abitarvi e gli elicotteri a presidiare la zona dall’alto.
Oggi a quasi quattro mesi da quel giorno in cui, a colpi di ruspa, fu abbattuto il ghetto in cui per anni hanno vissuto migliaia di migranti – in gran parte braccianti della piana di Rosarno utilizzati per la raccolta di arance e clementine – l’area non è stata ancora ripulita.
E chissà quanto altro tempo dovrà passare perchè al Municipio arrivino i soldi necessari all’intervento.
Il Viminale, spiega ad HuffPost il sindaco Andrea Tripodi, ha stanziato 350.000 euro, ma per poterli ottenere “e avviare le procedure per la gara, devo rendicontare come sono stati impiegati negli anni scorsi, ai tempi in cui il ministro dell’interno era Marco Minniti, i fondi ricevuti per il superamento delle condizioni di degrado legate alla presenza massiva dei migranti, ”, aggiunge Tripodi, sindaco di San Ferdinando per la terza volta.
Richiesta “giusta, per carita”, rendicontazione “avviata, fortunatamente possiamo contare sul supporto della Prefettura”, ma, ammette il sindaco, “ci sono lentezze da parte mia legate ad uno stato di deprivazione del Comune, in passato sciolto tre volte per infiltrazioni mafiose, con una pianta organica inadeguata sul piano numerico e professionale”.
Difficile fare previsioni sui tempi in cui si potrà procedere a ripulire l’area, oggi sorta di discarica a cielo aperto, sulla quale sorgeva la baraccopoli. E che dopo andrà anche bonificata, considerato l’amianto contenuto nelle lastre di eternit utilizzate dai migranti per costruire le baracche abusive andate a fuoco nei tanti roghi che si sono sviluppati nel ghetto, nei quali solo nel 2018 sono morte tre persone.
Al Municipio hanno calcolato che per raccogliere e smaltire i rifiuti depositati nell’area servono 367.000 euro, “al netto della bonifica”.
Al Ministero dell’interno ne hanno messi a disposizione 350.000: come si fa? Si riuscirà a realizzare l’intervento?
“Con i ribassi potremmo anche farcela – risponde Tripodi – e comunque presentando la rendicontazione magari riusciamo ad ottenere anche altri fondi”.
Tra le voci da inserire nell’elenco da inviare al Viminale anche 40.000 euro impiegati per pagare le ruspe inviate dall’esercito per abbattere le baracche, “le ruspe tanto care a Salvini”, commenta Tripodi, che per ripulire l’area dell’ex ghetto dai rifiuti lasciati dopo lo sgombero, confida nelle legge “Sblocca cantieri”, “pur ritenendola una norma ripugnante, pensata dai leghisti per accarezzare gli interessi del loro elettorato, potrebbe permetterci di agire più rapidamente”.
La questione migranti a San Ferdinando è tutt’altro che risolta. Tanti che prima avevano trovato riparo nell’ex ghetto sgomberato sono stati accolti nella tendopoli che sorge dirimpetto, a circa 150 metri. Allestita nell’agosto 2017, dal Comune in sinergia con Prefettura, Questura e Regione Calabria, “doveva rappresentare una soluzione temporanea, una risposta di civiltà allo spettacolo indecoroso della baraccopoli”, tiene a precisare il sindaco. E invece oggi anch’essa “presenta molte criticità ”.
Dentro e fuori dal recinto che ne delimita il perimetro, allargatosi rispetto a quello originario.
“Il clima umano, collaborativo e sorridente, che c’era all’inizio si è gradualmente degradato e nella struttura è diventato meno agevole far rispettare le regole”, spiega Tripodi.
Il risultato è che la convivenza, a San Ferdinando e dintorni, si è fatta più difficile “e non posso certo aspettarmi risposte organiche e articolate da questo Governo, che ha sentimenti xenofobi ispirati da darwinismo della sazietà e dell’esclusione”, va avanti il sindaco, che non nasconde “la repulsione e la ripugnanza culturale, noi figli e portatori dell’umanesimo mediterraneo, quando sento ripetere “Prima gli italiani”.
Tripodi consegna l’intenzione di “superare gradualmente la tendopoli” in direzione dell’alloggiamento diffuso attraverso l’apertura delle case sfitte – soluzione indicata da molti tra istituzioni, sindacati e associazioni – “ma anche per questo devono essere garantiti lavoro e produttività , al riparo da umoralità xenofobe. Questa è una realtà contadina, accanto a tanta generosità ci sono anche sentimenti di esclusione”, precisa il sindaco.
Convinto che la presenza dei migranti avrebbe potuto tradursi nell’occasione per pianificare, “finalmente”, lo sviluppo dell’area sulla base delle potenzialità del territorio mettendo al centro il tema del lavoro. L’opportunità è andata sprecata. E la situazione si fa via via più critica.
Per questo “dobbiamo creare sinergie che ci consentano di modificare una realtà difficile” sulla quale si addensa anche quella che Tripodi definisce “la nebulosa opprimente” della mafia. Di qui l’appello a Salvini e al Governo: “Affrancate questo territorio dalle presenze mafiose e vedrete le possibilità che si libereranno”
E intanto c’è da rimuovere i rifiuti dell’ex baraccopoli.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
210.000 I POSTI A RISCHIO, 158 TAVOLI DI CRISI APERTI… MA IL GOVERNO DEVE DIFENDERE I SACRI CONFINI, NON HA TEMPO PER I LAVORATORI ITALIANI
Il Sole 24 Ore riepiloga oggi in un’infografica tutte le multinazionali che si stanno disimpegnando dal mercato italiano, portando le sedi e i siti produttivi altrove.
Sono attualmente 158 i tavoli di crisi aperti con il coinvolgimento di poco meno di 210mila lavoratori.
Cifre che però non possono essere considerate ufficiali perchè perfino il bilancio è diventato un piccolo rebus. Al ministero — dicono i sindacati — non c’è un elenco aggiornato e la ricostruzione sta impiegando più tempo di quanto si potesse pensare. L’ingresso continuo di nuove vertenze e la difficoltà di definire del tutto chiuse quelle aperte da anni complicano la ricognizione.
Sulla base dei vari verbali relativi ai tavoli coordinati, la stima del Sole 24 Ore è di circa 49mila lavoratori coinvolti al Nord, 44mila al Sud, 37mila al Centro.
Altri 78mila lavoratori invece sono coinvolti in tavoli che hanno ricadute su regioni in diverse macroaree del paese.
Circa il 35% dei quasi 210mila lavoratori è impiegato in imprese a maggior rischio di chiusura, quindi dalla ricollocazione più complessa. Un tavolo su cinque, all’incirca, riguarda aziende che in parte o totalmente sono state interessate da cessazione di attività in Italia per delocalizzazione all’estero
La mappa dei settori vede un picco nel commercio, con 36mila addetti compresi quelli toccati dalle più recenti vertenze Auchan e Mercatone Uno.
Più di 20mila gli addetti che lavorano nell’industria siderurgica, 19mila nel settore degli elettrodomestici, quasi 17mila nei call center, 14mila nell’information technology, oltre 9mila nelle telecomunicazioni, quasi 7mila nell’edilizia, intorno ai 5mila nell’automotive.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 30th, 2019 Riccardo Fucile
IL DELIRIO: “FORZE OSCURE VOGLIONO I NOSTRI FIGLI OMOSESSUALI, ISLAMIZZATI E AFRICANIZZATI, PILOTANO MAGISTRATI, CORROMPONO”
Un post omofobo e razzista, a firmarlo è il manager culturale del Comune di Genova, Maurizio Gregorini.
“Vogliono i nostri figli tutti omosessuali, vogliono i nostri paesi islamizzati e africanizzati, vogliono decidere per tutti con la forza pur essendo una minoranza, pilotano magistrati e sentenze sempre a loro favore, corrompono ogni cosa che toccano. Chi sono?” scrive Gregorini, che dal 2018 ha ricevuto l’incarico dal Comune di “cultural manager” e che dunque dovrebbe occuparsi di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale della città .
Secondo Gregorini ci sono forze oscure “che vorrebbero i nostri figli omosessuali e i nostri paesi africanizzati”
Poco importa che dopo qualche minuto abbia cancellato il post discriminatorio e zeppo di insulti beceri.
In molti chiedono le sue dimissioni: tranquilli, resterà al suo posto perchè rappresenta degnamente il pensiero della giunta di Genova
(da agenzie)
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