Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA PER NASCONDERE I SUOI FALLIMENTI E GLI SCANDALI CHE STANNO TRAVOLGENDO LA LEGA… FA BENE LA SEA WATCH A DIRIGERSI SU LAMPEDUSA PERCHE’ E’ IL PORTO SICURO COME RECITA LA NORMA
Avevamo lasciato Matteo Salvini ieri a sparare bordate contro la “nave pirata” della Ong Sea Watch che aveva osato salvare 52 persone a bordo di un gommone.
Per quelle parole Sea Watch ha deciso di querelare il ministro dell’Interno.
Per tutta risposta Salvini ha continauto a spararle grosse scrivendo su suoi social «gli abusivi della Ong mi querelano??? Uuuhh, che paura» e ribadendo che «per gli scafisti e i loro complici, i porti italiani sono e rimangono CHIUSI».
Il vero motivo per cui il Capitano sta facendo tutta questa cagnara non è certo per impedire lo sbarco di una cinquantina di persone.
Anche perchè i dati ufficiali del Viminale ci dicono che il 7 giugno sono sbarcate 147 persone e il 9 giugno ne sono sbarcate 95.
Salvini ha bisogno di scontrarsi con le Ong per poter distrarre l’opinione pubblica da tutto il resto: la polemica sulla farsa dei prelievi delle cassette di sicurezza, il caso Arata e soprattutto la procedura d’infrazione da parte della Commissione europea.
Per farlo Salvini non si preoccupa di rendersi ridicolo.
Come quando twitta «se la nave illegale Ong disubbidirà mettendo a rischio la vita degli immigrati, ne risponderà pienamente #portichiusi» Curioso lapus: non essendo ancora arrivati in Italia sono migranti e non immigrati.
Ora non sfuggirà certo a nessuno l’ironia di questa situazione: la persona che chiude i porti (per finta, d’accordo) dice che sono le Ong a mettere in pericolo la vita dei migranti.
I dati invece dicono il contrario.
È la politica dei porti chiusi che ha messo ancora più in pericolo le vite di chi tenta la traversata del Mediterraneo. In proporzione al numero degli sbarchi (che è diminuito) il numero dei decessi è aumentato.
In pratica arrivano meno migranti ma ne muoiono di più.
Secondo la giornalista Eleonora Camilli se fino all’anno scorso moriva una persona ogni 30 migranti oggi invece a morire è un migrante ogni sei che tenta la traversata. E quella persona non muore per colpa delle Ong, muore perchè non c’è nessuno a soccorrerlo.
Salvini dice che la nave Ong pirata (la scelta dei termini è studiata per aizzare meglio l’elettorato) non sta ubbidendo agli ordini perchè le autorità libiche hanno assegnato alla Sea Watch Tripoli come “porto più vicino per lo sbarco”.
Salvini omette volutamente di usare la frase corretta per indicare il POS che è “place of safety”. Che significa non porto più vicino ma porto sicuro più vicino.
Si vede chiaramente come anche dal post di Salvini sia l’Italia il POS più vicino alla Sea Watch (a 125 miglia nautiche contro le 170 di Malta).
Restano la Tunisia e la Libia. La Tunisia non è un porto sicuro — nonostante il paese sia relativamente stabile — per una serie di ragioni.
La prima è che Tunisi non vuole che i migranti sbarchino sulle sue coste. Ad esempio sono dieci giorni che viene vietato lo sbarco di 75 migranti nel porto di Zarzis. In Tunisia poi c’è una carenza (anche per volontà governativa) di centri di accoglienza dove poter processare le richieste d’asilo (che in ogni caso non vengono presentate).
Già in una precedente occasione Tunisi si è rifiutata di indicare un POS alla Sea Watch nonostante le richieste del governo olandese.
Infine — ed è la cosa più importante — la Tunisia pur avendo sottoscritto le convenzioni che tutelano i diritti dei rifugiati non si è dotata di una normativa nazionale sul diritto d’asilo.
Ma allora perchè la Sea Watch non è andata in Libia come indicato dalla guardia costiera che ha assunto il coordinamento dei soccorsi?
Innanzitutto bisogna ricordare che la GC libica non è intervenuta a soccorrere i migranti salvati dalla Ong nonostante la stessa organizzazione umanitaria ne avesse segnalato la presenza e le coordinate per il soccorso. Inoltre non è stato concordato alcun approdo a Tripoli, come sostiene Salvini.
Anzi Sea Watch ha pubblicato uno scambio di email con le autorità libiche dove dice che non era sua intenzione riportare indietro i migranti. Il punto cruciale qui è che la Libia non è assolutamente un porto sicuro.
Oltre al fatto che nel paese c’è la guerra (e non c’è un unico governo) secondo la UE: «La Commissione europea non considera i porti libici come porti sicuri ed è la ragione per la quale nessuna nave battente bandiera europea può sbarcare dei migranti nei porti libici».
Anche lo UNHCR «non considera la Libia un porto sicuro e i rifugiati soccorsi e i migranti non dovrebbero essere riportati in quel Paese».
Il motivo è evidente: in Libia i migranti vengono torturati e imprigionati e non c’è alcuna forma di tutela nei loro confronti.
Qual è quindi il porto più vicino? L’Italia.
Se Salvini non apre i porti quello che sta facendo è un respingimento in mare e ne risponderà penalmente
(da NextQuotidiano”)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile LA SENTENZA DEL GIUDICE DI TRAPANI: “DOVEVA ESSERE SOTTOPOSTO AL VOTO DEL PARLAMENTO, NON RISPETTA LA CONVENZIONE DI AMBURGO, E’ ILLECITO FAR RIPORTARE I MIGRANTI IN LIBIA
Dalla sentenza di un processo emerge una clamorosa novità : l’accordo sui migranti negoziato con
la Libia nel 2017 dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e firmato da Paolo Gentiloni e Fayez al-Sarraj non avrebbe nessuna validità .
A stabilirlo è il giudice Piero Grillo nelle motivazioni di una sentenza di assoluzione nei confronti di due migranti, che erano accusati di aver capeggiato una rivolta nei confronti dell’equipaggio della nave italiana Vos Thalassa che, dopo averli tratti in salvo, li stava riportando in Libia.
Secondo quanto affermato dal pm, infatti, la validità del memorandum di Minniti è in dubbio prima di tutto a causa dei precari equilibri interni del Paese africano.
L’autorità libica con cui è stato stipulato l’accordo, infatti, è riconosciuta in Europa, ma non ha il pieno controllo della giurisdizione dell’intero Paese.
Non a caso, il memorandum d’intesa tra Italia e Libia sull’immigrazione era già stato sospeso dalla Corte di Tripoli nel 2017, poco meno di due mesi dopo la stipulazione dell’accordo.
Ma secondo Grillo anche dal punto di vista procedurale italiano, il memorandum presenta diverse falle
L’accordo, infatti, avrebbe dovuto avere l’autorizzazione da parte del Parlamento italiano, che invece non si è mai espresso sulla materia.
Il memorandum, infatti, è frutto di un accordo stipulato semplicemente tra i rappresentati dei rispettivi governi, quello italiano e quello libico.
Inoltre, il memorandum tra Italia e Libia non rispetta i diritti umani e la Convenzione di Amburgo del 1979, che prevede l’obbligo per gli Stati aderenti di condurre i naufraghi in un luogo sicuro.
E la Libia non è attualmente considerata un luogo sicuro e, finchè non lo sarà , riconsegnare allo guardia costiera libica i naufraghi è da considerarsi illegittimo.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile CONTINUA LA DERIVA REAZIONARIA DELL’AFFOSSATORE DEL M5S: “VAI A CONTROLLARE I NEGOZI ITALIANI DOVE FANNO LAVORARE I RAGAZZI A 200 EURO AL MESE”
All’inizio c’è chi addirittura pensava fosse un fake. Ma l’immagine condivisa dal canale Facebook ufficiale del Movimento 5 Stelle – Luigi Di Maio che con sguardo severo e mano ferma annuncia “controlli anche sui negozi di cinesi e pakistani” – non ha lasciato spazio a dubbi. La stretta annunciata dal ministro del Lavoro non è piaciuta a molti deputati e senatori grillini. Ma ancor meno il ‘meme’ della discordia, che ha fatto il giro delle chat dei parlamentari al punto che qualcuno vorrebbe ora chiedere di sottoporre a ‘graticola’ anche lo staff della comunicazione.
Quell’immagine è “una porcheria” dice all’Adnkronos senza esitazione un eletto alla Camera. “Chi prende queste decisioni?”, tuona un’altra parlamentare.
“Ormai – dice un senatore – ci ritroviamo a scimmiottare la Lega: perchè non annunciare più controlli nei negozi italiani dove si fa il nero o dove, soprattutto al Sud, ragazzi lavorano anche solo per 200 euro al mese?”.
Nei commenti degli attivisti sui social alla foto ‘incriminata’ in tanti plaudono alla decisione di Di Maio ma non mancano le voci critiche: “Io direi semplicemente che vanno controllati tutti gli esercizi commerciali – scrive ad esempio Mara -, non ci salvinizziamo dividendo tutti in base all’etnia, siamo famosi per evasione fiscale e lavoro nero”.
Dello stesso tenore il commento di Fabio, che suggerisce: “Andate a fare i controlli nei ristoranti, bar e hotel stagionali e vedrete quanta evasione e quanti camerieri assunti con pochi soldi e tante ore di lavoro senza giorni di riposo!”.
“Da leghista, hai il mio vivo apprezzamento signor ministro… Bravo”, è invece il commento di Fabio.
Appunto, il M5S è diventato una colonia leghista.
(da “Huffingtonpost“)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile L’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE DEGLI SFIGATI RAZZISTI SI MANIFESTA SUI SOCIAL
A Vercelli alla fine ha vinto Andrea Corsaro, candidato sindaco del Centrodestra unito. Ma questo
la cantante Alice “Uli” Protto non lo sapeva quando ha composto e pubblicato la sua Salvineide.
La canzone è stata pubblicata su Youtube e su Facebook il 24 maggio, giorno della chiusura della campagna elettorale e della visita di Matteo Salvini a Vercelli, città dove vive anche la cantante.
L’intento non era certo quello di ribaltare le sorti del voto, quanto piuttosto quello di dedicare uno striscione cantato al ministro dell’Interno. Uno di quelli che è difficile far levare dai balconi, perchè pubblicato su bacheche e balconi virtuali.
Chissà se invece Alice pensava che oltre alla pioggia di complimenti da parte di molti utenti che evidentemente non votano Salvini sarebbe arrivata anche la scarica d’odio dei sostenitori della Lega indignati e offesi per una canzoncina.
Perchè si sa che per il Capitano vale la regola “niente critiche solo complimenti” e questa regola va fatta rispettare da tutti, anche da chi non la pensa esattamente come l’elettore-tipo della Lega.
Questa volta non c’è stato nemmeno bisogno che il ministro dell’Interno mettesse alla gogna l’autrice del brano come al solito: i patridioti sono arrivati lo stesso. Ormai la “Bestia” si muove da sola, e ci si chiede quanto controllo ne abbiano quelli che l’hanno nutrita e allevata amorevolmente in questi anni a suon di insulti, bacioni e inviti ad andare a mangiare pane e Nutella.
Certo: Salvini e Morisi non hanno inventato nulla, hanno solo imbrigliato a fini elettorali il compost fertile dell’Internet che ha voglia di insultare e odiare.
Ma per farlo hanno dovuto dare in pasto alla Bestia cittadini, politici, donne e ragazzine “colpevoli” di non stare sulla stessa barca del Capitano.
L’istinto del patridiota è quello di insultare. Se la vittima è una donna tanto meglio perchè oltre al classico zecca buonista le si può dare anche della troia e della zoccola. Oppure si possono fare raffinate perifrasi degne di Omero per suggerire cosa dovrebbe fare l’autrice della canzone con quella chitarrina, o con quello che ha in mezzo alle gambe.
Non sfuggirà di certo ai vari sostenitori della brigata Voltaire come interazioni social del genere difficilmente possano essere considerate come un legittimo diritto ad esprimere la propria opinione che va assolutamente tutelato.
Anche chi dice che gli insulti sono l’altra faccia della medaglia della democrazia e che ci si deve sorbire bordate di merda digitale perchè si ha avuto l’ardire di esternare al mondo il proprio pensiero forse dovrebbe rivedere le proprie posizioni.
Essere assaliti ogni volta che si dice quello che pensa da orde di sconosciuti che ci tengono a farti sapere cosa farebbero con te se avessero cinque minuti a disposizione non è affatto piacevole.
E non è affatto un sottoprodotto della democrazia. È invece il prodotto della mancanza di una cultura politica che sappia rispondere in modo pertinente alle critiche.
Perchè nessuno vuole vietare a chi non apprezza la Salvineide di dirlo, si può anche benissimo farlo usando toni “forti”.
Ma questo è puro distillato d’odio, che va combattuto, non tollerato.
(da “NextQuotidiano“)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile IL DIRETTORE DI “LIBERO” SPIEGA PERCHE’ I VENETI VOGLIONO L’AUTONOMIA
Ospite di Omnibus, su La7, Pietro Senaldi spiega i motivi per cui il Veneto voglia l’autonomia
Non sono solo economici, ma anche questione di normotipo veneto diverso da quello italiano . Il direttore responsabile di Libero dice che la faccia di Zaia non si trova in Calabria
Autonomia sì, autonomia no. Nel salotto di Omnibus, la trasmissione di approfondimento mattutino in onda ogni giorno su La7, le motivazioni di carattere economico — che, finora, erano alla base delle mobilitazioni di alcune regioni del Nord — sono state affiancate da quelle sul normotipo veneto.
Sono queste le parole usate in diretta dal direttore responsabile di Libero, Pietro Senaldi, per giustificare questa voglia delle comunità del Settentrione di essere distaccate dal resto dell’Italia
«Io so che qui a Roma non lo si capisce — sentenzia in diretta Pietro Senaldi a Omnibus -, ma nel Nord-Est c’è voglia di autonomia regionale. Loro si ritengono una nazione: hanno la loro bandiera, la loro lingua, hanno anche una tipologia, un normotipo veneto che è diverso dal normotipo italiano».
Insomma, i veneti (nel particolare del discorso affrontato dal direttore responsabile di Libero) hanno diversità anche per quel che riguarda la loro fisiognomica, i loro lineamenti, rispetto al resto d’Italia. In particolare le differenze sono con i cittadini del Sud.
E il prosieguo del discorso conferma che non si sia trattato di una gaffe:
«Non si parla più di razze ma ci sono dei ceppi nell’umanità — prosegue Senaldi — No? E il normotipo veneto è diverso da quello italiano e lo si riconosce: la faccia di Zaia non la trovi in Calabria, se non si è spostato un veneto in Calabria».
Quindi, il direttore di Libero spiega che i Veneti vogliono la loro autonomia perchè si sentono diversi dagli italiani. Anche fisicamente.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile IL 44% DEGLI ITALIANI RASSEGNATI SI SONO DOVUTI RIVOLGERE A STRUTTURE PRIVATE, ERA LO SCOPO PERSEGUITO DALLA LEGA
Troppo tempo. Mesi di attesa: in media,128 giorni per una visita endocrinologico, per fare solo
un esempio. E così, invece di rivolgersi al pubblico i “forzati” della sanità virano e si rivolgono al privato pagamento.
Sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno, per almeno una prestazione sanitaria, hanno provato a prenotare nel servizio sanitario nazionale e poi, constatati i lunghi tempi d’attesa, hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento, privata o intramoenia. Lo dice il IX rapporto Rbm-Censis presentato al ‘welfare day 2019’.
Così a causa di un servizio sanitario che non riesce più a erogare in tempi adeguati prestazioni incluse nei Lea (livelli essenziali di assistenza) e prescritte dai medici, i forzati della sanità sono costretti, secondo il rapporto, a pagare di tasca propria.
In 28 casi su 100 i cittadini, avuta notizia di tempi d’attesa eccessivi o trovate le liste chiuse, hanno scelto di effettuare le prestazioni a pagamento (il 22,6% nel nord-ovest, il 20,7% nel nord-est, il 31,6% al centro e il 33,2% al sud).
L’indagine è stata realizzata su un campione nazionale di 10 mila cittadini maggiorenni statisticamente rappresentativo della popolazione.
Transitano nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche (il 39,2% al centro e il 42,4% al sud) e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici (il 30,7% al centro e il 29,2% al sud). I lea, a cui si ha diritto sulla carta, in realtà sono in gran parte negati a causa delle difficoltà di accesso alla sanità pubblica.
Lunghe o bloccate, le liste d’attesa sono per lo più invalicabili.
In media, 128 giorni d’attesa per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica.
Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni d’attesa per effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia.
E nell’ultimo anno il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare, almeno una volta, una prestazione nel sistema pubblico perchè ha trovato le liste d’attesa chiuse. Ecco la insormontabile barriera all’accesso al sistema pubblico, che costringe a rivolgersi al privato anche per effettuare prestazioni necessarie prescritte dai medici.
Il 62% di chi ha effettuato almeno una prestazione sanitaria nel sistema pubblico ne ha effettuata almeno un’altra nella sanità a pagamento: il 56,7% delle persone con redditi bassi, il 68,9% di chi ha redditi alti.
Per ottenere le cure necessarie (accertamenti diagnostici, visite specialistiche, analisi di laboratorio, riabilitazione, ecc.), tutti – chi più, chi meno – devono surfare tra pubblico e privato, e quindi pagare di tasca propria per la sanità .
E sono 13,3 milioni le persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta (una caccia alla second opinion).
Combinare pubblico e privato è ormai il modo per avere la sanità di cui si ha bisogno. Spendere per la salute è ormai inevitabile e necessario per tutti.
Oltre a tentare di prenotare le prestazioni sanitarie nel sistema pubblico e decidere se attendere i tempi delle liste d’attesa oppure rivolgersi al privato, di fronte a una esigenza di salute stringente, molti cittadini si sono rassegnati, convinti che comunque nel pubblico i tempi d’attesa sono troppo lunghi.
Nell’ultimo anno il 44% degli italiani si è rivolto direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno tentare di prenotare nel sistema pubblico. È capitato al 38% delle persone con redditi bassi e al 50,7% di chi ha redditi alti. Ancora una volta: tutti, al di là della propria condizione economica, sono chiamati a mettere mano al portafoglio per accedere ai servizi sanitari necessari.
Obbligo per tutti di spendere per la sanità . Nel 2018 la spesa sanitaria privata è lievitata a 37,3 miliardi di euro: +7,2% in termini reali rispetto al 2014.
Nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica ha registrato invece un -0,3%.
La spesa privata riguarda prestazioni sanitarie necessarie o inutili? Di sicuro tutte quelle svolte nel privato dopo il fallito tentativo di prenotazione nel sistema pubblico sono state prescritte da un medico.
Tra quelle effettuate direttamente nel privato hanno una prescrizione medica il 92,5% delle visite oncologiche, l’88,3% di quelle di chirurgia vascolare, l’83,6% degli accertamenti diagnostici, l’82,4% delle prime visite cardiologiche con ecg. Sono numeri che riguardano prestazioni necessarie, non un ingiustificato consumismo sanitario.
E il pronto soccorso diventa un punto di riferimento. Lo dicono i numeri e i giudizi.
Il 48,9% dei cittadini che nell’ultimo anno hanno avuto una esperienza di accesso al pronto soccorso ha espresso un giudizio positivo (la percentuale sale al 54,5% al nord-est).
Ma solo il 29,7% si è rivolto al pronto soccorso in una condizione di effettiva emergenza, per cui non poteva perdere tempo.
Mentre il 38,9% lo ha fatto perchè non erano disponibili altri servizi, come il medico di medicina generale, la guardia medica, l’ambulatorio di cure primarie. Il 17,3% lo ha fatto perchè ha maggiore fiducia nel pronto soccorso dell’ospedale rispetto agli altri servizi. Si tratta di una domanda sanitaria drogata dalle non urgenze, a caccia della migliore soluzione per il proprio problema, che trova impropriamente risposte nel pronto soccorso.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile ALTRO CHE CAMBIAMENTO: PER CONTRASTO ALLA POVERTA’ L’ITALIA E’ SEDICESIMA SU 157 PAESI
Sono 3.368 gli sportelli Caritas in Italia in cui le persone in difficoltà “parlano” della loro situazione. I Centri di ascolto Caritas, presenti praticamente in tutte le diocesi italiane, si articolano in centri diocesani, zonali o parrocchiali. Dal 1999, data dell’ultimo convegno nazionale, sono quasi raddoppiati.
Nel 2018 hanno realizzato 208.391 interventi di ascolto, orientamento, consulenza. Attivando, presso i servizi collegati, 1 milione e 17 mila 960 erogazioni di beni e servizi materiali (viveri, vestiario, prodotti per l’igiene personale, buoni pasto), cui vanno aggiunti 175.685 interventi di accoglienza residenziale. I volontari dei Centri di ascolto offrono orientamento, con funzioni di segretariato sociale a chiunque si trovi in difficoltà .
Se fino a pochi anni fa gli stranieri erano circa i due terzi, ora le percentuali si sono livellate: secondo il Rapporto Caritas 2018 sulle povertà , gli “utenti” italiani sono il 42,2%, quelli stranieri il 57,8%.
“Con ogni probabilità sono gli effetti dell’onda lunga della crisi”, spiega ad Avvenire Renato Marinaro, responsabile del servizio promozione di Caritas italiana. Famiglie italiane che crollano, insomma, dopo avere resistito per alcuni anni ai contraccolpi della congiuntura economica. Magari consumando i risparmi.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile SONO STATI TROVATI DIOSSINE E PCB QUATTRO VOLTE OLTRE IL LIMITE CONSENTITO
Occupata la scuola Deledda di Taranto. I genitori degli alunni iscritti all’istituto comprensivo del
rione Tamburi che comprende anche la Vico e la De Carolis hanno forzato i cancelli e inscenato un presidio permanente all’interno dell’edificio a ridosso delle cosiddette “collinette ecologiche”.
A scatenare la furia di alcune famiglie sono stati i nuovi dati rilevati dall’Arpa Puglia nelle indagini dei terreni superficiali delle barriere artificiali erette negli anni ’70 per dividere le case del quartiere dall’acciaieria dell’allora Italsider, poi Ilva e oggi Arcelor Mittal.
Nella parte più prossima all’edificio scolastico sono stati trovati diossine e pcb fino a 45 nanogrammi per chilo, vale a dire oltre quattro volte il limite consentito di dieci. A leggere ai genitori degli alunni i numeri forniti dall’Arpa il 7 giugno scorso su richiesta del prefetto, sono stati i consiglieri comunali d’opposizione Vincenzo Fornaro e Massimo Battista.
La comunicazione ha scatenato l’ira delle famiglie che hanno deciso di entrare nella scuola in attesa di risposte.
“La nostra permanenza sarà ad oltranza fino a quando chi di competenza non verrà a portare risposte concrete, certe e verificabili rispetto all’inizio del nuovo anno scolastico che ad ora è completamente incerto. Ribadiamo assolutamente che non vogliamo spostare i nostri figli e le nostre figlie presso istituti che si trovano al di fuori dei Tamburi perchè pretendiamo di vivere e restare liberamente nel nostro quartiere”, scrivono in una nota.
Quelle montagnette sono state sequestrate i mesi scorsi perchè contengono metalli pesanti, fanghi e scarti di produzione del siderurgico, altamente inquinati e, potenzialmente, pericolosi per la salute di chi frequenta la scuola e dei residenti. Pericolo legato, però, solo al contatto con quei terreni.
Motivo per cui il sindaco Rinaldo Melucci aveva ordinato la chiusura delle scuole e lo spostamento del personale e degli alunni in alte sedi, in attesa dei nuovi risultati, arrivati la scorsa settimana.
“Il primo cittadino ha richiesto formalmente al prefetto – si legge in una nota del Comune – di riconvocare a stretto giro le autorità aventi titolo sulla complessa vicenda, al fine di valutare compiutamente l’esito delle citate analisi, comprendere la fattibilità della eventuale messa in sicurezza delle collinette, ragionare dunque della rimodulazione degli ulteriori interventi con risorse pubbliche previsti in quei plessi ed in fine stabilire se questi ultimi possano essere regolarmente aperti per l’inizio del prossimo anno scolastico”.
“Il sindaco – incalza Fornaro – aveva dichiarato di avere con sè la famosa pistola pronta a sparare e quindi a chiedere la chiusura delle fonti inquinanti. A fronte di questi dati è arrivato il momento di porre la firma su quel provvedimento.
(da agenzie)
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Giugno 13th, 2019 Riccardo Fucile DATO CHE UN SERVO NON PUO’ ATTACCARE IL PADRONE, SE LA PRENDE CON CHI HA ESULTATO PER IL VOTO CHE SALVA RADIO RADICALE
Luigi Di Maio ha un diavolo per capello a causa dell’emendamento su Radio Radicale proposto dal Partito Democratico e approvato dalla Lega in Commissione che dà 3 milioni di euro all’emittente.
E siccome non può prendersela con Salvini, ecco che mette alla gogna Laura Boldrini, “colpevole” di aver esultato per la (provvisoria) vittoria politica.
C’è da segnalare che stamattina Di Maio aveva pubblicato uno status su Facebook in cui si lamentava per il voto della Lega ma subito dopo rassicurava: il governo non era a rischio
Ecco chi gioisce per aver regalato altri milioni di euro delle nostre tasse a Radio Radicale, una radio privata e di partito pagata con i vostri soldi. Fieri di esserci opposti con ogni mezzo!
C’è da segnalare che Laura Boldrini è una delle “vittime” preferite del MoVimento 5 stelle: nel 2014 sul suo profilo Facebook Beppe Grillo postò un video accompagnato dalla domanda “Cosa fareste in auto con Laura Boldrini?“, ricevendo in risposta un clamoroso numero di insulti sessisti e minacce a quella che allora era la terza carica dello Stato.
(da agenzie)
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