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MARCIA NO TAV DI SABATO, BRUTTI SEGNALI: QUALCUNO HA INTERESSE CHE CI SCAPPI IL MORTO PER CRIMINALIZZARE IL MOVIMENTO?

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

CRESCE IL NUMERO DEI PARTECIPANTI PREVISTI, SI PREVEDONO 100.000 PERSONE… SALVINI MANDA ADDIRITTURA 500 AGENTI, ATTIVATI STRANAMENTE I SERVIZI SEGRETI…SIAMO TORNATI ALLA STRATEGIA DELLA TENSIONE?

I primi controlli in Val di Susa sono già  scattati. Il Viminale ha schierato 500 uomini delle Forze dell’Ordine. Non solo. È sceso in campo un intero sistema internazionale per contrastare il corteo dei No-Tav di sabato nel caso dovesse sfociare in atti di violenza o in tentativi di sabotare il cantiere di Chiomonte.
“Abbiamo attivato canali informativi esteri per acquisire elementi utili a prevenire i disordini”, è ciò che ha riferito il Direttore dell’Agenzia Informazioni per la Sicurezza interna (Aisi), Mario Parente.
Per capire a che livello è arrivata la preoccupazione, basti pensare che il corteo contro l’Alta velocità  Torino-Lione è diventato argomento di discussione durante l’audizione al Copasir. E i No-Tav rispondono così: “Salvini è preoccupato? Siamo felici”.
Ecco le premesse.
A Venaus, luogo in cui partirà  la marcia e dove è iniziato il campeggio ‘Alta felicità ‘, sono attese centomila persone da tutta Europa. Nelle stazioni ferroviarie infatti sono iniziati i primi interventi degli agenti che identificano chi scende dai treni in arrivo a Torino.
L’ordine del ministero degli Interni è chiaro: “Non tollereremo violenza contro le forze dell’ordine, niente resterà  impunito”, ha detto Matteo Salvini.
Dimenticando che le provocazioni possono arrivare anche dalle forze dell’ordine, basta poco per scatenare una reazione.
In allarme anche il prefetto di Torino Claudio Palomba: “L’auspicio è che tutto si svolga con tranquillità , stiamo monitorando con molta attenzione la situazione, questo è il nostro compito”.
La tensione cresce. Per adesso nelle parole, sabato si vedrà .
Francesco Richetto, valsusino, storico attivista del movimento No Tav, interviene su Salvini: “Ci sono persone che vogliono realizzare un progetto devastante per il nostro territorio. E se Salvini è preoccupato, noi siamo felici. Penso che sia reciproco”.
Il clima che si respira alla vigilia è questo. Le Forze dell’Ordine sono mobilitate anche per le ore notturne, il momento più critico.
I No Tav parlano di una manifestazione in cui sarà  dimostrata “fin da subito la nostra vitalità ” e preannunciano problemi di ordine pubblico.
Questa è la reazione al via libera all’opera dato dal governo guidato dal premier Conte.
I parlamentari M5s continuano a ribadire la loro contrarietà  all’opera pur assecondando la scelta dell’esecutivo a trazione leghista. E così sono finiti nel mirino dei No-Tav, così come è diventato bersaglio di recriminazioni il ministro Danilo Toninelli, il quale ribadisce che “l’opera è un bidone ma il governo deve andare avanti”.
Difficile infatti, anzi è totalmente esclusa, la presenza di deputati e senatori M5s alla marcia. Non sarebbero ben accetti.
E non hanno più il sostegno neanche dei consiglieri comunali di Torino. “La vostra inutilità  è disarmante. Punto”. È il commento secco di Andrea Russi a una nota dei parlamentari piemontesi pentastellati sulla Tav.
La scissione potrebbe essere vicina e mentre i parlamentari, nel week end, staranno lontani dalla Val di Susa, qualche consigliere in odor di fuga dal Movimento potrebbe vedersi.

(da “Huffingtonpost”)

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DUE GOVERNI, DUE MANOVRE

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

CONTE (CON TRIA E DI MAIO) FRENA SULLA FLAT TAX E AVALLA UN MINI-TAGLIO DEL CUNEO FISCALE… COSI SVENTOLA UN DRAPPO ROSSO SOTTO IL MUSO DI SALVINI

Metà  pomeriggio, 16.40 circa. Matteo Salvini è alla Galleria del Cardinale, ala maestosa del principesco palazzo Colonna, per un convegno sul 5G organizzato dalla associazione ‘Fino a prova contraria’ di Annalisa Chirico.
à‰ passata appena un’ora e mezza dal faccia a faccia con Luigi Di Maio ed è già  tempo di una nuova provocazione: “Voglio ancora capire quale è l’idea di manovra economica per il Paese”.
E poi giù con il ritornello del governo che non deve obbedire a Bruxelles, corredato di messaggio-diktat ai 5 stelle, a Giuseppe Conte e a Giovanni Tria: “O tutti sono disponibili” a essere “coraggiosi” nei confronti dell’Europa o questo è un problema.
In quello stesso momento, a 500 metri di distanza, il premier è chiuso a palazzo Chigi con i leader di Cgil, Cisl e Uil. Con lui c’è Di Maio, Tria arriverà  poco dopo perchè impegnato in un’intervista in tv, ci sono ministri e sottosegretari pentastellati. Per la Lega non c’è nessuno.
Conte detta i tempi della manovra, che non sono quelli di Salvini. Frena sui sogni fiscali del Carroccio, parlando di un disegno ancora da costruire. Lo spin velenoso dei 5 stelle completa il quadro: “C’è Tria, questo è il vero vertice sulla manovra”.
Altro che il tavolo che si è tenuto al Viminale dieci giorni fa. Ci sono due governi, due manovre. Da un lato Conte e Tria, con i 5 stelle che provano ad accodarsi. Dall’altro la Lega, furibonda per le mosse della triplice alleanza.
Eccolo il drappo rosso di Conte posizionato sotto il naso di un Salvini che freme per incassare, provando a travolgere tutto, a iniziare dalla prudenza del premier e del ministro dell’Economia sui conti pubblici e su una legge di bilancio che tutto può fare tranne che stravolgere il già  fragile compromesso raggiunto per ben due volte con Bruxelles in appena sei mesi.
Le parole del vicepremier sull’informativa di Conte in Senato bruciano e il presidente del Consiglio decide di replicare provando a sfidare Salvini sul terreno conteso da mesi, probabilmente da quando il governo è nato: la titolarità  dell’esecutivo, la patria potestà  da imporre sui figli ribelli che litigano, brandiscono crisi e poi si riparlano, ma che intanto non si preoccupano dei danni che provocano al Paese.
A testa bassa – questa è l’immagine che Conte vuole dare di sè – il premier riparte dall’abc dell’azione di governo: riperimetrare i confini del suo ruolo, provare a farlo quantomeno.
Il primo tentativo di Conte si gioca sulla manovra. Se Salvini continua a spingere per arrivare a un testo già  ad agosto, tirando dentro la flat tax, il premier invoca prudenza, chiede e promette collaborazione ai sindacati.
Soprattutto – e qui emerge il primo elemento della declinazione doppio governo per una doppia manovra – detta i tempi.
La road map di palazzo Chigi dice lavorare ad agosto e nuovo confronto a settembre con le parti sociali. Sono i tempi classici, quelli che solitamente caratterizzano la genesi della legge di bilancio, che va presentata in Parlamento entro il 20 ottobre.
Niente anticipi, niente fughe in avanti. La convinzione è forte e radicata: sono passate poche settimane dal rischio di ritrovarsi scaraventata addosso la procedura d’infrazione per debito eccessivo, lo spread è ritornato sotto i 200 punti, la nuova Europa è in fase di avvio e tutt’altro che orientata ad avere un atteggiamento di favore nei confronti dell’Italia.
I tempi, insomma, sono tutt’altro che maturi. E proprio nel giorno in cui la Lega rilancia la flat tax, con nuovi dettagli sull’impianto e sui costi, Conte azzoppa tutto: “Va chiarito un punto: non c’è ancora alcun progetto di riforma fiscale a livello istituzionale. Siamo ancora alla fase della elaborazione e nella quale raccoglieremo anche le vostre istanze”, dice rivolgendosi ai leader dei sindacati.
Non ci sono numeri e tabelle, ma solo idee e parametri, questi sì chiari.
Tocca a Tria illustrarli in un’intervista a Skytg24: il deficit sarà  “contenuto”. Anche qui uno stop a Salvini: va bene tutto, va bene allungare la lista della spesa ma nessuna illusione su un extra-deficit salvifico da parte di Bruxelles o una trattativa così spinta da parte dell’Italia. Un punto di contatto c’è, anche se tutto da costruire e anche qui i tempi non coincidono. Gli 80 euro di Renzi scompariranno e si trasformeranno in minori tasse. Un’operazione fiscale che permetterà  di recuperare 10 miliardi (la spesa per finanziare gli 80 euro ndr.) e di metterli a disposizione per tagliare l’Irpef attraverso il meccanismo della flat tax.
Ma c’è bisogno di tempo perchè per la flat tax servono almeno 12-15 miliardi e quindi sarà  necessario tagliare alcune detrazioni.
à‰ un lavoro delicato, spiega il ministro dell’Economia, perchè il campo è minato: ci sono le agevolazioni fiscali per la sanità  e quelle per la scuola che è meglio non toccare, servono “scelte politiche”.
E le scelte politiche richiedono tempo, mediazioni, analisi di fattibilità . Tanto più che anche i 5 stelle hanno da dire la loro. Fonti del Movimento, infatti, hanno fatto sapere che durante l’incontro governo e sindacati “hanno condiviso il principio della progressività  della tassazione”.
Flat tax sì, ma non come la vuole la Lega. Tempo e mediazioni lo richiede anche il lavoro più generale sulla manovra.
E infatti Conte preannuncia già  altri due incontri – uno il 29 luglio e l’altro il 5 agosto – sul Sud e sul lavoro. Si svolgeranno ancora a palazzo Chigi, saranno sempre presieduti dal premier. Saranno rispettivamente il secondo e il terzo incontro. Dopo il primo, quello che il premier battezza con un video su Facebook come l’inizio “ufficiale” dei lavori preparatori per la manovra. Altro che il tavolo del 15 luglio al Viminale.
Appena finisce di illustrare il cantiere della manovra in tv, Tria si precipita a palazzo Chigi per unirsi alla narrazione di Conte.
Solo quando i partecipanti sono alle battute finali compare il ministro leghista Gianmarco Centinaio. Ma i giochi sono già  fatti. Il premier ha deciso che la manovra sarà  fatta con Tria, rifiutando e respingendo il tentativo di sovrapposizione portato avanti da Salvini.
E i 5 stelle? Ammaccati dalla vicenda della Tav, ultimo episodio di un galleggiamento di governo che implica concessioni pesanti, i pentastellati provano a spalleggiare l’asse Conte-Tria, stando però attenti a non schiacciarsi troppo su posizioni moderate che potrebbero costare caro.
L’immagine di Di Maio sul balconcino di palazzo Chigi per festeggiare il deficit al 2,4% e la famigerata abolizione della povertà  non si cancella facilmente. Di Maio lancia sul tavolo di palazzo Chigi un ambizioso Piano per la casa: ricostruire e e ristrutturare 600mila alloggi già  esistenti e abbandonati per destinarli a giovani coppie, single e famiglie a basso reddito.
Prova a rilanciare il cavallo di battaglia del salario minimo e promette di tagliare il cuneo fiscale per 4 miliardi se gli imprenditori sosterranno i costi del salario minimo. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia gli risponde dopo pochi minuti: ”à‰ poco, è poco”.
Un guizzo stroncato prima ancora di prendere quota. Non solo dagli industriali. Massimo Garavaglia e Massimo Bitonci, rispettivamente viceministro e sottosegretario al Mef in quota Lega, stroncano il mini intervento sul cuneo fiscale dei 5 stelle e aggiungono: “Condividiamo i dubbi di chi sostiene che 4 miliardi di tagli alle tasse siano davvero pochi”.
Nella schizofrenia di un governo che sulla manovra parla con due voci c’è anche questo: rivendicazioni e passi in avanti subito bloccati.
Alla fine del vertice, Maurizio Landini fotografa la situazione: “Bisogna che si mettano d’accordo, per noi il governo è uno, la sede è la presidenza del Consiglio, devono mettersi d’accordo loro”.
Già , mettersi d’accordo. Sempre più difficile per un governo che si ricompatta solo quando una parte cede all’altra. Il tratto resta quello della distanza, come sulle Autonomie.
L’ennesimo incontro sul tema si è tenuto all’ora di pranzo a palazzo Chigi, presieduto da Conte. Intorno al tavolo il ministro 5 stelle per i Beni culturali Alberto Bonisoli e la madrina della riforma, la ministra leghista Erika Stefani. Un passo in avanti sui beni culturali, uno indietro su quelli archeologici secondo il Carroccio. La strada è ancora lunga: non sono state definite le competenze che passeranno dallo Stato alle Regioni che hanno fatto richiesto di autonomia differenziata e non c’è ancora l’accordo sullo schema finanziario, cioè se e come le Regioni potranno gestire gli eventuali risparmi. Anche su questo il governo ha le sembianze di un Giano bifronte.

(da “Huffingtonpost”)

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LA COPPIA SCOPPIATA: AVANTI SENZA UN VERO PERCHE’

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

APPENA SI PARLA DI MANOVRA, RISCOPPIANO TENSIONI E DIVISIONI

Non si è trattato di un pranzo con tanto di cerimoniale ad esaudire qualsiasi desiderio dei commensali. Ma di un confronto dopo che per giorni si sono   puntellati e inviati mezze frecciatine, e non solo, che avevano il sapore di una lite in corso.
Di certo, però, quando da poco scoccano le 13, si ritrovano uno di fronte all’altro, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Un’ora di colloquio, diffondono gli spin dei due dioscuri, in cui avrebbero fatto il punto della situazione politica alla luce degli avvenimenti dell’ultima settimana. Scontato.
Filtra poco, pochissimo. L’obiettivo è veicolare il minimo indispensabile per non alimentare una distanza che di fatto si scorge plasticamente.
Perchè è vero che la finestra elettorale si sta per chiudere. Ma è altresì vero che i tormenti rimangono, i malumori   persistono e la sensazione è che il prosieguo della liason   sia più una navigazione a vista. Sembra, per dire, più un vertice per zittire i cronisti che per sciogliere i nodi che restano tutti sul tavolo.
Da qui si parte. I due sorseggiano solo un caffè, accompagnato da un bicchiere d’acqua. E per 60 minuti di orologio, senza addentare alcunchè, il dialogo appare franco.
Al punto che entrambi mettono sul tavolo le fibrillazioni dei gruppi parlamentari. Con i leghisti, in particolare i nordisti, che reclamano il ritorno alle urne perchè “dai territori non ne possono più dei vostri di No”. E
cco perchè a un certo punto il leader del Carroccio avrebbe insistito sulla questione: “Il problema non sei tu, caro Luigi, lo so. Ma la politica dei No e dei blocchi da parte di molto dei tuoi. Hai visto che avevamo ragione sulla Tav?”. Dall’altra parte anche Di Maio   avrebbe confessato le tensione delle sue truppe su alcuni dossier. L’alta velocità  Torino-Lione su tutti. Alal fine entrambi si rassicurano. E decidono di comune accordo che “al momento” si va avanti.
Al momento, appunto. Non è dato sapere come e perchè. Se con un tagliando al contratto di governo. O se con un rimpasto.
Di certo, preferiscono non entrare nei dettagli perchè nei prossimi giorni, si dovranno confrontare con il premier Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo che è il grande assente a palazzo Chigi nel momento del disgelo dei due vicepremier.
E sarà  nuovamente nella sede del governo che si rivedranno, questa volta anche con il presidente del Consiglio, per fissare la roadmap delle prossime settimane. Che quasi certamente ruoterà  attorno alle questioni economiche.
Dove le distanze tra Di Maio e Salvini appaiono siderali. Il capopolitico dei cinquestelle sposa la linea Conte-Tria che si traduce in un no alla flat tax, ma in un sì alla tassazione progressiva e al taglio del cuneo fiscale. Il tutto rispettando i paletti fissati dalla commissione Ue.
Da par suo, il Capitano della Lega, invece, si mostra inflessibile sulla questione. Il ministro dell’Interno vuole andare a battere i pugni “ai tecnocrati di Bruxelles” e si mostra inflessibile sulla flat tax: ” Voglio ancora capire qual è idea di manovra economica per il paese, deve un forte taglio di tasse   evidentemente aprendo un confronto anche con Europa. E non lo fai se obbedisci riga per riga alle imposizioni di Bruxelles”.
Dunque, al netto della fotografia simbolica dei due seduti a palazzo Chigi che ripetono l’uno l’altro che “andranno avanti”, sullo sfondo restano le ferite.
L’assenza del padrone Giuseppe Conte. Come se i due, Di Maio e Salvini, volessero lasciare intendere che l’avvocato del popolo resta solo e soltanto un tecnico, al massimo il garante del contratto di governo.
In Transatlantico i leghisti mormorano che “non è ancora detto che la crisi sia congelata”. L’emiciclo di Montecitorio ribolle e dà  il via libera al decreto sicurezza-bis con 322 sì, 90 no, e un astenuto. Ma c’è un dettaglio che è più di un segnale: 17 grillini, compreso il presidente della Camera, Roberto Fico, non partecipano al voto. Da qui la necessità , sussurra un soldato di leghista, “che dovremo stare attenti la prossima settimana al Senato, dove la maggioranza è risicata”.
Ed è quest’ultimo un elemento di forte preoccupazione da parte del Carroccio. Perchè il decreto sicurezza-bis adesso approderà  palazzo Madama. Insomma, lo scenario resta fluido. Non a caso, ieri sera, un pezzo da novanta del Carroccio, come il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi, è stato avvistato a cena con Denis Verdini, nel ristorante del figlio dell’ex plenipotenziario di Forza Italia.

(da “Huffingtonpost“)

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E CONTE SE NE VA A MANGIARE IL SUSHI

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

MENTRE DI MAIO E SALVINI S’INCONTRANO A PALAZZO CHIGI, IL PREMIER MARCA LE DISTANZE E IL GELO CON I SUOI VICE

La canicola del sole arroventa piazza Colonna, ma quando Giuseppe Conte esce è impeccabile. Accanto a lui la squadra della comunicazione, l’assistente particolare, il capo di gabinetto. “Dove andiamo? A pranzo”.
Il premier solca la folla di cronisti, che non si aspettavano di ritrovarselo di fronte. A Palazzo Chigi è infatti in corso un faccia a faccia tra i suoi due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Quando si vede del movimento all’ingresso i reporter scattano. “Oh, daje, sta a uscì Salvini”. E invece si materializza Conte. “Dobbiamo lavorare, non chiacchierare”, spiega tagliando corto, solcando a passo svelto i sampietrini arroventati. Direzione un ristorante di sushi, a pochi passi dalla Camera, dove si rifugia con i suoi in una bolla di aria condizionata.
Nelle pieghe della giornata si annidano ancora le scorie di un mercoledì denso di nubi elettriche. La scelta del Movimento 5 stelle di disertare l’aula del Senato dove era andato a riferire sul caso Russiagate, anzitutto. Una scelta in polemica con Salvini, certo. Ma non concordata nè coordinata, che lo ha lasciato solo e esposto alle polemiche nel mezzo del Parlamento, in un corto circuito politico-comunicativo dove l’uno rivendicava la centralità  delle istituzioni e gli altri — spaccandosi — platealmente le abbandonavano. E quella di Salvini, che in risposta alla difesa fatta dal premier anche nei suoi confronti in aula in tutta risposta ha continuato a tirargli bordate.
Così quando Conte esce marca nei fatti, nella prossemica della giornata, una distanza puntuta e irritata nei confronti dei suoi vice.
Una distanza ancora più netta, se non fosse bastato quel che già  stava succedendo. Perchè il capo politico M5s e il segretario della Lega si stavano incontrando a dieci metri dall’ufficio del premier. Senza che lui fosse partecipe. “Tutto normale — spiegano fonti M5s — era un incontro tra i due leader a capo delle forze che sostengono la maggioranza”. “Non era un vertice — concorda una fonte interna a Palazzo Chigi — ma un incontro politico”.
Ma normale non lo è tanto. Lo si evince quando il capo del governo, rientrando sempre a piedi, si ferma a parlare con i giornalisti che lo aspettano, mettendo dei pesanti puntini sulle i. “Che io possa andare in Parlamento a cercare una maggioranza alternativa quando invece andrei in Parlamento per trasparenza nei confronti dei cittadini e rispetto delle istituzioni, è una cosa assolutamente fantasiosa”, ha spiegato in risposta a Salvini. Spiegando che non ha alcuna intenzione di fare un suo partito e chiosando sulla necessità  di “volare alto”, una risposta stizzita alle continue polemiche degli ultimi giorni.
L’avvocato del popolo italiano si infila di nuovo nella sede dell’esecutivo, dove presiede un incontro con i sindacati. Insieme a Giovanni Tria, e anche a Di Maio, contesto sottolineato dalla comunicazione M5s per tentare di dissipare il gelo.
Gli stessi che rimarcano anche come la presenza del ministro dell’Economia contraddistingua quello di oggi come il vero tavolo di concertazione sulla manovra, in contrapposizione con quello del Viminale, mentre Salvini spara bordate su Europa e manovra da Milano.
Il caos regna ancora sovrano nel caldo che non molla, tra un pranzo, un sushi e l’ennesima polemica di giornata, quando arriva un colonnello del Movimento e fotografa così la situazione incrociata di vertici e incontri: “Ma alla fine, Conte, per come si è costituito questo governo, è una figura istituzionale. Politicamente è espressione di sè stesso”.

(da “Huffingtonpost”)

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PESCHERECCIO ITALIANO SALVA 50 MIGRANTI, MALTA NEGA LO SBARCO, VANNO A LAMPEDUSA

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

ERA ALLA DERIVA, IL COMANDANTE HA FATTO IL SUO DOVERE: “TORNEREMO A CASA SOLO DOPO AVER CONOSCIUTO LA LORO SORTE”…INDEGNA MANFRINA TRA MALTA E ITALIA, POI SI MUOVE FINALMENTE LA GUARDIA COSTIERA ITALIANA

«Non li avremmo mai lasciati alla deriva, torneremo a casa dalle nostre famiglie dopo che avremo conosciuto la loro sorte». Lo dice il comandante Carlo Giarratano del motopeschereccio di Sciacca (Ag) «Accursio Giarratano», che dalla notte tra mercoledì e giovedì è bloccato in mare aperto dopo che l’equipaggio ha soccorso una cinquantina di migranti a bordo di un gommone, a circa cinquanta miglia da Malta.
La situazione di stallo è determinata dal fatto che Malta nega l’approdo alla nave italiana; ma poco le 22 il braccio mdi ferro è stato risolto dalla Guardia Costiera italiana che è andata in soccorso del peschereccio, ha preso in carico i migranti per portarli a Lampedusa..
Della situazione è stata informata anche la capitaneria di Porto Empedocle. «Non conosciamo la loro nazionalità , non possiamo lasciarle alla deriva, vorremmo poterle consegnare ad una autorità  marittima disponibile, sia italiana che maltese» hanno fatto sapere dal peschereccio.
La nave è rimasta bloccata al largo di Malta, in acque internazionali, in attesa di istruzioni. Fino a quando una unità  della Guardia Costiera italiana da Lampedusa si è mossa per prestare assistenza alla «Giarratano».
Da Sciacca ha parlato anche l’armatore della nave, Gaspare Giarratano: «Noi soccorriamo con tutto il cuore i migranti in difficoltà , e lo facciamo anche come omaggio alla memoria di mio figlio morto» ha detto all’agenzia Ansa. «E tutte le volte noi facciamo il nostro dovere, sbracciandoci e aiutando uomini, donne e bambini, perchè è giusto così»
Secondo la ong Sea Watch nelle giornata di giovedì almeno 7 gommoni sono partiti dalle coste libiche tentando di raggiungere l’Europa, tra questi quelli affondati e che hanno provocato la morte di almeno 150 persone. Ma nessuna nave, in queste ore, sta pattugliando la zona per prestare loro soccorso.

(da “il Corriere della Sera”)

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ECCO LE PROVE: LA LETTERA DELL’AMBASCIATORE RUSSO CHE CHIEDE A SALVINI DI EVITARE ASSEMBRAMENTI SINDACALI DAVANTI ALLA RAFFINERIA RUSSA LUKOIL DI PRIOLO E SALVINI SCATTA SULL’ATTENTI E MANDA LA POLIZIA

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

PRESENTE QUANDO LA RUSSIA ORDINA, ASSENTE QUANDO RISPONDERE IN PARLAMENTO SUI RUBLI RUSSI

Matteo Salvini ha sempre preso le distanze dall’inchiesta apertasi in seguito alla pubblicazione degli audio di Buzzfeed, in cui si potevano sentire alcuni esponenti della Lega discutere di un accordo commerciale che avrebbe dovuto sostenere la campagna elettorale del Carroccio. Alle ripetute domande della stampa, il vicepresidente del Consiglio leghista ha risposto di “essere colpevole di volere solamente buoni rapporti con la Russia”. Ora, spuntano delle mail che mettono ancora di più sotto i riflettori i rapporti della Lega e del suo leader Salvini con il Paese di Vladimir Putin.
Facciamo un passo indietro.
Alcuni mesi fa, il prefetto di Siracusa, Luigi Pizzi, ha vietato gli scioperi di fronte ai cancelli delle raffinerie Isab di Priolo, per motivi di “ordine pubblico e pubblica sicurezza”, frenando le proteste degli operai che rischiavano di perdere il proprio posto di lavoro.
Lo stabilimento appartiene al gruppo petrolifero russo Lukoil.
Da un articolo di Salvo Palazzolo, pubblicato ieri su Repubblica, emerge che il divieto di sciopero sia il risultato di una richiesta dell’ambasciatore russo in Italia, Sergey Razov, direttamente indirizzata a Matteo Salvini.
Lo scorso 22 marzo 2019, l’ambasciatore Razov ha inviato una lettera al ministro dell’Interno, che si apre con un cordiale “Caro Matteo”, in cui si legge che i blocchi sindacali avrebbero portato “nel periodo fra il 2012 e il 2018 a perdite finanziarie per l’ammontare di alcuni milioni di euro, nonchè arrecato danni per la reputazioni del gruppo Lukoil”.
Il documento richiede quindi espressamente al leader leghista di garantire “una partecipazione più attiva delle autorità  italiane nella soluzione del problema del più grosso investitore russo in Italia”.
Nulla a che vedere quindi, con questioni di sicurezza, ma piuttosto un richiamo su interessi commerciali ed economici di Mosca in Italia.
D’altronde, continua l’ambasciatore, “la parte russa cerca sempre di creare le condizioni al massimo confortevoli per le aziende italiane che lavorano in Russia”. Ecco una copia della lettera.
Lo stesso documento è stato anche inviato da Evgeny Panteleev, il Console Generale della Federazione Russa a Palermo, al prefetto Pizzi lo scorso aprile.
Lo stesso ministero dell’Interno ha inoltre inoltrato la lettera dell’ambasciatore al prefetto di Siracusa, tramite l’Ufficio Affari Internazionali del suo Gabinetto, con il “protocollo numero 52/155/2/2F”, firmato da Paolo Formicola.
Nella lettera si afferma che riguardo agli “episodi di interruzione delle attività  delle raffinerie della ex Isab S.r.l. di Priolo Gargallo, oggi facenti capo al gruppo petrolifero russo Lukoil”, e tenendo in considerazione quanto espressamente richiesto dall’ambasciatore russo Razov, “si sarà  grati per i cortesi, aggiornati elementi informativi che codesto Ufficio vorrà  far pervenire alla problematica in esame”.
Il risultato? Lo scorso 9 maggio il prefetto Pizzi ha emesso un ordinanza con la quale si impone il “divieto di assembramenti di persone e/o automezzi” davanti ai 12 ingressi del polo petrolchimico, dove i lavoratori, di cui una parte è già  stata licenziata, continuano a protestare.
La Cgil ha provato a bloccare l’ordinanza con un ricorso al Tar, il Tribunale amministrativo regionale. “Durante l’udienza davanti al Tar abbiamo appreso le vere ragioni del provvedimento del prefetto: ci sono chiare sollecitazioni che arrivano dal governo russo per normalizzare le proteste sindacali. E ci ha sorpreso che non sembra siano richieste che arrivano solo dall’azienda Lukoil, ma anche dai vertici del governo russo. Sono evidenti pressioni politiche”, ha affermato Roberto Alosi, segretario generale della Cgil di Siracusa.
E queste pressioni politiche, calpesterebbero “i principi più elementari del diritto di sciopero, della libertà  di riunione e dei principi costituzionali”, denunciano i sindacati. Giuseppe Massafra, segretario nazionale della Cgil, poi specifica nella nota congiunta pubblicata sul sito della Confederazione: “La pronuncia data provvisoriamente dal Tar non ci convince. Continuiamo a pensare che siano stati lesi diritti di libertà  e faremo ricorso al Consiglio di Giustizia Amministrativo. Come si può palesemente notare l’ordinanza del prefetto non è dettata da motivi di ordine pubblico o da particolari esigenze produttive”. Le parti sociali poi concludono: “Ci sono inoltre aspetti di natura giuridica che lasciano assai perplessi, come ad esempio il fatto che le attività  produttive in questione non sono e non possono essere riconducibili alla natura di servizio pubblico, che come è noto viene regolamentato da particolari e specifiche norme, anche esse tuttavia, garantiste del diritto inalienabile delle libertà  sindacali e dello sciopero”.
“Quello che è accaduto è gravissimo. Domani, alle 11, sarò davanti ai cancelli dell’Isab di Priolo proprio per sfidare il prefetto e il ministro dell’Interno non rispettando l’ordinanza che ritengo figlia di ingerenze che non hanno nulla a che fare con il nostro Paese”, commenta a Fanpage.it il senatore del Partito democratico, Davide Faraone.
I parlamentari dem da settimane protestano per chiedere che Matteo Salvini riferisca in sedi istituzionali per chiarire la questione, un’azione fino ad oggi rifiutata dal leader leghista, che si è sempre difeso definendo le inchieste come “fantasia e film di spionaggio”. Tuttavia, afferma Faraone, “negare la possibilità  a dei lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro di manifestare e scioperare è qualcosa di antidemocratico”, e che va contro il proprio Paese. Per questa ragione, continua il senatore dem, “contesterò con tutti gli strumenti possibili, da quelli parlamentari tramite interrogazione, alla protesta di venerdì, un’azione di questo genere”.
Sottolineando che il titolare del Viminale dovrebbe occuparsi di sicurezza e non degli interessi economici di un altro Paese, il senatore definisce quindi l’intervento di Salvini per bloccare gli scioperi dietro ordine della Russia come un”interferenza surreale, incredibile, contro il diritto di sciopero e contro i lavoratori che perdono il lavoro. Io sostengo i lavoratori contro il volere di un ministro dell’Interno che si piega a un parere estero, semplicemente per fare un po’ il suddito. Questa è una cosa incomprensibile. Ci sono altri luoghi di tensione per scioperi nel Paese, però l’ordinanza di divieto riguarda solo la Lukoil sotto ordine della Russia. Mi sembra incredibile”.

(da Fanpage)

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“ALZATI, NEGRA DI MERDA”: ENNESIMO CASO DI RAZZISMO SU UN TRENO FRECCIAROSSA

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

L’ADDETTO ALLE PULIZIE INSULTA SENZA MOTIVO UNA RAGAZZA DEL MALI NELL’INDIFFERENZA GENERALE, POI INTERVIENE UN GIORNALISTA E IL CAPOTRENO… TRENITALIA CHIEDE PROVVEDIMENTI

Frecciabianca, all’altezza di Campiglia, una tranquilla serata di luglio. Delle urla forti e indistinte irrompono nel tuo vagone. È difficile capire a chi appartengono e a chi sono rivolte. Poi alzi lo sguardo, metti a fuoco e vedi un uomo sulla quarantina portata male, occhiali dalla montatura spessa e indosso la pettorina del servizio di pulizia.
Man mano che si avvicina, anche la voce si fa più nitida. Ora capisci bene cosa dice: “Negra di m… Tornatene al tuo paese”. “Devi levarti da qui, schifosa, lascia il posto a chi paga il biglietto”.
Di fronte a lui — ora la vedi bene — c’è una ragazza di 23 anni del Mali. Una splendida ragazza, in evidente stato di shock. Prova a difendersi, gli urla con una strana mescolanza di accenti, tra italiano, francese e toscano stretto: “Razzista!”. E l’uomo — se così volete chiamarlo — l’uomo esplode: “Zitta, negra, che c’avete tre strade e le abbiamo costruite noi nel ’39”.
A quel punto è impossibile far finta di niente, anche perchè nessuno si è mosso di un millimetro: ognuno seduto sulle proprie poltroncine con un Ipad in mano, un paio di cuffie nelle orecchie e uno sguardo di compiaciuta indifferenza, come se quella cosa, in fondo, non li riguardasse. E che, tutto sommato, finalmente c’è qualcuno che dice le cose come stanno e difende “gli italiani onesti e perbene”.
Ti alzi in piedi e corri verso l’uomo, che nel frattempo ha alzato persino la voce ed è a un centimetro dalla ragazza. Pensi che possa addirittura metterle le mani addosso, allora ti metti in mezzo, lo allontani, lo guardi negli occhi. E dentro vedi qualcosa che non avresti mai immaginato. Vedi il vuoto. Non c’è nulla in quello sguardo, solo rabbia cieca, senza un senso nè una direzione, caricata da chissà  quante migliaia di voci sentite, commenti letti, discorsi fatti, dichiarazioni ascoltate sui social o in tv ed esplose di colpo in un pomeriggio di mezza estate.
C’è il vuoto in quegli occhi. E fa paura. “E lei che cosa vuole?” chiede. “Voglio, anzi pretendo, che non si permetta mai più di rivolgersi così a questa ragazza — rispondi -. Lei ha una divisa, rappresenta il treno, le ferrovie italiane, questo paese. Si vergogni e chieda scusa”.
E, in quel momento succede un’altra cosa che non avevi previsto. Accade che abbassa lo sguardo, di colpo sembra aver cambiato atteggiamento. “Ok, tutto a posto — dice -. Non è successo nulla”. “Nulla è a posto. Mi hai dato della negra di m…”, interviene lei alle tue spalle. “E tu stai zitta, non vedi che sto parlando con lui!”.
Il tono ora è di nuovo alto. “Lui”, nel suo delirio, significa italiano. Connazionale. Uno dei nostri. Ecco quello che tu sei per lui. E, mentre li fissi entrambi, per qualche secondo, non riesci a non sentirti umanamente, moralmente, mentalmente, con ogni muscolo o nervo del tuo corpo, infinitamente più vicino a lei che a lui.
In quel momento, su quel vagone in corsa da qualche parte per la campagna toscana, per la prima volta forse nella tua vita ti senti straniero in Italia.
Se lui è l’italiano e lei la straniera, allora sei straniero anche tu. E mai, prima d’ora, è stato così disperatamente chiaro. L’uomo a quel punto si placa, ma è tardi. Il controllore è stato richiamato dalle urla e ha allertato il capotreno.
Pretendi che non finisca lì. E sei fortunato, perchè il capotreno è un uomo perbene. Ha lo sguardo di chi ne ha viste tante, troppe, ma non è tipo disposto a tollerare. Lo obbliga a scusarsi. A suo nome e a nome del treno.
In un mondo normale non finirebbe qui, ma basta uno sguardo tra te e il capotreno per capire che è meglio per lei se tutto quanto resta lì. Con tante scuse e nessun rapporto o segnalazione. Perchè è probabile che, tra i due, una volta che si va a scavare, sia lei quella che ha più da perdere. Non è giusto, ma è meglio così.
Lei ti ringrazia, ti abbraccia, ti dice che non sa come sdebitarsi, e che, anche volendo, non saprebbe come fare. Ed è strano, perchè sei tu che in quel momento vorresti scusarti con lei per quello che ha subìto, per quella violenza inaudita, per il silenzio complice di decine di persone, di italiani, che hanno assistito alla scena senza muovere un muscolo. Vorresti chiederle scusa per essere ospite di un paese che la tratta come una criminale perchè è donna e perchè è nera. Vorresti chiederle scusa, come italiano, e dirle che questa non è l’Italia, anche se non ne sei più così convinto.
Ti accorgi che è da un’ora che la conosci, ma non sai nulla di lei. C’è appena il tempo per scambiarsi i nomi, un frammento della sua storia, tra la Toscana e Parigi, tra il sogno di diventare una parrucchiera di successo e la realtà  di sfruttamento, lavori neri, precari e malpagati, ogni settimana uno diverso. Si chiama Mailuna, il nome è di fantasia, ma la violenza di quelle parole, la sensazione di essere stata violata nel proprio intimo, nell’indifferenza generale, quella è reale, viva, e non se ne andrà  con un bicchier d’acqua al vagone ristorante.
L’ultima cosa che vedi di lei, prima che scenda dal treno, è un sorriso. E ti sembra impossibile che sia della stessa ragazza che fino a mezz’ora prima stava per scoppiare in lacrime. E allora capisci che ne vale ancora la pena. Di restare umani. Di alzarsi in piedi e andare a occupare fisicamente quel posto dalla parte giusta della storia che decine di passeggeri e milioni di italiani hanno rinunciato a prendere.
Fai in tempo a chiederti dove sarà  ora Mailuna, cosa farà  stasera, quello che deve aver passato fino ad oggi, chi diventerà , dove la porterà  la vita tra cinque, dieci, vent’anni. E, per un attimo, le auguri che sia ovunque ma non in Italia. È un attimo, già , solo un attimo. Perchè, tra i due, tra Mailuna e quell’uomo sulla quarantina dalla montatura spessa, lo straniero non è e non sarà  mai lei.
Vorresti urlarglielo, ma è troppo tardi. È tardi per un sacco di cose. È accaduto ieri, poche ore fa, su un Frecciabianca, da qualche parte in Toscana, Italia, pianeta Terra, 2019.

Lorenzo Tosa
(da TPI)

Ps Giovedì Tosa ha ricevuto un messaggio dalla ventitrenne che, sforzandosi di scrivere in italiano, lo ha ringraziato: “Per tutto quello di ieri ti ringrazio ancora, ho visto la tua presenza ieri!!! Era il primo giorno che mi è capitato da quando sono arrivata in Italia, grazie alla tua presenza che mi ha fatto dimenticare tutto il dolore che c’era dentro di me”. Un testo arrivato dal cuore. “È uno dei messaggi più belli che abbia mai ricevuto”, ha scritto sotto al post
“Il comportamento del pulitore viaggiante, riportato da un viaggiatore al capotreno, è stato segnalato alla società  appaltatrice che gestisce il servizio di pulizia. Trenitalia – spiega l’azienda – vigilerà  affinchè la ditta, esterna al gruppo Fs Italiane, adotti tutti i provvedimenti ritenuti necessari. Scusandosi con la viaggiatrice, come già  fatto di persona dal capotreno, Trenitalia condanna l’episodio confermando la sua attenzione verso tutti i passeggeri e le loro esigenze”.

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LA DEPUTATA M5S SARLI VOTA CONTRO IL DECRETO CRIMINALE BIS

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

“SALVARE VITE NON E’ UN REATO”: OVAZIONE AL SUO CORAGGIOSO INTERVENTO CHE ROMPE IL FRONTE DEI SERVI COLLUSI CON I RAZZISTI

“Parlo a titolo personale perchè voto in dissenso sul provvedimento”. Così la deputata del M5s Doriana Sarli ha annunciato il voto contrario al decreto sicurezza bis in Aula, alla Camera. Le sue parole sono state applaudite più volte dai deputati del centrosinistra, alcuni alzandosi in piedi e applaudendola a lungo a fine intervento.
Sarli ha ricordato di aver presentato emendamenti, ma sono stati respinti, e ha sottolineato che il decreto “non ha carattere di urgenza e necessità ” e non si concilia con il rispetto delle convenzioni internazionali.
E ha concluso: “Il ministro dell’Interno vada a sedersi ai tavoli di concertazione europea. Lì deve fare la voce forte, non con la gente in mare”.
Ovazione in aula, da parte delle opposizioni, alla deputata m5s.
Il decreto, ha aggiunto Sarli, “si inventa una nuova tipologia di reato, il salvataggio delle vite umane. Il nostro ministero degli Interni deve andare a sedersi ai tavoli di concertazione a ridiscutere il regolamento di Dublino e lì fare la voce forte, non con la gente per mare. Tutti i paesi che vogliono stare in Europa devono essere obbligati ad accettare la redistribuzione delle persone”. E ancora, sul versante interno, “va garantito il diritto a manifestare il dissenso, non va criminalizzato”.
Sarli commenta: “Perchè nessuno debba rimanere indietro e per molte altre ragioni di civiltà  che non potrò motivare per il poco tempo a disposizione, annuncio il mio voto contrario al decreto in esame”. Lungo applauso dell’emiciclo di Montecitorio.

(da agenzie)

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DECRETO CRIMINALE BIS, 17 GRILLINI NON PARTECIPANO AL VOTO

Luglio 25th, 2019 Riccardo Fucile

PASSA ALLA CAMERA CON 322 SI’, 74 IN MENO DEL PRIMO DECRETO, ANCHE FICO ASSENTE AL VOTO

Il decreto sicurezza ha superato il primo scoglio alla Camera con 322 voti favorevoli, 90 contrari e l’astensione di Vittorio Sgarbi, del gruppo Misto.
Consensi più bassi rispetto al primo decreto che porta il ‘marchio’ del ministro dell’Interno Matteo Salvini e che a novembre a Montecitorio conquistò 396 sì, diventando legge.
Anche allora il governo chiese la fiducia (quella di ieri è l’ottava, confermata con 325 sì).
Ora per l’ok definitivo del provvedimento che introduce norme illecite contro i soccorsi in mare da parte delle navi delle ong, bisognerà  aspettare il Senato.
La maggioranza spera di chiudere prima della pausa estiva: nel calendario di Palazzo Madama, l’esame del provvedimento è previsto entro il primo agosto.
Come nel precedente decreto, Lega e Movimento 5 stelle hanno potuto contare sui voti di Forza Italia (nonostante il ‘record’ di assenze con 26 votanti sul totale di 104 forzisti) e Fratelli d’Italia, oltre al sì di Alessandro Colucci di Noi con l’Italia.
Identico anche il copione dei contrari con Pd, Liberi e uguali, 5 deputati del Misto (tra cui Sara Cunial, espulsa dal M5s) e Doriana Sarli del Movimento, già  critica sul ‘primo sicurezza’ e che ha annunciato il dissenso in Aula.
Assente al momento del voto, il presidente della Camera Roberto Fico che è uscito mezzora prima, lasciando il posto al vicepresidente Fabio Rampelli. A novembre disertò l’Aula spiegando, dopo, che fu una scelta per segnare la distanza dal provvedimento. Altri 17 grillini non hanno partecipato al voto.
Le novità  principali del ‘bis’ sono nei primi due articoli contrari alle norme internazionali e palesemente illeciti.
In particolare, il ministro dell’Interno può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nelle acque territoriali per ragioni di ordine e sicurezza o in caso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Norma che viola la convenzione di Ginevra sul soccorso in mare.
Introdotta anche la maxi multa da 150mila euro fino a un milione per il comandante della nave che violi quel divieto e, in aggiunta, c’è il sequestro dell’imbarcazione. Altra norma che sarà  impugnata al primo sequestro.
Ma è a Palazzo Madama che i Cinque stelle ancora scottati dal via libera alla Tav potrebbero teoricamente riservare sorprese all’esecutivo.

(da agenzie)

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