Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile SALVINI HA PERSO LA SICUREZZA SIN DAL GIORNO DELL’AUDIO RUSSO E TEME IL VENIR MENO DELLO SCUDO DEL VIMINALE SENZA IL QUALE DEVE RISPONDERE AI GIUDICI
Mai si era vista una conferenza stampa in bermuda, costume, insomma in mutande o come diavolo volete chiamare l’abbigliamento di Salvini al Papeete Beach, trasformato nella sede estiva del Viminale.
Metafora poco metafora, di una continua commedia dell’assurdo entro cui si muove e fa muovere il suo universo politico.
E davvero non si capisce perchè i giornalisti debbano scarpinare nella sabbia calda, per assistere al puro teatro del ministro desnudo, in infradito e infastidito dalla camicia sbottonata fino all’ombelico, che dopo un po’ scompare per esibire il petto ai selfie.
È un combinato disposto di onnipotenza e paura quello che va in scena al Viminale Beach, nelle invettive ai giornalisti, nei toni sopra le righe, nelle battute da bar di provincia per fuggire alle domande sul tema che più lo angoscia, la vicenda russa, proprio nel giorno in cui trapela dalla Procura che sarebbe italiana la “manina” della famosa registrazione al Metropol.
Il che alimenta domande inquiete e ipotesi complottarde su chi l’abbia eterodiretta.
Ecco, l’onnipotenza di chi si considera al di sopra delle regole e la sindrome da assedio di chi sa che l’enorme Potere conquistato in poco tempo può precipitare in fretta.
È in questo binomio psicologico l’enorme nervosismo che gli applausi della claque non riescono a coprire, nel compiacimento collettivo del ministro-bagnante che esaspera l’estetica dell’uomo della porta accanto, che parla come “uno di noi”, “va al mare come gli altri”, beve birra e ha il figlio che fa le bravate. E manda al diavolo i rompiscatole.
Salvini è, evidentemente, nervoso, incattivito, privo di quel tratto fintamente bonario da “barbaro col sorriso”.
Guardatelo bene, non sorride più e non fa più sorridere. Il ragazzo della porta accanto ha acquisito la cupa gravitas di un leader bielorusso, con la barba più grigia che rivela la perdita della spensieratezza.
Non si scusa per il figlio, ma inveisce contro il videomaker che aveva ripreso Federico, bello di papà , farsi scorrazzare in mare su uno scooter ad acqua della Polizia di Stato, come in un parco giochi acquatico: “Vada a riprendere i bambini visto che le piace tanto”. Come se il problema fosse la ripresa e non la violazione, e che quel ragazzo non fosse il figlio del responsabile della Sicurezza nazionale.
Perde le staffe alla parola Savoini, che evoca l’angoscia dell’ignoto.
Sempre più di incapace di trattenersi, affida l’esibizione di forza al turpiloquio rivolto al ministro dell’Interno tedesco che ha “rotto le palle” e alla “zingaraccia” che avrebbe alluso a un proiettile contro di lui su cui “arriverà la ruspa”.
Solita benzina che infiamma e sdogana gli animi razzisti del paese, perchè se il titolare dell’ordine pubblico parla così, in parecchi si sentono legittimati a togliere i freni all’insofferenza verso “gli zingari”.
La novità non è l’essere sopra le righe, il battutismo, l’esprit populista che rompe il politicamente corretto e la civiltà istituzionale, ma il parossismo dei toni proprio di chi esaspera perchè ha perso, sin dal giorno dell’audio russo, la sicurezza, caratteristica fondamentale per chi si pone come l’uomo d’ordine fino alla brutalità .
La sicurezza di essere, come fino al dopo-europee, l’unico padrone del suo destino e delle sorti politiche del paese, senza di il timore di perdere, assieme al Viminale, uno scudo sempre utile in una situazione delicata, in cui si addensano i fantasmi del complotto, le ombre dell’inchiesta della procura di Milano, gli sviluppi su Siri.
Nel consueto spartito di una crisi minacciata ma mai aperta, nei consueti penultimatum di giornata, in questo abbaiare ma non mordere, c’è la consapevolezza che l’alternativa elettorale non è più, fino in fondo, nelle sue disponibilità .
E non solo per tutta una serie di ragioni logiche e visibili: le famose “finestre elettorali” chiuse, l’imminente sessione di bilancio, la calendarizzazione, alla ripresa, della riforma dei parlamentari che gli conviene e non poco perchè, a legge elettorale vigente, ne aumenta a dismisura l’influenza.
E, dunque, meglio approvarla e aspettare che entri in vigore dopo sei mesi senza far saltare il tavolo.
In fondo, ci sarebbero state tante altre buone ragioni per fare l’opposto, sfruttando l’enorme consenso raccolto alle Europee.
Nella rinuncia a cogliere l’attimo c’è un qualcosa che con la logica non si afferra ma che forse il nervosismo odierno spiega: l’uomo forte dà l’idea di non controllare più la situazione, di percepirsi in una terra ignota che suggerisce di non lasciare il Viminale. Insomma, avverte la pressione e si sente meno libero di scegliere e di rischiare.
È una novità non di poco conto per un leader che in così poco tempo ha conquistato così tanto potere, anche con una relativa facilità e con l’illusione che tutto è lecito. È la scoperta di un limite, di una “nudità ” da accettare e non da esibire.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile VON DER LEYEN HA UNA VISIONE POLITICA CHIARA: “I PRO-EUROPA DEVONO AGIRE INSIEME”…. IL SUO SOGNO GLI STATI UNITI D’EUROPA… ATTENDE DUE NOMI DA CONTE TRA CUI SCEGLIERE UN COMMISSARIO “EUROPEISTA”
Ursula alla conquista dell’Europa. Con propositi ambiziosi e una visione politica molto chiara,
attorno alla quale Ursula von der Leyen, neo presidente della Commissione europea, farà discendere alleati e avversari: “I pro-Europa devono agire insieme”. Oltre le tradizionali famiglie politiche, oltre la vecchia divisione tra destra e sinistra: è il progetto-Europa la bussola della ex ministra della Difesa tedesca; un progetto che definisce già di per sè coloro che sono già entrati nell’elenco dei “cattivi”: i sovranisti di vecchio e nuovo conio, sotto qualunque coloritura politica e ideologica essi si manifestino.
“La parola chiave del suo agire è: unire — dice ad HuffPost una fonte diplomatica tedesca molto vicina alla neo presidente — ma una unità da raggiungere nella chiarezza d’intenti e nella condivisioni delle grandi scelte strategiche. Von der Leyen è stata ministra della Difesa, ma è una politica che sa, e lo ha praticato, che la migliore difesa è l’attacco”.
Ascoltare, mediare ma poi decidere senza guardarsi indietro: è il segno del tour nelle cancellerie europee della neo presidente della Commissione europea, che l’ha vista impegnata ieri a Madrid, oggi a Bruxelles dove ha incontrato il premier ungherese Viktor Orban, e domani a Roma. “Ho avuto discussioni fruttuose ed un pranzo di lavoro con Pedro Sanchez.
Ci sono grandi sfide davanti a noi, come la transizione ecologica, la migrazione, la digitalizzazione e una possibile Brexit senza accordo”, ha scritto von der Leyen su Twitter, commentando la sua visita a Madrid.
“L’eguaglianza di genere sarà uno dei nostri progetti comuni. I pro-Europa devono agire insieme”, ha aggiunto.
Prima della tappa spagnola, la neo presidente era stata a Berlino, Parigi Varsavia, Zagabria. Von der Leyen è alle prese con un problema che le sta particolarmente a cuore: mantenere la sua prima promessa, che è quella di una Commissione paritaria, tanti uomini tante donne (sin da quando era ministro per la Famiglia in Germania, la von der Leyen si è battuta per le quote rosa, anche contro il volere del suo capo, Angela Merkel).
Al momento l’equilibrio è precario. Su diciannove candidature pervenute, ci sono otto nomi di donna: uno è quello della stessa von der Leyen, altri tre più che candidature sono delle conferme: la danese Margrethe Vestager, la bulgara Mariya Gabriel e la ceca Vera Jourovà¡. Poi ci sono l’estone Kadri Simon, la finlandese Jutta Urpilainen, la maltese Helena Dalli e la cipriota Stella Kyriakides (è la prima volta che Estonia, Finlandia e Malta propongono una donna).
C’è tempo fino al 26 agosto ma la presidente della Commissione europea non vorrebbe fare un viaggio a vuoto in Italia. Domani, a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte gradirebbe sentirsi proporre un nome (meglio due, un uomo e una donna) per rappresentare l’Italia nella futura squadra di Bruxelles.
Commissario già indicato da molti Paesi, alcuni dei quali hanno già opzionato il portafoglio: più tardi si arriva e meno si ha la possibilità di ottenere un ruolo di rilievo, magari economico come più volte auspicato da Conte (quanto ad una vice presidenza, è inutile insistere, partita persa).
Domani a pranzo il Commissario italiano sarà dunque il primo degli argomenti in agenda anche se il tour europeo di von der Leyen è solo il primo giro d’orizzonte della nuova legislatura e la trattativa finale per la definizione della squadra si concretizzerà dopo la pausa ferragostana.
La neo presidente, confidano ad HuffPost fonti diplomatiche italiane, ha molto apprezzato il segno fortemente europeista dato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi nei loro interventi alla recente Conferenza degli Ambasciatori e Ambasciatrici italiani, annoverati a pieno titolo tra i “pro-Europa” che “devono agire insieme”.
Una squadra di cui non fa parte il vice premier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, e non solo perchè gli europarlamentari della Lega hanno votato contro la nomina della ex ministra tedesca. Il protocollo diplomatico non prevede altri incontri se non con i primi ministri, ma anche se si fosse fatto uno strappo alla regola, non avrebbe di certo riguardato il vice premier leghista.
Ursula si profila rispettosa delle regole ma non vestale di un iper rigorismo senza flessibilità : “La Commissione che presiederò monitorerà molto da vicino la situazione in Italia, così come in altri Paesi. Il nostro obiettivo è di riuscire a investire per stimolare la crescita senza contravvenire alle regole esistenti”, ha sostenuto la neopresidente della Commissione europea in una intervista concessa due settimane fa ai giornali del gruppo Lena, tra cui Repubblica, rispondendo ad una domanda sul perchè′ sia stata fermata la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.
E poi c’è, per l’appunto, il nodo dei commissari. “E’ diritto di ciascuno Stato membro proporre i propri commissari”, così′ come è “diritto del presidente chiedere altri nomi qualora se ne ravvisino delle buone ragioni”, aveva rimarcato von der Leyen sulla possibilità che l’Italia proponga un commissario della Lega.
“Per iniziare bene – ha aggiunto – è′ importante che io non dia delle condizioni, l’unica cosa che mi sembra essenziale è che nella composizione del collegio ci siano tante donne quanti sono gli uomini”.
Se Roma venisse incontro a questo input, guadagnerebbe molti punti con la neo presidente. Tre i nomi “rosa” più gettonati: Giulia Bongiorno, attuale ministro per la Funzione Pubblica in quota Lega ma non sgradita al Movimento 5 Stelle; la ministra della Difesa, la pentastellata Elisabetta Trenta e la Segretaria generale della Farnesina, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni.
Sull’impegno europeista di von der Leyen, nessuno ha dubbi alla Farnesina o a palazzo Chigi (e questo infastidisce non poco il titolare del Viminale”). Von del Leyen, annota in proposito con HuffPost il professor Angelo Bolaffi,filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino, “è una europeista convinta e rappresenta la tradizione della Germania renana di Adenauer e Kohl.
Da questo punto di vista c’è una sensibilità europeista superiore a quella anche della Merkel, cresciuta nelle regioni dell’ex Germania dell’Est.
Il vero fatto nuovo è un tedesco alla guida della Commissione europea, ma a differenza di quanto molti hanno sostenuto, e cioè che è l’ennesima prova del ‘predominio germanico’, la guida della Commissione europea in mano tedesca costringe la Germania ad assumersi una responsabilità europeista che necessariamente dovrà andare oltre il semplice e ripetuto appello a ‘rispettare le regole’”.
L’europeismo di von der Leyen abbraccia anche un campo a lei molto conosciuto: quello della difesa e della sicurezza (un campo, quest’ultimo, nel quale i servizi d’intelligence di Berlino sono all’avanguardia in particolare nel contrasto al cyber terrorismo).
Il suo passaggio al ministero della Difesa – prima donna a ricoprire tale ufficio nella storia della Germania – avviene con il governo Merkel III.
Due anni fa è stata al centro di uno scontro frontale con i vertici militari tedeschi dopo che era scoppiato uno scandalo sulla presenza di militari filonazisti nella Bundeswehr, avendo von der Leyen accusato i generali di “debolezza di conduzione” dell’esercito. La ministra rispose alle critiche annunciando una grande riforma delle forze armate e chiedendo più investimenti a favore della difesa.
Una battaglia che ora condurrà in Europa, ritirando fuori dai cassetti di Bruxelles il progetto di un esercito europeo integrato.
Un discorso che si proietta anche nel campo dell’intelligence, con l’idea di una cooperazione rafforzata tra i servizi più impegnati nella lotta al terrorismo e al grande crimine organizzato (trafficanti di esseri umani in primis): in questo campo i servizi tedeschi sono all’avanguardia, soprattutto per quanto riguarda la lotta contro gli “hacker di Stato”, russi e cinesi.
La nuova Europa di Ursula passa anche da qui. UvdL, che amici e avversari riconoscono come una politica pragmatica, seria, determinata, ha un sogno, ambizioso. “La mia aspirazione è arrivare agli Stati Uniti d’Europa: immagino l’Europa dei miei nipoti non come una unione sfilacciata di Stati intrappolati nei loro interessi nazionali”. Impresa impossibile?
No, se sei WunderFrau, la”’donna miracolo”, al secolo Ursula von der Leyen.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile RAPPORTO SVIMEZ: BOOM EMIGRAZIONE E RECESSIONE …DALL’ILVA AL TAP, IL GOVERNO RALLENTA E LASCIA INCOMPIUTE LE GRANDI QUESTIONI …. IL REDDITO DI CITTADINANZA NON HA RISOLTO IL PROBLEMA
Una fonte di governo che lunedì pomeriggio era presente al tavolo sul Sud a palazzo Chigi tra l’esecutivo e i sindacati racconta che quando Giovanni Tria ha iniziato a illustrare l’idea della Banca per il Mezzogiorno, più di qualcuno ha dovuto trovare il modo di camuffare gli sbadigli.
Le immagini sono evocative, descrivono bene l’atmosfera che caratterizza una discussione, la sua genesi e soprattutto il suo approdo.
A che punto è la discussione, meglio l’azione, del governo su quella parte del Paese che non smette di arrancare?
Come sta il Sud lo dice lo Svimez: sta male, molto male.
à‰ terra di un’emigrazione che ha il tratto dell’emorragia imponente e continua: in 15 anni, dal 2002 al 2017, se ne sono andati in 2 milioni. à‰ terra di crisi, con il Pil sotto lo zero, in recessione.
Uno dei partecipanti del fronte governativo che non ha gradito l’illustrazione del ministro dell’Economia ha commentato a denti stretti così: “Parole, solo parole”. La cura governativa per il Sud fa fatica a prendere forma.
Cosa è stato fatto e cosa il governo pensa di fare è la dimensione idonea in cui calarsi per comprendere la fiacchezza di un’azione che dovrebbe avere invece i tratti del rilancio e della rapidità , come chiede la parte produttiva del Paese, cioè le imprese, e come pretendono tutti quei cittadini, giovani e non, che sono obbligati a lasciare la propria terra d’origine.
Il primo passo del governo gialloverde è stato alquanto ambiguo. Nelle bozze del Contratto messo a punto da Lega e 5 stelle, il Sud non era neppure menzionato. Qualcuno se ne è accorto e si è messa una toppa.
Ecco allora che è comparso un capitolo dal titolo Sud in cui si legge: “Con riferimento alle Regioni del Sud si è deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure con il marchio “Mezzogiorno”, nella consapevolezza che tutte le scelte politiche previste dal presente contratto (con particolare riferimento a sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali) sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l’obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud”.
Scommessa ardua quella di mettere Nord e Sud sullo stesso piano quando i principali indicatori economici e sociali danno ancora l’immagine di un Paese spaccato in due, ma tant’è.
Per controbilanciare questo azzardo si è pensato a un ministro ad hoc (la grillina Barbara Lezzi) e così al tavolo del Consiglio dei ministri è arrivata una sedia con la targhetta Sud.
Pronti, via. Come? La cura è stata individuata dal Movimento 5 stelle, che ha avocato a sè la scelta di tracciare una direzione alla luce della valanga di consensi raccolti proprio nel Mezzogiorno.
Da lì viene anche Luigi Di Maio, il suo capo politico, è il Sud il territorio che i grillini hanno preso come base per lanciare il disegno e l’ambizione di farsi partito di governo, ma anche per bilanciare il peso della Lega al Nord.
La cura è stata prescritta in modalità one shot, monodose, sia dal punto di vista delle idee che dei soldi: reddito di cittadinanza.
I dati elaborati dal Sole 24 ore a fine luglio confermano che domanda e offerta si sono incrociate. La maggior parte delle domande accolte proviene dal Sud: sono 459mila i nuclei familiari del Mezzogiorno che stanno ricevendo il reddito di cittadinanza. Al Centro sono appena 110mila, 167mila al Nord.
Le Regioni con più domande accolte sono Campania, Sicilia, Lazio e Puglia: insieme raggiungono il 54% del totale dei nuclei beneficiari di tutta Italia.
Al di là della natura della cura usata – e cioè se il reddito sarà capace davvero di generare crescita (fino ad adesso l’ha fatto in modo irrisorio) oppure è una misura puramente assistenzialista e quindi depressiva – questa è stata la scelta del governo, pur con i mal di pancia della Lega che non ha mai amato il reddito di cittadinanza.
E poi? Quella che è arrivato in un anno di governo è stata l’incapacità di risolvere le questioni chiave del Mezzogiorno, rallentandole o non offrendo soluzioni, dall’Ilva di Taranto al gasdotto Tap.
In aggiunta solo una serie di micro-misure che non hanno la forza di tracciare un disegno, politico ed economico, chiaro. Non è un caso che dopo un anno, il tavolo che si è tenuto a palazzo Chigi il 29 luglio abbia affrontato per la prima volta l’idea di un Piano per il Sud. Tra l’altro ancora tutto da scrivere.
La ministra Lezzi ha potuto fare quello che era nelle sue possibilità perchè il suo ministero è sì dedicato al Mezzogiorno, ma il passaggio decisionale e decisivo si fa altrove.
Nel suo incarico operativo, la ministra ha dato vita a una serie di operazioni che vanno dal contrasto alla Xylella (30 milioni stanziati per il 2019 e 300 per il 2020-2021) alle Zone economiche speciali: per incentivare gli investimenti delle grandi aziende sono stati previsti 300 milioni per il triennio 2019-2021 oltre allo stop dell’Iva e allo snellimento delle procedure burocratiche.
Sono arrivati anche i soldi per le bonifiche a Bagnoli (320 milioni) oltre a 80 milioni per la manutenzioni e la messa in sicurezza delle strade per i Comuni sotto i duemila abitanti. Altri soldi sono arrivati dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, nell’ordine di 99 milioni in tre anni, soldi destinati agli interventi di messa in sicurezza dei porti di Palermo e Castellamare di Stabia e dell’aeroporto di Reggio Calabria. Sforzo apprezzabile, operativo, insomma ha fatto quello che le è possibile fare: collocare le risorse, non ingenti, lì dove c’è bisogno.
Ma la condizione economica del Sud è così disastrosa (il Pil affonderà a -0,3% quest’anno secondo lo Svimez) che richiede un disegno strutturato. E un disegno organico parte dalle grandi questioni, cerca di dare loro soluzioni che puntano al rilancio e ad attrarre investimenti.
Le due grandi questioni economiche al Sud sono l’Ilva di Taranto e il Tap. Sono l’acciaio e il gas, energia quindi, che a sua volte muove soldi, interconnessioni e sinergie con gli altri Paesi, necessità di fare parte di una rete europea ed extraeuropea per risultare competitivi e profittevoli.
Su queste due questioni i 5 stelle hanno più che balbettato. Avevano promesso di chiudere l’Ilva per ridare a Taranto un futuro produttivo diverso dall’acciaio, ma quella promessa si è presto schiantata con la realtà e cioè con i posti di lavoro da tutelare e con un business che non può essere cestinato come una bozza di lettera scritta male.
Dopo aver tenuto ArcelorMittal sulle spine, alla fine si è deciso di fare entrare il colosso industriale nello stabilimento pugliese, ma le cose sono tornate a complicarsi.
Di Maio non vuole che gli amministratori possano eventualmente usufruire dell’immunità penale e questo è un modo per salvare la faccia e tutto il tema dell’ambientalismo, altra bandiera 5 stelle che è stata costretta a cambiare direzione più volte e in più di un contesto. L’azienda ha replicato che senza immunità lascerà Taranto il 6 settembre. Ne è nata così una diatriba che ancora oggi ha vissuto l’ennesima puntata, con il direttore finanziario di ArcelorMittal che ha annunciato il ripristino dell’immunità da parte del governo e Di Maio che si è affrettato a smentire.
Tap, altra spina nel fianco del Movimento 5 stelle. Sul gasdotto che collegherà l’Italia al Trans Anatolian Pipeline (Tanap) per portare in Europa il gas dell’Azerbaigian si è partiti con il No. Era il 20 settembre 2014 quando Beppe Grillo disse: “Se verranno a fare il gasdotto in Puglia da qualsiasi parte, anche con l’esercito, noi ci metteremo il nostro di esercito”.
E anche con questa promessa che alle ultime elezioni politiche i grillini sono riusciti a sfiorare il 45% in Puglia. Poi il dietrofront.
Di Maio che ha citato una penale da quasi 20 miliardi e la giustificazione che altro non si può fare che fare proseguire il progetto. In questa vicenda il tratto è stato quello dell’indecisione e del rallentamento, che alla fine si sono trasformati in una capriola obbligata. Dove è l’interesse per il Sud se una scelta è dettata invece da motivazioni politiche?
Questo è quello che è stato fatto. Il cantiere per il futuro, come si diceva, è confuso e a tratti apatico. Ora tocca anche alla Lega, più di prima, perchè le elezioni europee di maggio hanno portato voti, e tanti, a Salvini. Non è un caso che il leader del Carroccio abbia deciso di recarsi al Sud per un mini-tour estivo.
Il governo prova a rilanciare la scia lunga delle politiche degli sgravi voluti da Renzi e Gentiloni, ma il progetto compiuto, quello portante, non c’è.
Il tema all’ordine del giorno è la Banca per il Mezzogiorno. Un’idea, niente più. Servirà , dice Tria, per spingere gli investimenti e dare credito alle imprese.
L’idea è riciclata, ci provò già dieci anni fa l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti a rilanciarla. Già un rilancio, perchè una Banca per il Mezzogiorno esiste dal 1952, sesto governo De Gasperi. Poi quella Banca è passata di mano in mano fino alla cessione, nel 2017, a Invitalia. Un’operazione tutt’altro di successo. Il governo riparte da qui. Con qualcuno al suo interno che già sbadiglia.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile IDENTIFICATI DUE QUINDICENNI ITALIANI DEL QUARTIERE BENE DI SAN FELICE A SEGRATE; AVEVANO POSTATO I VIDEO SU INSTAGRAM
In due ballano, un terzo filma e posta su Instagram. Ma l’esibizione dei due 15enni non è su un
palco, ma sull’altare di una chiesa, proprio sotto il crocifisso di legno.
Gli stessi, poche ore dopo, postano un altro video: questa volta hanno preso una bici gialla del bike sharing e, ridendo, l’hanno gettata da un cavalcavia sui binari della ferrovia.
Accade a Segrate, primo hinterland milanese: un comune che è tutt’altro che un ghetto visto che questo, tra Milano 2 e altri quartieri simili, è uno dei Comuni più ricchi d’Italia secondo l’Istat, colonizzato da famiglie benestanti che hanno lasciato il traffico di Milano per godersi ville e giardini a un tiro di schioppo.
E i ragazzini dei video non sono figli di storie difficili e di quartieri popolari: abitano a San Felice, uno dei quartieri bene della città , dove però non si contano gli episodi di vandalismo e di disturno proprio da parte dei giovani e giovanissimi figli della ‘Milano bene’ annoiati, tanto che il centro civico della zona adesso viene chiuso ogni sera per mettere fine alle scorribande a base di alcol e droga.
Ed è proprio nella chiesa del quartiere che, qualche giorno fa, hanno fatto la loro bravata, postandola sui social evidentemente senza preoccuparsi delle conseguenze.
Dalle stories di Instagram qualcuno ha scaricato quelle immagini, condividendole sulle chat del quartiere, fino a quando sono arrivate sotto gli occhi del comandante della stazione dei carabinieri e del sindaco, Paolo Micheli.
Che, su Facebook, ha scritto un lungo post: “In queste ore stanno girando sui social network e sui gruppi WhatsApp cittadini i video di due ragazzini che ballano sull’altare della chiesa di San Felice e che lanciano una bicicletta dal cavalcavia del ponte degli specchietti. Quest’ultimo episodio in particolare è gravissimo perchè avrebbe potuto ferire qualcuno. Sto seguendo da vicino questi fatti: i due ragazzini sono già stati identificati dai carabinieri che convocheranno i genitori e prenderanno gli opportuni provvedimenti. Trattandosi di minorenni il caso va trattato con molta attenzione nel pieno rispetto della privacy e della giovane età dei protagonisti”.
Possibili denunce a parte, il sindaco Micheli però aggiunge: “Resta la gravità di questi comportamenti che seguono episodi inaccettabili di bullismo e vandalismo che hanno coinvolto anche edifici pubblici e quindi denaro di tutti noi per riparare i danni. Al fine di prevenire e individuare i protagonisti di queste azioni, stiamo installando diverse nuove telecamere di videosorveglianza a tutela degli edifici pubblici, ma la sola repressione non è una risposta adeguata. Come amministrazione in questi anni abbiamo promosso nelle scuole, nelle parrocchie e nei principali centri d’aggregazione cittadini diversi momenti di educazione civica e di sensibilizzazione contro il fenomeno del bullismo per giovani e famiglie. Non basta? Faremo di più. Poi ci siamo noi genitori che abbiamo la responsabilità maggiore della loro crescita e formazione: dedichiamogli più tempo e attenzioni”
(da agenzie)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile INVECE CHE ESPRIMERE INDIGNAZIONE A POSTERIORI, ABBIATE UNO SCATTO DI DIGNITA’: LASCIATE A SALVINI SOLO L’USO DELLE DIRETTE FB
Osserva un amico: “In quale democrazia, in quale Paese dell’Occidente sarebbe consentito un tale grado di arroganza nei confronti della stampa?”.
L’amico si riferisce all’atteggiamento di Salvini, la sprezzante decisione di non rispondere al collega di Repubblica che gli chiedeva di quanto era accaduto in spiaggia, con l’uso improprio di una moto d’acqua della polizia, ma soprattutto delle sostanziali intimidazioni a lui rivolte dai poliziotti in costume che volevano vietargli di riprendere la passeggiata e i giochi in mare di Salvini junior.
L’amico ha ragione, ma bisogna aggiungere altro.
Intanto, ha ragione perchè in tutti i Paesi mediamente democratici mai e poi mai potrebbe accadere che in una conferenza stampa il ministro dell’Interno, anzichè rispondere, dia del pedofilo al giornalista che lo incalza.
Seconda considerazione.
Il collega di Repubblica non era il solo giornalista presente. Erano in tanti, quanti sono soliti stare appresso al leader della Lega per darci conto quotidianamente di ogni strumentale cattiva parola che il ministro getta nello stagno.
Che si sappia, non uno ha pensato di alzarsi e lasciare la conferenza stampa per protestare contro l’atteggiamento offensivo dell’informazione intera e del suo ruolo. Non uno.
Si, ci sono state e ci saranno le rituali proteste ufficiali, non ci sarà , come non c’è stata d’istinto, la decisione di girare la schiena a chi disprezza e usa a suo piacimento una funzione chiave della democrazia.
Un aut aut, o si cambia registro, o il ministro faccia le sue dirette Facebook senza l’eco della stampa.
L’informazione non si svende, è baluardo di civiltà .
(da Globalist)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile DAL PD A FORZA ITALIA FINO A PARAGONE E DI BATTISTA: CONDANNA UNANIME
Il vicepremier Matteo Salvini oggi in conferenza stampa ha manifestato tutta la sua irritazione
per il video pubblicato due giorni fa sul sito di Repubblica con la “passeggiata” del figlio sulla moto d’acqua della polizia. E le frasi pronunciate dal vicepremier scuotono il mondo politico. E suscitano diverse critiche anche nelle forze alleate.
Per il Pd interviene la vicesegretaria, Paola De Micheli. “Gravissimo che il ministro dell’Interno attacchi i giornalisti. In Russia accadono questo genere di cose. Ecco perchè a Salvini piace tanto Putin. Se ne faccia una ragione, risponda e non continui a scappare”, dice.
Per il deputato dem Roberto Giachetti “non siamo più nel campo delle esagerazioni o provocazioni. Salvini è ormai fuori controllo. Non è tecnicamente in grado di controllarsi. Essendo il ministro dell’Interno non è un problema da poco”.
Tante le critiche anche di esponenti M5S.
Gianluigi Paragone, senatore pentastellato: “Certe parole sono pesanti. Ciò detto magari le attenzioni mettiamole anche su cose più gravi”.
Durissimo Alessandro Di Battista, che lo incalza sul caso Savoini e a Salvini dice: “Trovi il tempo di andare in Parlamento per rispondere a domande dettagliate sui suoi rapporti con il signor Savoini (indagato per corruzione internazionale) e in Commissione Antimafia per fornire dettagli sulle modalità attraverso le quali il signor Arata (arrestato per corruzione) è entrato nei giri leghisti. A riferire in Parlamento e in Commissione Antimafia ci vada come preferisce, auto blu, aereo blu o moto d’acqua blu ma ci vada e porti rispetto al popolo italiano”.
Altrettanto netta la reazione della capogruppo M5S in regione Lazio Roberta Lombardi: “Se i bambini sono giustamente fuori dalla polemica politica i genitori non devono usare giocattoli di potere per farsi belli agli occhi dei loro piccoli. Mi sembra che l’infantile qui non sia il figlio”.
Un’altra esponente 5Stelle, Elena Fattori, spesso critica nei confronti del vicepremier, dice: “Salvini dovrebbe rispettare chi fa con coscienza il proprio lavoro: sia il videomaker che il poliziotto. Non avendo mai lavorato in vita sua non sa come è difficile fare il proprio lavoro nonostante la schiera di raccomandati e politici che usano prepotentemente la propria posizione”.
E Doriana Sarli, deputata del Movimento: “Io penso che lui debba rispondere del fatto che fa un uso privato della polizia di Stato pagata dai cittadini e non fare accuse ad altri su fatti inesistenti per sviare l’attenzione dal problema principale”.
Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura della Camera: “Poteva scusarsi”. E Luigi Iovino, deputato della commissione Difesa, sempre dei 5Stelle: “Un ministro dell’Interno dovrebbe evitare di chiedere di utilizzare i mezzi di servizio della Polizia di Stato per scopi privati. Tanto più per suo figlio, peraltro minorenne. La mia piena solidarietà al giornalista e alla categoria tutta, per le accuse del Ministro Salvini, evidentemente insofferente alle critiche”.
Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi parlamentari di Forza Italia: “Sono stato un giornalista così come Matteo Salvini, entrambi conosciamo le ‘regole del gioco’: alla domanda di un cronista si risponde, sempre. Anche se la domanda viene percepita come una provocazione. Nel caso della ‘moto d’acqua’ c’è un’indagine interna della questura di Ravenna per chiarire le modalità di comportamento degli agenti: sarebbe bastato, soprattutto perchè Salvini è ministro dell’Interno, richiamare questa circostanza. Se domandare è lecito da parte dei giornalisti, per un politico che sta al governo rispondere non è cortesia ma dovere: se Salvini lo avesse fatto avrebbe evitato questa nuova puntata sulla faccenda della moto”.
Per Nicola Fratoianni, di Sinistra italia, Salvini “fa finta di non vedere che il punto non riguarda affatto suo figlio. Ma l’uso improprio di un mezzo pubblico e soprattutto il fatto, gravissimo, che il giornalista sia stato minacciato affinchè non riprendesse la scena”.
E interviene anche la Federazione nazionale della stampa con il segretario Raffaele Lorusso: “È la conferma che si sta cercando di creare un clima sempre più ostile nei confronti di chi fa informazione e pone domande, che è uno dei fondamenti della democrazia. Al di là degli insulti mi auguro che il ministro prima o poi voglia rispondere su fatti che l’opinione pubblica ha il diritto di conoscere perchè sono di rilevanza pubblica. Nessuno qui sta attaccando un minore. C’è un uomo delle istituzioni che ha il dovere di rispondere”.
(da agenzie)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile “MATTARELLA INTERVENGA, NON PUO’ RICEVERE LE COMUNITA’ EBRAICHE, SINTI E ROM E POI FARE FINTA DI NULLA”
Il Ministro dell’Interno e leader della Lega Salvini si arrabbia e si indigna tutte le volte che qualcuno gli dà del razzista. È comprensibile. Per questo vorrei segnalare al Ministro dell’Interno, e anche al capo della Lega, una persona che sta facendo fare a tutte e due la figura dei razzisti: è il profilo Twitter a nome Matteo Salvini, che questo pomeriggio ha dato della zingara a una non identificata cittadina rom, che avrebbe espresso gravi minacce nei suoi confronti.
E immagino sia stato il Ministro dell’Interno a informare la pagina di Salvini di queste parole. Sta di fatto che sul tweet Salvini o chi per lui ha aggiunto: “Stai buona zingaraccia che presto arriva la ruspa”.
Ecco questo è sicuramente un lessico razzista.
Scriverlo, dopo aver meditato l’effetto che avrebbe fatto, è una aperta provocazione, un “vedere l’effetto che fa” sui sostenitori in visibilio e sugli altri, avversari rosiconi e guardiani delle “vecchie” istituzioni.
Per questo sarebbe bello chiedere al garante della nostra Costituzione, quella Costituzione su cui ha giurato davanti a lui un anno fa il Ministro dell’Interno Salvini, se sia accettabile un atteggiamento di questo tipo, che sfregia il lessico civile, e immette l’odio nel dibattito pubblico, indicando un nemico comune.
Proprio il presidente Mattarella ogni fine gennaio riceve al Quirinale esponenti delle comunità ebraiche, sinti e rom nel Giorno della memoria: ed è buona memoria ricordare e tramandare che ogni persecuzione cominciò in questo modo, accusando di un episodio singole persone — a torto o a ragione — e apostrofandole non per nome ma per etnia, per di più deformata dal dispregiativo.
Le parole sono importanti, soprattutto quando a scriverle è un leader molto seguito. Ci sono limiti che non si possono varcare, quando si ha un ruolo e si parla in pubblico
Enrico Mentana
(da Open)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile NEL CAMPO DI VIA MONTE BISBINO UN ROM: “IO VOTO PER LUI, QUESTA E’ PROPRIETA’ PRIVATA, SE VUOLE QUESTO PEZZO DI TERRA MI PAGHI”
Nel campo rom di via Monte Bisbino a Milano, finito al centro delle cronache in queste ore per
l’epiteto razzista con cui Matteo Salvini ha definito una delle residenti che lo avrebbe minacciato, ci sono anche sostenitori del ministro dell’Interno.
Lo aveva documentato Fanpage.it lo scorso maggio, quando infatti Salvatore Garzillo si era recato per Fanpage.it nel campo di via Monte Bisbino in occasione di un blitz dei carabinieri, documentando le condizioni di vita all’interno dell’area.
Nel campo, diviso tra una parte con abitazioni lussuose e abusive costruite su terreni di proprietà e un’altra dove le persone abitano in baracche fatiscenti, tra rifiuti e topi, il giornalista si era imbattuto anche in un residente che aveva dichiarato di votare per il leader della Lega: “Io voto a favore di Salvini — aveva detto l’uomo, come documentato anche in un video — Fa certe cose giuste, eh. Ma non queste cose di sgombero, di legittima difesa, perchè alla fine causa sempre più danni e più casini. Lui non mi può sgomberare perchè io qui non sono abusivo. Lo vuole questo pezzo di terra? Mi paga e glielo do, questa è proprietà privata”.
Alle sue parole, però, Matteo Salvini non aveva replicato.
(da FanPage)
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Agosto 1st, 2019 Riccardo Fucile “IL GOMMONE STAVA AFFONDANDO, ARRIVATI APPENA IN TEMPO, CI SONO ANCHE DUE BAMBINI E 16 DONNE”… RICHIESTO UN PORTO DI APPRODO
Dopo i 40 recuperati ieri dalla Alan Kurdi, altri 52 migranti sono stati salvati da una nave al largo della Libia: si tratta di 34 uomini, 16 donne e due bambini soccorsi da Open Arms.
“Stavano affondando, l’acqua stava entrando nel gommone, ma siamo arrivati in tempo – ha twittato il fondatore della ong catalana Oscar Camps – Sono tutti salvi e ora abbiamo bisogno di un porto sicuro”.
La nave Alan Kurdi della ong tedesca Sea Eye si trova a poche miglia da Lampedusa, in attesa di sapere dove potrà sbarcare i migranti soccorsi mercoledì al largo della Libia. Adesso anche l’Open Arms si allontana dalla Libia in cerca di un approdo.
(da agenzie)
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