Destra di Popolo.net

L’AGONIA DELLA CLASSE MEDIA USA, TRAVOLTA DAI DEBITI E DAL “FARMAGEDDON” DEL MID-WEST

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

LA RETORICA DI TRUMP NON FA PIU’ PRESA: I CONTI PARLANO CHIARO

Era prevedibile. E, forse, anche già  messo in conto dal diretto interessato. La visita di Donald Trump sui luoghi teatro delle ultime stragi della follia negli Usa, Texas e Ohio, non si è rivelata un bagno di folla, nè una cartina di tornalsole incoraggiante in vista dell’inizio formale della campagna elettorale per le presidenziali del 2020. C
erto, le proteste erano in gran parte organizzate da cittadini e movimenti dichiaratamente e aprioristicamente contrari al Presidente e anche l’annosa e divisiva questione delle “armi facili” ha giocato a favore delle contestazioni ma resta il fatto che, al netto della sacralità  bipartisan per l’americano medio del Secondo Emendamento, qualcosa nell’America profonda che ha mandato Donald Trump a Pennsylvania Avenue comincia a scricchiolare. Sempre di più.
E con essa, la retorica e la narrativa da boom epocale che la Casa Bianca ha spacciato finora, fra alluvioni di tweets e proclami propagandistici.
E a confermare che il malessere americano, oltre che profondo, è soprattutto radicato nel cuore della Real America, ci ha pensato l’ultima inchiesta del Wall Street Journal, dedicata alla lenta e incessante agonia della classe media statunitense
Al netto della retorica anti-establishment e anti-elites del sovranismo presidenziale, le cifre parlano chiaro: la mitica middle-class americana, protagonista di centinaia di film hollywoodiani, sta infatti precipitando sempre più nell’indebitamento strutturale, soltanto per mantenere il proprio stile di vita.
Insomma, nessun miglioramento, nessun ascensore sociale. A fronte di almeno due decadi di dinamiche salariali stagnanti, il potere d’acquisto dell’americano medio si è eroso in maniera esponenziale. E la sua discesa nel limbo dell’indebitamento non è appunto finalizzata all’ottenimento di un lifestyle migliore, bensì un necessario riaggiustamento rispetto al costo della vita nelle sue voci primarie: abitazione, bollette, spesa per mangiare e vestirsi, mutuo scolastico, automobile.
Tutto aumentato e sensibilmente, in ossequio alla cosiddetta “inflazione reale” che campeggia da sempre nelle statistiche ma che ora sta limando pericolosamente verso il basso i risparmi di una fetta non più maggioritaria di America, la quale dal 2000 in poi ha cominciato a non riuscire più a tenere il passo con dinamiche salariali e del lavoro destinate a tramutarsi in stock di debito in lenta ma continua espansione.
Oggi, proprio nel momento di maggior tensione economica, ecco che un primo redde rationem post era della globalizzazione clintoniana comincia a mostrare la testa.
Tanto per mettere la questione in prospettiva, basti sottolineare come alla fine del 2017, il reddito medio negli Usa fosse di 61.372 dollari, poco superiore a quello del 1999, una volta aggiustato all’inflazione.
Ma a fare sensazione è il dato puro, ovvero senza revisione rispetto al costo della vita: in quel caso, il reddito appare in aumento del 135% nelle ultime tre decadi. Peccato che nel medesimo arco temporale, le tasse universitarie per mandare i figli al college siano salite del 549%, le spese mediche del 276% e quelle legate alla casa del 188%.
Per Adam Levitim, professore alla facoltà  di legge della Georgetown University, “occorre ammettere che il costo per il mero mantenimento del proprio status di middle class è salito in maniera esponenziale“.
E se la crisi finanziaria del 2008 ha già  di suo operato una drammatica “scrematura” al ribasso, facendo aumentare a dismisura il tasso di proletarizzazione forzata del ceto medio negli Stati che maggiormente hanno patito il contraccolpo sull’economia reale, restano dati incontrovertibili di crisi generalizzata di un modello.
Fra il 1989 e il 2016, infatti, l’economia Usa è quasi raddoppiata nel suo controvalore, mentre nello stesso lasso di tempo il net worth medio statunitense è cresciuto solo del 4%. Ecco, quindi, il fenomeno di polarizzazione che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca: in un contesto simile, ovviamente la discrepanza fra 10% delle popolazione più ricca e 90% che fa i conti con l’inflazione reale che morde i redditi, si fa più stridente e inaccettabile, tanto da portare a scorciatoie populiste come quelle offerte da Steve Bannon e dalla sua crociata politica al fianco del tycoon newyorchese, tramutato in Robin Hood.
Ora, però, la favola pare finita. Così come l’incantesimo. Numeri alla mano.
Ad esempio, quelli forniti dall’American Bankruptcy Institute, a detta del quale a luglio di quest’anno il numero di bancarotte è aumentato del 5% su base mensile, arrivando a 64.283.
E non si tratta soltanto di aziende che portano i libri in tribunale o in concordato per il Chapter 11 ma, soprattutto, cittadini costretti a indebitarsi per ripagare i prestiti già  in essere e verso cui si è morosi per una o più scadenze. E per somma sfortuna di Donald Trump, la collocazione geografica delle sempre crescenti criticità  economico-finanziarie della classe media Usa è ubicata in aree a stretta osservanza repubblicana, ovvero bacini elettorali potenziali dell’inquiliino della Casa Bianca.
Se infatti l’aumento delle bancarotte e dei default su indebitamento vede ai primi posti gli Stati del Sud, come Alabama, Mississippi, Tennessee e Georgia, una criticità  in rapido deterioramento arriva dal Mid-West agricolo, di fatto la mappa di quello che gli analisti hanno già  ribattezzato come Farmageddon, dopo la decisione cinese di bloccare l’import di beni agricoli statunitensi da parte delle aziende statal
Non a caso, proprio per rispondere all’espandersi della macchia rosso fuoco dei fallimenti di aziende agricole, Donald Trump ha immediatamente rassicurato gli allevatori con un tweet, nel quale prometteva aiuti per il prossimo anno.
Se però la crisi si aggraverà  e i ricaschi dei tonfi azionari andranno a colpire il sentiment bancario, anche e soprattutto delle banche locali e territoriali, il rischio è quello di una catena auto-alimentante di default a causa del taglio di fidi e linee di credito per le imprese più piccole e fragili del comparto.
E che il Mid-West sia l’epicentro vitale della battaglia politica declinata in ambito economico lo dimostra il fatto che una finanziaria del Wisconsin ma con licenza operativa in 48 Stati, la Waterstone Mortgage Corporation, abbia dato vita a quello che ha eufemisticamente denominato Non-Traditional Credit Program, di fatto uno schema di concessione prestiti a clienti subprime senza alcun rating creditizio.
Le garanzie richieste all’atto della sottoscrizione? Bollette telefoniche del cellulare o di altre utiities, contratti d’affitto e premi assicurativi.
E la questione si fa seria, visto che stando agli ultimi dati forniti dal Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb), sono circa 26 milioni i cittadini statunitensi senza alcun rating di affidabilità  creditizia, mentre altri 19 milioni hanno una credit history limitata od ormai risalente ad anni fa.
E cosa che fa ancora più paura, rimandando sinistri echi della crisi subprime del 2008, questo nuovo programma di finanziamento è specificatamente designato per mutui legati a compravendite immobiliari.
Il tutto, infine, in un contesto generale di Paese che, stando agli ultimi dati della Fed di New York, vede il debito privato aver sfondato quota 14 trilioni di dollari, in netto aumento dai 13 del 2008. E, come già  detto, quelle spese extra che necessitano il ricorso all’indebitamento sono riconducibili a voci essenziali come abitazione, cibo e sanità . Non a vizi o spese voluttuarie.
Infine anche la più ottimista e conservativa delle banche d’affari, JP Morgan, nel suo ultimo report ha rivisto al rialzo le probabilità  di un ingresso anticipato degli Usa in recessione, portandole ora al 40% entro i prossimi 12 mesi, il massimo livello mai raggiunto nel ciclo economico in atto.
Insomma, Donald Trump potrà  anche non dare troppo peso alle proteste di El Paso e Dayton ma la situazione pare aggravarsi di giorno in giorno.
E la favola del working class hero che abbandona la Fifth Avenue per salvare gli ultimi e rifare grande l’America un’altra volta, potrebbe rivelare e riservare un finale amaro.
Degno proprio di un’epopea letteraria a stelle e strisce come quella di John Steinbeck.

(da “Business Insider”)

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DOMANI IL SENATO DECIDERA’ SUL CALENDARIO, NON C’E’ ACCORDO: CASELLATI PROVA AD ACCELERARE, PD E M5S PREPARANO LO SGAMBETTO

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

SERVE UN VOTO DI CONFERMA PER LE COMUNICAZIONI DI CONTE IL 20 AGOSTO, IL CENTRODESTRA LO VOLEVA IN AULA GIA’ IL 14

Accelerazione sul calendario: l’aula del Senato è convocata per domani alle 18, tra le proteste di Pd e LeU.
Lo ha stabilito la presidente del Senato Elisabetta Casellati nel corso della capigruppo di Palazzo Madama.
Tuttavia, sull’ordine dei lavori, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia avevano chiesto che la mozione di sfiducia in aula a Giuseppe Conte fosse messa in calendario per il 14 agosto. È passata la linea invece dei grillini, dem, LeU e Misto fissando le comunicazioni di Giuseppe Conte per il 20.
Queste decisioni dovranno però essere approvate dal Senato, dal momento che sul calendario non c’è stata unanimità  in capigruppo.
“Uno spettacolo indegno”, una “forzatura gravissima quando nella capigruppo c’era l’accordo della maggioranza su Conte che avrebbe riferito il 20 in Aula”.
Così il presidente dei senatori Pd Andrea Marcucci al termine della capigruppo, parlando di “ennesimo oltraggio al Parlamento”. “La Casellati – aggiunge – non doveva prestarsi”.
Anche Leu denuncia la scelta di “piegare il regolamento – dice Loredana De Petris -a chi ha deciso dalla spiaggia”, “attentando alla possibilità  dei senatori di svolgere il proprio mandato”.
Se domani si votasse in Aula sul calendario del Senato, potrebbero essere presenti 102 senatori M5s su 107, 45 Dem su 51 e 12 senatori del Misto: in totale 159 parlamentari, contro i 136 voti potenziali di Lega, Fi e Fdi.
Sono questi, a quanto si apprende, i numeri aggiornati secondo calcoli del Pd, al netto di chi non riesce a rientrare dalle vacanze.
Il nuovo asse di M5s, Dem, Leu più altri del Misto, potrebbe approvare il suo calendario e programmare l’informativa di Conte non prima della prossima settimana.

(da agenzie)

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SALVINI ACCOLTO DA INSULTI ANCHE A VITTORIA: “SCIACALLO, ASSASSINO”

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

LO SPOT DELLA VISITA ALLA FAMIGLIA DEI DUE CUGINETTI TRAVOLTI DA UN SUV SI TRASFORMA IN AUTOGOL… ACCOLTO DALLO STRISCIONE: “IL DOLORE NON E’ PROPAGANDA”

Matteo Salvini a Vittoria stamane ha programmato lo spot della visita alla famiglia D’Amico, quella che — l’11 luglio scorso — ha perso due bambini, cugini tra loro, travolti da un suv mentre stavano giocando davanti casa.
Ma la popolazione di Vittoria è stata gelida nei confronti del ministro dell’Interno che giovedì scorso ha dato ufficialmente il via alla crisi di governo, pochissimi i fan.
Salvini ha consegnato una medaglietta con la Madonna di Medjugorje ai genitori delle due vittime (deve averne preso uno stock)
Contro Salvini è stato organizzato anche un flash mob silenzioso. Un centinaio di persone, tutte vestite di bianco, in silenzio, hanno protestato con un cartello con su scritto ‘Il dolore non è propaganda’.
I sostenitori del leader della Lega che lo hanno incontrato sono stati davvero pochi,   la cittadina, in questo 12 agosto, non sembrava molto felice della visita del ministro.
Alcuni gruppi di contestatori si sono disposti lungo il tratto di strada che il ministro Salvini a Vittoria ha coperto per raggiungere la casa della famiglia D’Amico e il municipio di Vittoria.
All’uscita di Salvini dal Comune, alcuni lo hanno apostrofato con l’insulto ‘sciacallo, assassino’. Stesso tenore dell’insulto anche nei commenti che hanno accompagnato la diretta video della visita sui social network.
Non tira proprio una bellissima aria per il ministro dell’Interno.
Non accade più come un mese fa: quello che tocca non si trasforma soltanto in oro.

(da agenzie locali)

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159 SENATORI PRONTI A DIRE NO A SALVINI

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

LA MAGGIORANZA DEGLI ELETTI A PALAZZO MADAMA CONTRARI A SALVINI SUL CALENDARIO DEI LAVORI … LEGA. FI E FDI SI FERMANO A 136

Se domani si votasse in Aula sul calendario del Senato, potrebbero essere presenti 102 senatori M5s su 107, 45 Dem su 51 e 12 senatori del Misto: in totale 159 parlamentari, contro i 136 voti potenziali di Lega, Fi e Fdi.
Sono questi, a quanto si apprende, i numeri aggiornati secondo calcoli del Pd, al netto di chi non riesce a rientrare dalle vacanze.
Il nuovo asse di M5s, Dem, Leu più altri del Misto, potrebbe approvare il suo calendario e programmare l’informativa di Conte non prima della prossima settimana.
La capigruppo.
L’obiettivo è definire il percorso della crisi di Governo, ma potrebbe non bastare la giornata di oggi. Alle 16 è prevista al Senato la conferenza dei capigruppo e gli occhi sono puntati sulla presidente di Palazzo Madama, Elisabetta Casellati. In una nota, la seconda carica dello Stato chiarisce però da subito che se non ci sarà  unanimità  fra i presidenti dei senatori dei partiti non sarà  lei, ma l’Aula del Senato a doversi pronunciare.
La convocazione dell’Assemblea, nell’ipotesi in cui il calendario dei lavori non venga approvato in capigruppo all’unanimità , non costituisce forzatura alcuna, ma esclusivamente l’applicazione del regolamento” dichiara il presidente del Senato: “L’art. 55, Comma 3, prevede infatti che sulle proposte di modifica del calendario decida esclusivamente l’Assemblea, che è sovrana. Non il presidente, dunque”… “In un momento cosi’ delicato per il paese, l’unico metro possibile da adottare a garanzia di tutti i cittadini è il rispetto delle regole”.

(da “Huffingtonpost”)

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NEL M5S PREVALE LINEA ANTI-VOTO E DI APERTURA AL DIALOGO CON CHI CI STA, IL PD PRECETTA I SENATORI PER DOMANI

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

I POSSIBILI SVILUPPI SE NELLA CAPIGRUPPI NON SI RAGGIUNGE L’UNANIMITA’ SULLE DATE

La crisi di governo entra a Palazzo Madama, dove è in corso la conferenza dei capigruppo che dovrà  fissare la data del dibattito — e del voto — parlamentare sulla mozione di sfiducia presentata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini nei confronti del premier Giuseppe Conte.
Ma la presidente del Senato Elisabetta Casellati avverte: se in capigruppo dovesse registrarsi uno scontro e un conseguente stallo, sarà  l’Aula ad avere l’ultima parola: “La convocazione dell’Assemblea, nell’ipotesi in cui il calendario dei lavori non venga approvato in capigruppo all’unanimità , non costituisce forzatura alcuna, ma esclusivamente l’applicazione del regolamento”, afferma Casellati. “L’art. 55, comma 3, prevede infatti che sulle proposte di modifica del calendario decida esclusivamente l’Assemblea, che è sovrana. Non il presidente, dunque”, aggiunge, sottolineando che il “rispetto delle regole” è a “garanzia” dei cittadini.
E mentre prende corpo una possibile scissione nel Partito Democratico, il M5s riunisce i gruppi parlamentari per fare il punto su timing e linea da seguire durante la crisi di governo.
Il capo politico Luigi Di Maio fa sapere che chiederà  le dimissioni dei ministri della Lega, forse per prevenire la tentazione di Salvini di ritirare i suoi ministri per accelerare la sfiducia.   “La Lega faccia dimettere tutti i suoi ministri da questo governo – afferma Di Maio –   I ministri della Lega dovrebbero votare contro se stessi. Noi saremo al fianco di Giuseppe Conte. Ha il diritto di presentarsi alle Camere per dire quello che abbiamo fatto, quello che potevamo fare e che non faremo. Ci devono guardare negli occhi”.
“Mattarella è l’unico che decide quando e se andare a votare – continua il ministro del Lavoro – Già  è surreale che ci debba essere crisi a Ferragosto. Ai cittadini viene scaricata addosso la preoccupazione non delle elezioni ma di una crisi che colpirà  misure per loro importanti. Un governo non si insedierà  prima di dicembre: salterà  tutto quello che abbiamo fatto, quindi reddito, quota 100…Stiamo parlando del futuro del nostro Paese”.
Secondo quanto viene riferito, nel corso della riunione è prevalsa la linea del confronto aperto ma più che per un esecutivo di transizione su un esecutivo di largo respiro.
In tanti non intendono andare al voto e hanno sottolineato la necessità  di proseguire il dialogo con le forze che non vogliono le elezioni anticipate.
Altri, come il sottosegretario Buffagni, si sono invece schierati a favore delle elezioni anticipate. Nel dibattito non si è parlato delle deroghe al secondo mandato. È stata proprio la vicepresidente di palazzo Madama, Paola Taverna, a sottolineare come in molti sono in teoria incandidabili, ma probabilmente sul doppio mandato nei prossimi giorni potrebbe esserci un voto sulla piattaforma Rousseau.
Di fatto l’Aula del Senato potrebbe essere convocata già  domani per votare sull’ordine dei lavori, se nella capigruppo non si dovesse trovare una intesa all’unanimità . La partita si gioca sul filo del regolamento di Palazzo Madama che recita che “la convocazione è fatta dal Presidente”. Poi sarà  l’Assemblea a decidere quale calendario adottare.
Per questo tra i senatori del Pd circola il seguente messaggio: “Qualora la presidente Casellati con una assurda forzatura decidesse, a seguito della capigruppo di oggi, di convocare l’aula per il voto sul calendario già  domani, martedì 13 agosto, sarà  fondamentale la presenza di tutti. Vi chiediamo cortesemente di iniziare a valutare come meglio organizzarvi per rientrare a Roma. Seguiranno indicazioni più precise”.
Lo scenario possibile al Senato
Andando in ordine: oggi la conferenza dei capigruppo del Sento deciderà  sul calendario dei lavori e lì l’asse M5S-Pd, che vuole posticipare a dopo il 19 agosto la convocazione dell’Assemblea, avrà  la maggioranza. In assenza di unanimità , però, il calendario può essere discusso e messo ai voti in Aula: la scelta di convocarla spetta appunto al presidente del Senato.
E la seduta può svolgersi subito perchè Palazzo Madama non è convocato a domicilio, circostanza nella quale bisognerebbe aspettare 5 giorni per la convocazione dell’Aula. La prossima seduta dell’assemblea risulta infatti già  fissata per il prossimo 10 settembre.
Se si votasse il calendario già  domani e le truppe del centrodestra fossero al completo come annunciato, Lega, FI e FdI potrebbero contare su 136 voti, a cui si potrebbero aggiungere i due del Maie, arrivando così a quota 138. Il fronte opposto sulla carta ha la maggioranza: sono 107 i senatori 5S, 51 quelli Pd e una decina quelli del Misto, fra cui i 4 senatori di LeU, per un totale di 168 voti. Restano da attribuire i 6 voti del gruppo delle Autonomie, che però in questo caso non fanno la differenza.
Il Partito democratico però non può contare sul pienone in queste ore: le assenze sarebbero numerose, mettendo a rischio qualsiasi votazione. L’unica strada per evitare rischi sarebbe quella di far mancare il numero legale. Sulla carta quest’ultimo è pari a 161 e pur immaginando qualche assenza giustificata per congedo difficile che si abbassi troppo.
Se dovesse mancare il numero legale la seduta potrebbe, da regolamento, essere convocata ogni 20 minuti fino a 4 volte nello stesso giorno, per poi essere rinviata al giorno successivo, ripartendo dallo stesso orario. Questo meccanismo si può ripetere fino a che non si raggiunga in Aula il numero legale per procedere con la deliberazione.

(da “La Repubblica”)

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SI COMINCIA: I POSSIBILI SCENARI E TUTTI I NUMERI IN CASO DI SFIDUCIA A CONTE

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

LA CONFERENZA DEI CAPIGRUPPO IN CORSO PER DECIDERE LA DATA DELLA MOZIONE DI SFIDUCIA

Alle 16 la conferenza dei capigruppo del Senato deciderà  la data della mozione di sfiducia della Lega a Conte.
Cosa succederà ? Conte sì, Conte no. Voto di sfiducia sì, voto di sfiducia no. Tutto è ancora in ballo per quanto riguarda le sorti del Governo.
Quando il Senato sarà  chiamato a esprimersi sul premier, come richiesto dalla Lega nella stessa sede durante le ore successive all’annuncio della crisi, lo decideranno i capigruppo di palazzo Madama nella Conferenza di oggi lunedì 12 agosto.
Il giorno più probabile è il 20 agosto, anche se la Lega vorrebbe arrivare al momento della verità  già  martedì.
Tra le varie incertezze, l’unica cosa sicura sembra essere che in quell’occasione il premier parlamentarizzerà  la crisi, passando ufficialmente la palla al Colle.
Intanto, in vista della presenza del premier in Senato, gli scenari possibili iniziano a delinearsi.
Molto dipenderà  dal gioco che sceglierà  di fare il Partito Democratico con i suoi 51 senatori, anche in prospettiva della mozione di sfiducia proposta dagli stessi dem a sfavore di Matteo Salvini per lo scandalo dei presunti fondi russi al suo partito.
Questione che il Pd spera di poter discutere già  oggi durante la riunione dei capigruppo.
La (debole) alleanza Lega-FI-FdI
La Lega da sola non ha la forza numerica di mandare a casa Conte e il suo esecutivo e conquistare le elezioni anticipate. Per sperare di incassare il risultato, ai 58 voti leghisti devono necessariamente aggiungersene altri. L’alleanza con i 62 senatori di Forza Italia e i 18 di Fratelli d’Italia, non sarebbe sufficiente, perchè porterebbe a un totale di 138 voti su 315.
L’ago della bilancia? A ridisegnare gli equilibri ci sono gli 8 voti dei senatori delle Autonomie e i 15 voti del gruppo Misto, di cui fanno parte 5 ex M5s (Paola Nugnes, Gregorio De Falco, Carlo Martelli, Saverio De Bonis e Maurizio Buccarella), i due senatori del Maie (Movimento Associativo Italiani all’Estero) Adriano Cario e Riccardo Merlo e i senatori di Leu e +Europa.
L’astensione delle opposizioni
In alternativa, se le opposizioni non dovessero partecipare al voto sulla sfiducia, come chiedono Pietro Grasso e Loredana De Petris, i numeri parlano chiaro: la Lega con i suoi 58 senatori non avrebbe alcuna possibilità  da sola di mettere la parola fine sul governo e la mozione di sfiducia potrebbe essere respinta facilmente dai 107 voti dei 5 stelle.
In sintesi: la capigruppo oggi fissa il primo calendario dei prossimi appuntamenti. Ma il pallottoliere della sfiducia segna ancora risultati incerti.

(da Open)

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IL QUOTIDIANO SPAGNOLO “EL MUNDO”: “TUTTE LE LEGGI CHE VIOLA SALVINI”

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

L’ELENCO DI TUTTE LE NORMATIVE NON RISPETTATE DALL’ITALIA… E NON RISPARMIA I LEADER SOCIALISTI DI SPAGNA E MALTA

Dalle dichiarazioni dei diritti internazionali, dalla convenzione di Ginevra alle norme europee e locali, nonchè dalle leggi del mare, politici come Salvini hanno messo i calcoli elettorali, economici o demografici prima di conformarsi alle leggi che, con il giuramento, hanno promesso di difendere”.
L’attacco alle politiche anti-migranti portate avanti dal ministro degli Interni italiano arriva da uno dei principali quotidiani spagnoli, El Mundo, che nella sue edizione online elenca tutte le leggi che il leader della Lega non rispetta con la decisione di chiudere i porti alle navi delle ong che trasportano i migranti soccorsi nel Mediterraneo. Con lui, sotto attacco ci sono anche Malta e la Spagna. Ecco l’elenco
Diritto del mare
L’obbligo di assistere le persone in pericolo in mare è uno dei principi di base del diritto marittimo, come riconosciuto dall’articolo 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Inoltre, l’articolo 98.2 del presente accordo marittimo 1982 stabilisce che i suoi firmatari (l’Ue è firmataria) devono “promuovere la creazione, l’esercizio e la manutenzione di un servizio di ricerca e salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima”. Ma i leader europei si fanno scudo del “cosiddetto effetto chiamata” in modo da non mettere in campo un’operazione di salvataggio propriamente detta”.
Convenzione sulla ricerca e sul salvataggio in mare
Con questo trattato, gli Stati firmatari devono impegnarsi con il capitano della nave “per condurre le persone soccorse in mare in un luogo sicuro”. Questi governi europei considerano la Libia quel “luogo sicuro”, anche se si tratta di uno Stato fallito gestito da milizie di schiavisti in cui i diritti umani più elementari vengono violati in modo degradante e disumano.
L’Open Arms, una nave che ora viaggia con 160 persone a bordo, è stata temporaneamente trattenuta in Sicilia a causa di una denuncia contro il suo capitano che non ha consegnato i migranti alle guardie costiere libiche. Il tribunale di Ragusa ha dato ragione al capitano nel 2018, il quale è stato assolto per il fatto che la Libia non può essere considerata un “luogo sicuro” quando le stesse Ong sono minacciate con le armi”.
Dichiarazione universale dei diritti umani
Salvini e altri leader europei stanno violando l’articolo 14: “In caso di persecuzione, ogni persona ha il diritto di chiedere asilo in altri paesi”. In Europa, tale diritto è stato limitato alle quote di rifugiati nella crisi del 2015 e del 2016 e oggi è totalmente violato dalla chiusura di frontiere o porti per impedirne l’arrivo”.
Convenzione di Ginevra
Molti leader dell’Ue, non solo Salvini, calpestano questa carta dei diritti universale del 1951, di cui sono tutti firmatari. Gli articoli che non vengono rispettati sono lo statuto del rifugiato, cioè “la protezione che uno Stato offre alle persone che non sono cittadini propri e la cui vita o libertà  è in pericolo a causa di atti, minacce e persecuzioni delle autorità  di un altro Stato”. Inoltre, è vietato che questi rifugiati o richiedenti asilo vengano riportati “nei territori in cui la loro vita o libertà  è messa in pericolo a causa della loro razza, religione, gruppo sociale o opinioni politiche”.
Carta dei diritti fondamentali dell’Ue
E’ un documento legalmente vincolante dall’approvazione del Trattato di Lisbona nel 2009 e non sono rispettati l’articolo 9 (Diritto di asilo) e l’articolo 6: “Registrazione obbligatoria di tutte le domande di protezione internazionale presentate”.
Convenzione europea dei diritti dell’uomo
Il governo di Salvini viola gli articoli 3, 13 e il quarto protocollo, anche se non è la prima volta”. Era già  successo, ad esempio, nel 2011 quando la Spagna ha espulso 30 richiedenti asilo nel Sahrawi”.

(da “Fanpage”)

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SALVINI PREMIER DEI NABABBI CON PRECEDENTI PENALI: BRIATORE SI OFFRE COME MINISTRO

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

IN FONDO NON E’ “UN RICCO COMUNISTA”, E’ SOLO UN RICCO CONDANNATO PER BISCHE CLANDESTINE E LATITANTE ALLE ISOLE VERGINI, RIENTRATO IN ITALIA GRAZIE A UNA AMNISTIA E CON UN PROCEDIMENTI PENALE IN CORSO PER OMESSO VERSAMENTO DELL’IVA

Parlano di popolo, se la prendono con i ‘ricchi comunisti’ e poi a chi guardano? Ai nababbi, ai teorici del lusso e ai proprietari di locali nel quale un appartenente al ‘popolo’ non potrebbe mai entrare.
Del resto Capitan Nutella è un assiduo frequentatore del Papeete, un luogo che non è esattamente da operai in cassintegrazione
Viva la sincerità : Flavio Briatore potrebbe dire di sì ad una chiamata di Matteo Salvini nel caso in cui il leader della Lega gli offrisse un incarico di governo, magari nel turismo. “Potrei dirgli di sì, a patto di esser messo nelle condizioni di fare le cose”, sottolinea Briatore in un’intervista a ‘Il Foglio’.
“Il tempo – rileva Briatore – è prezioso, specie alla mia età . Se ne sottraggo un po’ a mio figlio e alla mia famiglia, non voglio sprecare le giornate in commissioni inutili a sentire idioti che non hanno mai viaggiato in vita loro”
In merito alla crisi di governo tra M5S e Lega, Briatore sottolinea che “in generale, io evito di lavorare in società  perchè sei più vincolato; quando lo faccio mi garantisco sempre la quota di maggioranza e, appena ho il sentore che le cose non vadano per il verso giusto, sciolgo la società . Mi pare che quella costituita da Matteo con il M5s con tanto di ‘contratto’ abbia esaurito la propria funzione: i due non vanno d’accordo su nulla. Gli italiani di chiacchiere ne hanno già  sentite troppe. Matteo farebbe bene ad andare per la sua strada: la gente gli manifesta affetto nelle piazze perchè si aspetta da lui gesti concreti per dare una scossa al paese con una squadra di gente preparata e capace”.

(da Globalist)

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ALTRI 14 MIGRANTI ARRIVANO INDISTURBATI AL MOLO MADONNINA DI LAMPEDUSA

Agosto 12th, 2019 Riccardo Fucile

CHE NON ABBIANO VISTO IL CARTELLO “PORTI CHIUSI” ?

Mentre il Ministro Salvini dal suo comizio per pochi intimi a Siracusa continua a straparlare di “porti chiusi” per i beoni, a Lampedusa sono approdati direttamente in porto, intorno alle 20 sul Molo Madonnina 14 migranti scortati da una motovedetta dei Carabinieri.
Si tratta di 12 uomini e 2 donne, provenienti dal Marocco, dalla Costa d’Avorio e dall’Egitto. Adesso si trovano presso l’hotspot.
I migranti sono approdati autonomamente al molo Madonnina di Lampedusa. Ad intercettare, praticamente davanti all’imboccatura del porto, l’imbarcazione di 8 metri è stata una motovedetta dei carabinieri che ha subito avvisato le squadre di terra.

(da agenzie)

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