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MATTARELLA NELLA BOLGIA DEI PARTITI

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

SCURO IN VOLTO, AVVERTE: “ENTRO MERCOLEDI IL NOME DEL PREMIER O SCIOLGO LE CAMERE”

La dimensione della crisi è in quelle due ore che il capo dello Stato è costretto a prendersi, a consultazioni finite, per verificare se arrivi un fatto, un segnale, una dichiarazione dai Cinque stelle che attesti la volontà , quantomeno di dialogo col Pd, dopo che Di Maio alla Vetrata quelle due parole, “partito” e “democratico” non le aveva neanche nominate, offrendo il suo programma a tutti, sia pur con qualche punta polemica verso la Lega.
E la dimensione della crisi è certificata non solo dal volto, piuttosto cupo, con cui Sergio Mattarella si presenta alle otto di sera alla Vetrata, ma soprattutto in quella frase che, di fatto, certifica l’esistenza ancora di un doppio forno: “Sono state avviate iniziative per un’intesa. E anche da parte di altre forze politiche è stata espressa la volontà  di ulteriori verifiche”.
Ecco, ci sono “iniziative” tra Pd e Cinque stelle e “verifiche”, tra la Lega e i Cinque stelle. Due schemi che ingabbiano il primo giorno di consultazioni, mandandolo a vuoto.
E costringono il capo dello Stato a concedere altri giorni di tempo, di qui a martedì, dopo i quali se le convulsioni non si tradurranno in un’indicazione non solo di uno schema, ma di un nome per palazzo Chigi, sarà  inevitabile prendere atto che non c’è alternativa allo scioglimento anticipato delle Camere per tornare, al più presto al voto. Perchè altro, a quel punto, Mattarella non potrebbe fare, qualora anche il prossimo giro dovesse portare a un esito inconcludente.
Altrimenti proprio sul capo dello Stato graverebbe la responsabilità  di una crisi di governo che diventa, a tutti gli effetti, una crisi di Sistema, col Quirinale trascinato nel gorgo dei partiti.
Ecco, Mattarella si aspetta che, tra martedì e mercoledì, i partiti si presentino con un “nome” per palazzo Chigi, perchè questo è il punto, in modo da poter conferire un incarico
In quel volto scuro e in questo concedere, suo malgrado, tempo, rispetto alla gestione ipotizzata c’è davvero tutta la difficoltà  del momento.
Diciamo le cose come stanno: anche l’avvio del dialogo Pd-Cinque stelle è davvero al minimo sindacale. Non solo Di Maio neanche nomina il Pd, l’innesco è affidato   all’assemblea dei gruppi, riunite in quelle due ore in cui il capo dello Stato attende, che annunciano che il mandato è stato conferito.
E viene fatto sapere che, a breve, si incontreranno i capigruppo. Nella tanto criticata Prima Repubblica, la serietà  del tentativo sarebbe stata affidata a una nota in cui si annunciava almeno una “telefonata tra i due leader, Di Maio o Zingaretti” o l’annuncio di un prossimo incontro tra i due.
Invece spetterà  ai capigruppo intavolare una discussione partita con un gioco di veti e condizioni, in cui, dopo quelle poste da Zingaretti , i Cinque stelle rispondono ponendo al primo punto del confronto quella riduzione del numero dei parlamentari che è un punto che condividono più con la Lega che col Pd.
Nel senso che pongono come pre-condizione quel disegno di legge su cui il Pd ha votato contro. E che Zingaretti può discutere, ma nell’ambito di un ragionamento più complessivo. E chissà  se non sia un suggerimento per “sbrogliare” la matassa quel ragionamento che fa qualche frequentatore del Colle. E cioè che quella riforma produce effetti distorsivi con l’attuale legge elettorale, ma semmai venisse introdotto il proporzionale, allora diventerebbe potabile.
Sia come sia è il punto. Quella riforma è il grimaldello trovato dai Cinque stelle per far digerire al loro popolo l’accordo col “partito di Bibbiano”.
Ma, nel caso il Pd dovesse dire di no come già  ha fatto in Parlamento chiedendo di resettarla e discutere nell’ambito di una riforma costituzionale più ampia, a quel punto questa rottura diventa il grimaldello per riaprire con la Lega, la cui disponibilità  a votarla è conclamata e giustificare il ritorno indietro sempre agli occhi del proprio popolo.
Parliamoci chiaro: che cosa ha fatto Salvini, oggi, se non lanciare un grande segnale a Di Maio, riconoscendogli pubblicamente il ruolo, proprio nel giorno in cui, poche prima, le condizioni recapitate dal Pd suonavano come la richiesta di una “abiura”?
E attenzione, perchè oltre alle pubbliche carezze, ci sono i contatti riservati, da cui si apprende che quell’ipotesi di Di Maio premier a capo di un governo con la Lega è tutt’altro che fantapolitica
Ecco, le ragioni di questo doppio forno — anche se al momento è più aperto quello col Pd che quello con la Lega — stanno tutte nella dinamica “dentro” i partiti più che “tra” i partiti, come ha potuto constatare Mattarella, quando ha accolto Luigi Di Maio, che è apparso scivoloso, prudente, assai poco determinato a costruire un accordo col Pd, a stento nominato col capo dello Stato, innominato dopo.
Perchè è chiaro che questo accordo, fortemente voluto da Grillo, Casaleggio e spinto dai gruppi parlamentari passa sulla sua testa (e favorisce un cambio di equilibri sul Movimento) mentre la sua stessa testa verrebbe incoronata con la proposta di Salvini. E analoga incertezza (chiamiamola così) è arrivata dal Pd, perchè mai si era visto un ex segretario, nel giorno delle consultazioni, indicare per palazzo Chigi il nome su cui il segretario in carica sarebbe andato a porre un veto.
E mai si era visto un tale dibattito scatenato dai renziani sulle “condizioni” votate il giorno prima, all’unanimità , dalla direzione del Pd. Dunque: tempo, per un negoziato su cui manca ancora il canovaccio di base.
La novità  è che l’eroe di qualche giorno fa, Giuseppe Conte, non l’ha nominato nessuno al Quirinale. Forse perchè siamo ancora troppo indietro rispetto ai nomi.

(da “Huffingtonpost”)

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L’INDAGINE ESPLOSIVA DELLA PROCURA DI AGRIGENTO SU OPEN ARMS: SALVINI UNICO REGISTA DEGLI ABUSI E DEL SEQUESTRO DI PERSONE

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

UN DOSSIER SU TUTTE LE VIOLAZIONE DI LEGGI NAZIONALI E INTERNAZIONALI COMMESSE DA SALVINI, NEI GUAI ANCHE IL PREFETTO DI AGRIGENTO E ALTI FUNZIONARI DEL VIMINALE CHE ORA ACCUSANO IL MINISTRO DEGLI INTERNI

Sul ponte della Sea Watch l’indomito Kim sistema le cime, più simili alle sue trecce rasta. A bordo della nave dissequestrata dopo l’inchiesta sulla capitana Carola Rackete, il ragazzo non ha tempo per calcolare l’infinito numero di vite salvate in questi anni.
Deve ultimare i preparativi per riprendere il largo. Il profilo del vascello umanitario, ormeggiato di fianco all’italiana Mare Jonio, è ormai parte del paesaggio. Presto se ne andranno.
Chi invece dovrà  tornare davanti ai magistrati sono i vertici del ministero dell’Interno, che già  lasciano cadere ogni responsabilità  su Matteo Salvini.
Lo scaricabarile è appena all’inizio. Nel corso di alcune acquisizioni sommarie è stato indicato il nome del ministro uscente quale unico regista dei presunti “abusi” denunciati dal procuratore Patronaggio.
Nell’ordinanza con cui la procura ha disposto lo sbarco dalla Open Arms ci sono accuse precise anche alla prefettura di Agrigento (competente su Lampedusa), che non avrebbe neanche ottemperato all’ordine del Tar del Lazio, che chiedeva l’immediata discesa dei migranti.
Inoltre, non è stato tenuto in conto neanche il suggerimento all’attracco immediato firmato dal Comando delle capitanerie di porto.
I funzionari coinvolti, com’era prevedibile, indicano nel “vertice politico” le scelte tradotte poi sul campo. Ma ci vorrà  tempo, però, prima di iscrivere il quasi ex ministro dell’Interno sul registro degli indagati.
Un avviso di garanzia, infatti, trasferirebbe automaticamente l’inchiesta al tribunale dei ministri di Palermo. Un passaggio a cui gli investigatori agrigentini intendono eventualmente arrivare solo dopo avere consolidato la montagna di riscontri di questi mesi.
Nella città  dei Templi, infatti, da mesi lavorano su anomalie e reati che sarebbero stati ripetutamente commessi anche prima dell’entrata in vigore dell’ultimo decreto sicurezza. A cominciare dal mancato rispetto delle «Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito» e che sono «un limite alla potestà  legislativa dello Stato — ricorda l’ordinanza del procuratore — ai sensi degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione e non possono, pertanto, costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’Autorità  politica, ponendosi su un piano gerarchico sovraordinato rispetto alla fonte primaria».
L’obbligo di salvataggio delle vite in mare, peraltro, «costituisce un dovere degli Stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare».
Quello che va emergendo è una sorta di “Protocollo Salvini” (in passato adottato anche con il coinvolgimento del ministero della Difesa e quello delle Infrastrutture) con cui sarebbero state schiacciate norme costituzionali, trattati internazionali e anche ordini dei tribunali. Come quello del Tar del Lazio che la scorsa settimana ha chiesto lo sbarco urgente dei migranti. Un giallo nel giallo, questo.
Venerdì scorso un nucleo di agenti del Servizio centrale operativo di Polizia aveva raggiunto su delega della procura di Agrigento gli uffici di vertice del ministero dell’Interno. L’ordine era chiaro: ottenere la copia di tutti i documenti e le comunicazioni su Open Arms partiti dal gabinetto del ministro e dal Dipartimento Immigrazione del Viminale. Sul momento l’incartamento non è stato consegnato, con la promessa che sarebbe stato successivamente «raccolto e inviato» ad Agrigento.
Un atteggiamento senza precedenti mentre, nelle stesse ore, Matteo Salvini annunciava un ricorso urgente al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar del Lazio che aveva sollecitato lo sbarco dei migranti. E lunedì dal Consiglio di Stato hanno fatto sapere che nessuna decisione era imminente, semplicemente perchè nessun ricorso era mai arrivato dal Viminale.
Il giudice delle indagini preliminari dovrà  decidere entro questa sera se convalidare o riformare le decisioni della procura.
Ma c’è un altro passaggio nell’ordinanza di Patronaggio che suona come un ceffone al nuovo vertice del Poliambulatorio di Lampedusa. Il dottor Francesco Cascio, che ha preso il posto dell’ora europarlamentare Pietro Bartolo, aveva assicurato che a bordo della Open Arms non vi fosse alcuna emergenza sanitaria e la situazione fosse governabile.
Al contrario, il verbale dei medici della Sanità  marittima di Agrigento inviati proprio dalla procura «dava atto che i migranti occupavano interamente il ponte della nave adagiati sul pavimento, avevano a disposizione due soli bagni alla turca (che utilizzavano anche come docce) e che i migranti apparivano provati fisicamente e psicologicamente, pur mostrandosi calmi e collaboranti».
Non bastasse, una serie di 19 foto illustrava «nella loro immediata crudezza, più delle parole scritte, l’evidente sovraffollamento della nave e – precisa il procuratore – le pessime condizioni in cui si trovavano i migranti a bordo».

(da “Avvenire”)

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L’OMBRA DI CONTE SU DI MAIO CHE ASPIRA A FARE IL PREMIER MA NON PUO’ METTERE DA PARTE L’EX PRESIDENTE

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

E NON SI CHIUDE IL SECONDO FORNO DELLA LEGA… INCREDIBILE: UNO CHE HA FATTO DIMEZZARE I VOTI AL M5S HA ANCORA LA FACCIA DI CHIEDERE UNA “PROMOZIONE” INVECE CHE TOGLIERSI DALLE PALLE

Di giornate più lunghe in questo ultimo anno e mezzo il Movimento 5 stelle ne ha vissute molte. Ma questo giovedì è stata forse la più lunga di tutte.
Finisce con un warning lanciato a sera da Luigi Di Maio: “La trattativa con il Partito democratico può partire, ma solo se abbiamo un sì chiaro al taglio dei parlamentari”. Una pre condizione che fa da scudo alle mille difficoltà  di una trattativa che fino a ieri erano solo guardate come uno spauracchio all’orizzonte, e che oggi si sono disvelate in tutta la loro complessità . Lasciando disorientato il capo politico e tutto lo stato maggiore.
A mattina la delegazione Dem entra e esce dal Quirinale. Giù dal Colle rotola la notizia che Nicola Zingaretti ha posto un veto su Giuseppe Conte. Se discontinuità  deve essere, il presidente del Consiglio non può rimanere lo stesso. Ecco il primo elefante nel salotto pentastellato.
Dopo un anno di governo e lo standing ritagliatosi dal premier anche e soprattutto per la sua intemerata contro Matteo Salvini in Senato, l’avvocato del popolo italiano non può essere licenziato così su due piedi.
E soprattutto non può essere messo da parte con leggerezza da Di Maio, che incassa ovazioni nelle assemblee e litri di veleni nei conciliaboli con i suoi.
“Luigi al momento è debole – spiega un parlamentare – Se gestisce un’operazione spericolata nel gruppo lo mettono al palo, ormai Conte è una star. A meno che…”.
A meno che non siano i Democratici a proporre urbi et orbi uno scarto che preveda lo stesso Di Maio a Palazzo Chigi. Un’operazione che la testa del M5s non si può intestare in prima persona, ma che deve maturare nel dialogo dei prossimi giorni.
È lo stesso Matteo Salvini a lusingare l’ex ragazzo di Pomigliano, riaprendo la finestra della cosa gialloverde davanti alle miriadi di telecamere e taccuini aperti nello studio alla vetrata del Quirinale, una citazione diretta fatta cadere quasi per caso: “Di Maio ha lavorato bene”.
“La verità  è che Matteo e Di Maio non si parlano più”, spiega un leghista di rango. Ma il tentativo spericolato del Carroccio (certificato in qualche modo da Sergio Mattarella parlando di altre forze politiche che “hanno chiesto ulteriori verifiche”) è quello di riacchiappare per la coda i “fantastici ragazzi di Beppe Grillo”.
Anche mettendo sul piatto la premiership per il ministro del Lavoro. Una mossa che non trova al momento aperture sensibili nella controparte, ma che permette ai grillini di tenere aperto il secondo forno. Un ritorno al futuro, una riedizione del film hardboiled già  proiettato nel 2018. Con interpreti che si invertono i ruoli, con un minutaggio minore, ma con una sostanza pressochè immutata
Ma il nodo Conte non è l’unico groviglio che rende complicato districare la matassa.
A metà  giornata escono le tre vere condizioni che Zingaretti (sostenuto da Paolo Gentiloni), porrebbe al Movimento sulla strada di un accordo: la cancellazione dei due decreti sicurezza, la definizione dei contenuti della manovra prima che il governo si insedi, l’impossibilità  del taglio dei parlamentari senza una serie di pesi e contrappesi a partire dalla ridefinizione della legge elettorale.
Soprattutto la conferma da sherpa renziani che questa sia la vera mossa d’ingresso del segretario Pd fa infuriare Di Maio: “A che gioco sta giocando?”. È in quel momento che scatta la consapevolezza, la prova provata, che i 5 stelle stanno trattando con due partiti uniti, ma diversi. È lì che si tira il freno a mano.
Di Maio calibra con i suoi il messaggio dei dieci punti da diffondere dopo il colloquio a Mattarella, al quale ribadisce la disponibilità  a trattare con il Pd ma non a tutti i costi. In campo c’è ancora Conte, che i 5 stelle al momento non vedono come Commissario europeo, soprattutto dopo aver capito che l’altolà  di Zingaretti è funzionale anche a mettere in difficoltà  il capo politico.
Venerdì le delegazioni dei due partiti si incontreranno. I capigruppo Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli comporranno quella stellata. Di Maio al momento rimane al coperto. “Incontreranno i capigruppo del Pd”, spiegano dal M5s. Prima di accorgersi che nel programma c’è un bug: Andrea Marcucci e Graziano Delrio sono entrambi vicini a Matteo Renzi. Ecco che nel panel compaiono anche i vicesegretari Andrea Orlando e Paola De Micheli, cortocircuito sventato.
Siamo solo all’inizio.

(da “Huffingtonpost”)

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LA GIORNATA DEI DUE PD: DIVISI ALLA TRATTATIVA CON M5S

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

ZINGARETTI PER UN PREMIER “TERZO”, A RENZI VA BENE PERSINO DI MAIO PUR DI NON ANDARE A VOTARE.. CONTE NON VUOLE FARE IL COMMISSARIO UE E IL PD VORREBBE GENTILONI

Inizia come la giornata dei due Pd. E finisce nello stesso modo.
Quando a sera Sergio Mattarella concede tempo per le trattative per la formazione di un governo, tutto il Pd tira un respiro di sollievo.
Si aspettavano il patatrac già  oggi, con lo scioglimento delle Camere visto che, dopo il colloquio al Colle, Luigi Di Maio non ha citato esplicitamente il Pd nella sua lista di ‘buoni propositi’.
Alla fine è andata meglio: nuovo giro di consultazioni martedì. “Dalle proposte e dai principi da noi illustrati al Capo dello Stato e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare”, commenta il segretario Nicola Zingaretti. Ma al Nazareno non torna il sereno. Il partito andrà  alla trattativa con i cinquestelle, ma ci andrà  diviso: con mille sospetti tra l’una e l’altra parte, tra il segretario Zingaretti e l’ex segretario Matteo Renzi, per usare una semplificazione.
Il nodo è il premier. Zingaretti punta a una figura condivisa, si parla molto dell’ex capo dell’autorità  anti-corruzione Raffaele Cantone, ma anche di Enrico Giovannini, presidente dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile.
A Renzi va bene tutto, purchè si faccia un governo e farà  pesare questa sua posizione nei prossimi giorni: gli serve tempo per organizzare il suo partito, non è un mistero. Soprattutto vuole intestarsi la trattativa. Tanto che fin dal giorno delle dimissioni di Giuseppe Conte in Senato, i renziani si dicevano disponibili ad un Conte bis. E proprio oggi, all’indomani del no di Zingaretti ad un bis del premier dimissionario, ecco Renzi che dice l’opposto: ok Conte. Lampi e tuoni sul Nazareno.
Il presidente Paolo Gentiloni, fedelissimo di Zingaretti e ormai avversario interno per i renziani, lascia trapelare i tre punti programmatici messi in una maniera molto ostile ai cinquestelle: abolizione totale dei due decreti sicurezza, accordo di massima prima della formazione del governo sulla manovra economica, no al taglio dei parlamentari come è stato votato finora. Boom. La trattativa si incaglia, gelo allo stato maggiore pentastellato.
Per tutto il giorno si teme il peggio. Soprattutto quando dopo il colloquio con Mattarella, parlando nella Loggia d’onore del Quirinale, Di Maio insiste sui punti programmatici a partire dal taglio dei parlamentari “entro la legislatura”, critica Matteo Salvini e la “apertura unilaterale della crisi”, ma non nomina il Pd come interlocutore per formare un governo. Al Nazareno ci restano di sasso. I renziani sbiancano. Tutti si dispongono “con apprensione” ad aspettare le conclusioni di Mattarella in serata.
Alla fine “benino”, dicono dal Pd, dopo che il presidente decide di non trarre conclusioni oggi ma di ridare appuntamento a martedì, scadenza però perentoria, il capo dello Stato chiede “decisioni chiare e in tempo breve: lo richiede il ruolo dell’Italia nell’avvio della nuova legislatura europea, lo chiedono le incertezze politiche ed economiche”. E’ un “benino” che tradisce nervosismo, preoccupazione, consapevolezza che nel Pd girano veleni e che da Renzi c’è da aspettarsi di tutto.
Al Nazareno non stanno tranquilli. E non lo sono nemmeno i renziani. Temono che il M5s ora chieda la premiership per Di Maio, una volta uscito di scena Conte che, apprende Huffpost, non è interessato nemmeno a fare il commissario europeo. Se succedesse, la trattativa sul premier si potrebbe bloccare dal lato zingarettiano. Il rischio di imboscate dei ‘falchi’ dell’una e dell’altra parte nel Pd è alto. Zingaretti era comunque partito dalla richiesta di voto anticipato. Adesso spera di trovarsi di fronte un Movimento disponibile a ragionare su un premier terzo.
Nei prossimi giorni verranno organizzati tavoli tematici tra i capigruppo, i vicesegretari. E’ previsto anche un incontro tra Zingaretti e Di Maio, ma nessun appuntamento fissato per ora.
Nel frattempo Conte sarà  al G7 a Biarritz in Francia, consapevole di essere fuori scena e dispostissimo a lasciarla, per ora. Tanto che — appunto — non è interessato a essere nominato commissario europeo.
Piuttosto se non nasce un governo Pd-M5s in tempo utile per la nomina (scadenza il 26 agosto, anche se Ursula von der Leyen potrebbe concedere qualche giorno in più all’Italia data la crisi di governo), il commissario potrebbe essere nominato da Conte di concerto con Mattarella. In questo caso sarebbe una figura neutra, tipo il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi o meglio una donna (così chiederebbe la nuova presidente della Commissione Ue), ma di caratura non politica.
In quanto — e questa è l’altra grana con cui nasce il nuovo governo — il M5s non è interessato a nominare un suo rappresentante in Commissione. Meglio tenersi le mani libere per attaccare sulla manovra, se sarà  necessario. Stile Salvini insomma.
Zingaretti invece vorrebbe mandarci Paolo Gentiloni a rappresentare l’Italia a Palazzo Berlaymont. Tutto dipende dalle trattative dei prossimi 4 giorni tra i due Pd e un Movimento cinquestelle che pure non gode di unità  interna, anzi.

(da “Huffingtonpost”)

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BARILLARI (M5S) ATTACCA LA NUTELLA E TWITTER NON PERDONA: “LA FERRERO NON HA MAI LICENZIATO NESSUNO”

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

COME SI PUO’ RACCONTARE LA BALLA CHE LA FERRERO AD ALBA PAGA I LAVORATORI 15 EURO AL GIORNO?… QUALCUNO GLI RICORDA CENTINAIA DI OPERAI IN LACRIME AL FUNERALE DEL FONDATORE

Il consigliere regionale del Lazio Davide Barillari (M5S) attacca via Twitter la Ferrero, sostenendo che “condanna i lavoratori alla fame”, e sui social infuria da due giorni la polemica con numerosi internauti che prendono le difese dell’azienda dolciaria piemontese. “Nutella, buona. Poi – è il messaggio lasciato dall’esponente politico pentastellato – scopri che il fatturato della Ferrero è di 10,7 miliardi e condanna i lavoratori alla fame (15 euro al giorno di paga). Io non compro più nessun prodotto che calpesta i diritti dei lavoratori! #consumocritico #boicottaggio #responsabilitasociale”.
“Lei lo sa – è la risposta critica di una donna – che dalla Ferrero non è non è mai stato licenziato un lavoratore? Lei lo sa che in Piemonte intere famiglie hanno noccioleti per Ferrero?”. C’è chi ricorda che “ai funerali di Ferrero (fondatore) c’erano tutti gli operai in lacrime”, chi invita il consigliere a dare maggiori chiarimenti, chi osserva che l’azienda “ha un welfare da fare invidia” tanto è vero che “in caso di decesso di un lavoratore che lascia minori si occupa di pagare gli studi fino al loro completamento”. E c’è chi fa presente che, in base a un rapido calcolo, secondo il post di Barillari gli operai della Ferrero prenderebbero solo “300 euro al mese”.
Nelle sue repliche alle osservazioni degli internauti, Barillari ha spiegato di avere fatto riferimento a un dossier pubblicato il 19 agosto dal quotidiano Il Fatto intitolato “Nutella amara: fatturato vola, lavoratori turchi affamati”.
Quacuno gli spieghi che gli stipendi medi turchi sono diversi da quelli italiani e che la Ferrero in Italia paga gli operai secondo i contratti in vigore.

(da agenzie)

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“NEGRO DI MERDA”: SCRITTA RAZZISTA SULL’AUTO DI UN MEDICO DELLA CROCE ROSSA

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

VITTIMA UN DOTTORE DI 30 ANNI ORIGINARIO DEL CAMERUN

Un medico della Croce Rossa italiana (Cri) ieri sera è stato vittima a Roma di una aggressione a sfondo razzista.
A raccontare la dinamica dell’accaduto all’Adnkronos è proprio la Cri. Ieri sera Andi Nganso, un medico 30enne originario del Camerun impiegato nell’Area salute del comitato nazionale della Cri era andato a cena fuori e aveva parcheggiato al sua auto personale al Pigneto.
Terminata la cena il medico è tornato alla macchina e ha trovato la frase incisa forse con una chiave sul cofano. Sull’auto era ben visibile l’adesivo della Croce Rossa sul parabrezza. Il 30enne ha subito sporto denuncia.
“Non bastavano gli insulti al volontario di Loano – dice Francesco Rocca il presidente nazionale Croce Rossa – ieri notte un nuovo episodio esecrabile a Roma. È ora di fermare questo clima di razzismo, odio e intolleranza che sta crescendo nel nostro paese. Ribadiamo con forza e passione che ‘Siamo tutti fratelli e tutti con Andi”.
Nel gennaio di un anno fa mentre era in servizio nell’ambulatorio della Guardia medica di Cantù, in Lombardia, subì un’altra offesa: una donna rifiutò di farsi assistere da lui, perchè di colore. Lui rispose ironicamente sui social: “Ti ringrazio. Ho un quarto d’ora in più per bere un caffè”

(da “Huffingtonpost”)

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LA DENUNCIA DE SINDACO DI LAMPEDUSA: “NELL’HOTSPOT ABBIAMO 200 MIGRANTI, IL DOPPIO DI QUELLI AUTORIZZATI E NON RICEVIAMO UN EURO DA ROMA”

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

“CONTINUIAMO AD ACCOGLIERE NAUFRAGHI TRA DIFFICOLTA’ E MINACCE”… “LA VIKING SBARCHI IN UN ALTRO PORTO SICILIANO”

Lampedusa non ce la fa più. il centro di accoglienza è stracolmo, ci sono duecento migranti, la maggior parte arrivati da soli,   per una capacità  di 96 posti.
Difficilmente quindi l’isola potrà    accogliere i 365 migranti della nave Ocean Viking di Sos Mèditerranèe e Medici senza frontiere
A dirlo a chiare lettere il sindaco di Lampedusa Salvatore Martello:”Il   centro di accoglienza è saturo e la Ocean Viking è più vicina alla costa siciliana che alla nostra isola, non sarebbe logico per lui tornare qui,   ma non possiamo mai dire è finita, non diamo più accoglienza a nessuno. A Lampedusa gestiamo questa situazione come marinai, come pescatori. Se qualcuno o una barca devono essere salvati, può attraccare. Se c’è un problema legale, di responsabilità  penale, lo giudicheremo sul campo. Ma se qualcuno a Roma ritiene che dobbiamo affrontare soli il problema migranti …”.
“Sono andato su Open Arms, avevamo un equipaggio e passeggeri in mare che avevano bisogno di aiuto e nessuno si decideva. Non possiamo sottoporre le persone a capricci legali. Mollte persone in Italia sono convinte che, a fronte di questi casi di alto profilo, i naufragi si siano fermati. Hanno torto!”.
Alla domanda   su quale sia il modo in cui l’isola vive l’arrivo dei migranti Martello risponde: “Ci sono persone in Italia che affermano che si stanno facendo soldi sulle spalle dei migranti. Sono bugiardi, affabulatori che dovrebbero essere giudicati. Non abbiamo ricevuto un euro. Questa situazione ha conseguenze economiche, in particolare sull’immagine della nostra isola. Ci sono anche barche abbandonate che ostacolano la navigazione e l’attività  dei pescatori”, prosegue il sindaco, “Lo Stato italiano dovrebbe avere il coraggio di riconoscere l’impegno degli abitanti di Lampedusa.

(da agenzie)

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NON CE NE FREGA NULLA DELLA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI, CI INTERESSA CHE LAVORINO PER AUMENTARE IL BENESSERE DEGLI ITALIANI

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

BASTA DEMAGOGIA PER ACCONTENTARE QUATTRO ELETTORI IGNORANTI: SE SI AVVIA LA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI BISOGNA CAMBIARE IL SISTEMA ELETTORALE… E CI VUOLE ALMENO UN ANNO PER   POI ANDARE IN VIGORE TRA TRE ANNI, NON SUBITO

Non se ne puo’ più con questa demagogia di “ridurre i parlamentari” per accontentare un certo elettorato ignorante che non capisce di essere preso per il culo.
1) Ridurre i parlamentari comporta cambiare la legge elettorale, tornare al proporzionale e ridisegnare l’intero sistema: non lo dico io, lo sanno tutti i costituzionalisti, i media e gli addetti ai lavori, partiti compresi.
2) I tempi non sono inferiori a un anno (risse tra partiti permettendo) e andrebbe in vigore se va bene fra tre anni, altro che “subito” come vogliono farvi credere
3) Il problema non è avere meno parlamentari, è la “qualità ” del lavoro che producono.
Facciamo un esempio: se uno gestisce un’azienda e vuole aumentare l’utile non pensa a ridurre i lavoratori ma cerca di assumere manager di livello in grado di aumentare la clientela, affermarsi su nuovi mercati, investire in ricerca e arrivare a raddoppiare il fatturato.
Tradotto: se questo manager ti porta un milione di euro in più di utile non me ne frega una mazza se lo devo pagare 10.000 euro al mese, conta la qualità  del suo lavoro.
Lo stesso vale per i parlamentari: se facessero uscire l’Italia dalla merda in cui siamo precipitati (morale ed economica) facendo trovare lavoro a un milione di giovani, risanando il deficit pubblico, aiutando le aziende, aumentando il Pil del Paese, NON ME FREGA NULLA CHE SIANO 900, 600 o 1200.
4) Il problema non è ridurre il numero per accontentare i beoni, ma aumentarne LA QUALITA’ e PAGARLI IN BASE ALLA PRESENZA.
Spieghiamo meglio: ci sono centinaia di parlamentari e ministri che in aula marcano spesso visita, alcuni molto noti.
E allora si stabilisca che dallo stipendio fisso si detragga per ogni assenza una cifra ben più alta dell’attuale, basta con le “in missione” come giustificazione farlocca per andare a fare comizi o i cazzi propri.
Chi non raggiunge il 90% delle presenze non può riprensentarsi, tanto per fare un esempio percorribile e chi non lavora non prende un euro a fine mese, come i comuni mortali.
E basta con la menata di dimezzare gli stipendi: SE VUOI LA QUALITA’ DEVI PAGARLA, non puoi pensare che un manager o un professionista di livello venga in Parlamento per guadagnare un terzo di quello che incassa attualmente.
Se riduci il Parlamento a uno stipendificio per sfigati senza arte nè parte non lamentarti se non capiscono una mazza e non aiutano l’Italia a uscire dal precipizio.

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UN MATTARELLA GIUSTAMENTE SECCATO CONCEDE TEMPO SOLO FINO A MARTEDI’ AL TEATRINO DELLA POLITICA

Agosto 22nd, 2019 Riccardo Fucile

DI MAIO GIOCA SU DUE TAVOLI PER MANTENERE LA SUA POLTRONA… PEGGIO DELLA PRIMA REPUBBLICA: SALVINI ACCATTONE PROMETTE A DI MAIO DI FARE IL PREMIER PUR DI EVITARE LA GALERA,   MENTRE DI MAIO, NONOSTANTE L’INDICAZIONE DEL 90% DEI PARLAMENTARI   (E GRILLO) DI TRATTARE SOLO CON IL PD,   CONTINUA A PARLARE SOLO DELLA CAZZATA DELLA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella concede ai partiti i tempi supplementari. Avranno tempo fino a martedì per esplorare la possibilità  di formare un governo capace di ottenere la fiducia in Parlamento “in base ad accordi politici su un programma per governare il Paese”. Il capo dello Stato ha fissato nuove consultazioni per martedì prossimo.
Mattarella non chiama per nome le singole forze politiche, ma dà  conto, da un lato, di “iniziative” da parte di “alcuni partiti” per un’intesa di governo; “del resto – aggiunge –   anche da parte di altre forze politiche è stata rappresentata la possibilità  di ulteriori verifiche”.
“Nel corso delle consultazioni appena concluse mi è stato comunicato da parte di alcuni partiti politici che sono state avviate iniziative per un’intesa, in Parlamento, per un nuovo governo e mi è stata avanzata la richiesta di avere il tempo di sviluppare questo confronto”. Non solo. “Anche da parte di altre forze politiche – aggiunge Mattarella – è stata rappresentata la possibilità  di ulteriori verifiche”.
Servono “decisioni chiare e sollecite”. “Svolgerò nuove consultazioni che inizieranno nella giornata di martedì prossimo per trarre le conclusioni e assumere le decisioni necessarie”.
â€³È possibile solo un governo che ottiene la fiducia del Parlamento in base ad accordi politici su un programma per governare il paese. In mancanza di queste condizioni la strada è quella di nuove elezioni”. Quella delle elezioni è una “strada da non assumere alla leggera dopo solo un anno di legislatura”. Questo si renderà  “necessario qualora il Parlamento non sia in grado di esprimere una maggioranza di governo”.
Le reazioni
“Vi chiediamo mandato di incontrare la delegazione del Pd per parlare del primo punto, il taglio dei parlamentari, sul quale chiederemo chiarezza”. Lo ha detto il capogruppo M5s, Stefano Patuanelli, all’assemblea dei gruppi.
L’assemblea dei gruppi M5s ha dato mandato per acclamazione al capo politico Luigi Di Maio e ai capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva a incontrare la delegazione del Pd.
“Alle proposte e dai principi da noi illustrati al Capo dello Stato e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio, emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare”, lo ha detto il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, aprendo di fatto ad un possibile accordo con il Movimento 5 Stelle.

(da agenzie)

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