Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
“E’ UN ASSASSINIO DI STATO COMPIUTO IN TEMPO DI PACE CHE VIOLA OGNI LEGGE INTERNAZIONALE”
L’assassinio del generale iraniano è un atto che viola ogni trattato o legge internazionale, il più grave assassinio di stato compiuto dagli Usa in tempo di pace
È vero che in questi tempi si sta sgretolando tutto il sistema di rapporti e di equilibri che ha retto il mondo negli ultimi decenni, ma non possiamo per questo considerare normale e accettabile quel che accettabile non è.
Gli Stati Uniti, non dobbiamo mai dimenticarlo, hanno avuto un ruolo decisivo per schiacciare il nazismo e i suoi alleati, e portare la libertà nel nostro continente, e poi preservarla sotto l’ombrello della Nato dalla minaccia sovietica.
È grazie al rapporto tra Europa e Stati Uniti che la democrazia rappresentativa si è imposta nel mondo come modello di partecipazione e di organizzazione delle nazioni.
Ma proprio per tutto questo non si può passare quel che sta succedendo come il pugno liberatorio di chi troppo a lungo è stato provocato.
L’omicidio del Generale Soleimani, la figura più importante in Iran dopo l’Ayatollah Khamenei, è il più grave assassinio di stato compiuto dagli Usa in tempo di pace, e non per modo di dire: uccidere il comandante generale di uno stato sovrano, e per di più mentre si trova in un altro stato sovrano, è un atto che viola ogni trattato o legge internazionale.
L’ultima volta che gli Stati Uniti uccisero un capo militare di un’altra nazione in un paese straniero- come ricorda il New York Times — fu durante la Seconda guerra mondiale, quando decisero di abbattere l’aereo su cui volava l’ammiraglio giapponese Isoroku Yamamoto.
È certo possibile, anzi è provato, che Soleimani fosse il burattinaio di tanti gruppi militari sulla scena mediorientale, che ci sia la sua mano dietro a azioni sanguinose, che in un mondo ideale figure come la sua sarebbero messe sotto processo.
Ma gli Stati Uniti non sono lo sceriffo del mondo, e se su questo pianeta ricominciasse a farsi strada la legge del più forte sarebbe proprio la democrazia la prima delle vittime.
L’omicidio di Soleimani è avvenuto in Iraq, il paese diventato di fatto un satellite dell’Iran dopo la guerra di invasione americana (e britannica) del 2003, motivata dall’accusa secondo cui il regime di Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa.
Quell’accusa, portata in consiglio di sicurezza dell’Onu dall’allora segretario di Stato americano Colin Powell, era costruita ad arte.
Gli atti di guerra fabbricati su misura non solo sono illegali, ma provocano sempre effetti contrari a quelli cercati.
Tolsero l’Iraq a Saddam per regalarlo a Teheran: sedici anni dopo, a cosa porterà l’operazione Soleimani?
Enrico Mentana
(da Open)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
COSA ASPETTA IL GOVERNO A ORDINARE IL RIENTRO DEI NOSTRI MILITARI?
Il parlamento iracheno ha votato a favore della risoluzione che chiede al governo di Bagdad
di far ritirare dal paese i soldati della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, presente in territorio iracheno all’indomani della guerra del 2003.
È la prima diretta conseguenza dell’operazione Soleimani, l’uccisione da parte di un drone Usa del generale iraniano. Il provvedimento riguarda anche i militari italiani.
n questo momento sono dispiegati in Iraq: un contingente di carabinieri a Bagdad, con compiti di addestramento; il contingente di truppe speciali, la Task Force 44, concentrato soprattutto nella zona settentrionale di Kirkuk; il gruppi degli addestratori a Erbil, nel Kurdistan.
In tutto sono presenti in Iraq 926 militari italiani.
(da agenzie)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
IL FERETRO ACCOLTO DA UNA MAREA UMANA, CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PERSONE AL GRIDO DI “MORTE ALL’AMERICA”
Sono iniziati ad Ahvaz, città nella provincia del Khuzestan in Iran, i tre giorni di lutto nazionali per la morte del generale Qassem Soleimani, ucciso venerdì scorso a Bagdad in Iraq da un raid americano. Con la salma del comandante delle forze speciali Al Quds, c’è anche quella del vice comandante della milizia filo-iraniana, l’iracheno Hashd al-Shaabi.
La processione funebre in loro onore è partita dall’aeroporto della cittadina iraniana. Una marea umana segue la processione funebre con bandiere, striscioni, foto e intonando canti sciiti: in piazza ci sono centinaia di migliaia di persone che si battono il petto e gridano: “A morte l’America”.
Il corpo del generale sarà trasportato nella città santa di Mashad nel pomeriggio, a Teheran lunedì mattina e poi a Qom lunedì sera. Soleimani verrà sepolto martedì pomeriggio nella sua città natale, Kerman, secondo le sue volontà .
(da agenzie)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
“CI STUPRANO E CI UCCIDONO”: CRONACA DAL LAGER DI BANI WALID… SOLO DEI GOVERNI CRIMINALI POSSONO AVER RESPINTO IN LIBIA QUESTI PROFUGHI, RICONSEGNANDOLI AI LORO CARNEFICI
Una giovane eritrea appesa a testa in giù urla mentre viene bastonata ripetutamente nella
“black room”, la sala delle torture presente nei centri di detenzione in Libia. Questa è una sequenza di frame del video choc spedito dai suoi aguzzini ai familiari della donna presa a bastonate allo scopo di estorcere soldi per salvare la figlia
È quello che accade a Bani Walid, centro di detenzione informale, in mano alle milizie libiche.
Ma anche nei centri ufficiali di detenzione, dove i detenuti sono sotto la “protezione” delle autorità di Tripoli pagata dall’Ue e dall’Italia: la situazione sta precipitando con cibo scarso, nessuna assistenza medica, corruzione.
In Libia l’Unhcr ha registrato 40mila rifugiati e richiedenti asilo, 6mila dei quali sono rinchiusi nel sistema formato dai 12 centri di detenzione ufficiali, il resto in centri come Bani Walid o in strada.
In tutto, stima il “Global detention project”, vi sarebbero 33 galere. Vi sono anche detenuti soprattutto africani non registrati la cui stima è impossibile.
La vita della ragazza del Corno d’Africa appesa, lo abbiamo scritto sette giorni fa, vale 12.500 dollari. Ma nessuno interviene e continuano le cronache dell’orrore da Bani Walid, unanimente considerato il più crudele luogo di tortura della Libia.
Un altro detenuto eritreo è morto qui negli ultimi giorni per le torture inferte con bastone, coltello e scariche elettriche perchè non poteva pagare. In tutto fanno sei morti in due mesi.
Stavolta non siamo riusciti a conoscere le sue generalità e a dargli almeno dignità nella morte. Quando si apre la connessione con l’inferno vicino a noi, arrivano sullo smartphone con il ronzio di un messaggio foto disumane e disperate richieste di aiuto, parole di angoscia e terrore che in Italia e nella Ue abbiamo ignorato girando la testa o incolpando addirittura le vittime
«Mangiamo un pane al giorno e uno alla sera, beviamo un bicchiere d’acqua sporca a testa. Non ci sono bagni», scrive uno di loro in un inglese stentato. «Fate in fretta, aiutateci, siamo allo stremo», prosegue.
Il gruppo dei 66 prigionieri eritrei che da oltre due mesi è nelle mani dei trafficanti libici si è ridotto a 60 persone stipate nel gruppo di capannoni che formano il mega centro di detenzione in campagna nel quartiere di Tasni al Harbi, alla periferia della città della tribù dei Warfalla, situata nel distretto di Misurata, circa 150 chilometri a sud-est di Tripoli.
Lager di proprietà dei trafficanti, inaccessibile all’Unhcr in un crocevia delle rotte migratorie da sud (Sebha) ed est (Kufra) per raggiungere la costa, dove quasi tutti i migranti in Libia si sono fermati e hanno pagato un riscatto per imbarcarsi.
Lo conferma lo studio sulla politica economica dei centri di detenzione in Libia commissionato dall’Ue e condotto da “Global Initiative against transnational organized crime” con l’unico mezzo per ora disponibile, le testimonianze dei migranti arrivati in Europa.
I sequestratori, ci hanno più volte confermato i rifugiati di Eritrea democratica contattati per primi dai connazionali prigionieri, li hanno comperati dal trafficante eritreo Abuselam “Ferensawi”, il francese, uno dei maggiori mercanti di carne umana in Libia oggi sparito probabilmente in Qatar per godersi i proventi dei suoi crimini.
Bani Walid, in base alle testimonianze raccolte anche dall’avvocato italiano stanziato a Londra Giulia Tranchina, è un grande serbatoio di carne umana proveniente da ogni parte dell’Africa, dove i prigionieri vengono separati per nazionalità .
Il prezzo del riscatto varia per provenienza e sta salendo in vista del conflitto. Gli africani del Corno valgono di più per i trafficanti perchè somali ed eritrei hanno spesso parenti in occidente che sentono molto i vincoli familiari e pagano. Tre mesi fa, i prigionieri eritrei valevano 10mila dollari, oggi 2.500 dollari in più perchè alla borsa della morte la quotazione di chi fugge e viene catturato o di chi prolunga la permanenza per insolvenza e viene più volte rivenduto, sale.
Il pagamento va effettuato via money transfer in Sudan o in Egitto.
Dunque quello che accade in questo bazar di esseri umani è noto alle autorità libiche, ai governi europei e all’Unhcr. Ma nessuno può o vuole fare niente.
Secondo le testimonianze di alcuni prigionieri addirittura i poliziotti libici in divisa entrano in alcune costruzioni a comprare detenuti africani per farli lavorare nei campi o nei cantieri come schiavi.
«Le otto ragazze che sono con noi — prosegue il messaggio inviato dall’inferno da uno dei 60 prigionieri eritrei — vengono picchiate e violentate. Noi non usciamo per lavorare. I carcerieri sono tre e sono libici. Il capo si chiama Hamza, l’altro si chiama Ashetaol e del terzo conosciamo solo il soprannome: Satana».
Da altre testimonianze risulta che il boia sia in realtà egiziano e abbia anche un altro nome, Abdellah. Avrebbe assassinato molti detenuti.
Ma anche nei centri di detenzione pubblici in Libia, la situazione resta perlomeno difficile. Persino nel centro Gdf di Tripoli dell’Acnur per i migranti in fase di ricollocamento gestito dal Ministero dell’Interno libico e dal partner LibAid dove i migranti lasciati liberi da altri centri per le strade della capitale libica a dicembre hanno provato invano a chiedere cibo e rifugio.
Il 31 dicembre l’Associated Press ha denunciato con un’inchiesta che almeno sette milioni di euro stanziati dall’Ue per la sicurezza, sono stati intascati dal capo di una milizia e vice direttore del dipartimento libico per il contrasto all’immigrazione.
Si tratta di Mohammed Kachlaf, boss del famigerato Abd Al-Rahman Al-Milad detto Bija, che avrebbe accompagnato in Italia nel viaggio documentato da Nello Scavo su Avvenire. È finito sulla lista nera dei trafficanti del consiglio di sicurezza Onu che in effetti gli ha congelato i conti.
Ma non è servito a nulla. L’agenzia ha scoperto che metà dei dipendenti di LibAid sono prestanome a libro paga delle milizie e dei 50 dinari (35 dollari) al giorno stanziati dall’Unhcr per forniture di cibo a ciascun migrante, ne venivano spesi solamente 2 dinari mentre i pasti cucinati venìvano redistribuiti tra le guardie o immessi nel mercato nero. Secondo l’inchiesta i danari inoltre venivano erogati a società di subappalto libiche gestite dai miliziani con conti correnti in Tunisia, dove venivano cambiati in valuta locale e riciclati. Una email interna dell’agenzia delle Nazioni Unite rivela come tutti ne fossero al corrente, ma non potessero intervenire. L’Acnur ha detto di aver eliminato dal primo gennaio il sistema dei subappalti.
(da “Avvenire”)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
SANTI CAPPELLANI: “IL MIO E’ SOLO UN INCONVENIENTE TECNICO” (CHE DURA DA UN ANNO)
Ieri la ministra dell’Innovazione Paola Pisano ci ha deliziato con le sue convinzioni ritrattate sulla password di Stato. Oggi si scopre che in effetti questa storia delle password potrebbe avere un ruolo anche nelle rendicontazioni del MoVimento 5 Stelle: il Corriere della Sera infatti spiega che Santi Cappellani, deputato M5S, è in ritardo con le restituzioni perchè — sostiene — ha dimenticato la password:
«Sto per inviare ora una mail all’audit di tirendiconto.it per spiegare che il mio è solo un inconveniente tecnico»: Santi Cappellani, deputato siciliano, prova a raccontare i motivi del suo ritardo (di un anno) nelle rendicontazioni.
«Le restituzioni sono disposto a farle, ma sono tecnicamente impossibilitato», dice. E aggiunge: «Mi sono dimenticato la password, mi era già capitato lo scorso anno e ora non riesco ad accedere alla pagine che servono per caricare i bonifici». Cappellani è uno degli otto «papabili» Cinque Stelle in odore di espulsione.
La riunione del 7 gennaio tra gli organi di garanzia M5S e i capigruppo potrebbe segnare il suo prossimo destino politico. E non solo il suo. I parlamentari si scambiano indiscrezioni e battute sui «super ritardatari».
C’è chi ironizza soprattutto su Nicola Acunzo e suoi impegni: il deputato è indietro di dodici mesi nelle restituzioni, ma ha avuto una piccola parte nel film Netflix «I due Papi».
I Cinque Stelle nel mirino reagiscono a loro modo.
«Non rilascio dichiarazioni», taglia corto Mario Michele Giarrusso.
«Sembra che pagare sia l’unico strumento per avere diritto di parola e, in alcuni casi, ottenere ruoli apicali nel M5S», dichiara caustica Flora Frate, che nei giorni scorsi si era schierata in difesa di Lorenzo Fioramonti.
«Aveva senso parlare di“restituzione” fintanto che i soldi andavano al Bilancio dello Stato, a beneficio della collettività , e non ad un conto corrente privato al quale non abbiamo facoltà di accesso diretto e di cui ignoriamo la movimentazione bancaria», dice la deputata all’Adnkronos. Che commenta: «Sento parlare di espulsione, un tema che trovo francamente stucchevole». E conclude: «Sarò ben lieta di fare la mia parte quando avremo un sistema non più discrezionale».
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
E’ LA DIMOSTRAZIONE CHE AVEVANO RAGIONE GRILLO E CASALEGGIO PADRE QUANDO DICEVANO CHE “E’ FACILE FAR CREDERE A UNA NULLITA’ DI ESSERE QUALCUNO”
teorizzato Casaleggio padre e Beppe Grillo, è facile far credere a una nullità di essere
qualcuno.
Oggi Aldo Grasso sul Corriere della Sera si dedica a Gianluigi Paragone per correggerlo sulla sua definizione di Luigi Di Maio e per ricordarne l’ennesimo voltafaccia:
Glanluigi Paragone ha detto di essere stato espulso dal nulla, nella persona dl Luigi Di Malo: «II nulla sono lui e tutti quegli yes man” che ha intorno. I miracolati della Lotteria Pomigliano». E fin qui, si può anche essere d’accordo.
A volte, però, basta un nonnulla (l’ennesimo voltafaccia del multivago Paragone) perchè il nulla si riveli in tutta la sua tragicità .
Si perchè dal nulla non può nascere nulla (così Lucrezio, nel primo libro dei De rerum natura). Non ci voleva molto per capirlo: fin dalla sua nascita, l’equivoco del M5S si fonda sullo scambio del nulla con la possibilità del tutto.
Anche perchè, come avevano già teorizzato Casaleggio padre e Beppe Grillo, è facile far credere a una nullità di essere qualcuno.
Ma anche tutti i cambi dl casacca di Paragone sono la dimostrazione che nessuno fa niente per niente. II nulla non si misura in lunghezza nè in larghezza, il nulla si misura in profondità : è il tema dell’abisso del «nulla assoluto» che attraversa la storia della filosofia e della teologia.
E anche della nostra politica, che da tempo macina il nulla. Questa storia insegna che Gianluigi Paragone, la «quinta colonna» salviniana dentro la maggioranza, viene dal nulla per ricadere nel nulla. Nel populismo complottista, infatti, il nulla è per sempre.
Ma d’altro canto Paragone è stato espulso dal M5S per non aver votato la fiducia al governo Conte (due volte, ma la prima è stato “perdonato”): per questo non poteva che essere difeso da Alessandro Di Battista.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
SOLO A NOVEMBRE, CON 20 ANNI DI RITARDO, L’ITALIA HA FIRMATO LA CONVENZIONE DI DUBLINO SULL’ESTRADIZIONE
Il governo francese starebbe ultimando le carte per concedere l’estradizione dei 13 terroristi italiani fin qui protetti in Francia dalla “dottrina Mitterrand”.
In altre parole, sta per andare in frantumi quella particolare politica che, a partire dal 1985, ha concesso fino a oggi il diritto di asilo in territorio francese a un buon numero di criminali italiani scappati oltralpe per sfuggire alle maglie della giustizia.
Parigi è pronta a restituire all’Italia diverse persone, alcune delle quali accusate anche di omicidio.
A riferirlo è il quotidiano Le Parisien, citato da Repubblica, che sottolinea come l’atteggiamento delle autorità francesi stia cambiando: il principio dell’impunità in cambio della rinuncia alla lotta armata ideato dall’allora presidente Francois Mitterrand è agli sgoccioli
Cosa è cambiato? L’Italia ha ratificato, con un ritardo di venti anni, la convenzione di Dublino sull’estradizione risalente al 1995. Leggesi che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni, sia di centrodestra che di centrosinistra, non avevano provveduto alla ratifica (l’ultima era stata la Francia nel 2005)
Dunque i ministeri francesi dell’Interno e quello della Giustizia hanno ripreso tra le mani i dossier dei terroristi richiesti da Roma e fin qui rimasti al sicuro in quel di Parigi.
Il testo in questione, entrato in vigore lo scorso novembre, mette sul tavolo una novità sostanziale. La stampa francese spiega infatti che con quel documento “non si applica più nei confronti dei terroristi la legge del Paese che li ospita ma quella del Paese in cui sono stati condannati”.
In questo modo la prescrizione per i reati di terrorismo diventa più lunga, proprio come sancisce la legge italiana. Morale della favola: Parigi non può più rifiutarsi di consegnare al nostro Paese i terroristi condannati
L’elenco dei latitanti è piuttosto corposo. Tra coloro che rischiano l’estradizione troviamo Giorgio Pietrostefani, mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi e condannato a 22 anni di carcere con l’accusa di concorso morale in omicidio, Raffaele Ventura, e Narciso Manenti.
L’unica eccezione dovrebbe essere quella della brigatista Rossa Marina Petrella, condannata nel processo Moro ter e per l’omicidio di un poliziotto. Petrella era stata fermata nel 2007 dagli agenti francesi e la corte d’appello di Versailles aveva disposto la sua estradizione. Mai eseguita a causa dell’aggravarsi dello stato depressivo della donna.
In ogni caso le autorità francesi dovranno tener conto delle complicate situazioni di salute dei latitanti. I quali, ribadiscono i rispettivi legali, hanno ormai chiuso con il passato, si sono perfettamente reinseriti nella società e hanno acquisito il diritto a non scontare la pena in Italia.
La situazione, tuttavia, potrebbe presto cambiare.
(da agenzie)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
I FRANCESCANI: “LO ABBIAMO DATO IN AFFITTO PER LA FESTA DEI BAMBINI NON PER PROPAGANDA ELETTORALE, NON ACCETTIAMO STRUMENTALIZZAZIONI”…. SOLO IN ITALIA UN SINDACATO DI POLIZIA PUO’ INVITARE UN PLURI-INDAGATO COME OSPITE D’ONORE: UN BELL’ESEMPIO DI LEGALITA’
Nella calza della Befana spunta Matteo Salvini. Il Capitano parteciperà alla Befana del
poliziotto che si svolgerà all’Antoniano, promossa dal SAP, sindacato di polizia che aveva fino a poco tempo fa come segretario Gianni Tonelli, poi eletto alla Camera con la Lega.
Il SAP organizza da anni nel teatro dell’Ordine Francescano una festa per i bambini con musica e animazione. E spesso vengono invitati i politici
Quest’anno, mentre si avvicinano le elezioni e Lucia Borgonzoni è candidata alla carica di governatore, tocca al Capitano.
E i frati non sembrano molto contenti: “Non sapevamo che lo avessero invitato, l’organizzazione a noi non compete, il punto è la campagna per le prossime elezioni del 26 gennaio, non possiamo e non vogliamo prendere le parti politiche di nessuno perchè la Chiesa accoglie tutti indistintamente. Salvini l’ha presentata come una tappa del suo tour, l’ha annunciata come tale e per noi questo è un problema. Abbiamo manifestato le nostre perplessità al Sap, la festa è per i bambini, non vogliamo sia strumentalizzata”, sottolinea con il Fatto fra’Giampaolo Cavalli, direttore del l’Antoniano, in tour in Cina con i bambini del Piccolo Coro.
I frati dell’Antoniano non vogliono essere strumentalizzati. Il direttore è in viaggio tra l’Italia e la Cina per la tournèe del Piccolo Coro e fatica a capire bene la situazione. «La prima cosa che abbiamo fatto è prendere i contatti con gli organizzatori per chiedere spiegazioni — ha detto a Repubblica Bologna ieri — stiamo cercando di capire come fare perchè non siamo abituati a dare in affitto il teatro se non per il motivo per cui da 23 anni ce lo chiedono, cioè organizzare la festa della Befana».
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 5th, 2020 Riccardo Fucile
SALVINI HA TENTATO INVANO DI DIMOSTRARE CHE NON DECISE LUI SULLA GREGORETTI, MA TUTTO IL GOVERNO
Oggi Marco Travaglio sul Fatto nota che Matteo Salvini nell’autodifesa che il suo avvocato Giulia Bongiorno ha approntato sulla Gregoretti c’è un nonsochè di Gigi Proietti nello sketch dell’avvocato:
Per tutte e 9 le pagine, il Cazzaro tenta di dimostrare (peraltro invano) che non decise lui, ma Conte e tutto il governo: come se un tizio accusato di omicidio, anzichè negare di averlo commesso e fornire un alibi, si difendesse dicendo che aveva dei complici. Purtroppo non ha trovato una sola frase scritta o detta da Conte o da un ministro che condividesse o anche solo commentasse il blocco della Gregoretti. A parte le sue, pronunciate dalla spiaggia del Papeete, che però si guarda bene dal citare. Per un motivo semplice: Salvini non parlava più con Conte nè con Di Maio e rivendicava l’altolà alla nave militare come una sua decisione esclusiva. Non diceva mai “noi” o “il governo”, ma sempre “io”, per farsi bello con i fan.
“Non darò nessun permesso allo sbarco finchè dall’Europa non arriverà l’i mpegno concreto ad accogliere tutti gli immigrati a bordo della nave. Io non mollo”, “Ho dato disposizione che non venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in Europa di tutti i 140 migranti” (Ansa, 26.7). “Nelle prossime ore darò l’autorizzazione allo sbarco perchè abbiamo la certezza che i migranti non saranno a carico degli italiani”(Ansa, 31.7).
Ora che rischia il processo, ripassa al “noi”. Come Gigi Proietti nello sketch dell’avvocato azzeccagarbugli che esamina la posizione del cliente villico:“Qua se li inculamo noi… qui se li stra-inculamo… qua invece che m’hai combinato? Qui te se inculano. E pure qua te se inculano a te!”.
E l’altro: “Avvoca’, ma quando se li inculamo semo sempre in due e quando lo devo pijà in culo son sempre solo? No, per sapere, che me regolo”.
(da “NextQuotidiano”)
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