Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
COME SE FOSSERO VELENO PER TOPI… COME UN AUTOVELOX PER RESPINGERE I POVERI… ED E’ ANCHE UN ILLECITO IN QUANTO LA REGIONE NON HA ALCUNA COMPETENZA PERCHE’ E’ MATERIA ESSENDO DI COMPETENZA ESCLUSIVA DELLO STATO
Se siete tra quelli che hanno disperatamente sorriso per il muro sul confine del Messico voluto da Trump allora mettetevi comodi, perchè la regione Friuli Venezia Giulia è riuscita a fare di meglio (o di peggio, secondo i punti di vista): l’assessore leghista Pierpaolo Roberti, con delega a Sicurezza e Politiche dell’immigrazione, ha proposte l’installazione di fototrappole (le ha chiamate proprio così, come se fossero veleno per topi) come “soluzione di rapida e semplice attuazione che faciliterebbe in maniera rilevante il lavoro degli agenti di pattuglia sui confini”.
Spiega Roberti che il software delle telecamere potrebbe rilevare le presenza umane e trasmettere i dati alle forze dell’ordine che potrebbero così aumentare il numero di respingimenti verso la Slovenia.
Una sorta di autovelox dedicato agli uomini (più precisamente ai disperati) che nelle idee del governo friulano permetterebbe di risolvere lo stesso problema che l’Italia e l’Europa non sono riuscite a dirimere in tutti questi anni.
Ciò che conta però è tenere sempre alto il livello di propaganda, anche con progetti irrealizzabili, per sembrare impegnati in una lotta senza quartiere, e l’idea dell’assessore leghista risulta perfetta anche nella disumanizzazione dei migranti (trattati come selvaggina da localizzare) e il tifo trova benzina per infiammarsi.
Non è solo una questione di irrealizzabilità tecnica (servirebbero milioni di telecamere per controllare tutto il territorio, in una nazione in cui mancano i fondi già solo per le Forze dell’Ordine) ma la proposta dell’assessore è anche assolutamente illegittima.
Come fa notare il Consorzio Italiano di Solidarietà che, assieme alla Caritas, gestisce a Trieste l’accoglienza diffusa degli immigrati richiedenti asilo) “ai sensi del nostro ordinamento costituzionale (artt. 117 e 118 Cost.) la Regione non ha alcuna competenza in materia di controlli di frontiera e regolazione delle dinamiche migratorie trattandosi quest’ultima di una competenza esclusiva dello Stato.
La ripartizione di competenza — continua la nota di Ics — vale ovviamente anche sul piano finanziario: la Regione, con i fondi dei cittadini, non può nè acquistare, ne posizionare, nè gestire neppure indirettamente alcun sistema di rilevazione e controllo lungo la linea confinaria”.
Quindi? Quindi per qualche giorno si parlerà come al solito del nulla. Però volete mettere quanto sia divertente aizzare la propaganda e contemporaneamente fomentare la distrazione? Funziona proprio così.
(da Globalist)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
PER LA POLIZIA E’ LA SOLITA MATRICE RAZZIALE DEI GRUPPI NEONAZISTI… IL GOVERNO E’ ANCORA IN GRADO DI TUTELARE I PROPRI AMMINISTRATORI? SCOPPIA LA POLEMICA… QUESTI NON HANNO ANCORA CAPITO DOVE SI STA ANDANDO
Ancora una volta. Ancora ad Halle. Nella città della Sassonia Anhalt sono stati rinvenuti
due fori di proiettile sul vetro dell’ufficio del deputato della Spd di origine senegalese, Karamba Diaby.
La polizia sta indagando sull’accaduto, ma, sebbene l’evento non abbia ancora dei colpevoli, si ipotizza la matrice razziale. L’attacco segue quello dello scorso ottobre, quando Stephan Balliet, neonazista tedesco, nel giorno dello Yom Kippur aveva prima cercato di fare irruzione nella sinagoga della città uccidendo due persone con un’arma da fuoco.
Non è la prima volta che il parlamentare viene intimidito, già nel 2015 le finestre dell’ufficio erano state distrutte.
Immediata la presa di posizione di Diaby, “non mi farò certo intimidire, queste persone non ci riusciranno”, e il supporto da parte di Saskia Esken, co-leader del Partito Socialdemocratico che ha definito l’atto come “un attacco al cuore della democrazia”. Numerosi altri politici Spd, tra cui il ministro degli Esteri Heiko Maas, hanno assicurato a Diaby il proprio sostegno e hanno condannato l’atto: “Continueremo a stare al tuo fianco per una democrazia libera, tollerante e diversificata”, ha twittato Maas.
L’atto non è certo un caso isolato. Infatti, secondo un rapporto del Ministero dell’interno tedesco, i crimini d’odio nel 2019 contro i politici ammontano a 1.241, molti dei quali con una matrice di estrema destra.
Secondo un sondaggio per il canale Report Mà¼nchen il 40% degli amministratori locali avrebbe ricevuto minacce o intimidazioni, mentre l’8% avrebbe ricevuto aggressioni fisiche.
Tra i casi più eclatanti quello della sindaca di Colonia, Henriette Heker, che, cinque anni fa, venne accoltellata da un estremista di destra. Lo scorso giugno, invece, Walter Là¼bcke, ex presidente del distretto di Kassel, venne ucciso con un colpo di arma da fuoco mentre era sul terrazzo di casa sua. Anche in questo caso venne arrestato un estremista di destra. È recente il caso di Andreas Hollstein, sindaco di Altena favorevole all’accoglienza dei profughi che si è ritrovato un coltello alla gola.
Martina Angermann, ex sindaco di Arnsdorf in Sassonia, aveva condannato l’attacco di quattro uomini a un rifugiato malato di mente.
A novembre, ha chiesto il pensionamento anticipato in seguito a minacce da parte dell’estrema destra. Il sindaco di Kamp-Lintfort nel Basso Reno, Christoph Landscheidt, aveva richiesto il porto d’armi dopo aver ricevuto minacce da estremisti di destra.
La richiesta ha scatenato un dibattito sulla protezione dei politici. Alla luce dei crescenti attacchi agli amministratori locali, la presidente della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer, si è appellata alle autorità per una maggiore protezione, ma rifiutandosi tassativamente di armare i politici.
Il dibattito sul tema è tornato ad essere così forte che addirittura il quotidiano Bild si chiede se, alla luce degli eventi, il governo federale sia ancora in grado di proteggere i propri amministratori.
(da agenzie)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
IL GIUSTO INTERVENTO DEL MINISTRO AZZOLINA E DEL PRESIDENTE DEI PRESIDI
La scuola di via Trionfale, sul proprio sito web, presenta una descrizione a dir poco raccapricciante del suo istituto.
Essendo formato da quattro plessi, alla voce presentazione, chi ha curato il portale ufficiale della scuola ha tenuto a sottolineare quanto segue, suscitando il disappunto del ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina:
«La sede di via Trionfale e il plesso di via Taverna accolgono, infatti, alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto, mentre il Plesso di via Assarotti, situato nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana; il plesso di via Vallombrosa, sulla via Cortina d’Ampezzo, accoglie, invece, prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell’alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)».
«La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione — ha scritto in un tweet la nuova titolare del dicastero di Viale Trastevere -. Descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. Mi auguro che l’istituto romano di cui ci racconta oggi Leggo possa dare motivate ragioni di questa scelta. Che comunque non condivido».
Anche il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Peppe De Cristofaro ha avuto modo di commentare la vicenda: «Sono davvero sconcertato che nel 2020 una scuola pubblica possa presentarsi sul proprio sito internet distinguendo i propri plessi in base al rango socio-economico dei propri alunni andando contro ogni valore espresso dalla nostra Costituzione. Sto già intervenendo per richiederne l’immediata rimozione dal sito web».
Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente dell’associazione presidi italiani della sezione del Lazio, Mario Rusconi: «La scuola non può evidenziare eventuali differenziazioni socio-culturali degli alunni iscritti poichè, tra l’altro, oltre a dare una cattiva rappresentazione di se stessa agli occhi di chi legge corre anche il rischio di originare idee o forme classiste».
(da agenzie)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
EFFICIENZA LAMORGESE: “ACCORDO PER LA RIDISTRIBUZIONE IMMEDIATA IN ALTRI QUATTRO PAESI EUROPEI”
La Sea Watch 3 a Taranto, la Open Arms a Messina. Hanno un «pos», un porto sicuro in cui
potere far sbarcare i migranti, le due navi Ong che la scorsa settimana hanno recuperato 237 migranti in acque internazionali davanti alla Libia.
Le due navi erano in attesa da giorni del «pos» ed è arrivata la comunicazione ufficiale del Viminale, accompagnata dalla precisazione che «Francia, Germania, Portogallo e Irlanda hanno già dato la loro disponibilità ad accogliere i richiedenti asilo a bordo», sulla base della procedura di redistribuzione dei migranti a livello europeo avviata dalla Commissione Ue anche sulla scorta del pre-accordo di Malta dello scorso autunno.
La Sea Watch 3, nave della omonima Ong tedesca, ha a bordo 119 persone recuperate in poche ore in tre diversi interventi, giovedì della scorsa settimana.
La Open Arms, della omonima Ong catalana, ne ha salvati 118 con due interventi avvenuti venerdì scorso.
Molte le donne e i bambini a bordo delle due navi che in questi giorni hanno dovuto affrontare forte maltempo, perfino una violenta grandinata, e mare molto mosso. «Speriamo di arrivare presto a un meccanismo automatico di sbarco e redistribuzione – dice il fondatore della Ong spagnola, Oscar Camps – senza gli sporchi accordi con la Libia
I migranti raccontano tutti i mesi, a volte anni, di privazioni, stenti e violenze in Libia in attesa di poter partire.
Negli stessi giorni della scorsa settimana, in qualche caso nelle stesse ore, nelle quali i soccorritori delle due Ong recuperavano i 237 migranti, nel mare davanti alla Libia – e in alcuni casi anche davanti agli stessi occhi degli equipaggi delle navi Ong – in centinaia venivano riportati indietro dalla Guardia costiera libica, anche con la forza. L’Oim, l’organizzazione dell’Onu per le migrazioni che assiste i migranti sui moli dei porti libici, stima nei primi giorni dell’anno il rientro nel paese africano in guerra di quasi mille persone, la maggior parte a Tripoli: 953, tra cui 136 donne e 85 bambini: «Quasi tutti sono stati ricondotti in Libia dalla guardia costiera libica e solo un ritorno con 60 persone è stato operato da una nave commerciale», ha detto un portavoce dell’Oim a Ginevra. I 60 avevano anche tentato di opporsi allo sbarco, inutilmente. Negli stessi giorni, la Guardia costiera libica ha recuperato – dice sempre l’Oim – i corpi di 23 migranti: «L’attuale improvviso aumento delle partenze è particolarmente allarmante, data la capacità molto limitata di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo».
L’unica nave umanitaria rimasta davanti alle coste africane è la Ocean Viking di Sos Mediterranee e Medici senza frontiere, attualmente tra la Tunisia e Lampedusa.
(da agenzie)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
ORA DICE CHE SE DOVESSE PERDERE RIMARREBBE IN REGIONE E RINUNCEREBBE AL SENATO (SE VINCESSE DOVREBBE FARLO IN OGNI CASO): MA ALLORA PERCHE’ NON SI DIMETTE PRIMA?
Lucia Borgonzoni si sente vicina al traguardo, mancano pochi giorni all’appuntamento per le elezioni regionali in Emilia-Romagna. Dalle urne potrebbe uscire una storica vittoria per la Lega, che conquisterebbe per la prima volta la storica “regione rossa”.
Per vincere però bisogna fare delle promesse che convincano gli elettori. E la maggior parte di quelle fatte dalla Borgonzoni, dagli ospedali aperti anche di notte, al fondo per le vittime di violenza passando per la legge sui carnevali, sono già realtà .
Qualche settimana fa la Borgonzoni, a cui piace giocare al gioco “quando vinco farò questo e quello”, ha addirittura proposto un referendum sull’Autonomia differenziata. Dimenticando o ignorando che l’Emilia-Romagna ha già chiesto l’autonomia, e senza dover sprecare i soldi dei contribuenti come hanno fatto Veneto e Lombardia.
Ieri a Carta Bianca ne ha fatta una meno impegnativa (per lei). Ha promesso che qualora dovesse perdere le elezioni si dimetterebbe da senatrice per continuare a fare il capo dell’opposizione in Consiglio Regionale.
La Borgonzoni non ha alcun obbligo di farlo, tant’è che attualmente è sia senatrice che consigliere comunale d’opposizione a Bologna.
Mentre invece qualora vincesse dovrebbe dimettersi dal Senato per incompatibilità , esattamente come hanno fatto i vari Solinas, Tesei e Marsilio dopo essere stati eletti presidenti delle rispettive regioni.
Stando alla promessa di Borgonzoni quindi, che vinca o che perda le elezioni, lascerà Palazzo Madama.
Non si capisce quindi come mai — visto che i due soli esiti possibili delle regionali sono quelli — la Borgonzoni non si sia dimessa già oggi dal Senato. Tanto dovrebbe farlo in ogni caso.
C’è però un precedente. Nel 2016 la Borgonzoni si candidò a sindaco di Bologna perdendo le elezioni ma venendo eletta in consiglio comunale. Ciononostante la Borgonzoni non rifiutò la possibilità di candidarsi alle politiche del marzo del 2018 risultando eletta in Senato.
Anche qui: nessun divieto e nessuna incompatibilità , e la Borgonzoni non è certo la prima o l’unica a farlo. La senatrice — e sottosegretaria alla Cultura del Governo Conte One — non rinunciò al suo seggio al comune di Bologna (del resto non aveva promesso di dimettersi) con il bel risultato di risultare una dei consiglieri comunali più assenteisti.
In molti si sono chiesti come mai la Borgonzoni non abbia lasciato il suo posto al consiglio comunale ma la senatrice non risulta aver fornito delle risposte.
E per la verità anche la grande promessa della Borgonzoni non è farina del suo sacco. Ad inizio d’anno infatti il suo sfidante, Stefano Bonaccini, l’aveva invitata a dimostrare il suo attaccamento per l’Emilia-Romagna dimettendosi dal Senato fin da subito.
La Borgonzoni evitò di rispondere dicendo che era «un livello da prima elementare».
Ieri invece a quanto pare l’idea è diventata più di suo gradimento. La senatrice della Lega invece per ora rimane a Palazzo Madama (dove non brilla per le presenze, anche a causa della campagna elettorale) e si dimetterà — forse — in caso di sconfitta.
Ma non si può certo fargliene una colpa, del resto i politici che lasciano un posto sicuro sono più unici che rari. Certo, se vuole Lucia Borgonzoni può sempre dimostrare di essere diversa da tutti e dimettersi già oggi, in fondo che le cambia?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
L’IMPRENDITORE:”ABBIAMO ASSUNTO 120 RICHIEDENTI ASILO, SPESO PER LA LORO FORMAZIONE E ADESSO DOBBIAMO MANDARLI A CASA, UN’ASSURDITA'”
120 richiedenti asilo e titolari di permessi provvisori di protezione umanitaria perdono il lavoro
da magazziniere o autista o camionista presso una delle più grandi aziende di logistica italiana, la Number 1 Logistic di Parma, per effetto del decreto sicurezza. Quel contratto regolare, uno stipendio da 1.000 a 1.200 euro, spiega oggi Alessandra Ziniti su Repubblica, sfuma:
L’ingegnere Renzo Sartori, presidente della Number 1, gruppo da 4.000 dipendenti, e vicepresidente nazionale di Assologistica parla da imprenditore: «Quello che mi auguro è che non se ne faccia una questione di lotta politica, che si abbia il coraggio di affrontare un problema che può e deve essere risolto. Io non dico che chiunque deve essere integrato ma dare la possibilità di imparare la lingua, entrare in un percorso formativo e avere un posto di lavoro, e dunque di rimanere in Italia a chi riesce, è una cosa da cui lo Stato avrebbe tutto da guadagnare, anche in termini di contributi pensionistici. Parliamo di un miliardo all’anno, non di bruscolini».
Conviene allo Stato e conviene alle tantissime aziende italiane che, come la Number 1, faticano a trovare personale italiano.
«Adesso ci toccherà cercare sul mercato locale e francamente sarà un problema trovare gente disposta a fare questi lavori semplici. La nostra idea di investire sulla formazione dei richiedenti asilo è nata proprio per necessità , per l’impossibilità di trovare risorse sul territorio. Siamo andati negli Sprar a cercare richiedenti asilo e abbiamo investito, insieme ai nostri partner, un bel po’ di soldi, soldi buttati alla luce di come si sono messe poi le cose», osserva amaramente Sartori.
Quasi 130.000 euro, tanto fino ad ora è costato il progetto Next (new experiment for training) di cui, con un contributo della Fondazione Cariparma, portato avanti dalla Number 1 insieme alla Caritas parmense e di Fidenza e alla Ciac onlus: i primi tre cicli di formazione a cui sono stati ammessi 160 richiedenti asilo provenienti da 22 paesi e sbarcati in Italia negli ultimi cinque anni si sono già conclusi e per 120 di loro era arrivata l’assunzione.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
SMANTELLATE TUTTE LE BALLE DEL LEGHISTA… CON SALVINI 87.000 IRREGOLARI IN PIU’ E MENO RIMPATRI… I DECRETI SICUREZZA VANNO ABOLITI, BASTA TAPPULLI, SI RIPRISTINI LA LEGALITA’
Ieri sera la ministro dell’Interno Luciana Lamorgese a Otto e Mezzo ha ribadito alcuni fatti noti che la propaganda leghista ha tentato — e tenta tutt’ora — di presentare diversamente.
A partire dalla immaginaria questione dei porti chiusi da Matteo Salvini e dei porti aperti dal nuovo Governo. Come aveva già detto il sindaco di Lampedusa si tratta di pura propaganda.
La titolare del Viminale infatti a ribadito che «i porti non sono mai stati chiusi perchè è vero che c’era il divieto di sbarco ma poi regolarmente sbarcavano su indicazione della magistratura». E non solo, perchè i porti erano “chiusi” solo per le ONG ma apertissimi per tutti gli altri.
Perchè sono aumentati gli sbarchi?
Lamorgese ha anche spiegato la ragione dell’aumento degli sbarchi a partire da settembre. Un dato sul quale Matteo Salvini ha più volte puntato il dito contro Conte Bis spiegando che è quello che succede quando si “riaprono i porti” alle ONG.
Ma non solo quei migranti non sono arrivati grazie alle ONG, quindi non sarebbero stati bloccati nemmeno dal predecessore di Lamorgese la quale ha spiegato che «la maggior parte veniva dalla Tunisia — dove non c’era un governo e quindi una situazione di instabilità — e quasi nessuno dalla Libia. Non sapendo con chi prendere accordi in quanto mancava il ministro dell’Interno tunisino e ancora adesso non c’è un governo in Tunisia quello va ad incidere sulla situazione generale dei flussi migratori». Parole molto diverse da quelle di Salvini, che prima di tornare ad essere un semplice senatore raccontava che la Tunisia era un paese sicuro perchè gli italiani ci andavano in vacanza.
Ma dal Governo ci si aspetta, soprattutto da parte del PD, un intervento di revisione dei Decreti Sicurezza, meglio ancora se un’abolizione completa. L’abolizione non ci sarà , perchè la ministra Lamorgese lascia intendere che ci sarà al massimo una lieve rimodulazione che comprende multe più basse per le ONG — o meglio un ritorno a quanto previsto dal primo Decreto Sicurezza — e qualche passo indietro sui permessi di soggiorno per motivi umanitari.
Non un ripristino però. La titolare del Viminale spiega che è necessario «ampliare la categoria dei permessi umanitari per evitare quello che stava succedendo a dicembre e sul quale siamo dovuti intervenire».
La frase non è molto chiara, perchè la categoria in questione è stata completamente abrogata. Ma il senso del discorso invece è perfettamente comprensibile: «tutti quelli che non avevano il permesso umanitario in base al Decreto poi venivano buttati fuori per strada e quindi ce li trovavamo nelle piazze nelle strade e nelle stazioni». È il problema degli irregolari creati proprio dal Decreto Sicurezza e dall’abolizione della protezione umanitaria.
Il Viminale infatti è dovuto intervenire per concedere una proroga di sei mesi — dal 1 gennaio al 30 giugno 2020 — dei servizi ex Sprar che oggi sono i Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) che accolgono i migranti cui è stata concessa la protezione umanitaria proprio per evitare che migliaia di migranti finissero in mezzo alla strada.
Allo stesso tempo la ministra non ha intenzione di tornare al sistema degli Sprar e sembra ritenere che la scelta di dare una stretta ai permessi umanitari per coloro che non ottenevano la protezione internazionale non sia stata completamente sbagliata perchè «eravamo l’unico paese che eravamo al 28%, gli altri paesi erano al 3-4%» (ora siamo intorno al 2%, scrive Matteo Villa dell’ISPI su Twitter). È chiaro però che proprio la stretta sui permessi umanitari ha contribuito ad aumentare il numero degli irregolari (il ministro però evita di fornire le cifre).
Secondo Matteo Villa a settembre 2019 «il numero di stranieri irregolari in Italia sfiora i 640.000. Sono 87.000 in più da fine maggio 2018, cioè dall’entrata in carica del Governo Conte I».
Di conseguenza con il Decreto Salvini in Italia oggi ci sono almeno 26mila stranieri irregolari in più rispetto ad uno scenario in cui quella forma di protezione internazionale fosse stata mantenuta.
Ora la ministra, che rivendica maggiore sobrietà rispetto alle felpe salviniane, ritiene che una revisione del Decreto Sicurezza possa far rientrare l’emergenza creata da Salvini, quello che chiudeva i porti ma nel frattempo creava migliaia di irregolari tra i migranti già sbarcati e presenti in Italia.
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
COSCA GRANDI ARACRI: INDAGATI ANCHE L’EX VICEPRESIDENTE DELLA REGIONE E QUATTRO FINANZIERI
La Guardia di finanza di Crotone ha arrestato tre persone nell’ambito di un’inchiesta della Dda
di Catanzaro, denominata “Thomas”, sulle presunte ingerenze della cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri sulle attività del Comune di Cutro.
Gli arrestati sono Ottavio Rizzuto, attuale Presidente del Consiglio di amministrazione della Banca di Credito cooperativo del Crotonese e già dirigente, dal 2007 al 2015, dell’Area tecnica del Comune di Cutro; Alfonso Sestito, medico cardiologo al Policlinico Gemelli di Roma; Rosario Le Rose, imprenditore.
I tre arresti sono stati fatti in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro su richiesta dei pm della Dda Paolo Sirleo e Domenico Guarascio su direttive del capo della Procura, Nicola Gratteri.
Le persone coinvolte nell’operazione sono accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso e di estorsione, abuso d’ufficio, traffico di influenze illecite, omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale, accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, reati questi ultimi tutti aggravati dalle modalità mafiose. L’attività investigativa ha fatto emergere l’appartenenza e le relazioni massoniche di alcuni fra gli indagati.
Emessa inoltre un’informazione di garanzia nei confronti di Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione Calabria. Risultano indagati anche quattro appartenenti al corpo della Guardia di Finanza che “attraverso l’abusiva consultazione delle banche dati in uso al Corpo, attingevano informazioni riservate ovvero coperte dal segreto istruttorio in favore di terzi soggetti, provvedendo ad informarli su attività di polizia giudiziaria o economico finanziaria in itinere, compiendo, altresì, gravi omissioni, non denunciando reati in corso di attuazione ovvero fatti suscettibili di approfondimenti investigativi”.
“Le indagini consentono di asserire – è detto in una nota stampa della Dda di Catanzaro – come negli anni la cosca di ‘ndrangheta capeggiata dal Nicola Grande Aracri abbia esercitato la sua influenza sul Comune di Cutro gestendo di fatto numerosissimi appalti e traendone diretto e cospicuo giovamento economico. Figura centrale di questa metastasi criminale era il presidente della banca.
La Guardia di finanza, nell’ambito dell’operazione, ha eseguito una serie di perquisizioni nella sede legale e nelle filiali di Cutro e di Isola di Capo Rizzuto della Banca di credito cooperativo del Crotonese. Il quadro probatorio acquisito ha consentito di far luce sulle agevolazioni ed i favoritismi che Rizzuto ha effettuato a vantaggio delle cosche di ‘ndrangheta locali in ragione delle funzioni ricoperte nel tempo, con particolare riferimento all’imprenditore Rosario Le Rose. Quest’ultimo, attraverso l’attività commerciale Idro Impianti srl, è risultato essere affidatario di tutte le commesse del Comune di Cutro, dal 2007 al 2015, operando in sostanziale regime di monopolio”.
La Dda di Catanzaro ha inoltre emesso un’informazione di garanzia nei confronti del boss Nicolino Grande Aracri, capo del Locale di ‘ndrangheta di Cutro e capo crimine della provincia di Crotone, attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Opera, a Milano. “Le indagini – si legge nella nota stampa diffusa dalla Dda – consentono di asserire come negli anni il locale di ‘ndrangheta capeggiato da Nicolino Grande Aracri abbia esercitato la sua influenza sul Comune di Cutro, gestendo di fatto numerosissimi appalti e traendone diretto e cospicuo giovamento economico”
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
ACCUSATO DI CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI, ALTRI OTTO INDAGATI
La Guardia di Finanza ha arrestato questa mattina, coordinata dalla DDA di Salerno, un magistrato della Corte d’Appello di Catanzaro e due avvocati.
L’accusa per Marco Petrini è di corruzione in atti giudiziari, mentre per alcuni degli altri indagati potrebbe scattare l’aggravante dell’art. 416 bis.
Secondo la Dda di Salerno, le indagini “hanno permesso di ricostruire una sistematica attività corruttiva nei confronti di un Presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro nonchè Presidente della Commissione Provinciale Tributaria del capoluogo di regione calabrese”.
Secondo il comunicato stampa della Dda di Salerno, gli indagati promettevano soldi, beni preziosi e prestazioni sessuali al Presidente di sezione della Corte d’Appello “per ottenere, in processi penali, civili e in cause tributarie sentenze o comunque provvedimenti favorevoli a terze persone concorrenti nel reato corruttivo”. In alcuni casi, i favori sarebbero stati “diretti a vanificare, mediante assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai tribunali del distretto, provvedimenti di misure di prevenzione, già definite in primo grado o sequestri patrimoniali in applicazione della normativa antimafia, nonchè sentenze in cause civili e accertamenti tributari”.
Il magistrato sarebbe in una condizione economica difficile da tempo. Secondo la Dda, ”è stata accertata […] la grave situazione di sofferenza finanziaria in cui versava il magistrato arrestato”. Una situazione “cronicizzata ed assolutamente non risolvibile nel breve periodo”.
Le indagini sono partite nel 2018. 8 persone sono interessati dai provvedimenti: uno di questi è agli arresti domiciliari, mentre per gli altri 7 è stata disposta la custodia cautelare in carcere. I due avvocati arrestati fanno parte, rispettivamente, del foro di Catanzaro e di Locri.
Secondo il comunicato stampa della Dda, un attore fondamentale in tutto questo è un “insospettabile”, cioè un medico in pensione ed ex dirigente dell’Asp di Cosenza: Emilio Santoro. Quest’ultimo “oltre a ‘stipendiare’ mensilmente il magistrato per garantirsi l’asservimento stabile delle funzioni dello stesso, si prodigava altresì per procacciare nuove occasioni di corruzione”, promettendo a persone indagate o condannate in primo grado trattamenti di favore.
Non solo: gli inquirenti avrebbero accertato che gli indagati si sarebbero attivati per “far riottenere il vitalizio ad un ex politico calabrese che, nel corso della V legislatura regionale, ricopriva la carica di Consigliere della Regione Calabria”. Si tratta di Giuseppe Tursi Prato, “già condannato nel 2004 per vari reati, fra cui quello di associazione mafiosa, per il reato di traffico di influenze illecite”.
(da “Huffingtonpost”)
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