Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile DOMANI VERTICE CON I MINISTRI: POTREBBE LASCIARE GIA’ NELLE PROSSIME ORE O ARRIVARE COME “DIMISSIONARIO” FINO A MARZO (MA RESTANDO REGGENTE)
Potrebbe essere giunto per Luigi Di Maio il giorno della verità . Il capo politico del Movimento 5 Stelle e ministro degli Esteri ha convocato per domani 22 gennaio alle ore 10 i ministri e i viceministri del Movimento.
Fondi ritenute qualificate dell’agenzia Adnkronos riferiscono che, sebbene si tratti di un appuntamento usuale per Di Maio quello di un vertice dei rappresentanti pentastellati dell’esecutivo, questa volta sarebbe molto vicino il passo indietro dell’ex vicepremier dalla guida del M5S.
Inoltre domani il ministro presenterà a Roma i nuovi facilitatori regionali del Movimento, occasione che potrebbe essere propizia per l’annuncio.
Si vocifera di un abbandono di Di Maio addirittura prima delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria di domenica: dallo staff del capo politico l’indiscrezione viene liquidata come non corrispondente al vero, ma molti segnali fanno pensare che questa volta davvero Di Maio sarebbe pronto a lasciare.
In quel caso il ruolo di reggente sarebbe affidato al senatore Vito Crimi, in quanto figura più anziana fra i parlamentari 5 Stelle, primo portavoce in Parlamento nel 2014 insieme a Roberta Lombardi.
Tra le ipotesi che circolano in Transatlantico c’è anche quella che Di Maio possa decidere di arrivare agli Stati generali di marzo come “dimissionario” mantenendo fino all’assise M5S il suo ruolo di reggente.
A commentare l’indiscrezione anche Nicola Zigaretti, che, durante le registrazioni della trasmissione Porta a Porta ha dichiarato: «Di Maio lascia la direzione del M5S? Non commento indiscrezioni e non entro nella loro vita interna. Nel M5S c’è una grande sottovalutazione ovvero che non si può dire Salvini e Zingaretti sono la stessa cosa». Ha poi aggiunto «Se mi farebbe piacere? No, abbiamo preso un impegno anche tra persone che rispettiamo. Io non solo scommetto sul Pd ma insisto sempre nel dire che bisogna ricostruire un campo largo, essere alleati e non avversari. E’ un messaggio che non sempre arriva ai leader ma molto alla base».
Sibillino il commento del senatore, espulso dal Movimento dopo la decisione dei provibiri, Gianluigi Paragone, che su Facebook ha scritto: «…si dimette prima delle regionali. Dicono».
(da agenzie)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile POI AVVISA I DIFFAMATORI SOVRANISTI: “FIRMATEVI, INVECE DI INSULTARMI NASCONDENDOVI DIETRO NICK FASULLI”
Lui non sopporta i leghisti e chissà come si sente nel vedere la figlia diventata rotella della
macchina social più discussa in Italia
Giambattista Borgonzoni, il padre della candidata del centrodestra alla presidenza della Regione Emilia-Romagna, la leghista Lucia, sul suo profilo Facebook attacca ‘La Bestia’ di Matteo Salvini.
Queste – scrive – sono “frasi di Lucia Borgonzoni al padre detestato dai leghisti, affinchè contengano le pulsioni d’odio: ‘perchè non alzi la cornetta e mi parli come farebbe un qualsiasi padre?” 2018; ‘non gli parlo più da quando avevo cinque anni’ 2019; ‘da quando avevo sei anni ha deciso che non voleva frequentarmi’ 2020; ‘Lucia Borgonzoni e l’attacco delle Sardine, contro di lei utilizzano il padre che l’ha abbandonata a sei anni’. Quotidiano Libero 19 gennaio 2020″.
“Cari amici leghisti – prosegue -, utilizzate l’energia al servizio della realtà dei fatti, bacchettando mia figlia Lucia che merita di avere accanto consiglieri più seri della ‘Bestia’, una sorta di ‘squadrismo digitale’ fatto solitamente da faccette di cagnetti, gattini, volpette non rintracciabili”.
Giambattista Borgonzoni posta anche una serie di foto in compagnia della figlia ragazzina e maggiorenne, quindi ben oltre l’età di 6 anni.
(da Globalist)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile AI PRIVATI CONVENZIONATI I GUADAGNI SULLE PRESTAZIONI PIU’ REMUNERATIVE, AL PUBBLICO RESTANO QUELLE IN PERDITA: CHE BEL MODELLO SOVRANISTA
«Il programma di Lucia è stato fatto assieme ai governatori del Veneto e della Lombardia e delle altre regioni che proprio per avere della concretezza e degli argomenti che siano portati avanti in modo credibile», così il 16 gennaio a Telereggio il segretario regionale della Lega e deputato Gianluca Vinci durante la trasmissione La Prova del Candidato.
Come è noto la candidata in questione sarebbe Lucia Borgonzoni, che però non ha partecipato all’incontro coi giornalisti (come al solito).
Uno dei primi punti del programma di Lucia Borgonzoni «ZERO Irpef come in Veneto», una balla perchè in Veneto l’addizionale regionale non è “a zero”, ma si paga l’aliquota minima indipendentemente dal reddito.
Il che a proposito di giustizia ed equità sociale non è il massimo.
In un passaggio dell’intervista Vinci sostiene che «in Veneto l’addizionale Irpef è stata tolta dalla Regione Veneto» e che il programma è di «ridurla fino a togliere quel tipo di addizionale». In Emilia-Romagna però l’Irpef dà un gettito pari a circa un miliardo di euro l’anno, soldi che vengono utilizzati per finanziare i servizi pubblici regionali come la Sanità .
La Lega promette di riuscire ad “azzerare” l’addizionale regionale Irpef senza tagliare i servizi. In attesa dell’autonomia regionale differenziata che dovrebbe portare indietro il residuo fiscale si pensa ad altro.
Cosa e come? Secondo l’onorevole Vinci si può fare «risparmiando in determinati settori e rimodernando quello che riguarda la sanità perchè l’85% del bilancio che abbiamo e della sanità con un modello diverso che premi di più la sanità privata ma non perchè la sanità uno la debba pagare ma perchè ha dei manager privati che la fanno funzionare meglio a parità di costo addirittura entrando sul libero mercato abbassando quel costo e abbassare di pochi punti la sanità significa recuperare quelle risorse».
Tutti sanno naturalmente che la sanità privata non funziona esattamente così, basti pensare al fatto che vengono erogate principalmente quelle prestazioni che sono economicamente convenienti, vale a dire quelle in cui il rapporto tra costi e ricavi è a vantaggio dei secondi.
Ma qual è il modello cui si ispira Lucia Borgonzoni secondo l’onorevole leghista? La Lombardia. Perchè, spiega al minuto 37 dell’intervista, «in Lombardia il 50% delle erogazioni sanitaria è privata in Emilia-Romagna il 20% quindi anche procedere in questo senso».
Ed è proprio lo stesso modello verso il quale sembra stia puntando anche il Veneto di Luca Zaia. E non bisogna cadere nell’errore che la sanità privata non costi nulla al pubblico.
Le strutture private che operano in regime di convenzione ricevono un finanziamento da parte della Regione. Secondo un gruppo di associazioni di cittadini della provincia di Treviso in Veneto nel 2018 il peso del privato nella sanità è stato di 2,8 miliardi di euro su un totale di circa 10 miliardi, il 28% di sanità privata sul totale della spesa della Regione.
Ed è curioso che Vinci citi il modello Lombardia dimenticando però di aggiungere che nella regione governata da Attilio Fontana non è stata affatto “azzerata” l’addizionale regionale.
Ovvero: i cittadini pagano l’addizionale regionale Irpef e al tempo stesso hanno la sanità privata “al 50%” (come dice l’onorevole leghista).
La professoressa Maria Elisa Sartor del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano rilevava qualche mese fa come questo passaggio della Lombardia alla sanità privata non sia stato certo pubblicizzato in maniera trasparente e chiara, e che anzi sia avvenuto un processo di dissimulazione del passaggio verso la sanità privata da parte degli organi di governo regionali.
Ora al di là di queste considerazioni è indubbio che Vinci abbia detto che vuole andare verso il modello Lombardia e abbia parlato del “tabù” dell’Emilia-Romagna nei confronti della sanità privata.
Ma dopo che Stefano Bonaccini ha ripreso in un post l’intervista a Telereggio scrivendo che «il segretario della Lega Emilia ci spiega il loro progetto per la sanità in Regione: privatizzazione del 50% dei servizi. Dice inoltre che il loro programma è stato scritto con i presidenti di Lombardia e Veneto» il segretario regionale della Lega ha deciso di sporgere querela.
Lo ha annunciato in un post su Facebook dove contesta a Bonaccini di avergli messo in bocca parole che non aveva pronunciato.
Quali? L’accusa «di voler fare discriminazioni in sanità tra ricchi e poveri» che l’onorevole leghista precisa di non avere «mai pensato e mai detto».
Riguardo invece il fatto di voler privatizzare la Sanità regionale invece Vinci non scrive che il candidato del centrosinistra ha detto il falso, anche perchè è quello che ha detto. L’aspetto interessante è che di questa privatizzazione nel programma di Lucia Borgonzoni non se ne parla esplicitamente.
Ma non era stato scritto assieme ai presidenti di Lombardia e Veneto? Non sarà per caso che certe cose si fanno ma non si dicono, come successo in Lombardia?
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile NON SOLO: LA LEGA HA VOTATO IL TRATTATO E LA SUA RATIFICA E ORA DICE CHE E’ CONTRO MA NON NE HA MAI CHIESTO LA MODIFICA
Elly Schlein, ex eurodeputata oggi candidata alle elezioni regionali in Emilia-Romagna con la
lista “Emilia Romagna coraggiosa” ha pubblicato su Facebook un video in cui chiede conto a Matteo Salvini delle assenze della Lega alle riunioni sui negoziati per la riforma del regolamento di Dublino, che oggi obbliga gli stati d’approdo dei rifugiati a fornire loro assistenza.
Salvini e la Lega hanno sempre osteggiato il regolamento di Dublino ma all’Europarlamento i leghisti votarono contro la proposta di modifica del trattato. §
Va anche ricordato che fu un governo del quale faceva parte la Lega Nord a ratificare quell’accordo che oggi a Salvini non piace: l’attuale versione del del regolamento di Dublino (Dublino III) è stata sottoscritta nel 2013 quando il Presidente del Consiglio era Enrico Letta.
Ma è l’accordo di Dublino II (ratificato dal nostro Paese nel 2003) che ha reso operativo il regolamento sulla gestione dei meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.
Il regolamento di Dublino II trasformò e rese operativa la Convenzione di Dublino (detta appunto Dublino I) che risale al 1990 e che fu ratificata nel 1997. Non risulta che nel 2003 la Lega abbia chiesto di modificare quella parte del trattato che regolava la gestione delle richieste d’asilo ( (l’articolo 13, che è rimasto invariato dalla II alla III)
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile DAL BACIO AL SALUME AL #DIGIUNOPERSALVINI FINO ALLA POSA ASCETICA
Se sono autori satirici, sono degli autentici geni. Se invece sono solo suoi sostenitori meritano
un qualche premio per la satira inconsapevole.
Dico quelli che hanno messo su l’idea (e l’hashtag e la pagina) “Digiuno per Salvini”: un invito a una sorta di catena di solidarietà , con un giorno (intero, accidenti) di digiuno per manifestare solidarietà al Capitone sul voto della giunta per le autorizzazioni a procedere per la Gregoretti.
Perchè, obiettivamente, immaginare un digiuno per sostenere Salvini è come chiedere di iscriversi alla Crusca o fare esercizi di sintassi dei verbi per sostenere Di Maio, o di cucinare kebab (ma anche solo tortellini di pollo) per sostenere la Meloni.
Se sono autori satirici — ripetiamo — hanno un grande futuro gli autori di questa campagna di grande ardimento: si tratta di rovesciare un immaginario fin qui pantagruelico, con tanto di bacio al salume, che aveva lo scopo di avvicinare il più possibile l’ex Ministro del Culatello alla parte più importante del suo elettorato, la pancia.
In un’orgia di Nutelle, porchette, filoncini e tiramisù. Rovesciare e reindirizzare l’immaginario (che qui ormai la lotta politica non ha nulla a che vedere con idee, programmi o — dio ce ne scampi — fatti, ma è questione di sentiment e storytelling e messaggi subliminali e pulsioni profonde e persino fasi della digestione: il dottor Freud con la Bestia ci farebbe miliardi…): adesso il modello è più o meno il Mahatma Gandhi. E l’immagine scelta per la pagina dei digiunatori volontari è quella dell’ex Ministro del Nocciolato con le mani giunte: la svolta spiritualista (a cui invero ci avevano preparati le sceneggiate col rosario, il vangelo e il cuore immacolato di Maria, che si alternavano opportunamente con lasagne, pizzette e coratella), ma stavolta in senso persino ascetico.
Perchè, se conoscessero appena l’italiano (hashtag #primalitaliano) saprebbero che “digiuno per Salvini” può essere, oltre che un’iniziativa di solidarietà , un… programma dietetico del mangione stesso: che cominci lui, a digiunare. Gli farebbe tanto bene, e gioverebbe anche a tutta l’ecosfera digitale.
Chissà , magari alla nostra collezione potremo aggiungere un selfie dell’ex Ministro della Fede e Difensore dei Confini con una galletta di pane nero e un bicchiere d’acqua liscia: “Che dite, amici, posso rompere il digiuno? Bacioni”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile “A QUEL PUNTO CI TOCCHERA’ PURE PROTEGGERLO DALLA FURIA DEGLI EX LEGHISTI ARMATI DI CAPPI, RONCOLE E MONETINE”
Oggi Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano parla di Matteo Salvini che si è paragonato a Giovannino Guareschi e Silvio Pellico, ovvero del rischio per nulla concreto che il Capitano finisca in galera.
A differenza di Guareschi, condannato per vilipendio al Capo dello Stato e per diffamazione, la situazione di Salvini, per ora solo indagato per sequestro di persona in relazione al caso Gregoretti, è infatti infinitamente più rosea.
Sia per quanto riguarda la carcerazione preventiva che per ciò che concerne la sentenza definitiva:
Per arrestare uno prima del processo, occorrono, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, le esigenze cautelari. Cioè almeno uno dei tre pericoli canonici: fuga all’estero (purtroppo altamente improbabile), inquinamento delle prove (e qui non c’è nulla da inquinare: i fatti, cioè il blocco della Gregoretti nel porto di Augusta, sono avvenuti alla luce del sole, in mondovisione) e reiterazione del reato (impossibile perchè l’imputato non è più ministro dell’Interno).
Quindi la galera potrebbe toccargli solo in caso di condanna definitiva, per giunta a una pena superiore ai 4 anni: due eventualità leggermente più remote del ritorno di Renzi a Palazzo Chigi, anche se la presenza dell’avvocata Bongiorno come difensore di Salvini potrebbe essergli fatale.
E comunque, casomai, se ne parlerebbe tra 8-10 anni, quando nessuno si ricorderà più di quel cazzaro che, per misteriosi motivi, nel 2020 superava il 30% dei consensi.
Ma a quel punto ci toccherà proteggerlo dalla furia degli ex leghisti armati di cappi, roncole e monetine.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile DATI OSCAD: “SONO MOLTI DI PIU’, TANTI NON DENUNCIANO”
La campagna sovranista sui migranti ha portato a un aumento dei reati di matrice
discriminatoria.
Lo dimostrano i dati forniti oggi dall’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) diffusi durante il convegno “Le Vittime dell’Odio” sul tema delle discriminazioni, al quale partecipano la ministra dell’Interno Lamorgese, il Capo e il vice capo della Polizia, Franco Gabrielli e Vittorio Rizzi.
I dati del 2019 non sono ancora consolidati e sono lievemente inferiori nel numero a quelli dei due anni precedenti, ma colpisce il raddoppio dei reati discriminatori di razza, etnia, nazionalità , religione dal 2016 al 2017.
Elaborando i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza sui crimini d’odio per il Rapporto annuale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa — OSCE, Oscad ha accertato che nel 2016 si contavano 494 violazioni riferibili a discriminazione per razza, etnia, nazionalità e religione: nel 2017 tali reati sono diventati 828 e nel 2018 801. Nell’anno appena concluso se ne contano 726, ma l’Oscad sottolinea che si tratta di un dato non ancora consolidato.
Ma i casi di discriminazione perseguibili per legge potrebbero essere ancora di più. Nel presentare i dati, Oscad sottolinea infatti che il monitoraggio di tali reati ha due problemi: il numero potrebbe essere sottostimato perchè spesso mancano le denunce e, anche quando i soprusi vengono denunciati, talvolta manca il riconoscimento della matrice discriminatoria del reato da parte delle forze di polizia e degli altri attori del sistema di giustizia penale.
Nello specificare la metodologia di aggregazione dei dati, Oscad precisa inoltre che non è possibile fare distinzione, all’interno della specifica motivazione discriminatoria, quanti siano i reati di razza, separati da quelli di etnia, o di nazionalità o di religione perchè “la normativa vigente in materia non distingue le specifiche finalità discriminatorie. Conseguentemente – precisa l’Osservatorio -, non possono essere estrapolate dal Sistema di Indagine le violazioni distinte per i singoli ambiti, ad esempio: quante violazioni riguardino, rispettivamente, “razza”, etnia, nazionalità e religione e, in riferimento a tale ultimo contesto, quante siano riferibili ad antisemitismo, islamofobia, odio anticristiano e altri”.
(da agenzie)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile SONO PROFILI ALTAMENTE QUALIFICATI… E’ L’ENNESIMA FALLA CREATA DA SALVINI
C’è un secondo e più insidioso effetto collaterale del decreto sicurezza sul lavoro nel settore accoglienza e tocca direttamente il livello più alto, statale, della gestione dei flussi migratori.
Tutto ruota attorno al ruolo delle Commissioni territoriali, istituite nel 2017 dal decreto Minniti con il compito di valutare e decidere in merito alle domande di riconoscimento per la protezione internazionale di persone in fuga da guerra, povertà , disastri ambientali. Sono 20 in tutta Italia e inizialmente prevedevano 55 sezioni distaccate necessarie per eseguire la prima fase di analisi delle richieste dei migranti.
Un lavoro delicato e fondamentale per decidere sulla concessione dei permessi. Così cruciali che, per farle funzionare al meglio e direttamente sotto i controllo delle prefetture, il Governo aveva assunto, previo concorso pubblico, 480 profili altamente qualificati allo scopo: neo laureati e giovani esperti che ora, a causa della riorganizzazione dettata dalla stretta all’immigrazione attuata dal decreto sicurezza, vivono nell’incertezza di sapere che fine farà il loro ruolo.
Lo spiega bene Florindo Oliviero, coordinatore nazionale per il fenomeno immigrazione della Funzione Pubblica Cgil che sta seguendo il caso dei neo assunti. “Si tratta di un ruolo riconosciuto a livello europeo, di funzionari specializzati con percorsi di laurea e post laurea specifici in diritto internazionale, sociologia, giurisprudenza, scienze politiche e non solo con il compito di fare colloqui molto mirati e approfonditi. Per intenderci sono coloro che poi stilano le relazioni tecniche su cui l’autorità giudiziaria si baserà per esprimere o meno lo status di rifugiato politico del richiedente”.
Ma con il calo dei flussi e la stretta sulle concessioni dei permessi ai richiedenti, il lavoro di questi giovani e preparati funzionari viene messo in discussione.
Il caos scoppia quando tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 il Ministero dell’Interno decide per la riorganizzazione delle Commissioni che al loro interno prevedono la presenza di un rappresentante dell’Unchr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
All’Unhcr abbiamo chiesto conto dell’effettivo smantellamento delle funzioni delle commissioni e l’organizzazione risponde che “nel 2019 alcune sezioni sono state chiuse, principalmente a seguito della riduzione delle domande di protezione internazionale. Al momento non siamo informati di eventuali ulteriori chiusure di sezioni. Risultano quindi attive 20 Commissioni e 21 Sezioni”.
Solo tra giugno e novembre dello scorso anno, riporta l’agenzia a Fanpage.it, sono state destituite due sezioni permanenti a Catania, una a Reggio Calabria, Napoli, Ancona, Bergamo, Latina, Campobasso e Roma e le sezioni temporanee di Firenze, di nuovo Roma, Genova e Milano.
A fine settembre la Cgil apre una vertenza nei confronti del Ministero dell’Interno perchè da funzionari con uno specifico compito, i 480 profili vengono considerati idonei ad essere riassegnati ad altro ruolo o trasferiti in altre sedi delle prefetture di competenza, anche oltre i 50 km dal luogo inizialmente individuato per il lavoro. Inoltre, poichè parte dello stipendio dei neoassunti è legato al numero di colloqui effettuati, calando il numero di interviste i giovani funzionari si ritrovano decurtata anche la parte integrativa del salario.
Questo elemento è confortato dal calo degli sbarchi e quindi delle richieste delle persone arrivate in Italia.
Nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2019, l’Italia ha ricevuto 31 mila 440 domande d’asilo, oltre il 35% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018 (fonte Eurostat/Unhcr).
La precarizzazione di personale così altamente qualificato non significa automatica perdita del posto ma uno stato di incertezza legato al ruolo e alle mansioni, ora confermate solo a seconda dei casi e delle necessità organiche.
Al momento a una delle commissioni più importanti, quella di Bari, il Ministero ha confermato con decreto proseguimento dell’attività , almeno per quest’anno, compresa anche quella della sezione. Ma per la Cgil si naviga a vista ed è assurdo che personale inserito con concorso pubblico debba subire gli umori dei cambi di politica operati dall’alternanza governativa. Il fatto che non ci sia ancora un’effettiva chiusura delle Commissioni fa però sperare gli addetti in un rilancio del programma di accoglienza.
C’è poi un aspetto più sostanziale del lavoro affidato a questo pool di esperti. Rinunciare alle mansioni di controllo approfondito sulle richieste dei permessi per chi arriva in Italia comporta un effetto domino che rischia di limitare le chance degli aventi diritto e di ingolfare la macchina amministrativa.
Solo pochi giorni fa la Cassazione si è pronunciata su un caso di richiesta negata da prefettura e tribunale a un migrante togolese perchè il suo racconto per ottenere il riconoscimento dello status sarebbe risultato del tutto illogico e “stereotipato” e quindi impossibile per un giudice da valutare come veritiero.
Che le risorse umane nel comparto accoglienza siano cruciali lo conferma indirettamente la stessa ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, nelle risposte fornite durante l’interrogazione parlamentare del 15 gennaio (qui la trascrizione integrale).
Rispondendo al deputato di Più Europa Riccardo Magi, la ministra chiarisce che già dal 23 dicembre il Governo si è impegnato a valutare “un provvedimento che, a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto di lavoro, consenta la regolarizzazione di cittadini stranieri irregolari già presenti in Italia, prevedendo, all’atto della stipula del contratto, il pagamento di un contributo forfettario da parte del datore di lavoro e il rilascio del permesso di soggiorno per il lavoratore”.
La proposta è dunque quella di allargare la platea degli aventi diritto al permesso di soggiorno per motivi di lavoro, per evitare che a giugno — periodo in cui orientativamente scadrà il primo scaglione di permessi concessi — in migliaia si ritrovino senza rinnovo e quindi di fatto in regime di irregolarità .
Una misura che richiederà un grande sforzo amministrativo su tutto il territorio nazionale. Ma Lamorgese aggiunge anche un altro elemento.
Dopo aver ricordato “come la materia delle cosiddette regolarizzazioni sia di particolare complessità ”, avverte che per toccare il decreto sicurezza bisogna tener conto di molteplici profili, “sia dal punto di vista tecnico che politico, peraltro riconducibili a competenze attribuite a diverse amministrazioni pubbliche, tra i quali non secondaria rilevanza riveste la determinazione degli oneri connessi e il reperimento delle relative risorse”.
Tradotto: mancano al momento sia gli impegni economici sia i profili lavorativi in grado di garantire almeno il primo livello di accoglienza e smistamento per circa 100 mila immigrati a rischio di irregolarità secondo i dati riportati in quella stessa interrogazione.
Quella di Lamorgese è chiaramente un’apertura, una modifica iniziale rivolta a uno specifico target di persone e che però aprirebbe le porte a intervento più strutturato e invasivo delle norme introdotte dal precedente governo che hanno fatto crollare la concessione dei riconoscimenti dal 28% al 3-4% circa.
Per questo lo stato di agitazione che anima parte della commissioni territoriali, e quindi delle prefetture, è indicativo di quanto problematica sarà la ripartenza del sistema accoglienza rimettendo mani al decreto Salvini.
Lo ricorda anche l’Unhcr secondo cui le commissioni e le sezioni svolgono un ruolo fondamentale e di avamposto. “Tutti i territori sono importanti, anche quelli meno esposti a flussi di migrazione forzata diretti (rispetto ad esempio a Sicilia, Calabria, Puglia e Nord-Est), anche in considerazione del fatto che chi arriva via mare in genere è ripartito su tutto il territorio nazionale e che è quindi necessario garantire una procedura di asilo efficiente e tempi scorrevoli ovunque”.
(da Fanpage)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile L’INTERVENTO DI MEDICI SENZA FRONTIERE IN SETTE INSEDIAMENTI LUCANI IN CUI, SENZA SERVIZI E ACCESSO ALLA SANITA’, TROVANO RIFUGIO GLI STAGIONALI CHE LAVORANO NEI CAMPI PER POCHI EURO
Nell’ex Felandina, una delle baraccopoli della Basilicata in cui vivono ammassati migliaia di
immigrati sfruttati dai caporali per le raccolte stagionali, è finito anche Simon, 29 anni. Viene dall’Eritrea ed è un rifugiato politico ma anche lui è finito in quell’inferno.
Operato all’anca quattro anni fa a Venezia, con una parziale invalidità , uscito dall’ospedale non è più potuto rientrare nel centro di accoglienza di Venezia.
Senza lavoro e senza casa, alcuni amici gli hanno suggerito di raggiungerli lì dove almeno pochi euro lavorando nei campi si rimediavano ed è finito lì: “Quando sono arrivato non potevo credere ai miei occhi, la situazione era orribile, le persone vivevano come gli animali, peggio degli animali. C’erano i rifiuti davanti alle case, non c’era il bagno, non c’erano le docce. Non era una situazione umana”.
Intanto per lui anche lavorare nei campi si è rivelato problematico poichè i datori di lavoro, considerando la sua invalidità , non lo assumevano. Si è ritrovato bloccato, senza speranza.
Simon è uno dei 900 immigrati che l’equipe di Medici senza frontiere ha incontrato e visitato in un progetto dedicato e, grazie a loro, è stato indirizzato all’accoglienza presso una struttura di Matera dove ha anche potuto cominciare un percorso di formazione professionale.
Msf ha portato avanti il progetto tra luglio e novembre 2019 in sette insiediamenti informali, baraccopoli, aree industriali dismesse, casolari fatiscenti , senza acqua potabile e in pessime condizioni igienico-sanitarie, in cui trovano rifugio circa 2000 persone.
Ora a proseguire il loro lavoro di assistenza sanitaria sarà l’associazione locale Loe-Uisp a cui sono stati donati il camper dell’unità mobile, le attrezzature mediche e le scorte di farmaci.In generale, il quadro che è venuto fuori è quello di una situazione in
cui il diritto alla salute è negato.
La maggior parte dei migranti visitati presentava condizioni mediche problematiche legate alle difficili condizioni di lavoro e di vita.
Meno di metà di loro aveva una tessera sanitaria e dunque la possibilità di accedere a cure mediche nelle strutture pubbliche.
Da qui l’appello di Msf alle autorità locali per abbattere le difficoltà di accesso al sistema sanitario attraverso l’attivazione di ambulatori di medicina dedicati nei territori in cui si registra una forte presenza di stranieri e per definire strategie di lungo periodo per garantire soluzioni abitative dignitose.
(da “La Repubblica”)
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