Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile METTONO A DISPOSIZIONE DEGLI ITALIANI BLOCCATI IN MAROCCO LE ABITAZIONI DI AMICI E PARENTI: “LA SOLIDARIETA’ E SENZA BARRIERE”
«Marocchini, aiutiamo gli italiani a casa nostra»: è il messaggio che la comunità sta lanciando ai propri connazionali, invitandoli a supportare i turisti italiani rimasti nel Paese nordafricano dopo la chiusura delle frontiere disposta da Rabat.
Il blocco dei voli, per evitare l’ingresso di stranieri e isolare i marocchini, risale al 14 marzo. In Marocco i casi di coronavirus sono ancora limitati (circa 50 contagiati e due morti) e le autorità hanno deciso di applicare le misure di contenimento adottate dall’Italia.
Nel Paese, sono centinaia gli italiani rimasti intrappolati, soprattutto nelle città imperiali e sulla costa.
Così, anche dal Tigullio scatta l’appello di Hamid Farah, titolare della gastronomia U Punte Veggiu di Carasco e originario della splendida Fez: «Ho visto l’appello di 200 italiani che erano in vacanza a Marrakesh e ho deciso di dare il mio contributo. La casa di mia suocera è vuota perchè lei è qui, e anche mia sorella e i miei genitori hanno spazio per ospitare delle persone. Nell’insieme potremmo accogliere 20-30 italiani, possibilmente liguri così i contatti sarebbero più facili. E poi, oltre al letto, un piatto di cous cous non si nega a nessuno».
Fez è collegata con voli diretti dall’Italia, in particolare dagli aeroporti di Pisa e Bergamo, ma per almeno 15 giorni sarà impossibile mettersi in viaggio. Stessa sorte è capitata ai marocchini in vacanza in Italia, più numerosi di quanto si possa pensare, come spiega Farah: «Sono tutti bloccati, gli alberghi non li accettano e c’è chi è rimasto a dormire fuori». Nei momenti di crisi, si riscopre la solidarietà e la speranza è che sia reciproca e senza barriere.
Intanto, la gastronomia di Carasco rimane aperta, anche se i clienti delle vicine aziende sono evaporati: «Restiamo aperti per fornire un servizio. Dopo la diffusione del mio appello su una tv locale, un signore che stava andando a Cicagna si è fermato in negozio, con le lacrime agli occhi, per dirmi che lo aveva commosso. E’ stato davvero emozionante».
Per contattare il signor Hamid Farah, il numero è 370 3219018. Sempre dal Marocco arriva un altro esempio di solidarietà : il commercianteAmin Laidi, titolare del negozio di frutta e verdura di via Bancalari, a Chiavari, in questi giorni di emergenza si offre di aiutare chi non può o non vuole uscire di casa: «Se qualcuno non riesce a fare la spesa, oppure è in difficoltà economica, posso fargliela gratuitamente e consegnarla a domicilio. Lo faccio per dare una mano in un momento così difficile».
In Italia dal 2007 e a Chiavari da sei anni, Laidi è abituato alle consegne porta a porta, in sella alla sua bicicletta oppure, se deve raggiungere tanti clienti, in automobile. Il suo negozio è aperto tutti i giorni dalle sette alle 13 e dalle 16 alle 18: «Un po’ di gente viene ma la maggioranza ordina al telefono. Al momento, non c’è difficoltà a reperire frutta e verdura». Il suo numero è 388 6212878.
(da “il Secolo XIX”)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile PAZZESCO: SIAMO ARRIVATI A UN TOTALE DI 82.041 DENUNCIATI PER INOSSERVANZA PROVVEDIMENTI AUTORITA’ E A 1.943 PER FALSA ATTESTAZIONE… CONTROLLATE 1.858.697 PERSONE
Troppi furbi, troppi irresponsabili, troppi egoisti che se ne infischiano delle conseguenze che
potrebbero provocare agli altri: sono state 11.068 le persone denunciate nella giornata di ieri nel corso dei controlli per l’emergenza coronavirus. Sono i dati, diffusi dal Viminale, in relazione alle attività delle Forze di polizia per il contenimento del contagio.
Con gli accertamenti della giornata di ieri salgono a 1.858.697 le persone controllate, in relazione alle misure per il contenimento del contagio da coronavirus, dall’11 al 21 marzo scorsi.
E’ quanto emerge dai dati, diffusi dal Viminale, in relazione alle attività delle Forze di polizia per l’emergenza coronavirus.
Sono state denunciate 82.041 persone ex articolo 650 codice penale (inosservanza provvedimenti autorità ) 1.943 le denunce ex articolo 495 codice penale (falsa attestazione), 910.023 gli esercizi commerciali controllati e 2.119 i titolari denunciati.
Gli esercizi commerciali controllati nella giornata di ieri sono stati 75.362: sono stati denunciati 142 esercenti ed è stata sospesa l’attività di 20 esercizi commerciali. E’ quanto emerge dai dati, diffusi dal Viminale, in relazione alle attività delle Forze di polizia per l’emergenza coronavirus.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile HA COMPRATO POCHE COSE PER DARE IL BUON ESEMPIO CONTRO LA CACCIA AGLI SCAFFALI
Un carrello semivuoto e addosso lo stesso vestito con cui poche ore prima ha pronunciato un discorso alla nazione a reti unificate sull’emergenza coronavirus.
La cancelliera tedesca Angela Merkel è stata fotografata dal tabloid tedesco Bild Zeitung mentre fa spesa al supermercato della catena Hit Ullrich poco distante dalla sua abitazione, nel quartiere Mitte di Berlino.
Niente corsa alla sopravvivenza, però: nel carrello ci sono solo quattro bottiglie di vino e poche altre cose, tra cui la carta igienica (ormai immancabile negli acquisti di chiunque). Lei stessa, insieme agli altri capi di Stato, ha ribadito più volte ai cittadini di astenersi dalla caccia allo scaffale.
«La situazione è seria e dovete prenderla sul serio», aveva detto nel discorso. «Dal tempo della Riunificazione, anzi dalla Seconda Guerra Mondiale non abbiamo mai affrontato una sfida che dipende così tanto dal nostro senso comune di solidarietà ».
Ma per Merkel non sarebbe però solo un modo per dare un buon esempio. Secondo Bild, che titola il pezzo «Angela paga con la carta», la cancelliera è un’habituè di quel supermercato e gli stessi dipendenti del punto vendita hanno raccontato al tabloid: «Viene qui spesso, fa tutto da sola. Nessuno l’aiuta a portare le buste».
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile IL FARMACO UTILIZZATO IN GIAPPONE HA AVUTO EFFICACIA CONTRO IL CORONAVIRUS NEL 90% DI CASI LIEVI, MA OCCORRE ANCORA SPERIMENTAZIONE… E NON C’E’ ALCUN COMPLOTTO DELL’AIFA
Quella sull’Avigan non è un bufala, ma si tratta di una notizia che merita un ulteriore
approfondimento anche alla luce di quel che sta circolando da diverse ore sui social.
Il farmaco utilizzato in Giappone, che sarà prodotto in Cina, ha realmente avuto un’efficacia molto buona contro il Coronavirus sul 90% dei cittadini sottoposti a questa cura nel Sol Levante.
Lo dicono i dati sanitari locali. Ma insieme a questi dati positivi, ci sono anche molte perplessità che partono dalle sperimentazioni ancora parziali fino agli effetti collaterali. Sui social si parla di complotto Avigan, al grido di «c’è la cura ma non ce lo vogliono dire». Ma non è esattamente così.
Abbiamo parlato degli aspetti positivi di questo medicinale. Occorre sottolineare, come fatto dallo stesso Cristiano Aresu — il farmacista romano che sui social ha parlato di questo Avigan — che l’effetto benefico si è avuto solamente sui pazienti che hanno contratto una forma lieve di Coronavirus.
Per gli altri, quelli in gravi condizioni, non c’è stato nulla da fare. Questo è il primo tassello che porta a spiegare i motivi per cui questa cura sia ancora in fase di verifica e controllo.
Il secondo capitolo riguarda un’altra affermazione detta dallo stesso 41enne farmacista romano, ora in Giappone, contro l’Aifa.
Secondo lui, infatti, l’Agenzia italiana del Farmaco non ha minimamente preso in considerazione l’utilizzo dell’Avigan per curare il Coronavirus.
Una cosa che non è reale: sul sito della stessa Aifa, si fa riferimento proprio a quell’anti-virale utilizzato nel 2015 per la gestione dell’emergenza ebola all’Istituto Spallanzani di Roma, uno dei punti di riferimento della ricerca in questo ambito. Inoltre, è tenuto in conto nella lista dei trattamenti contro il Coronavirus anche durante questa emergenza, proprio sulla base dei dati che arrivano da Oriente.
Insomma, non c’è nessun complotto Avigan al grido di «c’è la cura ma non ce lo dicono». Come accade per tutti i farmaci, prima di essere inserito nei protocolli ufficiali per la cura del Coronavirus (o di qualsiasi altra malattia), occorre avere una sperimentazione molto più articolata, con test specifici per confermarne l’efficacia. E l’Aifa già si è attivata in questo senso aprendo a un’operazione denominata fast track per velocizzare tutte le operazioni prima della conferma (o smentita) sulla cura contro il Covid-19.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile 300.000 PEZZI COSTATI 700.000 EURO E PRODOTTE DAL CUGINO DELL’ASSESSORE ALLA SANITA’ DELLA PROVINCIA DI BOLZANO
Marco Franchi sul Fatto Quotidiano oggi racconta una curiosa storia che riguarda una bandana anti-Coronavirus SARS-COV-2 (no, non è vero) distribuita in 300mila pezzi nelle edicole dell’Alto Adige per un costo di 700mila euro e prodotte dal cugino dell’assessore alla sanità della provincia di Bolzano:
In Alto Adige hanno tentato anche quest’arma contro il contagio: 300mila pezzi distribuiti gratuitamente ai cittadini nelle edicole. Da giorni moltipolitici localicompaiono con la fascia intorno al collo. Ma adesso ecco arrivare la polemica: a produrre la bandana, ha raccontato il sito di informazione salto.bz, sarebbe una grande impresa di cui è socio un cugino dell’assessore alla Sanità della Provincia di Bolzano, Thomas Widmann. La spesa sarebbe di 700mila euro.
Immediate le critiche dal M5S in Provincia: “Non c’è nessuna evidenza che la fascia sia utile. La spesa rischia di essere inutile perchè in Alto Adige tutti i cittadini hanno già una sciarpa”. §
La storia, che somiglia molto a quella delle mascherine di Luca Zaia, parte dalla richiesta della Provincia alle industrie locali:
Ieri in conferenza stampa Widmann l’ha raccontata così: “Abbiamo chiesto ad Assoimprenditori di indicarci imprese che potessero aiutarci”. Ne sono state individuate due. Sono il colosso Salewa e la TEXmarket fondata dai fratelli Heinrich e Cristoph Widmann. Salewa grazie ai suoi impianti cinesi avrebbe garantito 500mila maschere protettive FFP2 e FFP3, 400mila tute protettive e 40mila tute mediche per una spesa di 9,3 milioni. TEXmarket invece dovrebbe fornire bandane.
Ma che utilità può avere una sciarpa contro il contagio? In conferenza stampa ieri Weidmann ha risposto: “Non è mai stato detto che le bandane proteggono ”.
Ma allora perchè distribuirne 700mila?
“Tante cose contribuiscono ad allontanare il rischio, dal lavarsi le mani al mantenere le distanze. Tutto questo insieme di misure può essere utile”.
Christoph Widmann di TEXmarket ha dichiarato a Salto.bz: “Siamo stati contattati per la consegna rapida di bandane. Non capita spesso che tu possa dare un contributo importante al tuoPaese: fare tutto il possibile per soddisfare questa richiesta è stato quindi ovvio per noi”. Dalla TEXmarket si sottolinea anche che ogni bandana è stata pagata appena 2,3 euro.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile LE TESTIMONIANZE DEI COMMESSI
Come fare per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori nella grande distribuzione in una fase
in cui i contagi continuano ad aumentare e mancano alcune precauzioni fondamentali? Anche i cittadini devono fare la loro parte
Neanche il nuovo Dpcm chiuderà i supermercati che, quindi, insieme ad altre attività essenziali come le farmacie, rimarranno aperti.
Non potrebbe essere altrimenti: in assenza di un sistema di consegna a domicilio gratuito e diffuso su tutto il territorio, andare al supermercato resta l’unico modo per procurarsi del cibo.
Oggi più che mai, però, nel focolaio dell’epidemia di coronavirus in Lombardia e a Milano, è a rischio la salute dei commessi e dei lavoratori, che ogni giorno mandano avanti la grande distribuzione e che, come i medici, le infermiere e le forze dell’ordine, sono esposti quotidianamente al rischio del contagio.
Si tratta di un rischio concreto, considerando i buchi che lamentano i sindacati di categoria nel sistema delle precauzioni messe in campo dalle aziende. In un contesto, va detto, in cui è difficile reperire materiale sanitario anche per gli ospedali.
«La paura inizia subito quando entro nel mio posto di lavoro, salendo negli spogliatoi dove dobbiamo cambiarci in uno spazio ristrettissimo. Mantenere le distanze diventa difficile», racconta Luisella, 49 anni, cassiera in un grande supermercato nel centro di Milano. «Non vedo sanificazione: mentre nel supermercato c’è più attenzione, negli spogliatoi no».
Insieme alle sue colleghe Luisella si misura la temperatura prima e dopo ogni turno e adotta tutte le misure di sicurezza, nei limiti del possibile.
Alla richiesta di far sanificare bene anche gli spogliatoi, per il momento non è arrivata una risposta da parte dell’azienda, che però ha fornito ai suoi dipendenti le protezioni individuali: guanti, disinfettanti, il plexiglass per le cassiere e le mascherine. Ma anche in questo caso la barriera protettiva è “bucata”.
«Di mascherine ce ne hanno date una a testa, dicendo che sono lavabili, ma non ne sono certa. A furia di lavarla sembra che perda la propria funzionalmente» continua Luisella.
Nel suo caso si tratta di un mascherina Medimask, in cotone al 100%, riutilizzabile fino a 5 anni (agli addetti alla vendita di alimentari è consigliato usare le maschere senza filtro).
Anche Claudio, commesso in un altro supermercato nel centro di Milano e Giuseppe, dipendente di un grande supemaket nella zona di Linate, confermano la versione di Luisella.
Le mascherine sono poche, circa una a testa, vengono date a chi ne ha più bisogno e ai dipendenti viene detto di riutilizzarle. Anche nel loro caso la sanificazione lascia qualcosa a desiderare. «Nella sanificazione è stata aumentata la procedura nei bagni e negli spogliatoi — racconta Giuseppe.- Ma viene fatta dagli addetti alla pulizia, non si tratta di una vera e propria sanificazione».
La paura è anche questo: non sapere, e non avere gli strumenti per poterlo accertare, in un contesto in continua evoluzione e senza precedenti. Non sapere se le mascherine sono sufficienti, se la sanificazione sia stata fatta bene. «Non è che abbiamo paura, siamo terrorizzati. Quando si ha paura è per qualcosa che si conosce. Noi non siamo abituati a lavorare sette ore con la mascherina, non sappiamo a cosa andiamo incontro, non siamo medici non sappiamo riconoscere i sintomi», si sfoga Giuseppe.
A questi dubbi si aggiungono paure, preoccupazioni che si mischiano a sospetti sullo stato di salute dei colleghi: «Il numero di personale in malattia è salito esponenzialmente: nel supermercato dove lavoro abbiamo il 20 percento di personale in meno, mancano 20 persone su un totale di circa 90. Stanno male? O hanno paura? Non passa un giorno che non vedo un collega piangere o colleghi che vogliono scappare perchè vedono code interminabili, o colleghi a cui vengono le palpitazioni ad indossare le mascherine tutte quelle ore».
Il dramma dei commessi è anche questo: da una parte la riduzione del personale tra malattie e congedi di paternità o maternità ha limitato le risorse, dall’altra la domanda crescente e nevrotica, come testimoniano le file fuori dai supermercati, porta a una situazione di stress, di ritmi serrati, di mancati riposi. Per questo appoggiano la riduzione dell’orario di apertura introdotto da alcuni gruppi, come Conad e Esselunga. Ma il problema è anche un altro: l’atteggiamento dei clienti.
«Ci sono famiglie intere che vengono a far la spesa perchè la prendono come momento di svago. La legge dice altrimenti, ma evidentemente non è ancora chiaro…», si lamenta Luisella.
Altro guaio riguarda le difficoltà nel far rispettare la distanza di sicurezza ai clienti dentro i supermercati e non solo nelle code disciplinate fuori dall’ingresso, spiega Claudio.
Non che siano sempre disciplinate le code: Giuseppe racconta di risse scoppiate tra i clienti per aver saltato il posto in coda, clienti che mettono le mani addosso alle guardie per cercare di entrare («Chiamiamo la polizia quasi tutti i giorni», aggiunge): momenti di crisi che erano particolarmente acuti nei primi giorni della zona rossa, quando i supermercati non erano ancora pronti, ma che si ripresentano con ogni nuovo Dpcm.
«Adesso lavoriamo in sicurezza perchè facciamo entrare poche persone. Anche qui la situazione non è chiara, c’è un protocollo sulla sicurezza ma è difficile farlo rispettare in un supermercato. La distanza di sicurezza se il negozio è contingentato la rispettiamo, ma i clienti comunque vengono da me», continua Giuseppe. «Basta che i clienti cambino gli abitudini: evitando di venire a fare la spesa due volte al giorno ma una volta ogni tanto. Così ci daremo tutti una mano»
(da Open)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile I MAGISTRATI APPLICANO L’ART 260 DEL T.U. DELLE LEGGI SANITARIE CHE PREVEDE UNA PENA NON OBLABILE
Mano pesante contro gli irresponsabili: la Procura di Milano, guidata da Francesco Greco, sta valutando di applicare per l’emergenza Coronavirus una norma più dura dell’articolo 650 del codice penale, ossia l’articolo 260 del testo unico delle leggi sanitarie, che punisce chi non osserva un ordine “legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva”.
Un reato che prevede una pena congiunta dell’arresto “fino a 6 mesi” e dell’ammenda fino a 400 euro. E che non è ‘oblabile’, come invece l’altro reato, ossia non si può pagare per cancellarlo.
Applicando l’articolo 650 del codice penale, di cui si era parlato finora, infatti, l’inosservanza dei provvedimenti che impediscono gli spostamenti, se non per comprovati motivi, è punita con una pena dell’arresto fino a 3 mesi o, in alternativa, con una sola ammenda fino a 206 euro.
Ed essendo un reato contravvenzionale, poi, il procedimento può anche concludersi con un’oblazione, ossia con il pagamento di una somma prestabilita che estingue il reato
Diversa, invece, la sanzione prevista nell’articolo 260 del testo unico delle leggi sanitarie del 1934, perchè la pena arresto-ammenda è congiunta e, dunque, non ‘oblabile’
Delle denunce che arrivano a ciclo continuo in Procura se ne occupano sia l’Ufficio Portale, coordinato dal pm Giancarla Serafini, che il dipartimento ‘ambiente, salute, sicurezza, lavoro’, guidato dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano
In valutazione, tra l’altro, ci sono anche altre eventuali ipotesi di reato da applicare a seconda dei casi, tanto che se ci si troverà , ad esempio, di fronte addirittura ad una persona che era consapevole di essere positiva al Coronavirus ma ha deciso di stare a contatto con altri senza presidi di sicurezza, si potrà anche applicare l’ipotesi più grave del reato di epidemia. Quella dolosa e’ punita anche con l’ergastolo.
La Procura milanese, dunque, sta già vagliando le denunce redatte dalle forze dell’ordine per arrivare poi ad infliggere le prime condanne a coloro che non hanno rispettato i divieti imposti e che ora non se la potranno cavare più pagando una somma.
(da agenzie)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile QUANDO ANCHE LE AGENZIE ISTITUZIONALI DIFFONDONO BALLE: COSTRETTO A INTERVENIRE IL SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE
Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute, oggi a colloquio con il Gazzettino smentisce una bufala
che sta circolando in posti impensabili: «È totalmente infondato sostenere che le mascherine con le valvole (delle mascherine, ndr) diffondono il contagio e che quindi sono pericolose».
E dove si trovavano quelle informazioni?
Dal vademecum di un’agenzia formativa accreditata della Regione Piemonte, Asso.Forma, ripreso addirittura da un dipartimento del Viminale, avvalorando la convinzione che alcune mascherine, peraltro quelle più ricercate — le FFP2 e le FFP3 — perchè destinate ai sanitari, anzichè proteggere le persone diffondano il virus.
Informata dal Gazzettino, il sottosegretario Zampa ha assunto informazioni e chiarito la vicenda: «Da una verifica disposta dal ministero dell’Interno è stato accertato che l’opuscolo di Asso.Forma, che ora perderà l’accreditamento, è stato diffuso non dal dicastero ma solo dal dipartimento dei Vigili del fuoco di L’Aquila, chiamato ora a ritirarlo. E un vademecum con informazioni totalmente infondate, gli unici titolati a dire quali sono le caratteristiche delle mascherine sono il ministero della Salute e l’Istituto superiore della sanità sui cui siti istituzionali si trovano rapporti corretti».
Quanto alle mascherine made in Veneto, il sottosegretario ammette: «C’è una oggettiva difficoltà di reperimento di mascherine e quindi comprendo chi agisce secondo la massima “piuttosto che niente meglio piuttosto”.
È però indispensabile che iniziative come quella veneta seguano almeno due direttrici: il prodotto deve essere “sano” (non deve cioè essere nocivo per chi lo indossa) e l’utilizzatore deve essere correttamente informato. Perciò bene hanno fatto in Veneto a stampare sulle mascherine la dicitura: “non sono dispositivi di protezione individuale”. Nessuna previsione sul picco dei contagi: «La nostra speranza è che le prossime settimane segnino una svolta, voglio ricordare che il Governo ha operato con mano ferma facendosi guidare da OMS, esperti e scienziati».
Quindi anche il ministero conferma che le fantastiche mascherine della Regione Veneto non proteggono da nulla.
(da “NextQuotidiano”)
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Marzo 22nd, 2020 Riccardo Fucile “IL GOVERNATORE CONTINUAVA A CHIEDERE AL GOVERNO DI INTERVENIRE SENZA FARE NULLA IN PRIMA PERSONA”… “FONTANA HA PREFERITO ASSUMERE BERTOLASO INVECE CHE ASSUMERSI UNA RESPONSABILITA'”
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano oggi parla della chiusura totale delle attività produttive annunciata ieri da Giuseppe Conte per l’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 e del curioso atteggiamento di Attilio Fontana, governatore della Regione Lombardia, che ha continuato a chiedere al governo di intervenire senza fare nulla in prima persona:
Le partite di calcio, l’eventuale mutazione delvirus e le scemenze dei sindaci Sala e Gori su Milano e Bergamo da bere e da spritzare hanno fatto il resto, insieme agli stop and go della Regione, più sensibile a Confindustria che ai virologi. Ieri sera il governo ha fatto (addirittura su scala nazionale) ciò che Fontana e la sua giunta non avevano voluto fare. Dicevano sempre “non basta, vogliamo di più, chiudiamo tutto”, ma non facevano nulla.
La Regione — come tutte, responsabili esclusive della sanità pubblica — ne aveva i poteri. Ma il governatore mascherato preferiva buttare la palla a Roma chiedendo truppe inutili, esaltando pannicelli caldi come il Bertolaso Hospital (300 posti che si riempiono in mezza giornata), pretendendo dal governo i divieti che non aveva il coraggio di imporre lui. Ora le chiacchiere stanno a zero. I primi quattro decreti Conte hanno recepito le indicazioni degli scienziati e il quinto quelle dei sindaci bergamaschi e della giunta Fontana. Se la Lombardia, che sta all’Italia come Wuhan alla Cina, continuerà a dire che bisogna fare di più, lo faccia e la pianti con lo scaricabarile (altre regioni hanno già preso iniziative autonome, peraltro quasi tutte demenziali).
Da tempo la Cgil segnalava che ogni giorno si muovono per lavoro a Milano 300mila persone che non svolgono mestieri indispensabili, affollando vieppiù strade, autobus, metro, treni per pendolari e fabbriche. Eppure la Regione non ha fatto nulla: neppure chiedere al governo di chiudere uffici pubblici e aziende inessenziali, anche se a giudicare dal volume delle telechiacchiere quotidiane pareva il contrario. Quando tutto sarà finito, chi pretendeva “più autonomia ”dovrà spiegare perchè in questo dramma apocalittico non ha esercitato neppure quella che già ha. Parafrasando Longanesi: meglio assumere un Bertolaso che una responsabilità .
(da agenzie)
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