Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
UN PERFETTO SCONOSCIUTO ARRIVATO DAL NULLA CON DUE PROTETTORI, PADRE PIO E SERGIO MATTARELLA… IL SUO SEGRETO? LA POCHEZZA DEI PROPRI RIVALI… COME DICEVA SANT’AGOSTINO: “NULLA SE MI CONSIDERO, MOLTO SE MI CONFRONTO”
Due anni fa era il perfetto sconosciuto. Quel 23 maggio 2018, quando ricevette l’incarico di
Governo, Conte veniva ancora confuso con Antonio, l’allenatore (entrambi pugliesi).
Ora perfino Trump sa che il nostro premier si chiama “Giuseppi”. E soprattutto adesso nessuno più si metterebbe a spulciare il suo curriculum vitae per vedere se è taroccato o meno: la pigrizia collettiva si affida a Wikipedia, che lo celebra con un ritratto napoleonico.
Lo statista di Volturara Appula, “il primo presidente del Consiglio proveniente dall’Italia meridionale dal 1989″ (all’epoca era De Mita). In realtà Ciriaco, al confronto, fu una meteora; da segretario della Dc resistette a Palazzo Chigi soltanto 466 giorni laddove Conte, senza essere leader di niente, si è già arrampicato a 723, undicesimo nella speciale graduatoria dei premier più longevi. Un altro anno di Governo gli basterebbe per scavalcare in un colpo solo Mariano Rumor, Antonio Segni e Matteo Renzi. Se poi arrivasse in fondo alla legislatura, si piazzerebbe tra Aldo Moro e Amintore Fanfani, cioè nella Cupola dell’Italia post-bellica. Comunque lo si giudichi, l’uomo evidentemente possiede delle qualità che gli permettono di restare a galla, e che sarebbe rozzo ignorare.
Anzitutto Conte ha due santi in paradiso. Il primo si chiama Padre Pio, del quale si dichiara devoto al punto da portarne con sè nel portafoglio l’immaginetta. L’altro protettore, non meno potente, sta sul Colle più alto della Repubblica. Sergio Mattarella ci si è trovato bene fin dal loro primo incontro nel salottino presidenziale, quando avrebbe potuto rifiutarsi di consegnare il Paese all’avvocato del piano di sotto, come pretendevano Di Maio e Salvini, in pratica a un loro prestanome; invece sorprendentemente il capo dello Stato non sollevò obiezioni. Diede via libera incassando un bel po’ di critiche preconcette. Ma c’era forse un perchè.
Un giorno si scriverà la storia di questo settennato e si vedrà che Mattarella, con spietata dolcezza, è riuscito a imbrigliare uno dopo l’altro tutti gli aspiranti “caudillos” della politica italiana.
Non ha manovrato spregiudicatamente come alcuni suoi predecessori, tuttavia anche lui si è mosso (senza darlo a vedere). Può darsi che in Conte, oltre alle comuni radici cattolico-democratiche, 24 mesi fa Mattarella avesse intravisto il personaggio giusto, l’antidoto che non ti aspetti alle ambizioni di 5 stelle e Lega, con le doti di astuzia, determinazione, ipocrisia e cinismo necessarie per contenere l’onda populista.
Sia come sia, Mattarella gli ha coperto le spalle in tutti i passaggi più scabrosi. Così in parte si spiega il mistero della sua resilienza. È fuor di dubbio che, senza un sostegno da lassù, Conte sarebbe già caduto da un pezzo. Non gli sarebbero bastate nè l’abilità alla Tarzan di saltare da un’alleanza all’altra, nè l’onnipresenza televisiva ai confini del narcisismo su cui il fido Rocco Casalino ha edificato buona parte della sua vasta popolarità .
L’altro segreto di Conte sta nella pochezza dei propri rivali. “Nulla se mi considero, molto se mi confronto”, è un modo di dire risalente a Sant’Agostino. Nel caso del premier, il detto sembra cucito su misura da un sarto.
Lui perlomeno ha una professione liberale, una laurea, un riconoscimento accademico e sa come destreggiarsi nei cavilli giuridici. Quando si esprime nella lingua di Shakespeare, che è l’esperanto dei consessi internazionali, non suscita l’ilarità dei suoi più agguerriti rivali.
In patria trasmette un senso dèmodè di educazione che fa ancora presa sulla gente semplice, quella che si spellava le mani per Berlusconi e ora cerca un erede del Cav
La vera grande risorsa di Conte sta nella mediocrità dei tempi, nel crollo delle ambizioni collettive, nella ricerca spasmodica dei surrogati. Il suo successo politico si riassume in una formula: è il classico monocolo «in terra caecorum». Ovvero, il meno peggio al potere.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
L’INDICE RT E’ UN INDICE STATISTICO CHE INDICA SOLO IN TERMINI DI PROBABILITA’, NON E’ CERTO LA SOMMA CHE FA IL TOTALE… MA GALLERA SA DI COSA PARLA?
Scivolone imperdonabile di Giulio Gallera, assessore al Welfare della Regione Lombardia.
Il frontman dell’emergenza coronavirus nella regione d’Italia più colpita è tornato in conferenza stampa: il 23 maggio, infatti, si è presentato davanti alle telecamere dopo aver abbandonato questa prassi al termine della fase più acuta dell’epidemia. Giusto in tempo per commettere uno strafalcione Gallera su indice contagio.
Giulio Gallera voleva commentare il buon dato dell’indice di contagio Rt della regione Lombardia al 23 maggio, ovvero 0,51. «Perchè, lo ricordiamo, 0,51 cosa vuol dire? — ha detto Gallera -. Che per infettare me, bisogna trovare due persone nello stesso momento infette perchè è a 0,50 no? E questo vuol dire che non è così semplice trovare due persone nello stesso momento infette per infettare me. Questa è l’efficacia dell’azione e ciò che ci fa stare più tranquilli e confidenza. Quando è a 1 — ha concluso — vuol dire che basta che io incontro una persona infetta che mi infetto anche io».
L’errore è presto spiegato. L’indice Rt è un indice statistico che indica — in termini di probabilità — quante persone è in grado di infettare un soggetto contagiato.
Non è certo la somma che, in questo caso, fa il totale, citando un famoso passaggio di Totò.
Invece, Giulio Gallera ha dimostrato una certa approssimazione nella lettura di un dato che invece è frutto di un calcolo più complesso di una semplice addizione.
Il concetto, che voleva essere il più divulgativo possibile, è stato ridotto praticamente a un discorso da salotto. Dove gli interlocutori, quando l’hanno sentito, sono rimasti più spaesati di prima. Prevalentemente perchè non credevano alle proprie orecchie.
In ultimo, andrebbe ricordato che, guardando al quadro individuale, la Lombardia ha più casi positivi della Cina e ogni giorno la metà di quelli italiani. Però l’Rt sotto l’1. Ed è quindi delicata la scelta sull’apertura dei confini regionali anche se il governatore Fontana dice che il giro d’affari della regione dovrebbe essere tenuto in conto.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
ZAIA IN IMBARAZZO: “SI FA CONFUSIONE, DOVRO’ METTERE A POSTO I COCCI”… CRISANTI: “IO NON HO INTERESSI POLITICI, SE VOLETE CREDERE ALLE FAVOLE SIETE LIBERI DI FARLO”
Qualche settimana fa sui social girava un fotomontaggio: un album di figurine Panini ma non dei
calciatori, bensì dei virologi. Era una burla ma probabilmente è anche per questo senso comune nei confronti degli scienziati che ora in Veneto si consuma uno dei testa a testa più duri dall’inizio della pandemia: quello tra il governatore del Veneto Luca Zaia e il direttore del laboratorio di Microbiologia di Padova Andrea Crisanti.
A nessuno dei due dispiace l’idea di essere ricordato come l’uomo dei tamponi, colui che ha salvato il Veneto dal coronavirus. Ma mentre all’inizio la diplomazia governava il rapporto tra questi due uomini con il piglio da leader, ora volano gli stracci.
Zaia sostiene che il merito vada al piano redatto dal suo Dipartimento di prevenzione ma Crisanti gli risponde senza tanti giochi di parole: “Baggianate”.
E così il governatore leghista, alla vigilia delle elezioni regionali e con un gradimento superiore al 60%, si ritrova nella paradossale di situazione di avere come contendente principale non un esponente della corrente avversa, bensì un virologo.
Non uno qualunque, peraltro. Andrea Crisanti, scienziato di fama internazionale dopo un lungo periodo all’Imperial College di Londra, emerge a livello nazionale in contrapposizione alla Regione Veneto subito 24 ore dopo il primo morto di coronavirus in Italia, che fatalità è successo proprio a Vo’, in provincia di Padova.
Un carteggio datato 11 febbraio fa riferimento all’idea di Crisanti di sottoporre al tampone non solo coloro che mostravano sintomi compatibili con l’infezione, ma tutti coloro che rientravano dalla Cina.
“Esistono infatti pazienti asintomatici: portatori sani che pur non mostrando alcun segno della malattia sono stati contagiati e possono contagiare altre persone. Una verifica su tutti i potenziali malati, quindi, sarebbe auspicabile proprio sulla base delle indicazioni della comunità scientifica internazionale”, fa presente il virologo.
La Regione gli risponde con il direttore della sanità veneta Domenico Mantoan (in quota Lega): “Si chiede di conoscere sulla base di quali indicazioni ministeriali o internazionali si sia ipotizzata tale scelta di sanità pubblica o se il suddetto percorso rientri all’interno di un progetto di ricerca approvato dal Comitato Etico per la Sperimentazione Clinica di riferimento”, si legge nel documento.
Il richiamo è al coordinamento centrale, “elemento imprescindibile per la corretta risposta all’emergenza”. Si precisa poi che “eventuali proposte in ambito assistenziale, discostanti da quanto ad oggi definito, devono essere condivise con la Direzione Prevenzione”.
Il documento si chiude facendo riferimento al fatto che una spesa del genere non rientrerebbe tra le prestazioni coperte dalla sanità nazionale”.
L’aumento esponenziale dei contagi, dei decessi e delle zone rosse, metterà a tacere i contendenti. Ma la ferita rimane aperta.
Andrea Crisanti si concentra su Vo’ e coordina la ricerca scientifica unica al mondo sulla popolazione del paese colpito dal coronavirus, con ben tre cicli di tamponi a tutti i 3.300 abitanti.
Le interviste si moltiplicano sui media nazionali e internazionali ma anche il governatore Zaia, al ritmo di una conferenza stampa al giorno, guadagna terreno in termini di consensi. E mentre la Lombardia va a picco, il Veneto regge lo tsunami del virus.
Zaia e Crisanti, Crisanti e Zaia. In un paio di occasioni finiscono insieme in conferenza stampa ma non ci vuole tanto a interpretare lo spirito individualista di entrambi.
Giovedì arriva il giorno in cui in Veneto si registrano “zero contagi”.
Crisanti, ad Agorà e a Radio3, spiega che il Veneto ha tagliato l’importante traguardo con largo anticipo rispetto alla simulazione statistica. Orgoglio da scienziato. Ma Zaia non apprezza e, ancora una volta, sottolinea che la vittoria è della squadra diretta dalla professoressa Francesca Russo, capo del Servizio di Prevenzione del Veneto.
Dice anche che la Russo aveva già un piano tamponi. Crisanti ribatte: “Se la dottoressa Russo aveva un piano sui tamponi, deve spiegare perchè l’8 febbraio il suo ufficio mi ha intimato di non fare più i tamponi a chi tornava dalla Cina. Dire che aveva un piano è una baggianata. Vogliamo prendere in giro tutti?. Io non ho interessi politici, se volete credere alle favole siete liberi di farlo. Fino a ieri pensavo che collaborassimo e che i meriti venissero riconosciuti, io posso dimostrare tutto e loro no. La dottoressa Russo non scriverà nessun report scientifico, perchè non ha nessun dato in mano”.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
MASCHERINE LISTATE A LUTTO, MOLTI PARENTI DELLE VITTIME E PERSONALE SANITARIO METTONO SOTTO ACCUSA FONTANA E GALLERA
“Una farmacista oggi lavorerà con addosso il fiocco. Due ragazzi prima di salire in moto ci hanno mandato la loro foto. E poi altra umanità . Così per tutto il giorno. Sulle vostre bacheche. Sulle nostre pagine”.
Oggi è il giorno clou della protesta contro la gestione dell’epidemia di coronavirus in Lombardia con le foto pubblicate sui social dai cittadini con le mascherine listate a lutto.
Sta registrando centinaia di adesioni il flash mob virtuale lanciato da I Sentinelli, Milano 2030 e Casa Comune.
Sulla pagine Facebook delle associazioni rimbalzano i selfie dei manifestanti virtuali con le coccarde nere o con le mascherine marcate col pennarello nero.
L’hashtag è #SalviamoLaLombardia o #CommissariateLasanità inLombardia. Fra le persone che hanno aderito ci sono lavoratrici e lavoratori di ogni settore, ma anche molti infermieri, alcuni farmacisti, e poi giovani e tanti che hanno perso i famigliari per il Covid 19.
Centinaia e centinaia di foto con mascherine ‘a lutto’ con un nastrino nero applicato o solo disegnato e cartelli che chiedono il commissariamento della Sanità di Regione Lombardia per la gestione dell’emergenza Coronavirus.
Tra le foto scattate e postate con la mascherina a lutto anche diverse di personale sanitario, medici e infermieri: una di loro, guarita e contagiata, chiede nel suo cartello “le dimissioni di Fontana e Gallera”.
“Per le persone care che ho perso — scrive ancora una ragazza -, per 32 giorni di quarantena senza diagnosi, senza assistenza medica, stando male per gli effetti collaterali dell’idrossiclorichina e per il sierologico che mi sono dovuta pagare per scoprire che non è mai stato Covid”. O ancora: “voler conoscere cause e responsabilità di un disastro non è sciacallaggio”.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA SOCIALITA’ SARA’ VISSUTA IN MODO DIVERSO
Un sondaggio condotto da Facile.it ha fatto emergere una serie di realtà sulla vita che gli italiani
sono disposti a condurre dopo la fine del lockdown.
La crisi sanitaria causata dal coronavirus ci ha cambiati, su questo non c’è dubbio. Mentre studiosi, sociologi, economisti e scienziati cercano di spiegarci in che direzione andrà la nostra società , da un semplice sondaggio emergono realtà molto interessanti.
Come quella delle vacanze, che non ci saranno per 7 milioni di italiani la prossima estate. O come la dimensione del divertimento, che subirà radicali cambiamenti con un emblematico 60,4% degli intervistati che si dice disposto a tornare a mangiare nei ristoranti solo a partire dal prossimo anno.
Stiamo vivendo un «momento di transizione, non è scattato ancora il totale ritorno alla normalità », spiega il sociologo Nicola Ferrigni in un’intervista rilasciata ad HuffPost. «Siamo dubbiosi, perplessi, abbiamo giustamente paura. Ma non è solo questo», aggiunge. Durante il lockdown abbiamo sperimentato una «riscoperta di noi stessi», un «ritorno alla vera ‘normalità ‘, quella fatta di rapporti più autentici. Abbiamo riscoperto i profumi, gli odori, i sapori, ponendoci in una dimensione di silenzio e di ascolto di noi stessi».
Di tutto questo cambiamento entra a far parte anche la nostra concezione di divertimento, con solo il 13,3% delle persone che si dice non solo pronto, ma anche desideroso di tornare a mangiare fuori.
In questi due mesi «credo che ciascuno abbia fatto delle riflessioni interne e il silenzio sia stata la dimensione che ci ha portato a ripensare il modo di vivere. Non so a quanti interessi tornare a quel ritmo che era di fatto un’aritmia sociale, anche nel tempo dello svago», dice il professore associato di Sociologia presso l’Università degli Studi “Link Campus University”.
«Non c’è dubbio che le regole anti-covid, che sono sacrosante, un po’ scoraggiano ad esempio il desiderio di andare al ristorante. Ma credo che abbiamo riscoperto un nuovo modo di divertirci e di passare il tempo. Cucinare in casa, ad esempio. Il corpo, la gola hanno provato sensazioni nuove», sottolinea. Una nuova realtà dello svago fatta dall’assaporare momenti che, fino ad oggi, erano privilegi come «una colazione o un pranzo o una cena in casa ».
Si tratta di nuove possibilità che molti stanno esplorando grazie allo smart working.
(da “Huffingtonpost”)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
E CHE NE USCIRANNO PEGGIORI DI PRIMA
In assenza di un piano politico efficace e chiaro sulla ripresa economica, alte percentuali di italiani guardano al futuro con pessimismo e ritengono che la “rabbia sociale” renderà difficile l’uscita dalla crisi
Il vero tema della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus è “la rabbia sociale”. O meglio, «i sentimenti di rabbia e divisione» che torneranno dopo un periodo di maggiore coesione definito dalla crisi sanitaria.
Secondo un sondaggio Ipsos del Corriere della Sera, due italiani su tre pensano che questo senso di coesione è ormai un ricordo del passato, che tutto tornerà come prima e che proprio questo «ostacolerà l’uscita dell’Italia dalla crisi economica».
Nel sondaggio emerge anche un certo risentimento verso la propria categoria — tanto nell’affrontare questa fase quanto quelle che verranno.
Ad esempio, secondo il 49% degli intervistati ci sono stati (e ci sono) troppi cittadini che hanno violato le regole sulle restrizioni senza capirne l’importanza (contro il 39% di parere opposto).
Quasi che i continui richiami alle “responsabilità individuale” e la ripetuta messa alla berlina dei comportamenti sociali (permessi dalle stesse istituzioni) avesse davvero avuto un qualche effetto sulla percezione comune dell’emergenza.
La valutazione negativa non è riservata a tutti, ma a chi non fa parte della propria cerchia di amici/parenti.
Secondo il 52% degli intervistati, i loro parenti e amici hanno rispettato in tutto e per tutto, e «con senso di responsabilità e consapevolezza», le disposizioni delle autorità mediche e politiche.
Un quadro che non getta ottime premesse per i pensieri sul futuro: secondo il 63% degli intervistati, quando tutto sarà finito i nostri sentimenti «di rabbia e divisione» ci impediranno di uscire dalla recessione economica.
Se dovesse prolungarsi la crisi sanitaria, poi, secondo il 58% degli intervistati, saremo portati a «una maggiore chiusura verso gli altri».
E intanto, come in una profezia che si autoavvera (come scrive lo stesso Nando Pagnoncelli) il 35% si dichiara già più arrabbiato rispetto a prima della pandemia (contro il 12%).
A confermare l’impressione che le risposte sul futuro siano orientate da una certa narrazione della Fase 2, c’è qualche contraddizione di fondo nelle risposte.
Sullo «spirito di coesione manifestato nelle fasi più critiche», ad esempio, le opinioni si spaccano: per il 44% l’epidemia ha risvegliato il nostro senso civico, mentre per il 42% si è «enfatizzato troppo questo aspetto».
Resta poi la confusione su quale sarà la valenza dei nostri rapporti interpersonali, che anche qui oscilla tra i due opposti: per il 38% la nostra fiducia negli altri ne uscirà rafforzata, mentre per il 36% non ci fideremo mica più così tanto.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
FINISCE A BOTTE LA MOVIDA NELLA CITTA’ UMBRA, GIOVANI NON RISPETTANO IL DISTANZIAMENTO, MOLTI SENZA MASCHERINA
La fase 2 alla prova della movida, in tutta Italia. Le strade si riempiono, la situazione si complica e
salta il distanziamento sociale e i sindaci passano al contrattacco.
A partire da Perugia. «Le situazioni alle quali abbiamo assistito non sono accettabili». A parlare è il sindaco di Perugia Andrea Romizi che dopo le scene di movida violenta e di assembramenti di giovani senza mascherina viste nel centro storico della città ha disposto la chiusura di tutti i locali alle 21.
«Sarebbe da irresponsabili — ha detto il sindaco — vanificare tutti gli sforzi fatti finora». Le immagini raccolte dalle testate locali testimoniano la presenza di grandi gruppi di persone a stretto contatto tra loro, per lo più senza i dispositivi di protezione personale, quando ancora l’epidemia da Coronavirus continua a rappresentare un’emergenza, nonostante le riaperture.*
In particolare, le immagini raccolte da Il Messaggero mostrano scene di giovani che si riprendono i luoghi di socializzazione oltrepassando però il limite.
Nel video, oltre al mancato rispetto delle misure di distanziamento fisico, l’atmosfera di piazza Dante si surriscalda e la situazione degenera. Si assiste dunque a una scena in cui alcuni giovani finiscono col mettersi le mani addosso, tra le urla dei presenti.
E fuori campo c’è chi documenta con fotocamera alla mano.
Per queste ragioni, il sindaco di Perugia si è affrettato a emanare un’ordinanza valida da questa sera e per tutte le successive giornate di venerdì, sabato e domenica, e nei giorni festivi e prefestivi fino al 7 giugno.
Anche l’assessore alla Sicurezza Luca Merli ha manifestato preoccupazione: «Le disposizioni di distanziamento sociale non sono state rispettate, e si sono verificati episodi di assembramento preoccupanti, a causa dei quali, nostro malgrado, abbiamo dovuto emanare questa ordinanza». In questi pochi giorni di riaperture, a partire dal 18 maggio, il questore di Perugia ha già disposto la chiusura di alcuni locali che non sono riusciti a far rispettare le norme di comportamento da parte dei propri clienti, in primis il rispetto delle distanze sociali e l’uso delle mascherine.
In base all’ordinanza, tutti i locali pubblici del centro storico di Perugia e della zona di Fontivegge hanno l’obbligo di chiudere alle 21. I ristoranti che possono restare aperti dovranno comunque osservare «rigorosamente l’obbligo di servizio al tavolo per assicurare il dovuto distanziamento tra i clienti». Inoltre, saranno intensificati i servizi di controllo da parte delle forze di polizia.
(da Open)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
UNA VOCE DI SPESA SCORRETTA INSERITA NELLO SCONTRINO PER GIUSTIFICARE UN AUMENTO; SI VA DA 2 A 4 EURO… QUANDO IL GOVERNO HA LORO RICONOSCIUTO UN CREDITO D’IMPOSTA DEL 50% PER LA SANIFICAZIONE FINO A UN MASSIMO DI 20.000 EURO
Oscilla tra i 2 e i 4 euro e l’hanno già ribattezzata tassa Covid, sugli scontrini di parrucchieri, estetisti e altri servizi alla persona.
E — è bene precisarlo subito — non è una abitudine diffusa ovunque, ma riguarda soltanto alcuni esercizi commerciali in alcune città italiane.
Abbiamo già dato conto dell’aumento dei prezzi in seguito alla riapertura delle attività dopo l’emergenza coronavirus. Il modo, per alcune rivenditori, di rientrare o di cercare di rientrare più velocemente all’interno delle spese sostenute in questo periodo di chiusura forzata delle attività .
Su alcuni scontrini, dunque, sembra essere stata sdoganata una sorta di cifra-risarcimento (che a questo punto viene fatta scontare proprio ai cittadini) riguardante tutte le prescrizioni che gli esercizi commerciali hanno messo in piedi per poter riaprire, dalla sanificazione dei locali effettuata attraverso l’intervento di ditte specializzate, passando per l’acquisto di prodotti di protezione personale e di kit di sicurezza anti-contagio che, a volte, vengono inseriti anch’essi all’interno degli scontrini.
Le segnalazioni, in questo caso, sono state effettuate sia dal Codacons, sia dall’Unione Nazionale dei consumatori.
«Si tratta di una sorta di tassa di sanificazione applicata da parrucchieri, estetisti e alcuni dentisti — ha spiegato il presidente dell’UNC Massimiliano Dona al Sole 24 Ore -, una prassi scorretta che si sottrae forse anche da un punto di vista fiscale alla somma dovuta al consumatore»
Le prime avvisaglie si erano già intraviste al momento della riapertura delle attività il 18 maggio, ma a quanto pare la prassi sembra essere consolidata in alcune realtà commerciali. I costi degli interventi di sanificazione, lo si ricorda, vanno dai 200 ai 400 euro a intervento, a seconda della superficie da trattare.
La periodicità dell’intervento deve essere frequente e questo comporta indubbiamente una nuova spesa per le già vessate attività commerciali.
Tuttavia, nel decreto Cura Italia è stato previsto un incentivo proprio per offrire un supporto a questa spesa ulteriore: ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione è riconosciuto infatti, per il periodo d’imposta 2020, un credito d’imposta nella misura del 50 per cento delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro fino ad un massimo di 20.000 euro.
Dunque sembra essere scorretto nei confronti della clientela chiedere un contributo dai 2 ai 4 euro per la sanificazione dei locali.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2020 Riccardo Fucile
IERI SERA LA SOLITA SCENA IN PIAZZALE ARNALDO, NONOSTANTE GLI APPELLI
Piazzale Arnaldo a Brescia è uno dei luoghi per eccellenza della cosiddetta movida, termine ormai
abusato ma che ci fa immediatamente capire a cosa ci riferiamo in questo periodo.
Il sindaco Emilio del Bono, viste le scene immortalate da cittadini comuni sui social network e da giornali della stampa locale, ha deciso di firmare un’ordinanza per chiuderla e dare un forte segnale contro gli assembramenti.
Proprio Brescia e la sua provincia sono state tra le città più colpite d’Europa dall’epidemia di coronavirus e quello che è accaduto ieri ha lasciato una forte impronta nel primo cittadino.
«Domani — ha scritto il sindaco sui social network — firmerò ordinanza di chiusura serale di Piazza Arnaldo per questo fine settimana. Troppe persone, assembramenti nonostante la presenza significativa di Polizia locale. Quindi è bene dare un segnale chiaro. In settimana si definirà con gestori dei locali e con l’ausilio della Questura la gestione della Piazza e delle vie limitrofe durante la sera».
Nella serata di ieri, la polizia municipale è stata costretta a intervenire proprio all’interno di Piazza Arnaldo, creando una sorta di cordone per evitare ulteriori accessi al luogo pubblico dopo la mezzanotte.
Una scelta che si è resa necessaria in virtù delle numerose segnalazioni arrivate direttamente da uno dei luoghi più centrali della città lombarda.
Nella sola provincia di Brescia, dall’inizio dell’epidemia, si sono registrati 2.456 decessi e oltre 12mila contagi, mentre della città amministrata da Del Bono le vittime sono state 407.
«Si tratta — ha detto il sindaco in risposta a un commento sulla sua decisione — di migliaia di persone che vanno gestite dentro e fuori la piazza». Tra le varie risposte dei cittadini, ci sono quelle delle persone che hanno perso i propri familiari o che hanno affrontato situazioni difficili a causa del coronavirus. I toni sono quelli dell’indignazione che ha fatto da padrona in questi ultimi giorni: ma questa volta, c’è stata corrispondenza con un atto amministrativo concreto che, al momento, dovrebbe limitarsi al solo finesettimana.
(da agenzie)
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