Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile DA MATTARELLA A SOUMAHORO, LA RICHIESTA DI CONCRETEZZA ROMPE LA NARRAZIONE DI CONTE… TUTTE LE RIFORME E I DOSSIER SONO FERMI
Anche Confcommercio, dopo quattro chiacchiere alla Casina del Bel Respiro con Conte,
all’uscita rilascia la dichiarazione, diventata ormai un classico in questi giorni, “bene, ma ora serve concretezza”.
Concretezza, come aveva chiesto Mattarella, sindacati, anche Colao, già congedato dopo la presentazione del suo ambizioso piano, già finito negli sterminati archivi delle “bozze” periodicamente bruciate dal grande forno dell’indecisionismo italiano.
E pure Aboubakar Soumahoro, che non è stato invitato ma si è incatenato davanti a Villa Pamphili finchè il governo non ascolterà gli “invisibili”, chiede “atti concreti”. Non ci vuole una Cassandra per prevedere analoga sollecitazione da parte di Confindustria domani o dalla miriade delle sigle chiamate a ripetere l’ovvio in questa campagna d’ascolto per l’ascolto.
E cioè che di fronte al collasso economico di cui si vedono già tutti i segni, occorrono decisioni, tempestività , determinazione
Neanche l’abilità comunicativa dei brillanti spin doctor del premier è riuscita finora nel miracolo di dare corpo a ciò che corpo non ha, affidando il messaggio di ricostruzione solo alla grandeur ambientale di una villa in stile Luigi XIV, senza uno straccio di idea. Anzi, il paradosso è che questi Stati Generali si sono trasformati in un caso di scuola di eterogenesi dei fini: una mossa di propaganda che ha finito per disvelare l’estrema fragilità del quadro, inteso come progetto, visione, insomma governo.
Perchè, con la fine del lock down, la realtà , con la sua “concretezza” e i suoi bruschi principi ha squarciato ogni velo di Maja di una narrazione “separata”, da somministrare a un popolo chiuso in casa con gli artifici della comunicazione.
Così prepotentemente da aver relegato in un cono d’ombra financo un appuntamento pensato da Re Sole.
Adesso anche il pomposo ottimismo sul “modello Italia”, la “valanga di soldi che arriveranno”, le “grandi riforme” pare risucchiato nel gorgo dell’indecisione e del rinvio, col premier che annuncia il “Recovery plan”, ovvero il piano per ottenere i denari europei per settembre, il che rende lecito chiedersi di cosa si sia parlato in questi giorni se non di un piano di riforme per accedere ai fondi europei.
Sempre che ci sia per quella data il Recovery fund, dato troppo presto per acquisito nell’ansia di miracol mostrare, prima ancora che si manifestassero tutte le prevedibili asperità della trattativa europea.
In compenso, ci sarebbero, a proposito di concretezza e di problemi di liquidità , i soldi del Mes, pronti da utilizzare, ma di questo il premier non parlerà nella sua “informativa” in Aula, perchè l’intero governo è prigioniero della contesa deflagrata dentro i Cinque stelle.
E dunque si rinvia, nell’ambito di una sorta di gioco dell’oca, che assomiglia a uno sciogli-lingue per i non addetti ai lavori, per cui di Mes si parla dopo il Recovery, ma il Recovery è rinviato a livello europeo, e quindi si resta inchiodati alla casella di partenza, con l’unica certezza che gli italiani pagheranno l’Imu.
Si dirà : fate presto a parlare voi iene dattilografe, avvezze a criticare dalla vostra scrivania chi si ritrova a gestire una situazione senza precedenti.
Obiezione già sentita che avrebbe qualche fondamento se qualcosa andasse liscio, spedito, senza intoppi, come richiederebbe, appunto una situazione senza precedenti. L’elenco, invece, è impietoso.
Il decreto semplificazione, annunciato a metà maggio come la “madre di tutte le riforme” nella prima conferenza stampa all’aperto, di rinvio in rinvio è entrato in una terra di nessuno.
Il decreto rilancio ha iniziato il suo iter in Commissione oggi e sarà una corsa contro il tempo votarlo entro fine luglio, quando scade, con 260 articoli e 1200 emendamenti. Su Autostrade: la De Micheli ha annunciato la decisione entro i prossimi 15 giorni, e non è la prima volta per un dossier aperto dal giorno successivo al crollo del Ponte di Genova.
Di quindici giorni in quindici giorni sono passati due anni e due governi (con lo stesso inquilino a palazzo Chigi).
E poi i soldi per Alitalia, promessi e non stanziati, Ilva con Mittal da riconvocare dopo la presentazione di cinquemila esuberi.
È un bilancio impegnativo, che diventa davvero senza precedenti se si aggiungono incertezze e ritardi sul già varato: i decreti attuativi che mancano sul Cura Italia e sul decreto Rilancio, il labirinto burocratico del decreto liquidità che comporta ritardi nell’erogazione dei prestiti, la Cassa integrazione, che in parecchi aspettano ancora, prolungata per quattro settimane, con la scoperta, solo ora che il meccanismo è “farraginoso” e necessita anch’esso di una riforma.
Il bonus per le partite Iva e gli autonomi coperto fino a fine maggio. E tralasciamo, per necessità di sintesi, la questione della scuola, la fornitura d’armi all’Egitto, i decreti sicurezza da cambiare da un anno.
A proposito di concretezza e di chiacchere a Villa Pamphili. Punto.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile ECCO COSA DIVIDE L’UE
Dimensioni e durata del recovery fund, i criteri di ripartizione degli aiuti, proporzione tra sussidi a fondo perduto e prestiti, condizionalità legate a investimenti e riforme, dimensioni e contenuti del bilancio pluriennale europeo 2021-2027, incluso il dibattito sulle risorse proprie (nuove tasse per i giganti del web, della finanza, per chi inquina) e sui cosiddetti rebates (gli sconti di cui beneficiano i paesi che usano meno i fondi europei).
Sono tutti i nodi della trattativa in corso tra i 27 Stati membri sul recovery fund e sul bilancio pluriennale europeo, materie strettamente legate e ancora impantanate nelle discussioni tra i leader.
Dal 27 maggio, giorno in cui la Commissione europea ha presentato il suo piano di ricostruzione – ‘Next generation Eu’ -dopo la crisi economica da covid, di progressi ne sono stati fatti pochi.
I nodi della trattativa sono elencati nella lettera con cui il presidente del Consiglio europeo Charles Michel invita i capi di Stato e di governo alla riunione di venerdì prossimo. Doveva essere un vertice formale, in qualche modo decisivo. E invece non lo sarà , è stato trasformato in vertice informale.
In attesa, scrive Michel speranzoso, di un “vertice fisico”, cioè non in videoconferenza per le misure di distanziamento adottate in pandemia, ma con i leader a Bruxelles, per la firma finale. I più ottimisti sperano che questo avvenga a luglio, ma la data del nuovo consiglio europeo non è ancora stata fissata. Nè viene ipotizzata nella lettera di Michel.
Come si vede dal nutrito elenco delle materie ancora divisive, c’è tanto da discutere. Sia sul recovery fund, che la Commissione ha fissato in 750mld di euro di cui 500 in sussidi e 250 in prestiti, sia sul bilancio pluriennale, lo strumento in cui si inserisce il piano di ricostruzione. Una prima infarinatura del dibattito tra gli Stati è avvenuta oggi nel consiglio dei ministri degli Affari europei.
I paesi frugali — Olanda, Austria, Danimarca, Svezia — vogliono ridimensionare la portata del fondo e in questo sono sostenuti dalla Germania, che propone di tornare al piano franco-tedesco (500mld in totale).
E in più i nordici non vogliono perdere il diritto ai rebates, per risparmiare sui contributi al bilancio dell’Ue. Poi ci sono Belgio, Irlanda e altri Stati — tra cui anche i frugali — che contestano i criteri di ripartizione degli aiuti: Italia in testa con 172mld di euro, seguita dalla Spagna con 140mld, Stati particolarmente colpiti dalla pandemia. Ma al terzo posto c’è la Polonia, non particolarmente afflitta dal virus (il Belgio ha sofferto di più) eppure titolare di risorse per 64mld di euro.
Per ora dunque il dibattito europeo non ha compiuto molti passi in avanti. Lo si capisce dai punti su cui gli Stati si ritrovano d’accordo, elencati da Michel nella stessa lettera. Sono gli stessi punti sui quali i leader si ritrovavano già un mese fa.
E cioè: l’Ue ha bisogno di una risposta eccezionale ad una crisi senza precedenti, la risposta dovrebbe essere finanziata con bond emessi dalla Commissione per raccogliere soldi sui mercati e aumentando il tetto delle risorse proprie nel bilancio, gli aiuti dovrebbero andare ai paesi e alle aree geografiche più colpiti dalla pandemia nell’Ue, il prossimo bilancio dovrebbe essere modificato alla luce della crisi e considerato insieme al piano di ricostruzione, l’intero pacchetto non dovrebbe occuparsi solo della crisi attuale ma dovrebbe rappresentate l’opportunità per trasformare e riformare le nostre economie per un futuro verde e digitale.
Da venerdì si inizia a discutere.
Inizialmente l’Italia puntava ad un’intesa a giugno. Non andrà così, ma l’altro punto su cui i maggiori paesi concordano — a partire dalla Germania — è che bisogna fare presto. “Non abbiamo il lusso del tempo”, dice la commissaria Ue Elisa Ferreira, titolare di ‘Coesione e riforme’, due capitoli centrali nella costruzione del ‘recovery fund’ e nelle trattative per ammordernare il bilancio pluriennale dell’Unione alla luce della crisi del covid.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile INTERVISTA ALL’ECONOMISTA GARNERO: “RISCHIA DI ESSERE UN BOOMERANG, DISOCCUPATI E LAVORATORI CON CONTRATTI A TERMINE PAGANI IL PREZZO DELLA CRISI”… “IL FUTURO? PART-TIME INVOLONTARI E CONTRATTI PIRATA”
“Ad aprile c’è stato un calo occupazionale come non se n’erano visti durante la crisi 2008-2012. Com’è potuto accadere, se fino al 16 agosto, in teoria, non si può licenziare?”. Andrea Garnero è economista del lavoro presso la Direzione per l’Occupazione, il Lavoro e gli Affari Sociali dell’Ocse e questa domanda è la pietra angolare da cui bisogna partire per provare a tratteggiare la pandemia dei senza lavoro che sta per abbattersi sull’Italia. Una pandemia, secondo Garnero, che è già cominciata. E
che i dati sulla disoccupazione diffusi dall’Istat non rivelano, se non in controluce: “Per capire cosa sta succedendo bisogna andare al di là dei numeri sui disoccupati e guardare anche chi è diventato inattivo, ossia ha smesso di cercare lavoro, chi è occupato solo sulla carta, perchè si trova in cassa integrazione totale, chi è il cassa integrazione parziale, chi sta lavorando part time- spiega Garnero a Fanpage.it -. Queste situazioni, tutte assieme, sono colte solamente dal numero di ore lavorate, l’unico indicatore che dovremmo davvero guardare”.
È un indicatore, spiega Garnero, che avremmo dovuto guardare anche lo scorso anno, quando celebravamo il numero record di occupati dal 1977, anno zero delle serie storiche: “Se l’avessimo fatto — continua Garnero — ci saremmo accorti che il numero di ore lavorate non aveva nemmeno recuperato i livelli antecedenti la crisi del 2008”. Forse avremmo posato i calici. Forse ci saremmo accorti dei tanti, troppi part time involontari, più che raddoppiati in meno di un decennio. O dei cosiddetti “contratti pirata” — che derogano dal contratto nazionale del settore e che offrono salari e diritti ben al di sotto del minimo sindacale — passati nello stesso arco di tempo da poco più di 300 a quasi 800: ”Questi saranno gli assi su cui si muoverà il mercato dei lavoro nei prossimi anni — chiosa Garnero -. Lavoreranno meno persone, per meno tempo e per meno soldi”.
Tutto questo vale per il mondo — quello Occidentale, perlomeno -, ma per l’Italia vale ancora di più: “Problemi ce ne saranno ovunque, basti guardare i grafici della disoccupazione negli Usa per rendersene conto — argomenta Garnero -. Noi però siamo ancora più deboli di loro: abbiamo un bilancio pubblico poco solido, difficoltà ventennali nel mercato occupazionale, produttività bassa, Pil stagnante. In più, siamo un’economia che si riprende molto lentamente, di solito. Speriamo sia diverso, ma non ci sono troppi elementi che autorizzano a pensarlo”.
Se questo è il passato, presente e futuro possono solo peggiorare, anche se Garnero non crede ai 2 milioni di occupati in meno entro fine anno di cui ha parlato il presidente di Fondazione Adapt Francesco Seghezzi sempre su Fanpage.it, qualche giorno fa: “L’aggiustamento sulle ore di lavoro non si farà sul numero di occupati, ma su lavori da meno ore — continua -. Dal punto di vista dei salari, non ci saranno rinnovi contrattuali generosi. Anche perchè adesso si discute se ad agosto si potrà lavorare o meno. Ma la vera domanda è se ad agosto ci sarà qualcuno disposto a comprare il frutto di quel lavoro” ·
Già , agosto. Il mese in cui, in teoria, dovrebbe terminare la cassa integrazione di cui oggi usufruiscono quasi 8 milioni di persone, e il blocco dei licenziamenti deciso dal governo guidato da Giuseppe Conte.
In teoria, perchè proprio ieri dagli Stati Generali di Villa Pamphilj Conte ha promesso ai sindacati “almeno” altre 4 settimane di cassa. Almeno, perchè le indiscrezioni parlano di altri 4 mesi di cassa e blocco, fino a San Silvestro: “La cassa integrazione è stato uno strumento messo in campo in tantissimi Paesi Ocse: 33 su 37, per la precisione, hanno adottato misure che a vario titolo ricordano quelle italiane”, spiega Garnero.
Un errore? No, assolutamente: “La cassa integrazione è uno strumento utile quando si affronta una crisi temporanea come questa — continua -. A chiudere, del resto, sono state imprese sanissime, che non avrebbero mai licenziato se non ci fosse stato il lockdown”. Però. “Però bisogna immaginare una via d’uscita. Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che non si può pensare di statalizzare i salari per sempre. E che bisogna trovare una via d’uscita. Anche perchè altrimenti a farne le spese sarà la forza lavoro”.
Il perchè è presto detto: “A lungo andare la cassa integrazione e il blocco licenziamenti possono diventare una trappola per il lavoratore — dice Garnero -. Significa rimanere due anni a casa senza lavoro, senza formazione, senza possibilità di avere un’altra occupazione regolare e con meno soldi in busta. Dopo due anni cominci a lavorare, se ci riesce, in un mondo nuovo, con nuovi mercati, nuove competenze da imparare, forse anche con una nuova impresa”.
E non è finita qui: perchè c’è ancora quella domanda iniziale che fa capolino, nel ragionamento di Garnero: perchè ad aprile è crollato il numero degli occupati se non si poteva licenziare? “Semplice, perchè non basta vietare i licenziamenti se le imprese non rinnovano contratti temporanei e non assumono. Per legge si è chiusa la porta di uscita e contemporaneamente si è chiusa la porta d’entrata. Il costo s’è scaricato al margine del mercato del lavoro, tra le categorie più vulnerabili: giovani, disoccupati, precari. Con tutta la buona volontà questa non può essere la soluzione”.
No, decisamente no.
(da “FanPage)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile HA SVALIGIATO UNA SOCIETA’ DI BUS CON UN BOTTINO DI 90.000 EURO, SMURANDO DUE CASSAFORTI A MURO
Yuri Dallara ha 38 anni, romano, ed è un militante di estrema destra. 
Nel 2017 aveva capeggiato la protesta contro il centro di accoglienza di via del Frantoio al Tiburtino III. Ma quando non è impegnato a fare il sovranista amante della Patria, Yuri Dallara è principalmente un rapinatore: sempre nel 2017 è stato arrestato per aver svaligiato una gelateria in via Cola di Rienzo e ieri è stato arrestato di nuovo, per aver forzato la porta d’ingresso della società di bus e, una volta all’interno, aver svaligiato le due cassaforti smurandole con la fiamma ossidrica per poi fuggire con un bottino da 90mila euro.
I militari hanno incastrato la banda incrociando immagini di video sorveglianza, tabulati telefonici e profili social. Hanno quindi documentato e ricostruito le diverse fasi dell’attività delittuosa dai sopralluoghi in via Nazionale nei giorni precedenti al colpo, alla rapina fino alla fuga con la refurtiva.
Dagli gli accertamenti è emerso quindi il ruolo di Dallara come capo banda. Quindi l’ordinanza di applicazione di misure cautelari per il gruppo di criminali.
Intanto proprio ieri sera ha salutato i suoi follower su Instagram con un video messaggio annunciando la sua assenza dai social nei prossimi giorni. Giustificata però dal ritiro della patente: “game over significa gioco finito – dice – mi riferisco alle istituzioni. Mi riferisco ai vigili. Mi vogliono sospendere la patente senza motivo e per questo mi rode”.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile IL REDDITO DI CITTADINANZA HA AIUTATO UN MILIONE DI PERSONE, MA E’ INSUFFICIENTE: IN POVERTA’ ASSOLUTA CI SONO ANCORA 4,6 MILIONI DI ITALIANI
Per la prima volta in quattro anni, in Italia si è ridotto il numero di famiglie in povertà assoluta, anche se l’Istat sottolinea quando la quota di famiglie che non hanno accesso ai mezzi primari di sostentamento sia ancora molto superiore ai livelli precedenti alla crisi del 2008/2009.
Secondo l’ultimo report diffuso dall’Istat, nel 2019 le famiglie in povertà assoluta sono state 1,7 milioni, il 6,4%, mentre nel 2018 erano il 7%. Nel complesso si tratta di 4,6 milioni di persone, cioè il 7,7% degli italiani, contro l’8,4% dell’anno precedente.
Stabile invece il numero di famiglie in povertà relativa, cioè quei nuclei famigliari in difficoltà economica rispetto al livello di vita medio.
Nel 2019 sono state poco meno di 3 milioni, l’11,4%, pari a 8,8 milioni di individui, il 14,7% dell’intera popolazione.
La riduzione della povertà nel 2019 è più marcata nel Mezzogiorno, dove il dato è sceso dal 10% all’8,6%, mentre quella individuale è passata dall’11,4% al 10,1%.
L’andamento positivo, sottolinea l’Istat, arriva con l’introduzione del Reddito di cittadinanza, che nelle seconda parte dello scorso anno ha interessato oltre un milione di famiglie in difficoltà .
È al Sud comunque che persiste l’incidenza più grave di povertà assoluta, con l’8,5% nelle Regioni del Sud e 8,7% nelle isole, rispetto al Nord-ovest con il 5,8%, il Nord-est con il 6% e il Centro con il 4,5%. Considerando che al Nord vivono più famiglie che al Sud, sottolinea l’Istat, il numero di nuclei famigliari in condizioni di povertà tra le due aree è sostanzialmente uguale: 43,4% al Nord e 42,2% al Sud, mentre il restante 14,4% vive nel Centro Italia.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile MARCUS RASHFORD AVEVA CHIESTO AL GOVERNO DI ESTENDERE ALL’ESTATE I BUONI PASTO PER LE FAMIGLIE IN DIFFICOLTA’… LA SUA BATTAGLIA PERMETTERA’ A UN MILIONE DI BAMBINI POVERI INGLESI DI AVERE ALMENO UN PASTO CALDO IN MENSA
Marcus Rashford 1, Boris Johnson 0. E per il premier britannico si tratta di una sconfitta
umiliante.
Già , perchè la star inglese del Manchester United, 22 anni, ha costretto Johnson a una clamorosa marcia indietro. E su un tema delicatissimo, come quello dei bambini poveri in Inghilterra, piaga gravissima e spesso invisibile oltremanica.
Tutto nasce due giorni fa. Quando il giovane attaccante dello United e della nazionale inglese inizia a postare una serie di tweet contro la povertà minorile, che in estate potrebbe aggravarsi a causa della chiusura ufficiale delle scuole – non quella per coronavirus, come è stato sinora – e, conseguentemente, l’impossibilità per 1,3 milioni di bambini di poter mangiare a mensa o di avere un buono pasto per far fare la spesa alle proprie madri. Sembra assurdo in un Paese civilissimo e ricco come il Regno Unito. Invece è proprio così.
Nella sua lettera, Rashford ha raccontato il dramma delle famiglie che hanno perso il lavoro durante il lockdown e non hanno più accesso ai beni di prima necessità . “La prossima volta che vi fate la doccia – ha scritto il calciatore – pensate a quelle persone che non riescono più a pagare la bolletta dell’acqua”.
Rashford è stato il frontman della campagna mediatica. Ha girato gli studi televisivi, scritto una lettera aperta ai parlamentari e pubblicato un editoriale sul Times, il giornale conservatore che ha sostenuto la sua battaglia. “I parlamentari devono mostrare la stessa saggezza di questo ragazzo di 22 anni – ha scritto il quotidiano – Devono abolire quella che ogni persona di buon senso considera una misura sbagliata ed iniqua”. Rashford ha preso a cuore questa causa (“vale più di ogni trofeo sportivo”) perchè lui stesso fino a pochi anni faceva affidamento sui sussidi statali. “So cosa significa avere fame – ha scritto il calciatore sul Times -. A volte i miei amici mi invitavano a cena a casa perchè i loro genitori volevano farmi mangiare quella sera”. Rashford è cresciuto nella periferia di Manchester assieme a quattro fratelli, e si è trasferito nell’accademia del Manchester a soli 11 anni per non gravare più sulla madre. “A volte lei non dormiva per giorni perchè non riusciva a fare quadrare i conti, e temeva che frequentassi la gente sbagliata”.
Per oltre un milione di bambini delle zone più disagiate oltremanica, il pasto caldo a mensa è fondamentale. Per molti di loro, l’unico vero pasto della giornata. Una tragica normalità che, nell’era del Covid19, potrebbe presto aggravarsi ancora di più.
Dunque Rashford due giorni fa chiede al governo e al premier Boris Johnson, ufficialmente e pubblicamente, di estendere anche per l’estate il programma per i buoni pasto per i bambini più poveri, che rappresentano il 15% degli studenti nelle scuole di Stato, con punte del 25% in alcune zone di Londra, delle Midlands e del nord dell’Inghilterra.
Si tratta di buoni settimanali di 15 sterline (quasi 17 euro) a bambino, da poter spendere in un supermercato. Una misura dal costo complessivo di almeno 120 milioni di sterline (oltre 134 milioni di euro) per il governo, in piena crisi coronavirus e a pochi mesi dall’imminente – e sempre più temuta dal punto di vista economico – Brexit.
Johnson inizialmente dice di no, che non se ne parla, l’esecutivo ha già stanziato quasi 70 miliardi per le famiglie più in difficoltà durante la pandemia.
Ma la mobilitazione online lanciata dal talentuoso attaccante cresce. Così come i seguaci. A un certo punto, la pressione mediatica, su un tema così drammatico, diventa insostenibile: stamattina diversi deputati conservatori iniziano a chiedere apertamente al premier di cedere e di acconsentire all’estensione del programma dei buoni pasto. Diventano sempre di più. Il nuovo leader laburista Keir Starmer incalza severamente il governo.
E così, Johnson oggi annuncia la sua clamorosa retromarcia. Per la gioia di molti, soprattutto dello stesso Rashford su Twitter, visibilmente emozionato: “Non so cosa dire, davvero. Guardate che cosa possiamo fare quando siamo uniti. Questa è l’Inghilterra nell’anno 2020”.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile PRESENTATE TRE PROPOSTE AL GOVERNO SULLA RIFORMA DELLA FILIERA AGRICOLA
Alla fine, dopo oltre otto ore di sit in a Villa Pamphili con le catene ai polsi, Aboubakar Soumahoro è stato ricevuto dal premier Conte alla presenza dei ministri Gualtieri e Catalfo. A loro il sindacalista delle Usb ha portato le richieste del popolo degli immigrati invisibili: un provvedimento di regolarizzazione per emergenza sanitaria di tutti i migranti irregolari presenti sul territorio italiano, nuove politiche migratorie, cancellare i decreti sicurezza e gli accordi con la Libia, riformare la filiera agricola che arriva alla grande distribuzione che favorisce il caporalato
«Gli unici simboli che vi chiediamo di portare sono le vostre sofferenze. I vostri sogni, le vostre speranze e quello che vogliamo far vivere ai nostri figli». È con queste parole che Aboubakar Soumahoro, sindacalista Usb e attivista, lancia gli Stati Popolari nelle prossime settimane a Roma: l’alternativa agli Stati Generali in corso nella Capitale, voluti dal premier Giuseppe Conte per affrontare la crisi causata dalla pandemia di Coronavirus ma percepiti come distanti dal popolo e dagli «invisibili».
I protagonisti degli Stati Popolari, dice Aboubakar Soumahoro, saranno «i precari, i senzacasa, i lavoratori a cottimo, i giovani, le persone che vivono forme di razializzazione in Italia. Tutto quel mondo che fino ad adesso è stato ignorato».
Il sindacalista si dice soddisfatto del colloquio avuto con il premier e con Catalfo e Gualtieri: «Abbiamo parlato della necessità di riforma della filiera agricola e della possibilità di dare una “patente”, un certificato, al cibo: il premier ha detto che è un’idea bellissima e che già esiste in altri settori», racconta l’attivista ai giornalisti presenti. «È un dovere dei cittadini sapere che quel prodotto non è frutto di capolarato».
La seconda proposta lanciata e portata alla maggioranza «riguarda la questione del lavoro. Il presidente ci ha ricordato che siamo in una fase particolare. Ma il lavoro di cui parliamo noi riguarda questo mondo, fatto di giovani».
E allora Conte «ci ha chiesto di mandare proposte articolate di merito». Infine la riforma dei decreti sicurezza. Sul tavolo fin dalla nascita di questo governo, vede le leggi volute da Matteo Salvini ancora pienamente in vigore, immutate. Il premier ha ricordato «è uno dei punti dell’accordo di maggioranza e assicurato che l’esecutivo sta ragionando sulla riforma dei decreti», dica Aboubakar.
(da agenzie)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile “LA LEGGE DICE CHE C’E’ UN LIMITE ALLA CUSTODIA CAUTELARE, OLTRE IL QUALE NON SI PUO’ ANDARE”
Massimo Carminati ha lasciato da poche ore il carcere di Oristano. Uno dei principali imputati
del processo Mondo di Mezzo – condannato e in attesa che la corte d’Appello ridefinisca la sua pena – è libero. Libero, non assolto.
Dopo 5 anni e sette mesi in cella. Di cui in tutto quattro al 41 bis. Uno scandalo?
La risposta è fin troppo semplice: no.
“La legge dice che c’è un limite della decenza oltre il quale non si può andare. Si tratta di un basilare principio di civiltà ”, spiega ad HuffPost l’avvocato Cataldo Intrieri, che – nel processo che si è celebrato a Roma e si è concluso con l’esclusione definitiva dell’accusa di mafia per gli imputati, ferma restando la condanna per altri reati – difende Carlo Maria Guarany, vicepresidente della cooperativa 29 giugno.
Carminati, inizialmente accusato di essere a capo di un’associazione mafiosa nell’inchiesta che è salita agli onori della cronaca come Mafia Capitale, era in carcere non perchè condannato ma perchè in custodia cautelare.
Ed è proprio per questo motivo che la richiesta dei suoi avvocati – formulata per la quarta volta dopo tre rigetti – è stata accolta dal tribunale del Riesame di Roma.
“Per quanto si possano estendere i confini della custodia cautelare – spiega ancora Intrieri – la legge impone che a un certo punto non si possa andare oltre”.
Il limite sono i due terzi della pena massima prevista per il reato di cui si è accusati. “Nel caso di Carminati – prosegue l’avvocato – il reato più grave era la corruzione. Ai tempi in cui l’aveva commesso (non era ancora entrata in vigore la legge Spazzacorrotti che ha inasprito le pene, ndr) la pena massima era di otto anni. Questo significa che non poteva stare in carcere più di 5 anni e 4 mesi. Si chiama scadenza dei termini”.
In cella è invece rimasto circa due mesi in più, come ha spiegato ad HuffPost anche il suo avvocato, Francesco Tagliaferri.
Al di là delle reazioni indignate di parte della politica e della decisione del Guardasigilli di attivare gli ispettori sul tema, è questo l’elemento fondamentale: Carminati non è più in carcere perchè, per la legge, la custodia cautelare a un certo punto – in proporzione alla gravità del commesso – deve finire. Ed è questo il principio sottolineato dal tribunale delle Libertà .
A pochissime ore dalla scarcerazione dell’ex esponente dei Nar arriva la nota di via Arenula: “Il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, ha delegato l’ispettorato generale del Ministero a svolgere i necessari accertamenti preliminari in merito alla scarcerazione di Massimo Carminati”. Non si precisa oltre. Non è chiara la mission degli ispettori.
Sulla decisione del ministro, l’avvocato Intrieri dice: “Quando si fanno atti di questo genere bisogna stare molto attenti. Il rischio è che possano apparire come un’intimidazione verso la magistratura. In questo caso nei confronti dei più alti giudici dello Stato”.
Il riferimento è ai giudici della Cassazione che hanno deciso di cancellare definitivamente dal processo l’accusa di mafia. Una scelta che l’avvocato condivide. Ripercorrendo le fasi precedenti del lungo iter giudiziario, sostiene: “Il tribunale, nella sentenza di primo grado, aveva assegnato condanne molto pesanti, pur escludendo l’associazione per delinquere di stampo mafioso. Per una scelta di politica giudiziaria la Procura ha ritenuto di fare ricorso, perseguendo la strada del 416 bis. Risultato: mafia riconosciuta in secondo grado, pene più basse (furono riconosciute delle attenuanti generiche, ndr) e tutti a festeggiare. Ma, vede, se non ci si fosse ostinati sulla strada dell’associazione mafiosa, probabilmente ad oggi i condannati sarebbero in carcere a scontare pene molto pesanti”.
Cosa che, invece, ad oggi non può accadere perchè la corte d’Appello dovrà ridefinire le pene alla luce dell’eliminazione del reato di mafia.
C’è, poi, un altro elemento: il 41 bis. Per molto tempo Carminati è stato recluso al regime carcerario più duro, in funzione dell’accusa più grave, che oggi non esiste più. L’ordinamento italiano non prevede un meccanismo automatico che gli consenta di chiedere un risarcimento. “A tal riguardo valuteremo cosa fare”, dice ancora Tagliaferri.
Per il momento, uno dei condannati più famosi del processo Mondo di Mezzo torna in libertà , ma aspetta di capire quanto carcere dovrà fare ancora. In quel caso, però, rientrerà in cella per scontare una pena precisa e una condanna definitiva, non per esigenze cautelari.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 16th, 2020 Riccardo Fucile DECINE DI COMMENTI SULLA PAGINA FB DI ZAIA: “PRENDITI LA LEGA, SALVINI CI FA SOLO PERDERE VOTI”… “MOLLA QUEL BIFOLCO”
Stamattina abbiamo raccontato il video in cui Matteo Salvini si ingozzava di ciliegie mentre Luca Zaia parlava della tragedia accaduta all’ospedale di Borgo Trento a Verona, dove tre neonati sarebbero stati uccisi dal batterio Citrobacter.
Il video, originariamente pubblicato sulla pagina di Matteo Salvini, è stato aggregato anche su quella del governatore del Veneto e qui è successa una cosa curiosa: i commenti si sono riempiti di persone, tra cui anche sostenitori di Zaia, che chiedono proprio a lui di mollare il Capitano.
Perchè è un “bifolco” che sta “seduto accanto a lei”, come dice qualcuno che “le riconosce la qualità del suo lavoro”. C’è chi fa notare a Zaia che “lei da solo è meglio senza alcun dubbio”.
E mentre c’è chi fa notare che Salvini, mentre il presidente “parla di neonati gravemente malati e di un intero reparto chiuso per problematiche infettive”, Salvini “annuisce e mangia, e poi con la stessa mano su cui ha sputato i semi di ciliegia, impugna il microfono… una pandemia non è bastata a trasmettere semplici concetti di igiene”.
Ma questo si era notato anche nei selfie senza mascherina in provincia di Brescia, per i quali Salvini si è scontrato anche a Tagadà . Non solo: “Con questa persona accanto perde credibilità anche lei, mi dispiace perchè la stimo e dovrebbe fare le scelte giuste”, mentre c’è chi nota che mentre Zaia ha fatto tanto, Salvini “ha solo chiacchierato e spesso a sproposito”.
E insieme a quelli che dicono di essere irritati anche soltanto dalla vista di Salvini, c’è chi fa notare che il Capitano è l’unico che può far perdere voti al presidente della Regione, mentre chi chi dice che “questa conferenza stampa fa perdere credibilità al governatore. Non crederò mai che Zaia stia vicino a questo uomo che ha una bassezza umana, culturale e sociale che ho riconosciuto a pochi negli anni”.
La carrellata si conclude con chi auspica che Zaia prenda il posto di Salvini che “continua a ridicolizzarsi e a fare i suoi teatrini sul web e in giro per l’Italia” e chi gli consiglia “Zaia, lascia stare quello e candidati da solo!”.
Proprio a questo proposito qualche giorno fa si parlava sul Gazzettino proprio della possibilità per la Lega di correre in alternativa a Zaia in Veneto:
“Si votasse domenica prossima, noi correremmo volentieri da soli», confida un alto papavero della Lega. I rumors che arrivano da Roma e da via Bellerio sono i seguenti: Zaia ha raggiunto talmente tanti e tali consensi nei sondaggi (l’ultimo lo dava al 91%) che la Lega rischia di uscirne malconcia.
Già nel 2015 — prima di Vaia, prima del coronavirus — la lista Zaia Presidente era arrivata in testa alla classifica con il 23% dei voti, seguita dalla Lega (all’epoca ancora Nord) al 17,8%.
Stavolta la lista del presidente si appresta a fare cappotto e ad umiliare tutti gli altri. Lega compresa. Non solo: se i sondaggi saranno confermati, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni potrebbero avere risultati molto lusinghieri.
E la preoccupazione di via Bellerio è che la lista della Lega possa arrivare addirittura terza dopo la lista Zaia e dopo i Fratelli. Il che, in Veneto, sarebbe un’umiliazione difficile da sopportare. Di qui la tentazione: correre da soli, simulare una spaccatura da ricomporre in vista delle Politiche e prima ancora nella formazione della giunta al Balbi.
Insomma, forse quello che auspicano gli iscritti alla pagina di Zaia non è del tutto peregrino. Anche perchè il governatore, dato l’alto livello di consensi e la temporanea caduta della stella del suo più autorevole competitor, ovvero Attilio Fontana in Lombardia, è il volto più spendibile del Carroccio in ottica di buona amministrazione.
Con buona pace dei cinesi e dei topi. Finirà così?
(da “NextQuotidiano”)
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