Destra di Popolo.net

L’IVA FUNESTA DI CONTE

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

“UN’IDEA, NULLA DI DECISO”…GELO DI PD E M5S

L’Iva funesta che infinite discussioni addusse al governo, si potrebbe dire.
Nel day after da Palazzo Chigi escono segnali che smussano, che mirano a buttare acqua sull’incendio prima che divampi. Spiegano che lo stesso Giuseppe Conte sia rimasto stupito del clamore intorno alla sua proposta.
“Eppure è uno dei temi che più è ricorso durante gli Stati generali – il ragionamento che fa ai suoi – non solo da parte del mondo delle imprese, ma anche da molti degli economisti accorsi a Villa Pamphili. Ma ”è solo un’idea” filtra dal suo entourage, che specifica che nulla è stato deciso.
L’annuncio di voler procedere al taglio dell’Iva ha colto di sorpresa anzitutto Roberto Gualtieri. Il ministero dell’Economia è febbrilmente a lavoro per simulare costi, impatti e coperture di quella che si annuncia come una manovrina da fare entro luglio, e l’Iva non c’è. Tagliare un punto costerebbe dai 3 ai 10 miliardi, a seconda del come e del cosa, soldi che non sono minimamente stati previsti nelle tabelle del Mef.
Il premier con chi lo ha sentito ripete che la sua idea sarebbe quella di un taglio selettivo e limitato nel tempo, legato al meccanismo del cashback. Idea che ha impattato sul gelo del Pd: “Partire dalla riforma fiscale e dall’Irpef potrebbe dare un risultato più strutturale”, spiega il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta.
Non è un mistero che sia questa anche l’idea di Luigi Di Maio, e l’intero mondo 5 stelle è da due giorni sul crinale di non sconfessare il presidente da un lato e predicare prudenza dall’altro.
Federico D’Incà , uno dei ministri ritenuti più vicini al capo del Governo, quasi derubrica la proposta: “E’ sicuramente un’ottima idea, pero’ fa parte di un grande numero di idee condivise uscite da villa Pamphilj e che nelle prossime giornate saranno al centro di un attento confronto in maniera tale che si possa procedere spediti”.
Il sottosegretario Gianluca Castaldi, il capogruppo alla Camera Davide Crippa e il presidente della commissione Bilancio del Senato Daniele Pesco escono con una dichiarazione in fotocopia in cui rilanciano la relazione della Corte dei conti, che proprio oggi ha parlato dell’inderogabilità  di un taglio delle tasse. Tutti e tre hanno prudentemente circumnavigato la questione. Pesco ha spiegato che “siamo già  a lavoro per un piano organico di riduzione del prelievo fiscale che riguarderà  le aliquote Irpef”, e solo in seconda battuta “prenderà  in considerazione anche ipotesi di riduzione dell’Iva”.
A Palazzo Chigi la testa ce la sta mettendo Mario Turco, sottosegretario con la delega alla Programmazione economica, vera mente grigia del premier su questi temi, che spiega: “La riduzione dell’Iva può avere l’effetto di aumentare i consumi e permettere alle imprese di innovarsi. Stiamo pensando se associare questa riduzione dell’Iva per qualche mese ad un utilizzo dei pagamenti elettronici. Questo potrebbe essere uno strumento concreto ed effettivo per la lotta all’evasione fiscale”. Da Italia viva e Leu sono già  arrivate robuste prese di distanza, il quadro generale su come e quanto tagliare le tasse verrà  affrontato – secondo quanto riferito ad Huffpost – in un vertice di maggioranza ad hoc previsto tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima.
L’ennesima discussione in cui rischia di impantanarsi il governo, che annuncia blitzkrieg per poi trincerarsi in logoranti guerre di trincea.
Un punto di caduta sui decreti sicurezza, altra questione che agita molto soprattutto i pentastellati, non verrà  trovato come annunciato in prima battuta entro questa settimana.
Appena per martedì prossimo Luciana Lamorgese ha riconvocato gli esponenti di maggioranza per sottoporre un nuovo testo che ne recepisca le osservazioni, ma le posizioni sono ancora distanti.
“Servirà  uno o più confronti tra Conte e i capi delegazione”, spiega un ministro. Una discussione che prosegue nelle more del paletto piantato in mezzo alla strada dal Movimento 5 stelle: parliamone, ma dopo l’estate. “Non esiste, si chiude prima”, replica a muso duro Federico Fornaro, esponente di Leu, un timing condiviso da gran parte del Pd e di Iv.
Il partito che fu di Beppe Grillo è sempre più malmostoso nei confronti del premier. Lo spettro del Mes si aggira sui pentastellati, che spingono Palazzo Chigi a rimandare il passaggio parlamentare a dopo l’estate: “E’ l’unico dossier sul quale rischiamo seriamente di cadere – dice un big M5s – perchè non abbiamo garanzie di tenuta del gruppo”.
Quel che contestano a Conte è di aver deciso in totale autonomia la strategia europea, di cui pur gli riconoscono i meriti, salvo poi non assumersi l’onere della decisione più divisiva, scaricandola sul gruppo parlamentare.
Ad aumentare la diffidenza il vertice convocato su Autostrade, senza che fosse presente un esponente 5 stelle, nonostante il tema della revoca delle concessioni sia stato un cavallo di battaglia dell’ultimo anno. “Erano presenti i ministri competenti, non c’è nessuna volontà  di tagliare fuori il Movimento”, la risposta. “Stanno trattando, ci hanno tenuto fuori perchè sanno della nostra intransigenza”, la replica.
Il Pd osserva sconsolato un terreno di confronto che, nonostante oltre due settimane di appelli al cambio di passo, rimane un pantano.
Il decreto Semplificazioni, di cui si parla da maggio, non arriverà  prima di luglio, dopo che il decreto aprile ha dovuto cambiare nome per aver clamorosamente bucato il mese in cui era stato previsto. “Se andiamo avanti così – allarga le braccia un dirigente Dem – vareremo la manovrina di luglio come allegato della legge di stabilità ”. Una provocazione, forse.

(da “Huffingtonpost”)

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LA CANDIDATA LEGHISTA CECCARDI SI PRESENTA ALL’INCONTRO CON SALVINI CON UNA MASCHERINA DI PIZZO TUTTA TRAFORATA

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

FORSE PER PROTEGGERSI DAL CORONAVIRUS BISOGNA RIADATTARE LA BIANCHERIA INTIMA?

Susanna Ceccardi, candidata leghista alle regionali in Toscana, è stata immortalata in compagnia di Matteo Salvini con una mascherina di pizzo traforata.
In una serie di scatti apparsi sulla pagina Facebook della candidata a Santa Croce sull’Arno si può notare la mascherina della candidata che si è prestata a diversi selfie con i suoi sostenitori.
Nel 2017 Susanna Ceccardi era balzata agli onori della cronaca quando aveva sostenuto che la differenza tra gli stipendi dei medici calabresi più bassi rispetto a quelli dell’Emilia Romagna fosse giusta e che “non dovrebbero essere uguali”.
““Ho visto i dati della differenza degli stipendi tra i medici calabresi e i medici dell’Emilia Romagna. Ci saremmo tutti stupiti negativamente se gli stipendi dei medici calabresi fossero stati più alti di quelli dell’Emilia Romagna. Meno male che non è così”, aveva detto ospite ad Agorà  la candidata leghista alle regionali toscane.
Il 16 maggio aveva poi attaccato Silvia Romano pubblicando una vecchia notizia del 2019 in cui si parlava di un attacco da parte del gruppo Al-Shabaab contro alcuni militari italiani a Mogadiscio. “Vedo che i 4 milioni di euro pagati per il riscatto di Silvia Romano sono stati subito messi a frutto!”, aveva detto la candidata lasciando intendere che quei soldi fossero stati usati dal gruppo terroristico per finanziare l’attentato.
Peccato che l’attentato fossse di un anno prima rispetto al rapimento di Silvia.
Dopo le numerose critiche aveva cancellato il post originale

(da agenzie)

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ALESSANDRA MUSSOLINI A “BALLANDO CON LE STELLE”: FINALMENTE HA TROVATO LA SUA COLLOCAZIONE

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

MENO PARLA DI POLITICA, MEGLIO E’ PER TUTTI

Da Ballarò a Ballando con le stelle il passo è breve. Alessandra Mussolini a Ballando con le stelle è la notizia del giorno, secondo quanto confermato a Libero: l’ex parlamentare del centrodestra (in varie sfumature) parteciperà  al talent show di Milly Carlucci che andrà  in onda prossimamente su Raiuno. Con l’edizione 2020 non andata in onda a causa del coronavirus, l’appuntamento è stato rinviato nell’autunno prossimo. Per questo si sta definendo il cast e l’ex europarlamentare di Forza Italia ne farà  parte.
Non sarà  un’edizione semplice. Oltre che in pista da ballo, Alessandra Mussolini dovrà  confrontarsi con persone che, politicamente, la pensano molto diversamente da lei. Personaggi storici di Ballando con le Stelle come Selvaggia Lucarelli o Guglielmo Mariotto sono pronti a confrontarsi con l’inedita partecipazione di Alessandra Mussolini al talent show.
Una scelta ponderata, come ha detto a Libero, che è stata alternativa rispetto alla proposta — che pure le era stata avanzata — per entrare nella casa del Grande Fratello Vip. Probabilmente, un modo per avere una visibilità  legata alla televisione pubblica (Ballando con le stelle è uno dei programmi tv più visti della Rai) e di avere un palcoscenico e un target di spettatori diverso al quale rivolgersi.
Negli ultimi tempi, Alessandra Mussolini aveva frequentato altre trasmissioni televisive, non facendo mai mistero di avere una particolare predilezione per il dibattito in tv. Fino a questo momento, si era trattato però di un dibattito che aveva sempre uno sfondo di natura politica. Adesso siamo all’intrattenimento puro.

(da agenzie)

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IL GOVERNO CONTE E LA MAGGIORANZA CHE BALLA AL SENATO

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

IL PALLOTTOLIERE SI FERMA A 160 MA IN REALTA’ ARRIVA A 168 CON I VOTI DI SENATORI DEL MISTO E I SENATORI A VITA

Con l’addio di Alessandra Riccardi il governo Conte non è più sicuro di avere la maggioranza al Senato. La senatrice passata ieri alla Lega garantiva numericamente la quota 161 e ora l’esecutivo si ritrova ufficialmente con un senatore in meno rispetto alla maggioranza assoluta. Ma non è detto che i conti siano giusti.
Stando ai numeri ufficiali dei gruppi che al Senato sostengono il governo, oltre ai 95 di M5S, fanno parte della maggioranza 35 senatori del Partito democratico, 17 di Italia viva, 5 di Liberi e uguali, 2 di Maie e 6 delle Autonomie.
A questi, a seconda delle votazioni, si potrebbero aggiungere o meno alcuni ex 5 stelle che in diverse occasioni hanno sostenuto il governo puntellando la maggioranza.
Il Corriere della Sera però fa altri conti e dice che le forze giallorosse arrivano a quota 162 senatori, con uno stretto margine di voti (senza i senatori a vita) sull’opposizione perchè assegna un senatore in più in appoggio al governo nel MAIE e uno in più nelle Autonomie. Ecco quindi che il margine di due voti sarebbe per ora rispettato. Ma c’è dell’altro:
La situazione rischia anche di aggravarsi. Già , perchè tra i parlamentari a rischio cacciata figurano anche due senatori, Marinella Pacifico (ferma a maggio 2019) e Fabio Di Micco (in ritardo di dieci mesi).
Un quadro complesso, con una deadline (la prima) scaduta lo scorso 15 giugno. A fine mese, la resa dei conti: un pugno duro che potrebbe far vacillare il governo.
Ieri ha lasciato il M5S anche la deputata Alessandra Ermellino, pugliese, passata al Misto: «Il M5S è diventato uno spazio privo di confronto e competenza, dove il rispetto delle regole e dei valori, che ci avevano illusi che un cambiamento fosse finalmente possibile, sono stati calpestati dalle aspirazioni personali», ha spiegato, ma nel Movimento molti fanno notare che Ermellino era tra i parlamentari   ritardatari» con le restituzioni: ferma a giugno 2019 secondo tirendiconto.it.
Anche per il Fatto Quotidiano sono 160 i voti certi a Palazzo Madama, uno in meno della maggioranza assoluta:
E presto potrebbe andare peggio, perchè ci sono almeno altri tre senatori in bilico nel Movimento. Senza dimenticare che altri   rischiano l’espulsione per le mancate restituzioni. Di certo la prima da recuperare è la catanese Tiziana Drago, che   qualche settimana fa si era astenuta nel voto sulla mozione di sfiducia per il Guardasigilli del M5S, Alfonso Bonafede. “Con questi numeri non reggiamo, diventerà  indispensabile appoggiarci a Forza Italia”, ammettono dai 5Stelle.
Ma la maggioranza c’è o non c’è?
Il capogruppo M5S al Senato Gianluca Perilli però non si scompone se qualcuno gli fa notare che la maggioranza è sempre più risicata: “Abbiamo superato la prova, difficile, dell’ultima volta, con due richieste di numero legale, l’ultima delle quali superata alla prima chiama, e il gruppo ha risposto compatto. Per quel che mi riguarda — ha spiegato all’Adnkronos — dinanzi ad ogni difficoltà  sono uno che combatte e non si arrende…”. Repubblica invece stima l’attuale maggioranza a 167, sei in più della maggioranza assoluta.
Sarebbero numeri rassicuranti, se non fosse che questa somma include anche due senatori a vita — Mario Monti ed Elena Cattaneo — e sette peones del Misto. Una compagine eterogena. Un margine preoccupante: che succede, ad esempio, se sul Mes si sfilano cinque grillini, come stimano a Palazzo Chigi?
Succede che Forza Italia rischia di risultare determinante, i renziani diventano l’ago della bilancia, il Senato si trasforma in una palude.
“In corso c’e’ una offensiva del centro destra per andare al voto ancora prima della fine dell’estate”, spiega una fonte parlamentare all’agenzia di stampa AGI.
Matteo Salvini punta a fare cadere il governo prima dell’autunno perchè sa che dopo quella dead line sarebbe più difficile fermare la legislatura e andare al voto, è il ragionamento che si fa all’interno della maggioranza.
Per evitarlo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dovrebbe “mettere a segno due o tre mosse” che darebbero respiro alla maggioranza e all’esecutivo.
“E’ chiaro a tutti che se il quadro si stabilizza e il governo mette a segno tre mosse buone si arriva al 2022 senza problemi. Se blocchi questo lavoro, invece, il banco salta”, sottolineano da Palazzo Madama.
A guardare i numeri della maggioranza al Senato, d’altra parte, c’è poco da stare tranquilli. All’ultima votazione, venerdì scorso, i numeri della maggioranza si sono fermati a 168. Ora, con l’addio di Riccardi, si arriverebbe a 167, ma si tratta di una stima che comprende anche senatori a vita e senatori passati al Misto che continuano a votare con la maggioranza.
Da questo nascerebbe il pressing ormai asfissiante del Pd su Conte per chiudere quei dossier, da Alitalia ad Autostrade passando per Ilva e decreti Salvini, rimasti sul tavolo di Palazzo Chigi.
Sullo sfondo resta la partita per la conquista della leadership del Movimento. Il numero 1 di Rousseau Davide Casaleggio ha ribadito che sulla scelta del capo politico decidono gli iscritti grillini. “Alessandro Di Battista ha sempre dato tanto al Movimento 5 Stelle, vedrà  in che modo vorrà  dare supporto al Movimento 5 Stelle in futuro”, ha affermato in una intervista a ‘Fanpage’, precisando però di non voler entrare “nel merito di singole candidature o singole persone”: “Siano gli iscritti a scegliere qualunque cosa importante per il Movimento 5 Stelle per la direzione del Movimento 5 Stelle”, ha aggiunto.
Anche due lutti hanno segnato il gruppo. Il 22 novembre è mancato Franco Ortolani (al suo posto e’ subentrato Sandro Ruotolo, ma al Misto) e il 17 marzo è scomparsa Vittoria Bogo Deledda. E tra poco in Sardegna si svolgeranno le suppletive.

(da “NextQuotidiano”)

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RETROSCENA: ARMI ALL’EGITTO, CONTE HA FATTO TUTTO DA SOLO

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

MA DI MAIO, PD E LEU SI SONO BEN GUARDATI DAL MINACCIARE LA CADUTA DEL GOVERNO… LA NOSTRA MARINA ERA CONTRARIA, MA COMANDA FINCANTIERI

La maxi commessa all’Egitto, di un valore complessivo superiore ai 9 miliardi di euro, è cosa fatta. Tecnicamente no, politicamente sì.
Mentre l’Italia negli ultimi 5 mesi era alle prese con i devastanti effetti della pandemia, e l’attenzione era tutta concentrata sugli sforzi per salvare il Paese da una catastrofe e da una vera ecatombe, il nostro governo portava avanti accordi che avrebbero svelato la cifra qualitativa che realmente lo contraddistingue.
Furbizia, sotterfugi, segreti e comunicazioni mancate: un racconto in cui si vuole far passare l’Italia come vincente, e invece non è altro che il Paese ora più che mai sottomesso al volere di Al Sisi.
È il 18 giugno, il premier Giuseppe Conte è in audizione di fronte alla commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Il presidente Erasmo Palazzotto e gli altri componenti gli chiedono conto dell’affare del secolo con l’Egitto: due fregate Fremm a cui dovrebbero in futuro aggiungersi altre 4 navi simili, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione e migliaia di armi leggere prodotte da Beretta.
“Ogni mia interlocuzione con Al Sisi è partita da un semplice quanto inevitabile assunto — afferma Conte — i nostri rapporti bilaterali non potranno svilupparsi a pieno” se non si farà  luce sul “barbaro assassinio di Giulio Regeni e non si assicureranno alla giustizia i suoi assassini. Nel colloquio telefonico Al Sisi mi ha dato la disponibilità  sua e delle autorità  egiziane a collaborare”.
In occasione dell’audizione presidente del Consiglio non risponde sulle fregate Fremm, non sembra voler fare chiarezza. Ma c’è una linea temporale da seguire per capire cosa è davvero accaduto, cosa succedeva nelle stanze del potere mentre tutti erano all’oscuro. TPI l’ha ricostruita grazie a fonti governative e diplomatiche e ha ricapitolato i fatti a partire dal 24 gennaio 2020, a ridosso dell’anniversario della scomparsa di Giulio Regeni.
I fatti
Il 24 gennaio Palazzo Chigi invia una mail in cui convoca una riunione plenaria con la Farnesina e la Difesa sulla commessa al Cairo. Un forte impulso di palazzo Chigi, che evidentemente ha già  intavolato questa discussione con Fincantieri e con Giuseppe Bono (amministratore delegato di Fincantieri) per consegnare queste due navi, di cui una a pagamento e una a credito, all’Egitto.
Palazzo Chigi vuole rendere noto che c’è questa negoziazione tra i massimi livelli politici, tra Roma e il Cairo, e che questa “trattativa informale” è in corso. L’affare è grosso e ha implicazioni geopolitiche imponenti, tanto che in quella famosa mail vengono inclusi anche destinatari appartenenti agli apparati dell’intelligence italiana.
Le due fregate dal valore di un miliardo e duecento milioni di euro fanno parte della classe Fremm, ma l’accordo delinea un’intesa di massima per un programma di sviluppo militare che si stima in almeno 9 miliardi di commesse.
A questo punto, sia dalla Farnesina che dalla Difesa partono le richieste di maggiore chiarezza. Si fa inoltre notare come una riunione del genere, convocata nel giorno dell’anniversario della scomparsa di Regeni, possa davvero ledere una certa sensibilità  politica e dell’intera comunità .
Una “sovrapposizione sgradevole” che la Farnesina chiede di evitare. Ma la riunione si svolge lo stesso, seppur in forma ridotta e solo a carattere tecnico.
L’altra, quella di carattere politico viene rinviata a metà  febbraio. Si scopre che la trattativa è stata seguita a gennaio direttamente dalla presidenza del Consiglio e da Carlo Massagli, consigliere militare di Giuseppe Conte.
La riservatezza svanisce quando viene resa nota — come di dovere — a tutti gli uffici interessati, tra cui quattro ministeri e i vertici delle forze armate. La decisione incontra il forte dissenso della Marina militare che sperava che le navi potessero far parte della propria flotta.
Febbraio 2020. Scoppia la pandemia in Italia, sulla commessa non c’è alcun confronto tra Luigi Di Maio e Conte, nè tra i capi delegazione e neanche con la maggioranza.
Se a livello politico tutto tace, le procedure tecniche per l’accordo vanno avanti, nonostante le proteste della marina militare italiana.
Trascorrono i mesi e si arriva a fine maggio, quando la Farnesina e la Difesa apprendono della famosa telefonata tra il premier Conte e il presidente Al Sisi. I due leader, fa sapere Palazzo Chigi, si sono confrontati sulla “stabilità  regionale, con particolare riferimento alla necessità  di un rapido cessate il fuoco e ritorno al tavolo negoziale in Libia, e la collaborazione bilaterale, da quella industriale a quella giudiziaria con particolare riferimento al caso Giulio Regeni”.
Ma il vero scopo della telefonata è un altro: con quello scambio si chiude definitivamente l’accordo sulle fregate tra Roma e il Cairo.
È il momento in cui Conte dice ad Al Sisi: ve le vendiamo. L’Egitto chiude con l’Italia un accordo storico, una partita che concede al nostro Paese piuttosto che alla Francia e che di fatto si trasforma in un credito. E Chigi questo lo sa bene quando chiude la trattativa. Nessuno a Palazzo Chigi ha l’illusione di pensare che l’Egitto ci sia debitore. Anzi, l’Egitto si aspetta paradossalmente che questa commessa chiuda definitivamente il capitolo Regeni.
Secondo quanto rivelano fonti interne al Parlamento, fino a questo punto, il Movimento Cinque Stelle c’entra poco o nulla. Nonostante, infatti, l’autorizzazione ultima e definitiva spetti alla Farnesina e, più nel dettaglio, al Uama (Ufficio Autorizzazioni Materiali di Armamento), l’ok da cui tutto è partito è arrivato direttamente da Giuseppe Conte. Dopo la telefonata tra il premier e Al Sisi, la Farnesina ha le mani legate.
Il ministero degli Esteri si trova nella posizione per cui Uama deve dare il via libera alla prima procedura di autorizzazione per l’esportazione. Che non è l’ultima; ne servirà  un’altra, quella vincolante, da rilasciare a ridosso dell’esportazione materiale (e che non è ancora stata data).
Questo vuol dire che la partita è ancora aperta? Tecnicamente sì, politicamente no. Sempre secondo fonti diplomatiche, nel momento in cui Di Maio viene a sapere della telefonata, e viene richiesta la procedura di autorizzazione, il pentastellato non dà  l’ok a Uama. Di Maio prende il dossier e lo porta in Consiglio dei ministri. Siamo agli sgoccioli di maggio.
Si tengono così due riunioni. Nella prima è Di Maio a battere i pugni sul tavolo. Fonti della Farnesina sostengono che “una decisione del genere deve essere del Governo nel suo complesso, deve essere una decisione collegiale, che tenga conto degli interessi generali del Paese e del rispetto per le sacrosante richieste della famiglia Regeni”.
Con Di Maio c’è anche il ministro Speranza che non nasconde le sue perplessità  sull’accordo. Fa eco Franceschini che chiede il rinvio del dibattito sul tema: la riunione finisce in un nulla di fatto.
Poco dopo, la Commissione Regeni chiede conto al presidente del Consiglio, il quale, dati i tempi sempre più stretti, convoca un nuovo consiglio dei ministri. Il premier rilascia un’informativa in cui fa sapere che è stato chiuso questo accordo, Bono è già  informato, Fincantieri anche, bisogna procedere.
Il Pd non si mette di traverso e anche Di Maio vuole evitare una rottura con il suo presidente del consiglio proprio in virtù del fatto che che Pd e Leu non hanno battuto ciglio.
Ma l’affare scotta e in parlamento serpeggia un forte malcontento. Laura Boldrini chiede che le decisioni passino dalle Camere, così come Nicola Fratoianni, che annuncia un intervento durante il question time. Scoppia il delirio.
Di Maio, spalle al muro, continua a lavorare cercando di proseguire sul percorso per la verità  e giustizia per Giulio Regeni e scrive a Sameh Shoukry, il suo omologo egiziano, parlandogli del fatidico incontro fissato il primo luglio tra le procure del Cairo e di Roma: o avremo dei risultati da quell’incontro o   noi agiremo con ogni mezzo perchè non possiamo più aspettare, è il succo della mail.
Arriviamo a oggi. Secondo fonti diplomatiche, allo stato dell’arte, non è stata data l’ultima autorizzazione del Uama che dovrà  arrivare tra 3 o 4 mesi, ma che ormai sembra cosa assodata.
Resta il fatto che Leu in sede di Cdm, così come il Pd, non hanno mosso nulla.
Sempre secondo voci di governo, le successive proteste non sono state altro che un modo per salvare la faccia di fronte al silenzio, pesantissimo, dei ministri in sede di Consiglio.
La partita, in realtà , è politicamente chiusa. La verità  è che nessuno ha avuto il coraggio di contrapporsi a Conte, tantomeno Di Maio che rifiutandosi di firmare quelle autorizzazioni si sarebbe posto in netto contrasto con le indicazioni del presidente del Consiglio e avrebbe di fatto aperto una crisi di Governo.
La verità  è che per Giulio Regeni nessuno ha il coraggio di sfidare Al Sisi e far cadere il governo.

(da TPI)

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EGITTO, ARRESTATA LA GIOVANE ATTIVISTA PER I DIRITTI UMANI SANAA SEIF

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

MENTRE L’ITALIA NON SI VERGOGNA A VENDERE DUE NAVI MILITARI A UN REGIME CHE INCARCERA E TORTURA GLI OPPOSITORI

Non si ferma la repressione di Abdel Fattah al-Sisi in Egitto. L’ ultima vittima dello stato di polizia instaurato dal presidente egiziano è Sanaa Seif. L’attivista 26enne è stata rapita ieri, 23 giugno, davanti alla procura del Cairo da uomini in borghese in pieno giorno.
Uno dei volti di Piazza Tahrir e delle rivolte contro il regime di Mubarak prima, e delle politiche di Mohamed Morsi poi, è apparsa due ore dopo davanti alla procura della Sicurezza di Stato per rispondere alle accuse di incitamento al terrorismo e diffusione di notizie false.
Le stesse accuse imputate allo studente egiziano dell’università  di Bologna — Patrick Zaki — arrestato al Cairo lo scorso febbraio.
La sorella del prigioniero di coscienza Alaa Abdel Fattah, in carcere dallo scorso settembre, Sanaa era stata aggredita insieme alla sorella e alla madre lunedì. Picchiate e trascinate per i capelli fuori dalla prigione di Tora, dove si trova rinchiuso il fratello, avevano denunciato il fatto sui social. È stata proprio la sorella Mona a dare la notizia dell’arresto di Sanaa tramite la sua pagina Twitter.
Le autorità  «si sono rifiutate di farcela vedere e non sappiamo dove sarà  incarcerata», ha dichiarato Mona. L’uso del termine «arrestata — ha aggiunto la sorella — implica una legalità  nel processo. Sanaa Seif non è stata “arrestata”, Sanaa è stata rapita e il suo rapimento è stato facilitato dalle guardie ufficiali dell’ufficio del procuratore generale».
Per Sanaa iniziano ora i quindici giorni di detenzione preventivi, gli stessi a cui sono quotidianamente sottoposte migliaia di vittime del regime di al-Sisi. Il 15 giugno l’attivista Lgbtq+ Sarah Hegazi si è suicidata in Canada dopo essere stata torturata e violentata nelle carceri del Cairo.
Dal 2013, anno in cui al-Sisi ha rovesciato il governo di Mohammad Morsi, la repressione dello Stato nei confronti di giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani si è intensificata. Tanto che l’Egitto ha vietato da allora le proteste non autorizzate.

(da agenzie)

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INTERVISTA A GIUSEPPE SALA: “GOVERNATE O SARA’ UN AUTUNNO DI LICENZIAMENTI”

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

“NEL GOVERNO NON VEDO L’IDEA DI PAESE”… “CONGRESSO PD ORA NON E’ UNA BUONA IDEA”… “BONOMI NON E’ DI DESTRA”

Sindaco Giuseppe Sala, lei condivide le critiche di Giorgio Gori a Nicola Zingaretti?
Ci sono degli elementi di verità  in quello che dice Gori, concreti, su cui si può discutere. Non capisco il “modo”, nel senso che una proposta del genere, se non preparata e condivisa, rischia di essere dimenticata in pochi giorni.
Andiamo al dunque: serve un Congresso, per cambiare la segreteria?
Non credo che in questo momento sia una buona idea cambiare il segretario del Pd. Non ha senso, non lo sentirebbero in primo luogo gli elettori. Il punto è un altro. Non vorrei rischiare di passare per una Cassandra, ma io vedo un autunno durissimo. Il Congresso non si organizza dall’oggi al domani, e non mi sembra una buona idea mettersi a fare una cosa del genere, mentre ci sarà  un passaggio così delicato.
Autunno durissimo. Il Governo è seduto su una bomba sociale pronta a esplodere se non cambia passo?
Sì, c’è seduto il Governo e più in generale il Paese. Io sono molto preoccupato. In questo momento tutti i nodi sociali stanno venendo al pettine e noi stiamo rimandando il problema, ma arriveranno al dunque: il 17 agosto finisce il divieto di licenziare, la Cassa integrazione finisce, insomma a un certo punto ci sarà  un limite. Io parlo con gli imprenditori, è facile intuire che stanno preparando dei piani di licenziamento significativi per l’autunno.
E a quel punto altro che Salvini, solo Dio sa quel che arriva.
Proprio così, solo Dio lo sa. Sa perchè ho detto “basta con lo smart working”? Perchè se tu imprenditore hai a casa tutta questa gente, ti chiedi: “Siamo sicuri che proprio non posso rinunciare a qualcuno in una situazione di calo dei profitti?”. È inevitabile. Vede, a me non convince l’idea di ridurre l’Iva. Non è che se tagli l’Iva di 4 punti corro a comprare una macchina o una camicia, l’idea che i consumi possano essere la panacea di tutti i mali è discutibile. Le ripeto, sono preoccupatissimo.
Paralisi, stallo, rinvio. Scelga lei il termine. Non c’è un solo dossier su cui si riesce a decidere.
Si, alcune questioni stanno lì da anni come Alitalia, sin dai tempi dei capitani coraggiosi. Altre sono più complesse come l’Ilva, su altre c’è un colpevole ritardo. Mi auguro che il Governo stia coltivando una idea di ricostruzione del paese che, al momento, non c’è o non è riuscito a esprimere. E questo è davvero un paradosso.
In che senso?
Il paradosso è che da un lato la politica non sembra essere in grado di essere centrale proprio nel momento in cui stanno per arrivare un sacco di soldi per la ricostruzione. Sarà  finanziato lo Stato, non le imprese, e dunque è necessario che lo Stato, la politica, abbiano idee chiare, progetti, capacità  realizzativa. Io credo molto all’idea del “Big State”, dello Stato centrale nei processi industriali.
Questa squadra di Governo le sembra all’altezza?
A Conte ho suggerito senza polemica di cambiare qualcuno. Lui dice di no, ma secondo me, lo dico con grande rispetto, sarà  costretto a cambiare prima o poi.
Ha suggerito di cambiare qualcuno o le piacerebbe che cambiasse il Governo?
No, non vedo alternative. Per quante criticità  ci siano non vedo alternative all’alleanza con i Cinque stelle. Anche se non mi pare così “organica” come in parecchi speravano. Guardi le Regioni: l’opposizione è unita ovunque, la maggioranza è separata. La situazione dei Cinque Stelle non è ancora definita. All’interno c’è un’anima di destra e una di sinistra, ci sono realtà  territoriali dove prevale quella di sinistra tipo Torino e Milano e altre dove prevale la destra. C’è un travaglio in atto, parlando con Beppe Grillo avverto che si sta interrogando su quale sia il suo ruolo, avendo comunque una idea chiara sul posizionamento del Movimento.
Lei ha una consuetudine con Grillo?
Sì, ci diciamo come la pensiamo in modo sincero e disinteressato.
Torniamo alla questione del paese. Anche lei, come Bonomi, pensa che sia squadernata una questione settentrionale, intesa come rivolta dei ceti produttivi e incapacità  della politica di rappresentarli?
Con Bonomi ho parlato più volte in queste settimane, lui sostiene di essere poco ascoltato dal Governo. Ho l’impressione che anche questa idea degli Stati Generali, con l’ascolto di tutti, abbia fatto sentire gli industriali una parte di tante. Forse avrebbero preferito un’interlocuzione più strutturata.
Per lei Bonomi esprime una cultura di destra, alternativa al sovranismo, o pone istanze legittime?
Ma no, gli industriali non sono nè di destra nè di sinistra. Credono nell’economia, nel profitto, nella crescita delle loro aziende. Il tema è che loro ritengono, anche giustamente, di essere il motore della ripresa e chiedono attenzione e misure concrete. E la politica a loro deve chiedere di essere partecipi del momento rispettando i diritti dei lavoratori.
Crede anche lei, come De Bortoli, che ci sia un clima anti-industriale e anti-settentrionale?
Un po’ sì. Ed è un po’ ingiustificato. Gliela dico così: è ripartito il campionato? Sì, ed è tornato più o meno tutto come prima: vince la Juve, il Napoli, l’Inter. Non riparte con valori stravolti. Il paese riparte solo se la Lombardia gioca un ruolo da protagonista. Non so se ho reso l’idea. Invece anche io ho letto in alcune reazioni un po’ di invidia e un certo compiacimento nel vedere colpita una Regione modello.
Le rigiro la questione. Non crede invece proprio che sul Covid si sia manifestato il default del modello lombardo? Non parlo solo di Fontana e della sanità  regionale.   Ma proprio della crisi di un modello e di una mentalità : Milano non si ferma, Bergamo non si ferma. L’idea che il Pil sia sempre più forte della salute.
Non so se è il Pil o la nostra attitudine a essere ottimisti e positivi, a volte non rendendosi conto del fatto che non può essere così. Anche io, nella fase iniziale di fronte a un’ondata popolare, ho rilanciato “Milano non si ferma”. Non mi giustifico, ma fa parte della nostra natura.
Sta facendo un’autocritica?
Sì, ho sbagliato, dovevo non farmi trascinare. Ma non era il Pil, erano gli umori della gente che ha il “non fermarsi” proprio nell’indole.
A proposito: ha deciso se ricandidarsi o meno?
Entro fine settembre lo chiarirò. Non ho un “piano b” dal punto di vista politico, il punto è che dieci anni a tirare la carretta, tra Expo e primo mandato, sono duri, voglio interrogarmi sul fatto di essere la persona giusta. Se mi ricandido, lo faccio in discontinuità  con me stesso, anche interpretando alcune sensibilità  che non hanno casa in nessun partito, come per esempio quella ambientale.

(da agenzie)

argomento: Politica | Commenta »

IL VIROLOGO GALLI CONTRO I “COLLEGHI OTTIMISTI” CHE NON SONO VIROLOGI MA PARLANO DI VIROLOGIA

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

LO SFOGO DEL DIRETTORE DELLE MALATTIE INFETTIVE DEL SACCO DI MILANO

C’è un meme che circola su internet da diverse settimane: in Italia si è passati dall’essere virologi a esperti di economia in un batter di ciglia, per poi diventare (o tornare a essere) allenatori di calcio alla ripresa dei primi match ufficiali.
Una presa di posizione ironica che, però, nasconde alcune verità . E se a farlo è un cittadino rimane un problema di poco conto, ma se questi sconfinamenti arrivano all’interno del comparto medico allora la questione è più seria.
E proprio su questo tema si è sfogato Massimo Galli ieri sera a CartaBianca, su Rai3, con un messaggio indignato rivolto ai suoi colleghi non virologi che, però, si accalcano tra televisioni, radio e giornali parlando di virologia.
Il tema è quello in discussione in queste settimane: da una parte ci sono esperti medici che parlano di un virus «diventato più buono», dall’altro c’è chi sostiene che i numeri indicano tutt’altro che la fine dell’emergenza sanitaria. Tra questi ultimi c’è proprio Massimo Galli, direttore del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, che sottolinea come questo ottimismo sia del tutto fuori luogo.
«Dire che il virus si è rabbonito è una grossolana sciocchezza», sostiene Massimo Galli. Secondo lui, infatti, i nuovi focolai in Italia sono l’esatto sintomo di come il Coronavirus sia ancora vivo in mezzo a noi e che le storie che arrivano dalla Cina e dal focolaio nel mattatoio in Germania (che ha costretto il governatore del Nordreno-Westfalia a imporre un nuovo lockdown fino al 30 giugno nell’area di Guetersloh) non possono far fare proclami ottimistici.
Poi l’attacco diretto: «I miei illustri colleghi si sono improvvisati una competenza su virus e epidemia, venendo da fantastici curricula in altri campi e altri ambiti. Io non mi metto a fare l’oncologo, il nefrologo. Io non mi metto a fare altri mestieri in termini di valutazioni di elementi e di esperienza. Sono veramente esausto: non posso dover contrastare posizioni di colleghi che si basano su impressioni e non sui numeri. È necessario parlare sulla base di dati, non sulle opinioni».

(da agenzie)

argomento: denuncia | Commenta »

RANCORE SOCIALE E GENERAZIONALE: UN GIOVANE SU DUE CONTRO “GLI ANZIANI PRIVILEGIATI”

Giugno 24th, 2020 Riccardo Fucile

LO STUDIO CENSIS CONFERMA IL CINISMO CHE ORMAI IMPAZZA NEL NOSTRO PAESE

Chi pensava che saremmo usciti migliori dalla pandemia di Covid-19 deve fare i conti con quanto emerge dal rapporto “La silver economy e le sue conseguenze nella società  post Covid-19” dell’Osservatorio Censis-Tendercapital.
Lo studio registra un nuovo rancore sociale e generazionale dei più giovani contro i più anziani, esploso con violenza proprio a seguito della pandemia.
Nel dettaglio, un giovane su due in emergenza vorrebbe penalizzare gli anziani nell’accesso alle cure e nella competizione sulle risorse pubbliche: il 49,3% dei millennial (il 39,2% nel totale della popolazione) ritiene che nell’emergenza sia giusto che i giovani siano curati prima degli anziani.
Un cinismo confermato da quel 35% dei giovani (il 26,9% nel totale della popolazione) convinto che sia troppa la spesa pubblica per gli anziani, dalle pensioni alla salute, a danno dei giovani.
In sostanza monta nella generazione più giovane un’inedita voglia di preferenza generazionale nell’accesso alle risorse e ai servizi pubblici, legata all’idea che l’anziano sia una sorta di privilegiato dissipatore di risorse pubbliche.
Il presidente di Tendercapital, Moreno Zani, si augura che i dati emersi possano dare “un contributo positivo al decisore politico che dovrà  adottare scelte più rispondenti alle nuove esigenze emerse a seguito della pandemia”.
Gli risponde il sottosegretario all’EconomiaPier Paolo Baretta dicendo che le politiche pubbliche “devono tener conto dell’alto numero di persone anziane che hanno una notevole capacità  di spesa, oltre che un ruolo sociale considerevole nei confronti dei giovani”.
Secondo lui, visto il clima teso, occorre “rimarginare la rottura generazionale” attraverso politiche che da un lato favoriscano l’occupazione e, dall’altro, “contribuiscano a sviluppare un nuovo modello di welfare orientato alla tutela della salute”.
Dal Rapporto emerge che nella fase post-Covid-19, gli anziani guardano al proprio futuro e a quello della propria famiglia con più fiducia degli altri: il 32,8% si dice ottimista, contro il 10,4% dei millennial e il 18,1% degli adulti.
Sono anche i più positivi sulle chance di ripresa dell’Italia (20,9%), mentre crolla in questo caso la fiducia dei millennial (4,9%).
Secondo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, la sfida ora è quella di leggere queste evidenze “alla luce di un ciclo di lungo periodo, tenendo conto che prima del contagio gli anziani erano più predisposti a cedere parte del loro reddito ai figli o ai nipoti, mentre il quadro che sembra ora emergere è quello di un atteggiamento di maggiore controllo da parte dei primi volto a riprendere padronanza della propria capacità  finanziaria”.
Questa però non è la sola novità  che emerge dallo studio.
Si smentisce ad esempio la relazione tra l’alta presenza di anziani e l’alta incidenza dei contagi. Il Covid non ha colpito solo gli anziani, lo dicono i dati a livello geografico: nelle province con i più alti tassi di contagio l’incidenza degli anziani è contenuta, come accade a Cremona (1° per tasso di contagio, ma al 45° posto della graduatoria per anzianità ) e Piacenza (rispettivamente al 2° e al 36° posto).
Al contempo, la provincia di Savona (1° per anzianità ) si colloca al 30° posto nella graduatoria per contagio, così come Biella (2° nella graduatoria per anzianità  e 28° in quella per contagio).

(da agenzie)

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