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BENETTON PRONTI A CEDERE AUTOSTRADE PER EVITARE LA REVOCA

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

LA MAGGIORANZA PASSEREBBE AL PUBBLICO… IL GOVERNO CHIEDE ANCHE PIU’ SOLDI E TAGLIO DELLE TARIFFE

La decisione deve essere ancora perfezionata, va sostanziata con le percentuali   che tutto sono tranne che dettagli. Ma c’è.
Anticipata dal Sole 24 ore e confermata a Huffpost da due fonti industriali di primissimo livello. Dice così: i Benetton sono pronti a rinunciare al controllo di Autostrade. A determinate condizioni sì, ma i paletti contano fino a un certo punto quando la partita è arrivata ben oltre il novantesimo minuto e il rischio è quello che il Governo, pressato dai 5 stelle, fischi la fine con la revoca della concessione.
Dopo quasi due anni dal crollo del ponte Morandi a Genova, questa volta si decide davvero. Al Consiglio dei ministri che si terrà  all’inizio della prossima settimana. E per questo la carta della discesa sotto il 50% dentro Autostrade va messa sul tavolo subito, al massimo nei prossimi giorni.
Perchè per i Benetton quella carta costa tanto, cioè la rinuncia a essere i padroni di un asset strategico come sono le autostrade, ma allo stesso tempo eviterebbe la grande cacciata.
La mossa dei Benetton
La volontà  dei Benetton di allentare la propria presenza dentro Autostrade è nota da mesi. La famiglia, attraverso Edizione, controlla il 30% di Atlantia, che a sua volta ha in mano l′88% di Autostrade.
Ma fino ad adesso si era ragionato sulla possibilità  di diluire la quota fino a scendere al massimo al 51%, in modo da tenere in mano la barra del comando. Il cambio di passo è nella nuova disponibilità  ad andare sotto la quota di controllo. A una condizione.
E cioè che la discesa avvenga attraverso un aumento di capitale da parte dei soggetti che prenderanno in mano il controllo della società .
Gli indiziati, già  individuati dal Governo, sono la Cassa depositi e prestiti e il fondo F2i. Loro mettono i soldi e prendono in mano le quote di maggioranza, mentre Atlantia va in minoranza. In questo modo quei soldi vanno a tutta la società , di cui i Benetton continuerebbero comunque a far parte.
E questa modalità  permetterebbe ai Benetton di superare anche il problema della svendita della quota dato che il Governo, con il decreto Milleproroghe, ha abbassato l’indennizzo in caso di risoluzione della concessione, portandolo da 23 a 7 miliardi.
Un indennizzo più basso significa che il valore della quota di Atlantia è più basso.
E se il valore è più basso, più basso è l’incasso quando si vende.
Nella proposta che i Benetton stanno valutando di sottoporre al Governo c’è anche l’indicazione vincolante che a entrare dentro Autostrade devono essere player di livello.
La Cassa e F2i lo sono, ma questo disegno va ancora confezionato e lo deve fare il Governo. Basta pensare che alle condizioni attuali, la Cassa non si è avvicinata al dossier. Prima bisogna sgomberare il campo dalla questione della revoca. È evidente che la questione può essere risolta, ma allo stato attuale è ancora in una forma embrionale.
I 5 stelle si faranno convincere?
Passare dal controllo a una quota di minoranza ha un evidente impatto sulla trattativa e sulle discussioni che stanno spaccando il Governo. Perchè i 5 stelle potrebbero dire che i Benetton non sono più i padroni di Autostrade e bypassare così il mancato rispetto della grande promessa fatta il giorno dopo il crollo del ponte Morandi, cioè di andare dritti alla revoca. Ma non è detto che basti.
E questo è un altro problema che riguarda il Governo, chiuso in una sorta di labirinto, dove i problemi interni hanno un peso quantomeno come quelli che riguardano la trattativa con Autostrade.
Dentro il Movimento ci sono due fazioni contrapposte. Gli oltranzisti che dicono revoca e basta, come Alessandro Di Battista, e quelli che sono disposti ad accettare la discesa dei Benetton a patto però che scendano almeno al 30 per cento. E qui subentra un altro problema, quello della quota che alla fine avrà  in mano Atlantia.
I Benetton stanno ancora valutando fino a che punto scendere. Il cerchio, quantomeno per la parte più “morbida” dei 5 stelle, non si chiuderebbe se decidessero di restare intorno al 49% o comunque sopra il 30 per cento.
In ogni caso finire in minoranza non significa uscire dalla stanza dei bottoni. Certo non si ha l’ultima e decisiva parola, ma la si può dire e anche contando. Basta pensare al peso che ha oggi Allianz dentro Autostrade pur possedendo appena il 6% delle azioni.
Intanto il Governo chiede più soldi ad Autostrade: “Tre miliardi non bastano”. E un taglio strong delle tariffe
La questione della quota dei Benetton è però solo una parte della vicenda, che resta ingarbugliatissima. La possibilità  di cedere il controllo è un’opzione che i Benetton potrebbero inserire nella nuova proposta che il Governo ha chiesto ad Autostrade e Atlantia nel corso di una riunione tecnica al ministero dei Trasporti. Agli amministratori delegati seduti al tavolo, Roberto Tomasi e Carlo Albertazzo, i capi gabinetto del Mit e del Tesoro, affiancati dal segretario generale di palazzo Chigi Roberto Chieppa, hanno detto di mettere sul tavolo una nuova mediazione.
Al massimo entro domenica. Lo spin di alcuni esponenti di governo parla di “ultimatum”, dall’altra parte del campo si parla di “tentativo di pacificazione”.
Ma al di là  dei modi, contano i contenuti. Ai vertici delle due società , il Governo ha detto che le proposte avanzate fino ad adesso non vanno bene. Messaggio chiaro: così si va dritti alla revoca. Per l’esecutivo non bastano i tre miliardi messi sul tavolo da Autostrade, così suddivisi: 1,5 miliardi per il calo delle tariffe e ulteriori investimenti, 700 milioni per ulteriori manutenzioni e 800 milioni per Genova. Oltre all’impegno, per ora congelato, a investire 14,5 miliardi fino al 2038 e di stanziare 7 miliardi per la manutenzione ordinaria.
La consegna dei rappresentanti del Governo ai   manager è stata netta: più soldi, tre miliardi non sono sufficienti. E all’interno di un impegno più alto, uno dei punti centrali è il taglio delle tariffe. Anche qui l’esecutivo ha dato un’indicazione chiara: i tagli devono essere spalmati in più anni, ma quello più consistente deve essere fatto subito. Per primo. In questo modo – e qui subentra l’ennesima ragione di tenuta della maggioranza sul dossier – i 5 stelle possono dire che i cittadini pagheranno pedaggi più contenuti e che i Benetton incasseranno meno soldi.
Anche se si andrebbe incontro a un cortocircuito e cioè che a incassare meno sarà  la nuova Autostrade, quella dove Cdp e F2i avrebbero la maggioranza.
Insomma, il danno non sarebbe in capo esclusivamente ai Benetton. Ma questo è un ulteriore ingarbugliamento di una partita complessa.
Finalmente si decide (almeno così ha detto il Governo ad Autostrade)
Durante la riunione, il Governo ha comunicato ad Autostrade che la decisione sul dossier sarà  presa durante una riunione del Consiglio dei ministri messa in calendario per l’inizio della prossima settimana. L’esecutivo ha tracciato così la sua road map decisionale: prima si capisce se la nuova proposta di Autostrade può andare bene a livello tecnico. Se il disco diventa verde, allora la parola passa al Consiglio dei ministri. Le opzioni in campo sono tre.
I ministri possono dire che basta l’offerta (se migliorativa), dire che è sufficiente ma va accompagnata dalla cessione della quota dei Benetton, ringraziare e dire che l’unica strada obbligata è la revoca.
Ma questo ragionamento è stato fatto al buio, senza cioè conoscere la volontà  dei Benetton di cedere la quota di controllo. E, a ritroso, bisogna ancora definire l’asticella della quota. La complessità  della partita è tutta qui.

(da “Huffingtonpost”)

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APPALTI TRUCCATI NELL’ESERCITO, I GRADI PER LA DIVISA “CHE ARRIVANO CON IL GOMMONE” E LE “TENDE CHE PIGLIANO FUOCO”

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

LE INDAGINI RIVELANO UN QUADRO DI CORRUZIONE DEVASTANTE, ECCO I DETTAGLI

“Io racimilo di là , tu racimoli di qua. Vedi tu insomma, non è che io sto a fa…”. Vincenzo Borreca, brigadiere capo della Guardia di Finanza al Reparto tecnico logistico di Roma, quasi si vergogna nel chiedere se c’è una parte per lui nell’affare della fornitura dei nuovi distintivi di grado.
“Se fa lo sconticino, lo piji te e stamo a posto”, gli replica la dipendente della ditta con cui sta concludendo l’affare. Secondo il gip, Tamara De Amicis, si tratta un “modus operandi così pervasivo” che “investe tutti i settori in cui l’amministrazione necessita di beni e servizi” e va da poche centinaia di euro (“1.000, anche 1.200” nel caso di Borreca) a diverse decine di migliaia.
Il riferimento è al sistema di corruzione che ha portato questa mattina all’arresto di 26 persone su 47 indagati, fra cui ci sono ben 16 militari coinvolti (6 in carcere) fra generali, colonnelli, tenenti colonnello e brigadieri di Esercito, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza. L’indagine della squadra mobile è coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Antonio Clemente.
Gli appalti più importanti riguardavano il centro logistico di Roma dell’Esercito italiano, il Comando generale dei Carabinieri, l’Istituto di medicina aerospaziale, l’ufficio del Capo di stato maggiore dell’Aeronautica, le direzioni di commissariato relativi agli aeroporti militari di Guidonia e Pratica di Mare e l’Agenzia di supporto e approvvigionamento della Nato (Nspa) in Lussemburgo.
Fra gli indagati compare anche Gennaro Granato, consigliere di Forza Italia e assessore comunale a Torre del Greco, in provincia di Napoli. Di professione dipendente della Regione Campania, politico “dalle precarie condizioni economiche a causa del vizio del gioco”, lo descrivono gli investigatori nell’informativa.
Fornitura dei gradi a Esercito, Carabinieri, Finanza e Aeronautica
“In Albania c’ho quasi schiavi… se lo sapessero mi arresterebbero”. Fabio Piedimonte è l’imprenditore interlocutore di Francesco Pasquale, Tenente colonnello dell’Esercito presso il Centro logistico di Roma.
Secondo l’accusa, i due avrebbero concordato una fornitura dei gradi militari da Cina e Albania, invece che attraverso la produzione diretta della Laboconf, come da capitolato d’appalto. “Diciamo che arrivavano col gommone”, diceva Pasquale al collega Gianni Cicala, facendo intendere che le forniture sarebbero giunte “dall’altra parte dell’Adriatico”.
Pasquale rivela anche come a un certo punto i fornitori “erano in difficoltà  oggi perchè c’avevano anche quelli di plastica alla dogana”, per poi assicurare: “Non vi preoccupate, la roba ve la sdogano io”.
Piedimonte rifornisce anche l’Arma dei Carabinieri: secondo gli inquirenti grazie ai buoni uffici del tenente colonnello Melchiorre Giancone, direttore del centro rifornimento di commissariato Cerico di Palermo. “Fai il massimo”, gli dice il militare, “anche perchè come contropartita ti becchi altre 220mila euro di fornitura”, in riferimento a un approvvigionamento di giubbotti e scarponi, gara per la quale Giancone si preoccupa personalmente di far sì che resti sotto il limite degli affidamenti diretti previsti dal codice degli appalti.
Fa l’intermediario sempre per Laboconf pure Luigi Boninsegna , che però si occupa della fornitura dei gradi all’Aeronautica. Il generale Giuseppe Midili chiede come mazzetta “un set completo del valore di circa 350-400 euro”: vuole regalarli personalmente al capo di Stato Maggiore del corpo. Chi indaga registra come Boninsegna rifiuterà  il pagamento come forma di “sistematica corruttela”.
Gli appalti pilotati per Pratica di Mare
“Comanda’, glielo dico però… mi raccomando… gira voce che la gente viene qua e vince le gare… dicono di lei…”. Il 7 marzo 2019, Natale Antonio Palmieri, detto “Luparetta”, colonnello in servizio presso il comando dell’aeroporto militare di Pratica di Mare — sul litorale romano — avverte il generale ispettore dell’Aeronautica, Gennaro Cuciniello, all’epoca dei fatti capo del Corpo di Commissariato aeronautico.
L’appalto era quello della digitalizzazione degli uffici aeroportuali. A proposito di Cuciniello, gli imprenditori Claudio Montigelli e Mario Fugazzotto dicono: “So’ cinque anni che je mantenemo er fijo (gli manteniamo il figlio ndr) senza avere ottenuto nulla”.
Parlano di Gianmario Cuciniello, assunto a 1.600 euro al mese presso la loro società , che ora avrebbe cambiato ragione sociale. Secondo gli inquirenti, Cuciniello permetterà  a Aditinet di prepararsi a partecipare a un bando per progetti antintrusione “da realizzare su tutti gli aeroporti militari dislocati sul territorio nazionale”. “Sarebbe un Bingo”, afferma Palmieri, che risulta a conoscenza e parte in causa dell’episodio corruttivo, che vale circa 20.000 euro.
Le tende dell’esercito: appalto da 9 milioni
Uno degli appalti più consistenti dell’intera vicenda riguarda l’approvvigionamento delle tende per l’Esercito italiano. La ditta “prescelta” era la Losberger Italia, che avrebbe dovuto fornire le tende all’Ufficio tecnico territoriale mobile di Firenze. Coinvolti sono Leopoldo Cimino, colonnello dell’Esercito e Responsabile della gara in questione, e Massimo Borghini, altro colonnello direttore dell’Utt. Siamo a novembre 2018 e le tende hanno un problema di indebolimento della saldatura e gli intermediari coinvolti, Luigi Boninsegna e Cesare Petrillo, sono convinti di non essere in grado di rispettare il capitolato tecnico.
La gara si dovrebbe rifare e l’Esercito rimarrebbe senza tende. Così pensano una “soluzione all’italiana” e chiedono un incontro al colonnello Cimino: “La soluzione è quella che prospettavi tu — dice Boninsegna, subito dopo aver visto il colonnello — si adotta in Eurovinil”. “Eh ma andiamo fuori peso”, ribatte Petrillo, ingegnere. “Lui dice se qualcuno fa un attentato ce butano una tanica di benzina addosso pija a fuoco, per cui dice dal punto di vista operativo io preferisco che tengano le saldature”. Successivamente arriverà  la firma del contratto. Scrive il gip: “La frode si sarebbe concretata nella fornitura di prodotti non corrispondenti per caratteristiche tecniche, qualità  ed efficacia, alla campionatura indicata in gara”.
La turbativa all’Agenzia Nato
Cuciniello si ritrova anche nella vicenda delle forniture all’agenzia Nato Nspa, di cui è membro di rilievo. Secondo quanto ricostruito da chi indaga, Cuciniello contatta l’imprenditore Carlo Silvano attraverso un amico comune, Gennaro Granato, assessore comunale a Torre del Greco, in provincia di Napoli, in quota Forza Italia e dipendente della Regione Campania. Dal militare Matteo Rinaldi, di stanza in Lussemburgo, Cuciniello invece otterrebbe l’accesso a “informazioni riservate e documenti privilegiati inerenti gare indette all’Agenzia Nato”. Informazioni che il generale passa a Silvano. “Le intercettazioni telefoniche — si legge nell’ordinanza — hanno disvelato le precarie condizioni economiche in cui versa l’assessore Granato, a causa del vizio del gioco; egli chiede dunque costantemente aiuto all’amico Carlo Silvano, che preleva i soldi dalla cassa della società ”.
Ciò avrebbe “comportato il malumore dei fratelli, soci in affari dell’imprenditore napoletano”. “Risulta evidente — secondo l’informativa consegnata ai pm — che l’assessore partenopeo, sfruttando le proprie entrature e conoscenze, sia riuscito a creare condizioni favorevoli all’accoglimento delle proprie richieste di denaro da parte dell’imprenditore che beneficia dei suoi canali privilegiati”, e quindi “in primo luogo dal Generale Cuciniello”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PER NON FARSI MANCARE NULLA: APPALTI E MAZZETTE NELLE FORZE ARMATE, COINVOLTI ANCHE GENERALI

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

64 INDAGATI, 7 AGLI ARRESTI DOMICILIARI, 5 SOSPESI DAL SERVIZIO… COINVOLTI ANCHE UFFICIALI DELLA GDF E DEI CARABINIERI

Era un sistema. E funzionava “accussì”, come diceva uno degli indagati, il generale dell’Aeronautica Gennaro Cuciniello. Ovvero che per aggiudicarsi un appalto con l’Aeronautica bisognava pagare. Che fossero soldi dati, promessi o assunzione di figli o di amici degli amici. C’è tutto questo nell’ordinanza eseguita dalla polizia di Stato, coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e dal sostituto Antonio Clemente,
La polizia di stato ha eseguito un’ordinanza nei confronti di 31 persone: 7 agli   arresti domiciliari tra imprenditori e ufficiali, 19 divieti di contrattare con la pubblica amministrazione, cinque sospensione di servizio per appartenenti alle forze dell’ordine. Ma l’indagine è molto più ampia e conta 64 indagati.
Le accuse vanno dalla corruzione alla frode nelle pubbliche forniture passando per truffa e turbativa d’asta e coinvolge alti ufficiali. E gli appalti truccati, del valore totale di circa 18,5 milioni di euro, riguardano gli arredamenti per gli uffici, i sistemi informatici, la manutenzione delle aree verdi, i sistemi antiintrusione, le tende modulari e approvvigionamento dei gradi in velcro.
Insomma, la logistica delle forze armate. Le tangenti avevano anche un tariffario: in genere veniva sborsato il 10 per cento del valore dell’appalto. Tra gli indagati anche alcuni generali.

(da agenzie)

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CHI E’ QUEL POLITICO CHE SI CREDE BERLINGUER? URGE ESORCISTA

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

DI FRONTE AL “TURCO CHE BESTEMMIA I SANTI IN CHIESA” NON VALE NEANCHE LA PENA DI INDIGNARSI

Indovina indovinello: c’è un leader politico italiano che ha detto d’aver ereditato i valori della sinistra di Enrico Berlinguer.
Ricordate, magari con commozione? La questione morale, lo strappo dall’Urss, la fermezza sul caso Moro, l’evoluzione democratica del Pci, il grande partito, il paese nel paese di cui parlava Pasolini, eccetera eccetera.
Chi sarà  mai questo leader, di tale levatura, politica e morale, che nella citazione a buon titolo si guadagna il ruolo di faro nella crisi dell’Italia di oggi?
Se non avete indovinato, vi forniamo alcuni ulteriori indizi.
A nostro insindacabile parere, certi di non poter essere smentiti, il suddetto leader ha ereditato anche: un po’ di conservatorismo europeo di Prezzolini, certo la centralità  politica della cultura di Gramsci, il rigore morale di Leone Ginzburg, il federalismo di Cattaneo ma anche un po’ di federalismo europeo di Spinelli, certamente il costituzionalismo di Temistocle Martines, il liberalismo economico di Luigi Einaudi, l’etica politica di Benedetto Croce, il riformismo democristiano di Alcide De Gasperi. Ma anche la voce di Mina, il sinistro di Maradona, l’ars amatoria di Rodolfo Valentino, il girovita di Belen.
Esatto, è proprio lui: Matteo Salvini.
Manco vale la pena di indignarsi, di fronte al turco che bestemmia i santi in chiesa e che cerca pure una sede del partito proprio in via delle Botteghe Oscure.
Raffinata operazione simbolica, per evocare, a chi se li ricorda, i simboli delle radici popolari che la sinistra avrebbe smarrito. Il nostro ha anche l’acume tattico di Machiavelli, tanto ormai vale tutto.
Chi scrive potrebbe anche sentirsi Catone il Censore o un Torquemada che gli ricorda i 49 milioni, ma resiste alla tentazione e mette un punto.
Per evitare che la questione possa essere presa sul serio.

(da Huffingtonpost”)

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I PAESI FRUGALI DEL NORD ELEGGONO UN IRLANDESE PRESIDENTE DELL’EUROGRUPPO, BRUTTO SEGNALE PER IL RECOVERY FUND ATTESO DALL’ITALIA

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

ESCONO SCONFITTI GERMANIA, FRANCIA, ITALIA E SPAGNA CHE APPOGGIAVANO LA SPAGNOLA CALVINO

A sorpresa l’irlandese Paschal Donohoe è il nuovo presidente dell’Eurogruppo, che succede al portoghese Mario Centeno dimessosi a giugno.
Al secondo giro di votazioni tra i ministri dei 19 paesi dell’area euro, Donohoe batte la spagnola Nadia Calvino, che sembrava favorita nella corsa, sostenuta dai paesi del sud, l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia, i più colpiti dalla crisi economica scatenata dal covid e la Germania.
L’elezione dell’irlandese segna un punto a favore dei piccoli paesi frugali del Nord, insieme ai baltici, contrari alla nomina di una spagnola a capo dell’Eurogruppo: insieme sono riusciti a battere i paesi più grandi e persino il ‘potente’ asse franco-tedesco.
E così la pandemia ha trasformato un’elezione di solito ‘neutra’ in una competizione dal sapore molto politico, che guarda alle misure da mettere in atto per affrontare la crisi, un atto della ‘guerra’ in corso sul recovery fund.
Donohoe è stato sostenuto dai paesi euro della cosidetta lega anseatica, voce dei rigoristi del nord che si rifà  all’alleanza tra città  dell’Europa settentrionale e del Baltico che dominò il commercio nel tardo Medio Evo e il XVI secolo. Ne fanno parte: Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Svezia, Lituania, Estonia e Lettonia e l’Irlanda. Anche se l’Irlanda negli ultimi anni è stata più ‘punita’ dalle politiche di austerity che altro, la riesumazione della lega anseatica le ha permesso di prendere la presidenza dell’Eurogruppo. Ma Donohoe ha votato anche l’Austria, Cipro, la Slovacchia, la Slovenia.
Quella che si è consumata oggi all’Eurogruppo è stata anche una battaglia tra destra e sinistra: i paesi governati dai Popolari hanno votato Donohoe, anche se qualche settimana fa Angela Merkel si era espressa a favore di Calvino. Sullo sfondo anche la battaglia di genere: uomo contro donna. Se fosse stata eletta, Calvino sarebbe stata la prima donna a presiedere l’Eurogruppo. Insieme a Christine Lagarde eletta al vertice della Bce, Ursula von der Leyen a capo della Commissione Ue, per non dire di Merkel presidente di turno dell’Ue, la spagnola avrebbe composto un quadretto di cariche apicali tutte al femminile.
Non è andata così. Ha prevalso il timore dei paesi nordici di vedersi guidati da una rappresentante dei paesi del sud — che loro considerano inaffidabili in fatto di conti pubblici – in una istituzione come l’Eurogruppo, importante per le misure economiche da adottare in una fase così drammatica e inedita di crisi dovuta alla pandemia.
Quella che si è consumata oggi è stata prevalentemente una battaglia del nord contro il sud, nell’ambito della ‘guerra’ iniziata a marzo con la crisi del covid, guerra che continuerà  in Consiglio europeo la prossima settimana, quando i leader dovranno cercare un’intesa sul recovery fund. Intesa ancora lontanissima: i nordici non mollano, vogliono che il fondo sia fatto prevalentemente da prestiti piuttosto che da sussidi, non accetterebbero nemmeno la mediazione proposta da Germania e Francia, 500mld di sussidi e stop.
Oggi l’olandese Mark Rutte ne ha parlato con Merkel in un bilaterale a Berlino: “Sì al fondo, ma legato alle riforme” da parte dei paesi che faranno ricorso agli aiuti europei.
In gara c’era anche il lussemburghese Pierre Gramegna. Ma il voto è stato una sorta di spareggio tra la spagnola, 52 anni e 4 figli, ex direttore del bilancio in Commissione europea, ministro di Sanchez da due anni, professionista allevata dalla burocrazia di Bruxelles, e l’irlandese, esponente del Fine Gael, classe 1974, 2 figli, più volte ministro, laurea al Trinity College di Dublino, ex di Procter & Gamble.
Nella lettera di presentazione della candidatura Calvino si è espressa a favore della revisione delle regole del Patto di stabilità , contraria ad una riattivazione frettolosa delle regole sospese per il covid.
Donohoe invece si è ingraziato i nordici promettendo un ritorno alle regole nel medio termine, prefigurando un ruolo politico dell’Eurogruppo e una gestione alla fine nazionale delle politiche economiche.
Il covid trasforma tutto ciò che tocca in battaglia politica, aspra perchè in tempi di crisi ognuno guarda ai propri interessi ancor più che in tempi normali. Certo, nell’area euro, viste le interconnessioni ormai strettissime tra i paesi, gli interessi di uno rappresentano anche una fetta degli interessi degli altri. Ed è per questo che tutti gli Stati membri, anche oltre l’area euro, si sono convinti a dar vita al recovery fund. In quali termini, dipende dalle trattative in corso.
Oggi la bilancia ha premiato il nord, chiudendo la battaglia col vantaggio di tanti piccoli Stati che, alleati insieme, hanno battuto Stati grandi come la Germania, la Francia, l’Italia, la Spagna.
Proprio su questo, due anni fa, Calvino fece una gaffe, descrivendo la lega anseatica come alleanza di “paesi molto piccoli come un peso molto ridotto”. Gliel’hanno fatta pagare.

(da “Huffingtonpost”)

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COME FACEVA FONTANA A SOSTENERE CHE NON SAPEVA NULLA “DELLA DONAZIONE” SE PER LA PROCURA E’ STATO LUI A INTERVENIRE PER TRASFORMARE QUELLA CHE ERA UNA VENDITA IN DONAZIONE, UNA VOLTA CHE REPORT AVEVA SVELATO L’AFFARE?

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

SE ERA UNA DONAZIONE COME MAI, DOPO CHE IL CASO E’ ESPLOSO, L’AZIENDA DELLA MOGLIE E DEL COGNATO DI FONTANA NON HANNO PIU’ “DONATO” I RESTANTI 25.000 CAMICI CONCORDATI NELLA FATTURA CERCANDO ANZI DI RIVENDERLI AD ALTRI?

Dai primi atti di indagine della Procura di Milano sul caso della fornitura di camici e altro materiale da parte di Dama, società  del cognato di Attilio Fontana, sarebbe emerso un interessamento del governatore lombardo nella fase di trasformazione dell’ordine di acquisto diretto in donazione.
Inquirenti e investigatori stanno facendo accertamenti su un presunto ruolo attivo nella vicenda del presidente della Regione. La moglie di Fontana detiene una quota della società .
“Non sapevo nulla della procedura attivata da Aria Spa e non sono intervenuto in nessun modo”, aveva fatto sapere in una nota qualche giorno dopo l’uscita dell’inchiesta giornalistica il governatore Fontana.
Il presidente si era detto in questo modo fin da subito estraneo alla vicenda, sostenendo di non sapere della donazione. Una versione che collide con quella su cui lavorano invece i magistrati.
Dagli accertamenti svolti ad oggi dagli inquirenti – e avviati per capire se ci sia stata turbativa d’asta – risulta che non si trattò di una donazione ma di un affidamento diretto.
Dei 75mila camici della fornitura al centro delle indagini della Procura di Milano, 50mila sarebbero stati messi a disposizione di Aria, centrale acquisti della Regione Lombardia, come donazione da parte di Dama, società  del cognato di Attilio Fontana. Società  che, però, dopo il 20 maggio, quando avvenne la trasformazione da fornitura in donazione, avrebbe cercato di rivendere i restanti 25mila camici.

(da “Huffingtonpost“)

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LE PROVANO TUTTE PER FERMARE CHI SALVA VITE UMANE IN MARE: CONTESTANDO PICCOLEZZE E CAVILLI, SI IMPONE IL “FERMO AMMINISTRATIVO” FINO A CHE NON VENGONO APPORTATE MODIFICHE CHE SPESSO NECESSITANO DI DUE MESI

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

IN MARE GIRANO BARCHE DI CONTRABBANDIERI E CARRETTE DEL MARE, MA NESSUNA VIENE MAI ISPEZIONATA 10 VOLTE L’ANNO … LE ONG: “VERGOGNA, VOGLIONO FERMARE I SOCCORSI”… E IL METODO DEI SOLITI TEORICI VILI DEI “TAXI DEL MARE”

Dopo Alan Kurdi e Aita Mari, ieri con lo stesso metodo la Guardia costiera ha bloccato la Sea Watch che stava per ripartire dopo la quarantena. E i tedeschi accusano: “Vergogna, vogliono fermare i soccorsi”
L’ultimo avvistamento è di un barcone stracarico di migranti a 47 miglia da Abu Kammash, in Libia. Almeno 250 persone segnalate da Moonbird, l’aereo della Ong Sea Watch rimasto da solo a pattugliare dall’alto il Mediterraneo adesso rimasto senza soccorsi.
Ancora una volta le navi umanitarie sono tutte bloccate, chi dalla quarantena ordinata dalle autorità  italiane come nel caso della Ocean Viking e della mare Jonio ( dopo gli ultimi sbarchi) chi invece pretestuosi controlli e ispezioni a bordo pr andare a contestare cavilli.
Ultima la Sea Watch 3, attualmente a Porto Empedocle, è stata sottoposta a fermo amministrativo dopo un’ispezione della Guardia Costiera, che ha rilevato “diverse irregolarità  di natura tecnica e operativa”.
Immediata la replica della Ong: “Ancora una volta si utilizza questo strumento per celare il vergognoso tentativo politico di fermare i soccorsi colpendo le ong senza offrire alternative alla loro presenza”.
E’ la solita tecnica: c’e’ chi fa leggi criminali in violazione del diritto internazionale, chi contesta che non tutto è a norma a bordo e vanno apportate modifiche, spesso costringendo le navi a dirigersi verso le nazioni di origine per avere il visto.
Così si tengono bloccate per due mesi e i migranti possono affogare liberamente o essere riportati in Libia dai criminali della Guardia costiera e rinchiusi nei lager fino a che non pagheranno nuovamente il viaggio ai militari libici.
Questa sarebbe l’Italia e l’Europa civile

(da agenzie)

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INCHIESTA CAMICI: IL PRESIDENTE FONTANA AVREBBE AVUTO UN RUOLO ATTIVO

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

AUDIZIONE FIUME DI 7 ORE IN PROCURA; PER I MAGISTRATI FU UN AFFIDAMENTO DIRETTO ALLA DITTA DEL COGNATO E DELLA MOGLIE, QUANDO REPORT INIZIA L’INCHIESTA FONTANA FA MUTARE IL CONTRATTO IN DONAZIONE PER SALVARE LA FACCIA… L’ASSESSORE CATTANEO AMMETTE: “SI SAPEVA CHE ERA L’AZIENDA ERA LEGATA ALLA FAMIGLIA FONTANA”

Quella dei camici non è nata come donazione ma come un affidamento diretto.
È questa la tesi della procura che si basa su elementi di prova che secondo l’accusa racconterebbero tutta un’altra storia nella genesi della vicenda che vede oggi indagati Andrea Dini, cognato di Fontana e numero uno della società  Dama titolare del marchio “Paul&Shark”, e l’amministratore delegato di Aria, la centrale acquisti regionale, Filippo Bongiovanni.
Ulteriori elementi racconterebbero come questa sia effettivamente diventata una donazione, ma solo dopo che i giornalisti di Report hanno cominciato a fare delle domande.
Per la procura il presidente della Regione Attilio Fontana (per ora non indagato) avrebbe avuto un ruolo attivo nella vicenda: avrebbe fatto modificare il contratto da vendita a donazione perchè sarebbe stato consapevole che quell’affidamento favoriva una società  legata a sua moglie.
Il fasciolo per turbativa d’asta ha al centro la commessa di 75mila camici per un totale di 513mila euro offerti da Dama ad Aria durante il picco dell’emergenza Covid. Camici che sono stati consegnati solo in parte.
Oggi c’è stata un’audizione fiume di oltre sette ore in procura per chiarire ruoli e decisioni nella fornitura alla Regione dei 75mila camici da parte Dama, la società  del cognato del presidente Attilio Fontana, Andrea Dini, proprietario della srl di cui la moglie Roberta Dini detiene il dieci per cento.
Carmen Schweigl, 56 anni, responsabile della struttura gare di Aria ha risposto alle domande dei pm Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas sull’iter della fornitura, che da affidamento diretto a pagamento è stata poi trasformata in donazione. Un tassello di un puzzle che per i magistrati inizia a essere definito per ruoli e dinamiche interne alla Regione.
Lo snodo della vicenda è l’intervista di Report di metà  maggio. Anche se il giornalista di Giorgio Mottola fa domande a Fontana del tutto vaghe sull’affidamento, il governatore si sarebbe attivato poco dopo per far modificare il contratto da vendita — con ordine di acquisto del 16 aprile per un valore da 513mila euro — in donazione. L’offerta della società  arriva in Regione prima di Pasqua, con un preciso tariffario per 75mila capi per infermieri. L’intervista arriva dopo la consegna dei primi 50mila. È allora che Andrea Dini decide di non completare la consegna degli altri 25mila camici, nonostante ci si trovi in quel momento in una situazione di disperato bisogno in ospedali ed Rsa. Ma anzi la procura sostiene che Dini cerchi di rientrare del denaro che non avrebbe più incassato dal Pirellone, cercando sul mercato altri acquirenti. Vendendo gli stessi camici a un prezzo superiore. Il governatore fontana si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda.
Un ruolo nella vicenda lo avrebbe anche l’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, nominato responsabile della task force regionale per la produzione di mascherine e Dpi. Cattaneo (non indagato), sentito in procura due giorni fa, ha ammesso di sapere che la ditta fosse legata alla famiglia Fontana e di essere stato lui a introdurla — così come ha fatto per molte altre aziende produttrici di mascherine – ai manager di Area. Un consiglio che i pm ritengono non penalmente rilevante, a differenza di chi lo ha recepito e accolto.

(da “Repubblica”)

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LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA IL DECRETO SICUREZZA DI SALVINI: “VIOLA L’ART. 3 DELLA COSTITUZIONE”

Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile

PRECLUDERE L’ISCRIZIONE ANAGRAFICA DEGLI STRANIERI RICHIEDENTI ASILO E’ INCOSTITUZIONALE… DITELO A QUEGLI INFAMI CHE L’HANNO VOTATO

Precludere l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo, come previsto dal Decreto Sicurezza, è «incostituzionale» perchè viola l’articolo 3 per cui «Tutti i cittadini hanno pari dignità  sociale e sono eguali davanti alla legge».
La Corte Costituzionale smonta così uno dei pilastri del primo provvedimento bandiera del governo a trazione Lega-M5s fortemente voluto (insieme alla sua successiva riedizione, il decreto Sicurezza Bis) dal leader della Lega e allora ministro dell’Interno Matteo Salvini
La norma
Dopo l’udienza pubblica svolta ieri, oggi la Consulta ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità  costituzionale sollevate da tre tribunali: Milano, Ancona e Salerno. «Tutti i cittadini hanno pari dignità  sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», recita l’articolo 3.
La norma ritenuta incostituzionale è contenuta nel decreto sicurezza voluto nel 2018 dall’allora titolare del Viminale: l’articolo 13 del Decreto-Legge D.L. 4 ottobre 2018, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132) e poi ribadita con una circolare inviata a Prefetti e a Sindaci da parte del Viminale vietava di fatto la concessione della residenza anagrafica ai richiedenti asilo.
Da quel momento molte amministrazioni — sottolineano associazioni come per esempio Avvocati di Strada — hanno cominciato a rigettare le domande di residenza dei richiedenti asilo: condizione necessaria per la procedura è infatti l’indicazione di un indirizzo di residenza in Italia. Da allora i dinieghi sono stati impugnati in molte parti d’Italia. E nella stragrande maggioranza dei casi, dicono ancora i legali, i ricorsi sono stati accolti.

(da agenzie)

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