Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
LA SINISTRA INSORGE: “ORRORE E PIETA'”… LA FRASE PRONUNCIATA A “L’ARIA CHE TIRA”, IN EFFETTI PER SALVINI TIRA UNA BRUTTA ARIA
“I valori di una certa sinistra, quella di Berlinguer, degli operai e degli insegnanti ora sono stati raccolti dalla Lega. Se il Pd chiude Botteghe Oscure e la Lega riapre sono contento, è un bel segnale”. Lo ha detto il leader della Lega, Matteo Salvini, a l’Aria che tira, in diretta su La7, commentando la prossima apertura della sede romana della Lega in via delle Botteghe Oscure, via della storica sede del Pci.
Parole che hanno scatenato la pronta reazione del Pd. “Devono proprio andare male a Salvini i sondaggi per cercare di paragonarsi a Berlinguer. Quel paragone che ha fatto oggi, per via della sede in Botteghe Oscure, fa veramente orrore e pietà ”.
Lo scrive su Facebook il deputato e membro della segreteria Pd Emanuele Fiano. Dello stesso avviso il capo dei senatori dem Andrea Marcucci: “Non sono mai stato un militante del Pci ma pensare che Salvini paragoni la Lega al partito di Berlinguer mi fa indignare”.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
“TROPPO FACILE VOTARE IN PARLAMENTO, DITELO IN FACCIA AI NAUFRAGHI CHI FINANIATE”
Con un post di poche righe ma potente, Cecilia Strada ha messo in risalto l’ipocrisia del Governo, che ieri ha votato per continuare a finanziare la Guardia Costiera libica: “Cari senatori che ieri avete rifinanziato la Guardia Costiera libica per fare il lavoro sporco sui migranti, un invito: questa estate fate un giro su una nave di soccorso a vostra scelta. Pochi giorni. Potrete ascoltare le storie dei naufraghi. Sentire l’odore di merda e paura Toccare le cicatrici delle torture. Chiedere quante volte sono stati riportati indietro dalla cara guardia costiera libica che li ha ridati ai trafficanti. Conoscere gli schiavi. Farvi dire degli stupri. E poi dire loro che lo sapete, che vi sta bene così. Che pagate per questo.
Venite, però. Troppo facile votare in Parlamento. Venite a dirlo in faccia alle donne, agli uomini e ai bambini i in mezzo al mare. Vi aspettiamo”.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
“A LUI E ALLA MELONI ANDREBBE DATO L’ERGASTOLO”
Danilo Toninelli probabilmente considera una sua rivincita personale la sentenza della Consulta che riconosce come legittima l’estromissione di Autostrade dalla ricostruzione del ponte di Genova. Anche Luigi Di Maio ieri lo ha pubblicamente ringraziato. D’altronde aveva festeggiato con il pugno chiuso, tra tante polemiche, l’approvazione del decreto Genova, che sanciva il commissariamento del Ponte. E così, il giorno dopo, l’ex ministro delle Infrastrutture si abbandona a qualche “effervescenza”.
“Avevamo ragione”, è il suo esordio sul blog delle Stelle. “In poco più di un anno – rivendica – abbiamo costruito il ponte, non l’abbiamo fatto costruire a chi l’ha fatto crollare ma lo abbiamo fatto pagare a chi lo aveva fatto crollare, i Benetton”. Fin qui la celebrazione della sentenza. Ma poi passa all’attacco della destra.
“Se in Italia ci fosse una pena per le cazzate, le fake news, Meloni e Salvini prenderebbero l’ergastolo multiplo. Oggi Salvini ha detto che non è sua la responsabilità della mancata revoca ai Benetton: ma dove stava Salvini quando era al Governo? Abbiamo fatto riunioni su riunioni per decidere, a Conte doveva essere dato l’indirizzo politico e Salvini non partecipava perchè se la faceva sotto. Perchè alla fine Aspi e Benetton in qualche maniera la Lega l’hanno finanziata e Salvini faceva il duro davanti alla telecamera ma nei fatti non ha mai voluto”. Per essere ancora più chiaro, nell’articolo embedda anche un video con la scritta “ergastolo per Salvini e Meloni”.
A Radio Cusano Campus Toninelli allarga il giudizio sull’ex leader della Lega: “Oggi mi chiedo come abbiamo potuto allearci con un personaggio squallido e volgare come Salvini. Più Salvini mi attaccava sulle infrastrutture più era chiaro che stava difendendo potentati come i Benetton”.
Ma non va benissimo neanche a Paola De Micheli, che ha preso il posto di Toninelli alle Infrastrutture. “Se fossi ancora al Ministero, quelli di Aspi non l’avrebbero visto neanche col binocolo il nuovo ponte di Genova, perchè sarebbe stato già concluso l’iter di revoca. Prima del dettaglio giuridico c’è l’indirizzo politico, perchè se tu hai un indirizzo politico chiaro poi lo traduci in decreto. In questo la ministra De Micheli delude profondamente”.
Insomma, archiviato a suon di insulti il passato gialloverde, Toninelli si prepara a far scintille anche nel presente giallorosso.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
UNA LETTERA RISERVATA DEL 5 FEBBRAIO 2019 PARTITA DAL MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE
C’è una lettera, rimasta fino ad ora riservata, che è partita dal ministero delle Infrastrutture il 5 febbraio 2019. Ai tempi il titolare del dicastero era Danilo Toninelli, casacca M5s. In quella lettera, inviata al commissario per la ricostruzione del ponte Morandi di Genova, c’è scritto che “al termine dei lavori l’infrastruttura in questione deve ritenersi riassorbita nel rapporto concessorio vigente al momento del trasferimento”.
Tradotto: una volta ultimato, il ponte va consegnato a chi è titolare della concessione autostradale.
E i titolari della concessione, allora come ancora oggi, sono i Benetton. Nella lettera c’è anche scritto che la consegna è legata a “ogni eventuale variazione del rapporto concessorio”: in caso di revoca ad Autostrade, il ponte passa al nuovo concessionario. Ma la revoca non è arrivata.
In sintesi: quella di Autostrade come gestore del ponte è una scelta obbligata oggi perchè è Autostrade che ha in mano la concessione. Se poi il concessionario diventa un altro, allora la storia cambia. Insomma un ragionamento lineare.
Quello che invece non è lineare è l’atteggiamento dei 5 stelle che ieri sono esplosi di rabbia nell’apprendere della lettera con cui l’attuale ministra Paola De Micheli, in quota Pd, dice al commissario che l’opera va ridata “pro tempore” ad Autostrade.
Sulla base dello stesso ragionamento messo nero su bianco dal Mit guidato da Toninelli. La lettera della De Micheli dice la stessa cosa della lettera di un anno e mezzo fa e cioè, come spiegato, che il ponte va a chi ha la concessione in mano al momento del trasferimento. I Benetton, quindi, erano la scelta obbligata anche nel febbraio del 2019.
La lettera
La lettera di un anno e mezzo fa, visionata da Huffpost, dice che l’affidamento del nuovo viadotto sul Polcevera era stato già contemplato durante la gestione Toninelli. Ha, quindi, una matrice 5 stelle. Tra l’altro la lettera non fa riferimento a un affidamento temporaneo, come è quello previsto nella missiva della De Micheli, ma è una restituzione tout court dell’opera, a tempo indeterminato. I tempi sono ovviamente differenti perchè oggi la scelta si è resa non più rinviabile dato che il nuovo ponte è quasi pronto e quindi va inaugurato, mentre ai tempi della lettera del 5 febbraio si parlava ancora della disponibilità di Autostrade a versare più di 290 milioni. Ma la destinazione finale dell’opera è la stessa. E c’è un altro passaggio della lettera che lo indica chiaramente. Questo: ”È stata rappresentata da parte” di Autostrade “la disponibilità ” a versare i soldi per demolire e ricostruire il ponte “condizionatamente alla conferma che l’infrastruttura oggetto di ripristino al termine dei lavori sia consegnata dal Commissario straordinario a questo ministero, per essere dallo stesso contestualmente rimessa nella disponibilità del soggetto che, a quella data, sarà titolare della concessione”. La catena di trasmissione era così definita: lavori ultimati, il commissario ridà il ponte al Mit, che a sua volta lo dà al concessionario. Oggi Autostrade, come c’è scritto nella lettera della De Micheli, e Autostrade anche a febbraio del 2019, quando al Mit c’era Toninelli.
La lettera, che ha come oggetto il finanziamento delle spese per la ricostruzione del ponte, è firmata dal funzionario Felice Morisco per il Direttore generale della Vigilanza sulle concessioni autostradali. Morisco che nei mesi successivi è passato a guidare la stessa Direzione.
Ma i 5 stelle oggi dicono: “Con noi non sarebbe successo”
Quello che c’è scritto nella lettera cozza con le dichiarazioni odierne di molti dei rappresentanti del Movimento 5 stelle. A iniziare da Toninelli, che in un’intervista radiofonica ha dichiarato: “Se fossi ancora al Ministero quelli di Aspi non l’avrebbero visto neanche col binocolo il nuovo ponte di Genova, perchè sarebbe stato già concluso l’iter di revoca. Così come siamo stati in grado di vietare per legge di farglielo ricostruire, saremmo stati anche in grado per legge di evitare di riconsegnarglielo”. Ma non solo la revoca non è arrivata. Quando Toninelli era ministro era stato scritto nero su bianco che l’affidamento del ponte doveva riguardare l’allora concessionario. Se poi fosse subentrata la revoca, ovviamente il ponte non sarebbe andato ai Benetton. Ma è la stessa cosa che dice la lettera della De Micheli, che in tal senso è anche più rafforzativa perchè riporta in due passaggi la considerazione che l’affidamento è temporaneo e comunque subordinato al procedimento di revoca. Quello che cambia, invece, è la reazione dei 5 stelle. Di Maio, Toninelli, Crimi e il lungo elenco di chi ieri ha sbottato nell’apprendere che il ponte sarà gestito dai Benetton. Perchè oggi, come un anno e mezzo fa, sulla revoca non si è deciso. E questo è un elemento che mette in luce una difficoltà trasversale, del Conte I come del Conte II. Quella di decidere. Gli effetti collaterali della non scelta sono tutti qui.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA PLAUDE, SALVINI SI PREOCCUPA
Era il 1996 e di fronte a una platea di mille persone più il pubblico a casa davanti agli schermi tv, andava in scena lo storico duello tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Due ore di confronto e di frecciate: i duellanti si inseguirono fino a sera, con le dichiarazioni alle agenzie di stampa: “Io ho risanato un’ azienda dello Stato; lui invece ha usato lo Stato per la sua”, accusava Prodi.
Era lo scontro finale in vista delle elezioni politiche, furono le seconde elezioni anticipate a svolgersi negli anni Novanta, quando per la prima volta in assoluto nella storia repubblicana, vi furono tre tornate elettorali in quattro anni.
“L’ Europa non si fida di Berlusconi: il suo governo ci è costato tre punti d’aumento dei tassi di interesse: 50mila miliardi”, tuonava Prodi. Al quale rispondeva il Cavaliere: “Menzogna, fu colpa del ribaltone, ci avete lasciati lavorare tre mesi soltanto”.
Come conseguenza di queste elezioni si venne a formare un governo di centrosinistra guidato dal leader della coalizione vincente, Romano Prodi, con 17 esponenti tutti provenienti dall’Ulivo.
Sono trascorsi ben 24 anni, eppure i due leader sono ancora in campo, ma le cose sono decisamente cambiate. A dirlo è Prodi stesso, che parla di sè ammettendo: “la vecchiaia porta saggezza” e aprendo a sorpresa a un ingresso di Berlusconi in maggioranza.
Non è finzione. Il fondatore dell’Ulivo lo ha detto davvero: “La posizione favorevole di Forza Italia al Mes e un eventuale suo ingresso in maggioranza? Il problema è che il governo abbia una maggioranza solida e che quindi possa prendere delle decisioni. O noi diamo una spinta o il Paese si arrotola su se stesso”.
Così l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi risponde all’inviato di “In onda” (La7), Luca Sappino, che gli domanda se il sì al Mes di Forza Italia potrebbe essere la premessa dell’ingresso del partito in maggioranza. E su Berlusconi Prodi annuncia: “Per me non c’è nessun tabù, anche perchè, come più volte ho già detto, la vecchiaia porta la saggezza”
Parole che provocano fibrillazione soprattutto nel campo del centrodestra. Soddisfazione in casa di Forza Italia, malumore dalle parti della Lega dove si guarda sempre con maggior sospetto alle mosse del Cavaliere.
Il Pd precisa il contesto in cui vanno inserite le parole di Prodi. “Il tema non è l’ingresso di Berlusconi in maggioranza”, dice Franco Mirabelli, vicepresidente dei senatori dem, “ma il rapporto con un’opposizione responsabile. Forza Italia può incarnare un centrodestra europeista e moderato prendendo le distanze da Salvini e Meloni? Questo è il tema”.
Matteo Salvini: “È una non notizia, Berlusconi non ha nessuna intenzione di entrare nel governo”, commenta.
Ma certamente Berlusconi, a destra, fa sempre più paura.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
PRIMA SI’, IERI NO, ORA DI NUOVO SI’: UNA OPPOSIZIONE RIDICOLA
Ieri Matteo Salvini aveva detto ai giornalisti che Giuseppe Conte ancora non l’aveva invitato a parlare delle misure per l’emergenza economica dopo la crisi del Coronavirus e che comunque lui non sarebbe andato perchè c’erano altre urgenze: “Io non vado da nessuno fino a che questo chiacchierone non paga le casseintegrazioni promesse e non permette alla gente di lavorare e viaggiare in tranquillità ”.
E infatti ieri il centrodestra ha annunciato in primo luogo che sarà presente al completo all’incontro con Conte (e quindi ci sarà anche il Capitano) e poi che l’incontro non può avvenire oggi ma tra una settimana.
“L’ipotesi di organizzare il confronto già domani non è percorribile per il poco preavviso, per impegni già assunti precedentemente e per la scarsa chiarezza con cui Palazzo Chigi ha deciso di informare i leader, ovvero in tempi diversi”, hanno fatto sapere ieri non meglio precisate “fonti del centrodestra” all’agenzia di stampa ANSA. I
nsomma, la crisi è talmente urgente che i leader del centrodestra hanno altri impegni. “I prossimi giorni — proseguono le stesse fonti — saranno utili al premier anche per inviare il documento di sintesi dopo gli Stati Generali, documento che sarà la base per il confronto con l’opposizione”.
Ma non solo: “Il centrodestra conferma la ferma volontà di illustrare al Governo una serie di misure urgenti: la situazione è sempre più preoccupante anche per l’evidente disfacimento della maggioranza su temi decisivi e urgenti come quelli delle concessioni autostradali”, fa sapere ancora la nota.
Ma se è tutto così urgente perchè si rinvia alla prossima settimana? Ci sono temi urgenti da affrontare ma il centrodestra non ha fretta
“Se fossi un elettore di Lega e Fratelli d’Italia, non dico Forza Italia perchè mi pare che abbia maggiore disponibilità , io pretenderei che il mio capo politico andasse a un incontro con il presidente del Consiglio, perchè è il presidente del Consiglio di tutti gli italiani”, ha scandito Conte, commentando le ‘mosse’ del centrodestra, in una conversazione coi cronisti, durante la visita a Madrid.
“Il presidente del Consiglio non e’ un presidente che ha un partito politico o il presidente della maggioranza. Credo che loro abbiano la responsabilità e il dovere di incontrare il presidente del Consiglio senza se e senza ma”, ha insisto il premier.
Durante la conferenza stampa congiunta con il collega spagnolo Pedro Sanchez, all’ora di pranzo, Conte già aveva manifestato un po’ di insofferenza nei confronti delle richieste e delle critiche continue dell’opposizione. “C’è un po’ di difficoltà a fissare un incontro con le opposizioni. Mi ricorda un po’ Nanni Moretti in ‘Ecce Bombo’: mi si nota di più se lo facciamo a Chigi o a Villa Pamphilj, se lo facciamo istituzionale o meno istituzionale? Io ci sono, gli inviti sono partiti e spero ci sia confronto”, ha detto.
Intanto Salvini dimostra di avere poche idee ma ben confuse. Prima dichiara urbi et orbi che non andrà all’incontro perchè non è stato invitato. Poi si rimangia tutto e decide che ci andrà . Il tentativo di fare il barricadero è durato meno di mezza giornata.
La soluzione del rinvio di una settimana permette al leader del centrodestra di non rimangiarsi del tutto quello che aveva detto ieri affidandosi ai giochini di parole che fanno tanto Prima Repubblica. Ma la confusione del Capitano è certificata.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
UNA VENDITA TRAMUTATA IN DONAZIONE SOLO QUANDO INIZIA L’INCHIESTA DI REPORT… LA MAIL INDICA CHIARAMENTE I PREZZI
L’indagine del PM Romanelli, aveva preso origine da un servizio di Report che evidenziava presunte anomalie in una una donazione alla Regione, tramite Aria, di camici e dispositivi di protezione individuale per un valore di 513mila euro da parte della società Dama, riconducibile alla moglie e al cognato di Fontana.
I pm hanno sentito come testimoni l’assessore Raffaele Cattaneo e Francesco Ferri presidente di Aria. Dini è accusato di turbativa d’asta così come un secondo indagato, Filippo Bongiovanni, dg della centrale acquisti della Regione (Aria)
Attilio Fontana aveva detto che nella storia dei camici di Regione Lombardia e di DAMA S.P.A., la società controllata da sua moglie e dal cognato, era tutto chiaro e limpido e aveva annunciato una querela a Report che l’aveva rivelata.
Ieri Andrea Dini, titolare della società Dama srl e cognato del governatore Attilio Fontana, e Filippo Bongiovanni, dg della società Aria, la centrale di acquisti regionale, sono stati indagati dalla Procura di Milano per il reato di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente nell’inchiesta con al centro la fornitura di camici e altro materiale per 513 mila euro durante l’emergenza COVID-19.
L’agenzia di stampa ANSA fa sapere che i pm hanno sentito come testimoni l’assessore Raffaele Cattaneo e Francesco Ferri presidente di Aria. Dini è accusato di turbativa d’asta così come un secondo indagato, Filippo Bongiovanni, dg della centrale acquisti della Regione (Aria). Ieri la Guardia di Finanza si è recata proprio nella sede di Aria a recuperare documentazione utile all’inchiesta.
L’indagine, avviata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, aveva preso origine da un approfondimento di Report che evidenziava presunte anomalie in una una donazione alla Regione, tramite Aria, di camici e dispositivi di protezione individuale per un valore di 513mila euro da parte della società Dama, riconducibile alla moglie e al cognato di Fontana, nel pieno dell’emergenza sanitaria.
Fontana aveva difeso l’operazione definendola “una fornitura erogata dall’azienda a titolo gratuito”. In più, ricorderete che Dini aveva sostenuto che a fare il pasticcio erano stati i suoi collaboratori, che quella fin dall’inizio doveva essere una donazione e che lui, assente in azienda all’epoca, appena tornato aveva messo tutto a posto.
Oggi il Fatto Quotidiano pubblica una mail firmata proprio da Andrea Dini in cui l’amministratore delegato di DAMA invia un’offerta economica con tanto di “prezzi”: nell ‘offerta inviata prima di Pasqua ad Aria, vengono proposti 7 mila set di camici, calzari e cuffie a 9 euro l’uno e 18 mila camici a 6 euro. Dini si dice inoltre disponibile alla “fornitura” di altro materiale: 50 mila set oppure 57 mila camici. “Sempre agli stessi prezzi. Tutto made in Italy”.
Aria sceglie la seconda opzione e il 16 aprile emette un ordine per 7 mila set e 75 mila camici, per un valore totale di 513 mila euro
E mentre nel frattempo è emerso che DAMA non ha mai completato la fornitura-regalo, non avendo mai consegnato 25mila camici dei 75mila promessi, come abbiamo raccontato, la storia comincia quando Regione Lombardia chiede ad ARIA, azienda regionale che si occupa di acquisti, di comprare dispositivi di protezione individuale.
Nel registro online degli acquisti ne manca uno, ovvero proprio quello di DAMA che attraverso una procedura negoziata (niente gara, aggiudicazione diretta), ha portato a casa una fornitura di camici per 513mila euro.
L’affidamento diretto di denaro pubblico viene firmato da Aria, la centrale acquisiti della Regione, creata circa un anno fa su input dell’assessore al Bilancio, il leghista Davide Caparini. Negli elenchi dei fornitori presenti sul sito di Aria con molta difficoltà si trova la ditta Dama Spa.
Dama SPA è la ditta della famiglia Dini, che produce il marchio Paul & Shark: Roberta e Andrea Dini sono proprietari. La fornitura non compare nel registro ma in una pagina interna c’è un elenco di affidamenti diretti, anche se non si specifica cosa è stato venduto e a che prezzo.
Compare il nome, ma non si comprende bene cosa si venda e a che prezzo. La Dama, però, è una società nota che detiene il famoso marchio Paul&Shark. Il suo ceo è Andrea Dini, fratello di Roberta, moglie di Attilio Fontana. La first lady regionale è poi parte attiva dell’impresa in quanto vi partecipa come socia al 10% attraverso la Divadue Srl.
La Diva Spa, invece, detiene il 90% di Dama Spa. La Diva Spa inoltre ha come socio al 90% una fiduciaria del Credit Suisse che amministra un trust denominato “Trust Diva”.
Per questo Mottola va a chiedere a Dini dell’appalto, ma lui parla subito di una donazione: “Sono un’azienda lombarda, devo fare il mio dovere”. E Dini per una prima volta si eclissa dal citofono di casa sua, dove stava rispondendo.
La fornitura è di 75mila camici e 7mila tra cappellini e calzari per 513mila euro. Si specifica che il pagamento avverrà tramite bonifico a sessanta giorni dalla data di fatturazione.
Il quadro così ricostruito viene presentato dall’inviato ad Andrea Dini, che al citofono risponde: “Non è un appalto, è una donazione. Chieda pure ad Aria, ci sono tutti i documenti”. Davanti all’ordine di forniture, Dini mette giù. Poi è costretto ad ammettere: “Effettivamente, i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato, ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perchè avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”.
Ma quando Mottola parla della documentazione, la sua versione cambia rispetto a quella iniziale che parlava di una semplice donazione: “Chi se ne è occupato ha male interpretato la cosa, io ho detto ai miei che doveva essere una donazione, abbiamo fatto note di credito e non avremo mai un euro da Area. Io non ero in azienda. I miei l’hanno fatto a mia insaputa, appena l’ho saputo…”.
Le note di credito arrivano però tra 22 e 28 maggio, quando Report comincia a occuparsi della storia, e ammontano a 359mila euro, ne mancano quindi 153mila euro.
La volontà di donare però si è manifestata solo in un secondo momento: solo il 20 maggio arriva la decisione di donare tutto, prima aveva anche emesso fattura per ricevere i soldi. La restituzione coincide con le prime domande mandate da Report sulla vicenda.
Nei giorni scorsi Repubblica Milano ha spiegato che la versione dell’errore non convince la procura di Milano:
Per Andrea Dini, si è trattato solo di un errore. «È una donazione, effettivamente i miei, quando io non ero in azienda durante il Covid, hanno male interpretato la cosa, ma poi dopo io sono tornato, me ne sono accorto e ho immediatamente rettificato tutto, perchè avevo detto ai miei che doveva essere una donazione – aveva spiegato Dini in tv – . Le carte ad Aria ci sono tutte. Abbiamo fatto note di credito, abbiamo fatto tutto. Mai preso un euro e non ne avremo mai neanche uno». Ma la versione di un errore, di una donazione computata in vendita per la disattenzione di un dipendente, non convince la procura.
Tra i tanti fascicoli su gare e commesse nelle settimane dell’emergenza coronavirus – come anche quello sull’affidamento diretto da parte del sistema sanitario lombardo a Diasorin per i test sierologici – anche per Dama era stato aperto un fascicolo senza ipotesi di reato. Poi per i camici è arrivato in procura anche un esposto dell’associazione dei consumatori.
Ora la svolta con un’indagine per turbativa d’asta. Nelle ore successive alla trasmissione, il governatore Attilio Fontana aveva continuato a difendere la scelta del Pirellone. E respinto ogni accusa di conflitto di interessi. «Nessun equivoco – aveva detto – . Sono stati comprati tutti i camici da tutti quelli che li producevano perchè noi ne avevamo bisogno».
(da “NexyQuotidiano”)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
SCARSITA’ DI MASCHERINE E CARENZA DELLE MISURE DI SICUREZZA PER I LAVORATORI
Due dipendenti assenti su tre. Durante la pandemia di coronavirus al Pio Albergo Trivulzio di Milano, casa di cura per anziani, il 65% dei circa 900 operatori non era al posto di lavoro perchè in malattia o in permesso.
Lo scrive la Commissione regionale sulla gestione dell’emergenza nel Pat nella sua relazione conclusiva, riportata da Corriere della sera e la Repubblica.
I risultati sono stati trasmessi anche alla Procura di Milano che ha in corso un’inchiesta sul Pat e su altre Rsa.
“Un livello così elevato di assenze difficilmente trova spiegazione nella diffusione del contagio tra gli operatori” da Covid-19 scrive la Commissione, che segnala altre criticità , come la scarsità di dispositivi di protezione individuale e la carenza nell’applicazione delle misure di sicurezza per i lavoratori. Tra i dati positivi, se così si può dire, la mortalità inferiore alla media tra gli ospiti.
Le prime misure per il distanziamento sociale sono del 23 febbraio, quando vengono limitati gli accessi dei visitatori, che saranno vietati solo il 10 marzo. Cinque giorni prima il documento di valutazione del rischio biologico prevedeva già igienizzante per mani in ogni reparto, ma mascherine ffp2 solo per il personale considerato a rischio per le proprie condizioni di salute e non per il lavoro che svolge.
Solo il 22 marzo, in pieno lockdown, viene fatto riferimento ai rischi di contagio a causa del droplet e bisogna attendere il 22 aprile per le prime prescrizioni di sistemi antivirus per altre parti del corpo. Ma quello dell’approvvigionamento dei dispositivi di protezione, ricorda la commissione, è stato un problema comune.
Oltre all’alto grado di assenteismo, si segnalano anche gli scarsi tamponi sui lavoratori.Se nelle strutture sanitarie pubbliche in media il 40% degli operatori viene sottoposto a tampone, con il 21% di casi positivi, nel Pat la percentuale scende al 21% (16% di positivi). Il test sierologico fatto al 64% degli operatori nelle altre Rsa, con il 17% di positivi, ha riguardato il 68% del personale della Baggina col 18% di positivi.
(da agenzie)
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Luglio 9th, 2020 Riccardo Fucile
UN POLITICO CRIMINALE CHE HA SULLA COSCIENZA MIGLIAIA DI VITTIME INNOCENTI CHE HANNO CONTRATTO IL COVID GRAZIE ALLA SUA FOLLIA
L’accusa a Bolsonaro arriva da un importante quotidiano in lingua portoghese pubblicato a San Paolo del Brasile — Folha de Sà£o Paulo — ed è stato riportato anche dal The Guardian.
All’indomani della conferma della positività di Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, al coronavirus arriva anche l’accusa per il leader di estrema destra. Il presidente brasiliano avrebbe utilizzato epiteti omofobi per fare riferimento a quelli che — tra i membri del suo staff — sceglievano di utilizzare le mascherine. Il quotidiano si San Paolo riporta anche le parole esatte utilizzate dal leader brasiliano: «coisa de viado» in portoghese, letteralmente tradotto in «cosa da frocio».
Il giornale che ha denunciato la questione è tra i quotidiani maggiori della città brasiliana. La questione risulta verosimile se si pensa al percorso del politico, da sempre schierato contro la comunità LGBTQ+. Si pensi solo al recente insulto — secondo lui — a un giornalista, che Bolsonaro ha accusato di «avere la faccia da gay» o alla volta in cui ha affermato che il Brasile «non deve diventare un paradiso per il turismo gay. Il The Guardian ha tradotto l’espressione portoghese in «for fairies», che vorrebbe dire per fate.
Non si limita certo a questi episodio la famosa omofobia di Bolsonaro, che ha dichiarato nel corso di un’intervista: «Ho l’immunità (parlamentare) per dire: si, sono omofobo — e molto fiero di esserlo». Nel 2013 durante un’intervista con Stephen Fry Bolsonaro ha affermato che «gli omosessuali fondamentalisti» avrebbero fatto il lavaggio del cervello ai bambini eterosessuali con lo scopo di «farsi soddisfare sessualmente in futuro».
Non sono mancati i tweet di protesta per le parole del presidente, primo fra tutti quello di Thiago Amparo — giornalista e professore di legge — che ha affermato di viado con estremo orgoglio.
(da agenzie)
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