Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile LA PROCURA SCOPRE 30 OPERAZIONI RICONDUCIBILI AI FONDI SCOMPARSI… C’E’ ANCHE UNA SOVVENZIONE A RADIO PADANIA
Nel computer sequestrato l’altro ieri al deputato leghista Fabio Massimo Boniardi ci sarebbero tracce di cancellazioni.
È presto per dire se si tratti di indizi di un uso ordinario dell’apparecchio oppure se dal server siano spariti elementi rilevanti anche per le indagini. Di certo c’è che i magistrati hanno dato alla Finanza un compito specifico: capire se negli ultimi mesi qualcuno ha provato ad alterare potenziali prove che riguardino la caccia ai 49 milioni di euro della Lega.
Una ricerca ormai entrata nel vivo: sono una trentina le operazioni nel mirino della Finanza, selezionate fra trasferimenti superiori ai 50mila euro usciti dai conti del partito. Fra questi movimenti figura anche una sovvenzione a Radio Padania.
L’ultimo capitolo dell’inchiesta è di due giorni fa.
I finanzieri si presentano alla Boniardi Grafiche srl, stamperia di via Gian Battista Vico, a Milano. È posseduta al 25% dal parlamentare e storicamente ruota intorno al mondo del Carroccio. Una prima perquisizione, a dicembre, era stata interrotta perchè Boniardi aveva opposto l’immunità parlamentare: nella stamperia ha il domicilio, dice ai militari, costretti a quel punto a ripresentarsi con un’autorizzazione del Parlamento, concessa un mese fa.
La tipografia entra nell’inchiesta della Procura di Genova per via di una fattura da 450mila euro emessa nei confronti della “Associazione Maroni presidente”. Il pagamento riguarderebbe manifesti e santini elettorali in favore della lista civica che nel 2013 sostiene il futuro governatore della Lombardia.
Ma uno dei candidati, Marco Tizzoni, non ci vede chiaro: si presenta dai pm e racconta di non aver visto traccia del materiale di propaganda. Dove sono finiti, allora, quei 450mila euro?
Per la Guardia di Finanza, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal pm Paola Calleri, si tratta di un’operazione inesistente.
Una delle varie manovre attraverso cui la Lega ha giustificato lo svuotamento dei conti dopo lo scandalo Belsito. Al suo avvicendamento, nel 2012, l’ex tesoriere sostiene di aver lasciato 40 milioni sui conti del partito. Quando la Procura prova a confiscarli, nel 2018, ne trova poco più di 3. E nel frattempo la nuova Lega a trazione salviniana si mette d’accordo per pagare la parte restante in rate che si estingueranno in 80 anni.
Alla Boniardi Grafiche gli inquirenti arrivano con il proverbiale follow the money. Analizzano le uscite del conto gestito da Belsito, presso la Banca Aletti, e tracciano i soldi verso vari istituti di credito, tra Milano e il Veneto.
Un primo filone porta a 10 milioni di euro depositati alla Banca Sparkasse di Bolzano. Anche questo un recipiente che si svuota in fretta. Mentre da alcuni conti anonimi dell’istituto trentino partono investimenti per lo stesso valore in Lussemburgo.
Il terzo passaggio è il rientro di 3 milioni in Italia da una fiduciaria del Granducato: un’operazione sospetta, secondo la stessa fiduciaria, che la segnala all’antiriciclaggio italiano.
Dove sono finiti quei soldi? Ma, soprattutto, sono ricollegabili alla Lega attuale, gestita da Matteo Salvini e dal tesoriere Guido Centemero?
Dallo stesso conto della Banca Aletti sono partiti anche finanziamenti all’Associazione Maroni presidente, per un valore simile a quello pagato alla tipografia di Boniardi.
Il sospetto, insomma, è che i soldi siano andati altrove. Per questo è indagato per riciclaggio il presidente dell’associazione, Stefano Bruno Galli, presidente dell’associazione e assessore della giunta di Attilio Fontana.
Ma gli accertamenti potrebbero non fermarsi qui. Secondo il tesoriere dell’associazione, Luca Lepore, a decidere entrate e uscite dell’Associazione Maroni presidente erano alcuni big del Carroccio.
(da “La Stampa”)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile OGNI GIORNO UNA POLEMICA: CIFRE A CASACCIO SUI PROFESSORI CON PATOLOGIE CHE POTREBBERO CHIEDERE L’ESONERO, I TRASPORTI DEGLI STUDENTI, I DOCENTI CHE NON VOGLIONO FARE IL TEST, LA PRETESA CHE IL 14 SETTEMBRE TUTTO SIA A POSTO QUANDO NON LO E’ MAI STATO… NEANCHE SI RENDONO CONTO DELL’EMERGENZA MONDIALE, OGNUNO PENSA SOLO AI PROPRI INTERESSI
Doveva – almeno questo si aspettava il Governo – essere il giorno se non della festa
quantomeno della tregua, con la consegna dei primi banchi monoposto nella scuola primaria di Codogno. Ma la commozione fino “ai brividi” della maestra Silvia Cabrini, lì a provare a dare forma all’immagine di un passo compiuto nella ripartenza, alla fine si è sgualcita, tramortita da una nuova valanga di allarmi, polemiche e questioni irrisolte. Questa volta in mezzo ci sono finiti i prof, rei di scappare dai test sierologici e pronti, quelli “fragili”, a inondare le scuole di certificati medici per dire che è impossibile mettersi dietro la cattedra con le aule ancora da allestire contro il ritorno del virus, i protocolli di sicurezza che non convincono e gli scuolabus che non fanno stare tranquilli. E per l’ennesima volta la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, al centro anche di un attacco del dem Marcucci (“Insufficienza, spero migliori a settembre”), ha dovuto provare a ridimensionare il caso del giorno (“Non arriveranno i certificati di massa”) e a fare quadrato intorno a chi la scuola la fa (“Temo che ci sia ancora una volta il tentativo di screditare il nostro personale scolastico”).
Il test della scuola, quello chiamato a misurare per primo (fosse altro per una questione cronologica) la capacità del Paese di provare a ripartire e a convivere con 1.462 nuovi contagi, è ancora in preda alla schizofrenia. Una nuova – l’ennesima – giornata convulsa e velenosa. Iniziata subito, con più di un ministro che è sobbalzato di primo mattino nel leggere i titoli e i dettagli di una diserzione in atto, quella degli insegnanti affetti da gravi patologie. Pronti a mollare gli alunni. Numeri da esodo: 250mila solo tra i prof, 400mila aggiungendo gli amministrativi, i tecnici e i collaboratori. Altro che banchi con le rotelle, gel e mascherine. Il bubbone esploso ha scardinato le priorità proprio nelle ore in cui il Governo, le Regioni e i Comuni davano il via libera al documento dell’Istituto superiore di sanità con le linee guida per il rientro a scuola. Quelle trenta pagine dove c’è scritto cosa fare in caso un alunno si alzi e dica al prof di sentirsi febbricitante piuttosto come comportarsi in caso il prof abbia una grave patologia e decida, con il via libera della scuola, di fare lezione.
Il caso dei prof “fragili” pronti a disertare la scuola
L’allarme parte dal Veneto. Dalle “centinaia” di richieste di esonero che il direttore dell’Ufficio scolastico regionale Carmela Palumbo annuncia essere arrivate già in tante scuole. Nei gruppi sulla scuola che proliferano sui social vengono pubblicati in serie articoli che parlano di 250mila possibile uscite e quindi di 250mila supplenti da trovare in quindici giorni. Al tavolo online della Conferenza unificata, dove sono seduti i rappresentanti del Governo e degli enti locali, in molti strabuzzano gli occhi e partono le prime preoccupazioni. Uno dei partecipanti si spazientisce: “Ma come è possibile? Nelle linee guida è prevista la sorveglianza sanitaria eccezionale per i soggetti fragili e questi non si presentano a scuola?”. Il ministro della Salute Roberto Speranza è costretto a ricorrere a un post su Facebook per sottolineare che “riaprire le scuole in sicurezza è la priorità di tutto il Paese”. Quasi a lanciare un segnale, anche qui l’ennesimo, di invito ad abbassare i toni, a collaborate tutti – Governo, sindaci, presidi e insegnanti – alla buona riuscita della missione della riapertura della scuola.
Il ministero dell’Istruzione: “Stime impossibili, le domande di esonero si presentano dal primo settembre”
Nell’incrocio convulso, il direttore dell’Ufficio scolastico del Veneto, quando è l’ora di pranzo, ammorbidisce i toni e la misura dell’esodo e parla di “richieste di esonero fisiologiche”, ma il tentativo non riesce. Passa qualche ora ed è il ministero dell’Istruzione a dover smentire attraverso Huffpost l’esistenza di dati relativi alle domande di esonero. Dice il ministero: “Non esiste alcuna stima dei professori “fragili” che avrebbero chiesto l’esonero perchè solo a partire dal primo settembre, primo giorno di scuola, un professore può segnalare la propria condizione al dirigente scolastico e chiedere l’esonero”. In pratica solo dal primo settembre si potrà capire se e quanti professori “fragili” si presenteranno con un certificato medico per chiedere l’esonero. Spetterà poi all’istituto, attraverso un procedimento che è indicato nelle faq pubblicate sul sito del ministero, attivare la verifica della fragilità e a decidere se il prof starà a casa o, in alternativa, sarà destinato ad altre attività meno a rischio all’interno dell’istituto. La disposizione è chiara: “Il lavoratore interessato chiede al dirigente scolastico di avviare la procedura per la sorveglianza sanitaria eccezionale attraverso il medico competente o i servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con propri medici del lavoro”. La ministra, intervenendo al Tg3 della sera, rafforza il concetto, escludendo l’ipotesi di un esodo di massa.
È scavando nei tempi e nelle modalità della procedura di esonero che si capisce chiaramente come è impossibile determinare oggi, a priori, che 250mila prof non si presenteranno a scuola a settembre. È come dire che tutti quelli che nuotano a mare automaticamente affogheranno. Ma come si è arrivati al numero di 250mila? La risposta è nella distinzione che bisogna fare tra rischio e certezza. Rischio, tra l’altro, che è suffragato da una base molto debole e cioè da un automatismo. Questo: dato che ci sono oltre 300mila insegnanti sopra i 54 anni, allora tutti loro sono fragili e tutti loro hanno deciso di anteporre le loro ragioni di salute al lavoro, scegliendo le prime. Eppure il 28 maggio l’Istituto superiore di sanità ha consegnato al Governo una tabella, che Huffpost è stato in grado di consultare, dove ha dato forma alla popolazione anziana degli insegnanti, catalogandola come più a rischio contagio. Senza, tuttavia, adottare un automatismo tra l’età e il rischio. La tabella riporta semplicemente i seguenti dati: i docenti con più di 54 anni sono 33.349 nella scuola dell’infanzia, 86.820 in quella primaria, 64mila in quella di primo grado e 116mila in quella di secondo. Sono dati elaborati sulla base del portale unico della scuola del ministero dell’Istruzione del 2019. Il totale fa 300.169 docenti: tra questi 170mila hanno più di 62 anni.
Tra l’altro anche il documento dell’Istituto superiore di sanità che è stato approvato dal Governo e dagli enti locali non contiene alcun riferimento all’età dei lavoratori fragili, prevedendo per tutti loro la possibilità , su base volontaria, di attivare la sorveglianza sanitaria eccezionale. In pratica, come riporta il documento a pagina 7, il datore di lavoro è tenuto ad assicurare la sorveglianza, e lo deve fare attraverso un medico competente nominato per la sorveglianza sanitaria ordinaria oppure attraverso un medico competente nominato per il periodo emergenziale o ancora attraverso un medico dell’Inail. Il ministero sottolinea anche questo aspetto: “Il documento dell’Iss definisce le procedure per dare assistenza sanitaria specifica ai lavoratori fragili, ma non ne traccia il profilo”. I professori “fragili” possono ovviamente avere anche meno di 54 anni, ma vale per loro la stessa considerazione e cioè che è impossibile stabilire oggi che 250mila di loro presenteranno una domanda di esonero.
Test e trasporti, lavori e polemiche ancora in corso
Nell’ennesima discussione che sta travolgendo la scuola ci sono anche i test sierologici. Le scuole si muovono alla rinfusa. Alcuni prof scelgono di non sottoporsi al test, altri – a rappresentare la maggioranza – riscontrano problemi con le Asl o con i pochi giorni messi a disposizione dalla scuola per provvedere all’esame. I dati che arrivano dalle Regioni non riescono a trovare forma compiuta. Più che i dati quello che trova spazio è la querelle sull’opportunità o meno fare il test, se ha senso, se è eticamente inaccettabile o meno, considerando che non è obbligatorio per legge. E soprattutto, anche su questo fronte, i prof si ritrovano al centro di attacchi e accuse. E poi bisogna capire ancora come portare gli alunni a scuola a bordo dei mezzi pubblici. Una simulazione dell’ufficio studi di Asstra, l’associazione che riunisce le aziende di trasporto pubblico locale, spiega che serviranno circa 20mila autobus in più è che c’è il “concreto rischio di disservizi”.
La questione è calda ed è sempre sul tavolo del Governo. Di tutto l’esecutivo come ha sottolineato la ministra dell’Istruzione nel ricordare ai suoi colleghi che la scuola è questione “di tutto il Governo, “ciascuno con le proprie responsabilità ”. In fondo il punto è sempre lì, nella mossa che il Governo non si può permettere di sbagliare di fronte al Paese che chiede risposte certe, quantomeno una, nella stagione dell’incertezza totale.
(da“Huffingtonpost”)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile UN TAGLIANDO ALLA SQUADRA DI GOVERNO NON DISPIACE NEMMENO AL PD
Giuseppe Conte non ha preso bene le parole di Matteo Renzi. Non quelle sulla libertà di coscienza per il referendum, che vede il Sì ancora in testa, nè quelle sulla legge elettorale, che considera tattica pura nonostante il Pd sia da giorni in pressing su Palazzo Chigi, reo, a detta del Nazareno, di “non aver mosso un dito”.
L’ex rottamatore ha lanciato due messaggi in bottiglia al premier. Il primo ha un nome e un cognome: Mario Draghi. “E’ il nome più credibile – ha spiegaro a Repubblica il senatore di Rignano – una riserva della repubblica”. “Eviterei di tirarlo per la giacchetta” ha aggiunto, chiosando sibillino “non adesso almeno”.
Il secondo ancora più diretto: “Dal Mes capiremo che vuole fare Conte da grande. Se chiede il Mes significa che vuole guidare l’Italia. Se non chiede il Mes significa che vuole guidare solo i grillini. A lui la scelta”.
Dall’entourage del presidente filtra irritazione e la convinzione che le parole di Renzi non preludano ad alcunchè: “La posizione sul Mes non è cambiata. Non è la priorità , dobbiamo capire come spendere bene i soldi del Recovery fund”.
Numeri alla mano, la maggioranza è terrorizzata dallo scenario al momento più probabile. Quello di una sconfitta per 4 a 2 alle regionali. Un orizzonte che prevede anche il terno a lotto della riapertura della scuola e una programmazione delle misure tra fondi europei e legge di stailità da far tremare le vene ai polsi.
Un esponente di Italia viva spiega candidamente che “Conte si è sentito tranquillo, ma i problemi che abbiamo posto fino a luglio non è che sono scomparsi. Occorre un giro di vite”. Anche con il rimpasto? “Sì, se necessario”.
Una linea che con motivazioni e sfumature differenti trova cittadinanza anche nel Partito democratico.
Nicola Zingaretti sa che se l’esito del voto regionale sarà quello accennato poc’anzi, alla fine dello scrutinio avrà una bella gatta da pelare. Ecco perchè un tagliando alla squadra di governo non dispiacerebbe nemmeno al Nazareno. Per marcare discontinuità , trovare slancio e placare polemiche e appetiti interni.
Conte non ne vuole sapere. Toccare i fragili equilibri della cosa giallorossa potrebbe mettere a rischio l’intera impalcatura. “E’ preoccupato di non uscirne indenne”, sibila velenoso un esponente pentastellato. D’altra parte contina a ripetere che se questa è la volontà dei partiti della maggioranza non sarà lui a mettersi di traverso.
Di buon mattino Andrea Marcucci, capogruppo al Senato, ha aperto il fuoco contro la titolare dell’Istruzione Lucia Azzolina: “Il suo contributo è insufficiente, è da marzo che sappiamo che la scuola è una priorità , ma la ministra è sembrata interessata a trovare un capro espiatorio, da ultimo persino i sindacati”. E’ stato il collega M5s Gianluca Perilli a portare alla luce il non detto: “Prendiamo atto che si vuole inaugurare una nuova fase della maggioranza, che non si sa dove porterà e a chi gioverà ”.
Sono schermaglie di un gioco i cui desiderata sono solo in parte in campo.
I riflettori si concentrano su Azzolina – cruciale sarà il nodo della riapertura delle classi – ma in ballo ci sono anche Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro.
Su quest’ultimo si concentra anche un robusto fuoco amico, con un pezzo di pentastellati che lo ritiene inadeguato alla delicatezza dell’incarico che ricopre. In casa Pd è Paola De Micheli la prima indiziata nel caso di risiko dei ministri, e i rumors di Palazzo danno anche non solidissima Luciana Lamorgese, più perchè, da tecnico, è più facilmente sacrificabile che non per scontentezza del suo operato.
I 5 stelle sono convinti: “Renzi fa questo casino perchè vuole un ministro in più, e ovviamente sarà Maria Elena Boschi”.
Il Pd risponde accreditando a Luigi Di Maio ambizioni da Viminale, le stesse che coltiverebbe Nicola Zingaretti se decidesse di fare il grande passo e lasciare la Regione, per avere più peso sia nel governo sia nel partito, passo che l’interessato continua con forza a negare di voler fare.
Nel chiacchiericcio procede il lavoro sul Recovery fund. Conte ha convocato per il 9 settembre il Ciae, l’organismo interministeriale che coordina le proposte. Il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola assicura: “Arriveremo il 15 ottobre con tutti i progetti da sottoporre alla Commissione”. E per quella data chissà chi ci sarà a Roma a gestirli.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile PIU’ AIUTI ALLE IMPRESE E MENO AGLI ALTRI
Dopo tre interviste in tre giorni rilasciate dai vertici confindustriali su tre differenti grandi
quotidiani, il presidente Carlo Bonomi denuncia, in una lettera interna destinata ai presidenti di tutte le associazioni del sistema, “intimidazioni alle imprese per indurle a tacere”.
Torna insomma il tema del “sentimento anti imprese” che il leader degli industriali fiuta nell’aria ogni volta che mette piede oltre viale dell’Astronomia. La lettera tocca poi su molti dei punti toccati in questi giorni. Il primo, naturalmente, quello del rinnovo dei contratti collettivi. Dieci milioni di lavoratori italiani attendono infatti nuovi accordi visto che i precedenti sono scaduti, in alcuni casi da anni o decenni.
“All’accusa che i leader sindacali hanno rivolto a Confindustria di non volere i contratti abbiamo risposto con chiarezza che Confindustria i contratti li vuole sottoscrivere e rinnovare. Solo che li vogliamo ‘rivoluzionarì”, scrive Bonomi in occasione dei suoi primi 100 giorni di presidenza. Nella lettera Bonomi specifica “contratti rivoluzionari rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari. Non perchè siamo rivoluzionari noi, aggettivo che proprio non ci si addice, ma — spiega — perchè nel frattempo è il lavoro e sono le tecnologie, i mercati e i prodotti, le modalità per produrli e distribuirli, ad essersi rivoluzionati, tutti e infinite volte rispetto a decenni fa”.
Bonomi , in vista del tavolo con i sindacati del prossimo 7 settembre, indica quindi agli industriali che questa è una posizione da sostenere “con grande energia”, con “chiarezza e fermezza”, con “tutto l’equilibrio ma anche con tutta la risolutezza necessaria”. Una chiamata alle armi che mostra però già importanti defezioni.
No agli aumenti in busta paga
Sinora la linea Bonomi è stata quella di non accettare aumenti in busta paga poichè non c’è inflazione. Neppure per quelle categorie come dipendenti della sanità privata o dell’industria alimentare che hanno continuato a recarsi al lavoro durante tutta la pandemia. Al massimo qualche concessione in termini di welfare aziendale, tutti interventi con forti agevolazioni fiscali per le imprese. Una linea sconfessata peraltro apertamente da colossi come Barilla, Ferrero o Coca Cola Italia che hanno invece firmato il nuovo contratto collettivo dell’alimentare che prevede aumenti in busta paga (a regime, cioè dal 2023, 119 euro lordi in media al mese). I “ribelli” compariranno davanti al presidente il prossimo 9 settembre.
Oggi è stato anche annunciato che il 16 settembre sarà sciopero nazionale dei lavoratori della sanità privata che incroceranno le braccia in segno di protesta per “la mancata sottoscrizione definitiva, da parte delle controparti ovvero Aiop (Associazione italiana ospedalità privata che fa capo a Confindustria) e Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), della preintesa raggiunta il 10 giugno scorso sul rinnovo del contratto”
Libertà di licenziare
La scelta del governo di estendere gli ammortizzatori sociali e vietare per legge i licenziamenti nel pieno dell’emergenza Covid “poteva essere giustificata”, ma “protrarla ad oltranza è un errore molto rischioso”, afferma ancora Bonomi nella sua missiva. “Più si protrae nel tempo il binomio ‘cig per tutti-no licenziamenti più gli effetti di questo congelamento” del lavoro “potrebbero essere pesanti, in
termini sociali e per le imprese”, afferma. Per alcune, questa sorta di “anestesia” potrebbe significare “’al risveglio l’avvio di procedure concorsuali”. Bonomi rilancia, invece, la necessità di una riforma delle politiche per il lavoro “profondamente diverse”, orientate verso politiche attive e non passive, già a cominciare dalla prossima legge di Bilancio. Una riforma “complessiva e di sistema”.
Giova ricordare che il blocco dei licenziamenti (il cui costo è stato sostenuto dalla fiscalità generale e non dalle imprese, attraverso la Cig Covid) è stato imposto dal governo nella speranza che nel frattempo l’economia iniziasse a dare segni di ripresa, limitando l’impatto occupazionale. Nel frattempo la valvola di sfogo delle aziende sono stati i contratti a termine quasi mai rinnovati una volta arrivati a scadenza.
I soldi devono andare solo alle imprese
Nella lettera ricompare un altro leitmotiv del Bonomi pensiero. Gli aiuti per superare la pandemia devono andare alle imprese, molto di più di quanto avvenuto sinora. Basta con i “sussidi a pioggia”, formula cara al presidente per indicare sostegni che vanno a persone e famiglie in difficoltà .
“Se non saremo uniti negli obiettivi prioritari per cui ci battiamo, nel respingere le polemiche ed anche i tentativi di intimidirci, allora diventerà ancora più improbo il tentativo di trasformare l’Italia in quel Paese dell’innovazione permanente capace di accogliere e trattenere i nostri figli che, noi sappiamo, può e deve essere”.”Ci aspetta una stagione — scrive — in cui la demagogia rischia di essere la più fraudolenta delle seduzioni. E, al contempo, in cui il costo dell’incompetenza sopravanzerà per generazioni i benefici di chi oggi se ne avvantaggia”.
Belle parole che cozzano però con una realtà che vede le aziende private italiane tra le ultime in Europa per la quota di risorse destinate a ricerca, sviluppo e innovazione.
Circa lo 0,5% del Pil, meno della metà rispetto a Francia o Germania. Ma certamente tutto sarebbe diverso se fosse stata accolta l’unica “rivoluzionaria” concreta proposta con cui Confindustria si è presentata agli Stati generali dello scorso giugno: restituiteci 3,4 miliardi di accise sull’energia.
A Bonomi, che pochi giorni fa ha negato che Confindustria sia “un potere forte”, proprio non va giù che palazzo Chigi non esegua i desiderata degli industriali.
E così ogni occasione è buona per randellare l’esecutivo: “I numerosi interventi specifici, i bonus frammentati e i nuovi fondi accesi presso ogni ministero, non sono stati certo la risposta articolata ed efficace che ci aspettavamo”.
E ancora: politiche attive del lavoro “non possono essere attuate con il Reddito di cittadinanza“, la cui attuale configurazione va “smontata”, sostiene Bonomi. Bisogna “superare i limiti” dell’attuale sistema delle politiche del lavoro, puntando tra l’altro su formazione e riqualificazione professionale, ricollocazione e reimpiego, sottolinea inoltre il presidente di Confindustria facendo riferimento alla proposta di riforma “complessiva”, in dieci punti, inviata a metà luglio al governo e ai sindacati.
I contagi? Colpa solo degli altri
I panni sporchi si lavano in casa. La lettera interna avrebbe potuto fare un qualche accenno all’uso indebito della Cig Covid attuato da alcune aziende o magari qualche accenno di autocritica sui contagi in fabbrica che continuano a registrarsi nelle fabbriche. Niente di tutto ciò. Anzi, Bonomi liquida come un “falso assoluto” la critica alle imprese di “aver osteggiato la chiusura di alcune aree del Paese a fronte della diffusione del Covid-19″. Il presidente di Confindustria non lesina però bacchettate tutti gli altri. “Sulle misure di sicurezza anti-Covid ancora non ci siamo”, scrive. E sottolinea: “Che il tema dopo tanti mesi sia purtroppo ancora irrisolto lo testimoniano due vicende in corso”. Si sofferma quindi sulle “profonde incertezze sulla riapertura delle scuole a settembre, che al di là del bando su 2,4 milioni di banchi a rotelle identificati come priorità ancora non vedono una risposta precisa alla domanda centrale: che cosa avverrà negli istituti in presenza di contagi?”
C’è poi il tema per i presidi, come si era posto per gli imprenditori riguardo agli ambienti di lavoro, “dello scudo rispetto alla responsabilità penale in caso di contagi”. Bonomi sottolinea inoltre “l’esperienza dei mancati controlli e tamponi di massa al rientro dalle vacanze in Paesi posti dal Governo nella lista dei controlli obbligati”. E come “altra conferma” aggiunge “l’insuccesso della app Immuni”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile “L’AFFLUENZA SARA’ BASSA, INTORNO AL 30%”
“Il No al taglio dei parlamentari è in crescita fisiologica, specie al Nord, tra i giovani e i più istruiti, mentre il Sì resta appannaggio dei 5 stelle”. Federico Benini, direttore di Winpoll, spiega così ad HuffPost il trend venuti fuori dal sondaggio realizzato con Cise per il Sole 24 Ore, che in Liguria dà addirittura al 40% la quota degli intervistati pronta a votare No al referendum del 20 e 21 settembre e in Veneto al 34%.
Del tutto diversa la situazione in Campania, dove il Sì tocca quota 70%. Se però si pensa che “il 97% dei parlamentari ha votato per il Sì” quando è stata approvata la riforma costituzionale in Aula, ora lo scenario pare quello in cui gli elettori siano meno affezionati emotivamente alla riduzione degli scranni di quanto non lo siano gli eletti stessi della Camera e del Senato.
“In fondo era accaduto anche con il Governo Letta, che aveva abolito il finanziamento pubblico ai partiti: i politici anche in questo caso erano spaventati che ci potesse essere una ribellione da parte degli elettori e quindi hanno votato per una riforma frettolosa”.
Come alcuni osservatori hanno fatto notare, se è vero che la vittoria del Sì è pressochè blindata, nondimeno il tema politico è tutto nelle percentuali di sconfitta del No, che se fossero attorno al 20% dei consensi, mostrerebbero l’effettiva tenuta della battaglia anti-casta nell’opinione pubblica, ma se dovessero superare il 30, ne celebrerebbero la debolezza.
“La prima cosa da dire — precisa Benini — è che, rispetto ai sondaggi che stiamo realizzando in questi giorni, nelle regioni del Nord ci sarà sicuramente una percentuale di No superiore a quella delle regioni del Sud”, quindi un dato di ordine geografico. In sintesi, “al Nord sono più critici verso la riforma costituzionale”.
I dati Winpoll sulla Campania, usciti martedì scorso, danno appunto la vittoria del Sì al 70%, mentre in Veneto il Sì è al 66% (dati di domenica). Le previsioni delle Marche usciranno domenica prossima, martedì quelle della Toscana e venerdì i numeri della Puglia
Il No correlato al titolo di studio
“Il No è strettamente correlato al titolo di studio, nel senso che più le fasce lo hanno alto, quindi lauree e diploma, più c’è una propensione a votare No piuttosto che Sì”, spiega il direttore di Winpoll. La connessione tra i due aspetti è legata al fatto che le persone più istruite hanno maggiori strumenti critici per comprendere le ragioni del dissenso alla sforbiciata lineare di deputati e senatori. “Le cose vanno a braccetto rispetto a quella che è la connotazione geografica”, come detto, “poichè il livello di istruzione è tendenzialmente più basso al Sud rispetto al Nord d’Italia”.
Benini mostra che in tutte le Regioni analizzate, “c’è una prevalenza del 97% del Sì tra gli elettori del Movimento 5 stelle, quindi siamo di fronte a una riforma che sostanzialmente è bollata M5s”, nonostante Di Maio nelle ultime ore (solo due giorni fa sul Corriere) abbia sostenuto che ‘questa non è una riforma del M5s, ma di tutti’. Se si considerano questi aspetti, è il ragionamento del sondaggista, “ci sono quindi degli aspetti geografici, di titolo di studio, ma anche di appartenenza politica”.
Affluenza bassa, trainata solo dalle regionali
Per quanto riguarda l’affluenza, “noi stimiamo che complessivamente sarà attorno al 30%”, ma vediamo questo numero come è ottenuto. “Consideriamo un’affluenza media del voto nelle sei regioni del 55% e supponiamo che questo stesso 55% vada a votare anche per il Referendum, perchè nel momento in cui le persone hanno la scheda in mano per le regionali, vanno a votare anche per il Referendum”. E nelle altre regioni? “Supponiamo un’affluenza del 20%, per cui andiamo a stimare un’affluenza complessiva del 30%”.
Il taglio dei parlamentari non interessa al 70% degli elettori
Già questo di per sè, se volessimo dargli un’interpretazione di primo acchito, “diventa un dato politico che è in contrasto con quella che è l’esigenza che abbiamo sempre sentito tra gli italiani”. Benini dice: “Se davvero fosse un tema molto sentito, ci sarebbe un’affluenza molto più alta”. A suo avviso il dato più importante è questo: “Se davvero l’affluenza fosse del 30%, il 70% degli italiani non è interessato al taglio dei parlamentari, quindi è da qui che si può valutare la vittoria del Sì e del No”. Ovvio che sulla chiamata alle urne pesa anche “il Covid e l’assenza di dibattito politico sul tema”.
Il No può superare il 20%
Se volessimo fare una previsione dei margini di vittoria del Sì, il No potrebbe complessivamente “superare il 20%, ma non è escluso che potrebbe finire 70 a 30”. Un risultato molto diverso, come dicevamo, da quello che poteva sembrare all’inizio, quando la riforma era sbarcata in Parlamento e ci si aspettava quasi l’unanimità o comunque percentuali attorno al 90%.
Il No è preferito dagli under 30
Per quanto riguarda le fasce di età , “rispetto all’intersezione tra i dati grezzi non ancora pubblicati, le persone sotto i trent’anni sono quelle più contrarie alle riduzione dei parlamentari, mentre l’apice dei favorevoli al Sì è tra i 30 e 50 anni”. Dopo i 50 il dato è medio. Tutto ciò è in linea anche con l’elettorato: “Tra gli under 30 prevalgono gli elettori dem, tra i 30 e i 50 sono più forti gli elettori leghisti e 5 stelle, per cui alla fine c’è una certa contiguità tra queste due variabili”, ma potrebbe essere sconfessato nei prossimi giorni da nuovi dati relativi alle altre regioni.
(da agenzie)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile PIU’ LA GENTE SI INFORMA PIU’ CAPISCE LA PATACCA: SENZA MODIFICARE LA LEGGE ELETTORALE E’ SOLO UN PERICOLOSO SPOT
Il referendum per il taglio dei parlamentari è in programma il 20 e il 21 settembre prossimo,
in quello che sarà un vero e proprio election day, visto che ci sarà anche il voto per le elezioni regionali e il primo turno delle amministrative.
Fino a qualche giorno fa, l’esito del voto sembrava andare verso una netta vittoria del Sì, ma ad oggi il risultato potrebbe non essere così scontato, secondo quanto emerge dall’ultimo sondaggio realizzato da Winpoll
Secondo il sondaggio di Winpoll, il Sì sarebbe al 66 per cento con il No al 34 per cento.
Una distanza rilevante ma inferiore rispetto alle rilevazioni delle scorse settimane. Alcuni giorni fa Lab21 vedeva il No al 27,6 per cento e il Sì al 72,4 per cento del consenso, un mese fa addirittura i Sì erano oltre l’80%.
In ogni caso, l’elettorato di tutti i partiti sembra sostanzialmente spaccato, ad eccezione di quello del M5S, che ha fatto del taglio dei parlamentari uno dei suoi cavalli di battaglia.
(da agenzie)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile “UN SOLO PAZIENTE ERA SINTOMATICO, GLI ALTRI SONO TORNATI DA NOI PERCHE NEGLI OSPEDALI MILANESI STANNO DANDO LA PRECEDENZA A CASI PIU’ CRITICI”
“Francamente eravamo concentrati sulla riapertura dei servizi per l’infanzia: non pensavamo di dover affrontare una nuova emergenza legata alle RSA e ai contagi degli anziani, ma adesso dobbiamo attrezzarci per risolvere questo problema”.
Le parole di Valeria Braga, addetta stampa di Coopselios, interpretano perfettamente il sentimento di un’intera città . Milano stava già guardando, con una certa preoccupazione, alla riapertura delle scuole, pensando che la lunga serie di contagi nelle case di riposo fosse ormai alle spalle, quando i 24 casi di positività nella RSA Quarenghi si sono manifestati all’improvviso, come una doccia gelata sulla regione più duramente colpita dal Coronavirus. Si tratta di 21 pazienti, su un totale di 123, più 3 operatori, dato aggiornato a questa mattina.
Coopselios, cooperativa sociale con sede a Reggio Emilia, è un interlocutore davvero prezioso per inquadrare la situazione milanese in uno scenario più complessivo, visto che gestisce centri per tutte le utenze (anche disabili e minori) in sette regioni italiane.
Nel ramo dei servizi per l’infanzia, si occupa anche dell’asilo istituito a Bruxelles in convenzione con il Parlamento Europeo, che accoglie 1.200 bambini.
“Siamo una cooperativa attiva da 36 anni e con quasi 3.500 soci lavoratori. Non spetta a noi dire se siamo i migliori, ma siamo sicuramente bene organizzati. Lavoriamo prevalentemente per la Pubblica Amministrazione e, nonostante tutto quello che è successo negli scorsi mesi, con l’emergenza sanitaria e il lockdown, ce la siamo cavata piuttosto bene. Ce lo riconoscono anche i familiari, come dimostra il fatto che non c’è stata alcuna denuncia, anche laddove dei contagi ci sono stati”.
Il dato più significativo è dato proprio dalla capacità dimostrata da Coopselios di fronteggiare l’emergenza-Covid: “Al momento, a parte la RSA Quarenghi, non abbiamo nessun altro caso di positività nelle nostre strutture. In passato ci sono stati, come purtroppo capitato anche ad altre RSA, e ci sono stati anche dei decessi, che tuttavia vanno presi con beneficio di inventario perchè l’età media dei nostri ospiti è di 85 anni, la maggior parte dei quali allettati e con gravi patologie, quindi è difficile dire da cosa siano state provocate realmente le morti. La maggior parte dei casi si è riscontrata nelle strutture nella zona di Milano, in linea con il dato generale della popolazione nazionale, mentre per quanto riguarda Veneto, Emilia-Romagna e Liguria le cose sono andate molto meglio”.
Un’altra constatazione sbalorditiva è che la RSA Quarenghi, prima di oggi, non aveva mai avuto alcun caso di Coronavirus, nemmeno durante la fase più acuta.
Se questo dimostra la capacità della struttura di gestire una situazione non facile, a cosa si può attribuire l’improvvisa nascita di un focolaio così rilevante? “Non possiamo avere certezze sul punto — continua Braga — Ovviamente i nostri pazienti non sono andati in ferie, però ricevono visite dai parenti che invece ci sono stati, come i nostri operatori. Non possiamo fare congetture, ma dobbiamo ragionare su un dato di fatto: a parte un unico caso di anziano con la febbre, tutti i pazienti sono asintomatici, il che è anche piuttosto anomalo per quello che era stato l’andamento delle manifestazioni del Covid-19! Per questo motivo non abbiamo nemmeno un’idea precisa di quando in realtà siano avvenuti i contagi: se non fosse stato per quell’unica temperatura sopra la norma, non ce ne saremmo nemmeno accorti”.
Non è quindi possibile, almeno al momento, stabilire alcuna relazione tra questo unico focolaio nella vastità del territorio servito dalla cooperativa e la promiscuità del periodo estivo, che ha certamente contribuito a molti contagi in giro per l’Italia.
La sensazione è che il territorio della Lombardia continui a rappresentare una variabile fuori controllo, come parrebbe confermare anche un fatto decisamente particolare: “Il nostro unico paziente sintomatico è stato immediatamente ricoverato”, spiega Braga. “Gli altri dieci pazienti portati in ospedale, essendo totalmente asintomatici, non sono stati ricoverati perchè non sono gravi. Pertanto, abbiamo ricollocato gli asintomatici nella struttura, seppure in isolamento, in attesa di essere ricoverati non appena le strutture ospedaliere comunicheranno la disponibilità dei posti letto per ora riservati a casi di maggiore gravità ”.
Un elemento, quest’ultimo, decisamente allarmante, perchè la dolorosa esperienza degli scorsi mesi purtroppo ci ha insegnato quanto sia difficile gestire i pazienti positivi nelle RSA: anche applicando i più scrupolosi protocolli di prevenzione, arginare il virus è veramente complicato. Se a fine agosto siamo già nelle condizioni di dover gestire in questo modo le nuove positività , anche l’ottimismo più coriaceo finisce con l’andare in crisi.
In vista della riapertura dell’anno scolastico e dei servizi per l’infanzia, Coopeselios si stava appunto attrezzando per riaccogliere i bambini nel modo più sicuro possibile e questa esplosione di casi nella struttura milanese l’ha costretta a rivedere le proprie priorità . Con un’apprensione comprensibile. La stessa dei cittadini lombardi, di nuovo alle prese con il fantasma di quella “strage degli innocenti” che ha già segnato in maniera indelebile tante famiglie.
(da TPI)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile SI E’ PASSATI DAI 919 DEL 21 AGOSTO AI 1.178 DI OGGI
No, i nuovi contagiati non sono tutti asintomatici. 
Lo dimostrano i numeri: negli ultimi sette giorni (prendendo come punto di riferimento i bollettini diffusi dal Ministero della Salute il 21 e il 28 agosto), sono tornati a salire i ricoveri con sintomi. E non di poco. Mentre si mantengono, più o meno, stabili i numeri delle terapie intensive (ora sotto controllo rispetto all’inizio dell’emergenza) nell’ultima settimana è aumentato il dato di pazienti che hanno dovuto usufruire (e stanno usufruendo) dell’aiuto di medici all’interno di strutture ospedaliere.
Partiamo dal dato evidenziato nel bollettino di venerdì scorso (21 agosto).
Nel documento pubblicato dal Ministero della Salute — che potete trovare nel nostro approfondimento a questo link — i ricoveri con sintomi erano 919. Un numero che era già in rialzo rispetto alle settimane di giugno e luglio quando l’emergenza sanitaria sembrava aver allentato la presa sul nostro Paese. Poi, però, sono iniziati i problemi.
Oggi, venerdì 28 agosto, il dato è cambiato. In peggio. Secondo l’ultimo bollettino del Ministero della Salute, infatti, i ricoveri con sintomi sono saliti a quota 1178. Ben 259 in più rispetto alla rilevazione effettuata venerdì 21 agosto (sette giorni fa). E questo trend in crescita era stato evidenziato anche dall’ultimo report della Fondazione Gimbe con questa tabella a più ampio respiro (e non solo sull’ultima settimana).
Le terapie intensive
Discorso differente per le terapie intensive. Oggi quel numero è salito di sette unita rispetto alla giornata di ieri. Mentre mercoledì era sceso di due. Il totale, allo stato attuale delle cose, è di 74 pazienti supportati da respiratori e ricoverati in terapia intensiva. Una settimana fa erano 69. Ma anche questo numero, dopo il calo tra giugno e luglio, mostra uno stabile trend di crescita. Insomma, non tutti i nuovi contagiati sono asintomatici.
(da agenzie)
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Agosto 28th, 2020 Riccardo Fucile “PROGRESSIONE ESPONENZIALE, INDICATORI OSPEDALIERI IN AUMENTO”
I dati sui contagi da coronavirus in Europa continuano a salire: la Spagna ha registrato 3.829 nuovi casi e 15 nuovi decessi nelle ultime 24 ore, 1.276 in Gran Bretagna, la Romania — il Paese più colpito nei Balcani — 1.318, con 48 altri decessi.
Ma è la Francia a registrare l’aumento peggiore: 7.379 in 24 ore, rintracciati grazie a un numero record di tamponi, 900mila in una settimana. Ieri erano stati 6.111, oltre mille in meno.
Il presidente Emmanuel Macron parlando con la stampa ha detto: “Non avrei imparato a sufficienza da quello che stiamo vivendo da alcuni mesi se vi dicessi che escludo totalmente un nuovo lockdown“. Per poi aggiungere: “Noi però ci predisponiamo per fare di tutto per impedirlo”.
Appena otto giorni fa, dalla villeggiatura sull’isola di Fort de Bregancon, diceva il contrario: “Non si può fermare il Paese, perchè i danni collaterali sono considerevoli”. La media dei contagi, allora, era di 2mila al giorno. Quattro volte in meno. “Il rischio zero non esiste mai”, ripeteva in un’intervista a Paris Match, ma “non si può richiudere tutto il Paese”.
Oggi il quadro epidemiologico in Francia è decisamente mutato: il ministero della Sanità sottolinea che “la dinamica di progressione è esponenziale” e che “gli indicatori ospedalieri sono in aumento“.
Le cifre dicono inoltre che sono stati 20 i decessi nelle ultime 24 ore, che hanno portato il totale a 30.596 da inizio epidemia. Stabile a 4.535 il numero dei ricoveri, in aumento di 6 unità quello dei pazienti gravi in rianimazione, a 387. In totale, 19 dipartimenti sono stati dichiarati “zona rossa“: è obbligatorio indossare la mascherina, anche all’aperto, a Parigi, Marsiglia, Strasburgo e altri Comuni del Basso Reno. In tutto il Paese è obbligatorio indossarla nei trasporti pubblici dall’11 maggio, nei luoghi pubblici chiusi dal 20 luglio e diventerà obbligatorio nelle imprese a partire dal 1 settembre
Gran Bretagna: 1276 casi
Anche nel Regno Unito i casi rimangono stabilmente sopra i mille al giorno: nelle ultime 24 ore i contagi diagnosticati sono stati 1276, in diminuzione rispetto agli oltre 1500 di ieri, e i morti sono stati 9 (a fronte dei 12 del giorno prima).
Le nuove infezioni sono state riscontrate su 186.000 test. Il governo di Boris Johnson ha intanto revocato alcune restrizioni: nelle scorse settimane erano stati introdotti lockdown localizzati in diversi comuni dell’Inghilterra del nord che avevano visti una ripresa di contagi superiori alla media: da Manchester a vari municipi delle contee di Lancashire e West Yorkshire. Limitazioni ancora in vigore a Leicester, da oltre un mese la città a più alto tasso d’infezioni e decessi del Paese, mentre è allerta pure in alcuni centri del Kent, nel sud del Paese.
Germania, Merkel: “Niente sarà più come prima”
In Germania ogni giorno si registrano intorno ai 1.500 nuovi casi e amministratori federali e locali guardano lo sviluppo della curva con dichiarata apprensione. Non si potrà tornare alla normalità dei comportamenti prima dell’arrivo del vaccino e dei farmaci adeguati, ha ripetuto la cancelliera, che non ha nascosto una punta di pessimismo: dopo la pandemia niente “sarà più come prima”, il virus “ci ha messo a dura prova, anche dal punto di vista esistenziale”.
Ad ogni modo, ha tagliato corto, “diversamente dalla crisi finanziaria, dove sapevamo che ricapitalizzando le banche si sarebbe tornati a dei livelli economici ragionevoli, non sappiamo qua finirà questa pandemia”.
(da “il Fatto”)
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