Destra di Popolo.net

GRILLO E LA SPINTA AL GIORNALISTA DI “DRITTO E ROVESCIO”

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

LE IMMAGINI DELLE TELECAMERE DI SICUREZZA RIDIMENSIONANO LA VICENDA “MONTATA AD ARTE” DAI MEDIA SOVRANISTI

«Attenzione, le immagini che seguono potrebbero urtare la sensibilità  dei giornalisti onesti». Sono queste le poche parole che si leggono nella risposta pubblicata da Beppe Grillo sul suo blog dopo le accuse di Paolo Del Debbio.
La sera del 10 settembre il conduttore di Dritto e Rovescio aveva attaccato il fondatore del Movimento 5 Stelle per aver spinto Francesco Selvi, un giornalista della trasmissione.
Questo gesto sarebbe costato a Selvi cinque giorni di prognosi per un trauma distorsivo e una escoriazione alle ginocchia.
Grillo ha scelto di rispondere pubblicando i filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza del bar lungo la spiaggia di Marina di Bibbona in cui è avvenuto lo scontro.
Dalle telecamere si vede chiaramente Grillo spingere il giornalista ma l’impatto sembra più leggero rispetto a quanto si poteva pensare dalle immagini pubblicate da Dritto e Rovescio.
Proprio su questo si basa la tesi difensiva di Grillo, che accompagna le immagini delle telecamere con le note di Cinque giorni che ti ho perso di Michele Zarrillo.

(da agenzie)

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IL RAPPORTO INQUINATO TRA I GIORNALI E GLI UFFICI STAMPA DEI POLITICI

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

COSI’ I CANDIDATI ALLE REGIONALI “COMPRANO” ARTICOLI E INTERVISTE

In Italia si discute tantissimo della subordinazione di certa stampa al potere politico, ma lo si fa sempre a senso unico e cioè: i giornalisti italiani sono schiavi, pennivendoli, puttane, cani da riporto. Abbiamo un colpevole, e quindi il caso è chiuso. Ma la politica? Difficilmente si parla del modo in cui la politica vada a caccia di cronisti per accreditarsi, imbonirli oppure assorbirli nel proprio organo di propaganda, soprattutto nei periodi in cui ci si avvicina ad una tornata elettorale.
Ad esempio, c’è un giornalista che non scrive per nessuna testata ma lavora come consulente della comunicazione per enti e associazioni che ci racconta di essere stato contattato molto di recente da un aspirante sindaco: “A me hanno chiesto di fare l’ufficio stampa perchè ho buoni rapporti professionali con una cronista politica di Repubblica. Loro lo sanno quindi si dicono ‘ah questo ha delle entrature, vieni qua che ti facciamo fare l’ufficio stampa’. Ma il motivo, non sono così scemo da non averlo capito, è che ho in tasca delle relazioni con i media che rappresentano il loro vero interesse, capisci? Infatti la prima frase che mi è stata detta quando ho incontrato il candidato per discutere di un mio eventuale incarico è stata: ‘Mi fai incontrare la Cuzzocrea?’ (la quale è completamente estranea alla vicenda e viene citata in maniera maldestra da un politico locale che ambisce a finire sulle pagine nazionali di uno dei principali quotidiani italiani, ndr)”.
Dunque gli elettori devono credere che i politici detestino “i giornaloni” ma in realtà , nelle segrete stanze, si arrovellano per finire in prima pagina. Gli elettori devono credere che i giornalisti siano tutti dei venduti, ciò che non viene detto è che la politica non vede l’ora di incontrare la disponibilità  di un giornalista di parte: “Serve che stringiate rapporti, quasi di parentela, con i giornalisti”, si sente in una conversazione registrata durante una riunione dello staff comunicazione di un politico in corsa in una grande città  italiana. “Che li invitiate a cena, a colazione, portateli dove vi pare. Dobbiamo trovare un giornalista che firmi ciò che gli scriviamo”.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. In questi anni di profonda crisi del settore editoriale, la politica è diventata il più grande ufficio di collocamento per un esercito di giornalisti precari e disoccupati.
La questione è cruciale perchè, mentre si aboliva progressivamente il finanziamento pubblico alla stampa, partiti e politici iniziavano a investire cifre da capogiro nella comunicazione di parte. Mentre il giornalismo italiano affrontava il peggiore terremoto di sempre, la propaganda prendeva il sopravvento sull’informazione.
E il sorpasso è avvenuto anche perchè, mentre molti quotidiani pagano 7 euro a pezzo, calpestando diritti e tutele, nell’indifferenza o con la complicità  dei legislatori, i politici ti offrono due spicci in più ma soprattutto una prospettiva — almeno a parole — molto più solida (“fatti questa campagna elettorale chè poi da qualche parte ti infiliamo”; “se vinciamo le elezioni, per i prossimi cinque anni sei a posto”; “l’unico problema è che se vuoi ambire ad entrare a far parte dell’ufficio stampa di un consigliere, prima devi farti a gratis almeno una campagna elettorale”).
Nell’epoca in cui la comunicazione è diventata la chiave di volta di qualsiasi competizione politica, i rapporti con la stampa continuano ad essere considerati imprescindibili, al pari di una buona copertura social. Altro che disintermediazione.
Le testimonianze, a volerle raccogliere, si sprecano. Da una parte, spiega una fonte, “c’è un’ansia e una dipendenza da insight pazzesca, è come se si diventasse tossici di like, anche se sanno che è solo fuffa non riescono a non scrivere post petalosi perchè è con quelli che fai quei numeri”.
Dall’altra c’è la corsa ad accaparrarsi uno spazio sui giornali di carta, oppure giornalisti compiacenti — “uno al quale poter dettare il pezzo”, o addirittura pagati direttamente dal candidato di turno “perchè scriva ciò che vogliamo quando ci serve”.
Ad esempio, “compare un collega, pagato dal candidato per occuparsi di relazioni con i media e tessere le trame della comunicazione elettorale, che in contemporanea pubblica un articolo su un settimanale, che sembra uscito dalla penna di quello che potrebbe essere il futuro sindaco, riguardante uno di quelli che saranno i cavalli di battaglia della sua campagna”.
In seguito verranno individuati anche altri giornalisti, ad esempio di una rivista a tiratura nazionale, che per quanto estranei al disegno politico si faranno suggerire i temi e addirittura le persone da intervistare. Secondo uno schema diamentralmente opposto a quello che dovrebbe essere la normalità : dovrebbero essere i giornalisti a scovare disinteressatamente notizie e fonti, e non gli amici degli amici del candidato a fornirli ai giornali per un preciso scopo elettorale. Altrimenti, se mancano la ricerca e il filtro giornalistico, finisce che i giornali si trasformano in semplici uffici stampa che rilanciano comunicati già  scritti.
Il punto è che, in questo modo, solo i politici con le giuste entrature finiscono sui giornali e che così facendo il sistema si autoalimenta perchè anche chi non può contare su un aggancio farà  di tutto per trovarne uno, “perchè capisci che è così che funziona”. Ma il punto è anche che le due carriere, quella di giornalista e quella di addetto alla propaganda, dovrebbero essere — sono? — inconciliabili. Delle due, l’una. Soprattutto se al giornale per il quale scrivi proponi un articolo che riguarda il tuo candidato.
Eppure non è così, anzi: “Poter pubblicare un pezzo su un quotidiano mentre si lavora in contemporanea come ghostwriter per un personaggio politico è diventato uno dei più potenti lasciapassare per fare carriera, sia in un ambito che nell’altro”, dice una fonte. Essere in grado di pubblicare articoli ad orologeria su un giornale nazionale marca sempre di più la differenza tra l’essere scartati e l’essere ingaggiati da uno dei famosi team di comunicazione politica. Mentre, d’altro canto, è vero anche il contrario: lavorare per un politico può aprirti strade insperate nel mondo del giornalismo.
Ad esempio: “Gli ho chiesto di raccomandarmi ad un direttore di testata che deve incontrare a giorni per un’intervista, dice che ci proverà ”, oppure, in un altro caso, “una volta mi è stato chiesto di scrivere un articolo per una rivista. Avrei dovuto scrivere un pezzo in quanto giornalista per un giornale regolarmente registrato, senza passare per un caporedattore. In pratica l’articolo mi era stato commissionato dal team, che in buona sostanza avrebbe pagato il mio articolo al posto dell’editore nel senso che non si è mai parlato di un compenso per quel pezzo, si valutava che quel tipo di lavoro fosse compreso nella paga che percepivo regolarmente come social media manager”.
La fotografia che emerge è quella di un rapporto con il mondo dell’informazione completamente inquinato. Innanzitutto occorre dire che l’inquinamento, prima che materiale, è culturale. Più che per esperienza diretta, anche alla prima corsa elettorale, si pensa di dover disporre della stampa a proprio piacimento perchè “fanno tutti così” e allora adeguarsi, anche goffamente, sembra l’unica strada possibile per non fare la figura dei fessi. Perchè ognuno sa che gli avversari faranno lo stesso, o lo hanno già  fatto.
Per questo motivo, tra gli altri, la diffidenza nei confronti dei media è altissima: “Ognuno ha i suoi giornalisti di riferimento, è chiaro. E poi ci sono dei giornalisti che remano chiaramente contro, c’è spesso il timore che dovendo far uscire una notizia quelli ne facciano una lettura totalmente controproducente: una volta, prima di ufficializzare la candidatura, si parlava si rilasciare un’intervista ma erano preoccupati che la stampa poi titolasse ‘è sceso in campo’ prima del tempo, per questo occorreva trovare uno che non impostasse l’intervista in quel modo e facesse solo le domande alle quali volevamo rispondere”.
In questo quadro è inutile pensare che quelli descritti siano i metodi utilizzati da un politico in particolare: questa dinamica si è fatta sistema, tanto che per una grande maggioranza di addetti ai lavori rappresenta un segreto che non è più tale. Indicare i nomi dei protagonisti di queste storie è ininfluente proprio per questo motivo: “Gli stessi lettori ormai sono in grado di riconoscere un’intervista sdraiata, dai. La leggi ed è come leggere il programma elettorale, come il tema libero a scuola”.
In questo articolo si parla di un sommerso che fatica ad emergere perchè è molto complicato trovare fonti che accettino di parlare apertamente di queste dinamiche esponendosi in prima persona. Le persone coinvolte, i testimoni e le fonti sono tutte coperte da anonimato perchè questo è l’unico modo di iniziare ad affrontare il problema, che altrimenti rimane semplicemente inespresso. Le persone citate vengono citate perchè non partecipano in alcun modo al sistema e proprio per questo rappresentano un obiettivo pressochè irraggiungibile per i politici che vorrebbero avvicinarle.

(da TPI)

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LE PAROLE DI DON CIOTTI E QUEL FILO CHE LEGA DON ROBERTO, MARIA PAOLA E WILLY

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

“QUEL FILO E’ L’AMORE”

Era così semplice. Bastava guardarli al contrario, quei tre fatti atroci.
Risalirli come un fiume, in direzione ostinata e contraria a tutte le analisi sulla violenza, la cecità  e la brutalità  che li contraddistinguono e su cui da giorni ci interroghiamo. Willy, Maria Paola, don Roberto sono legati tra loro, certamente, e il filo che li lega è rosso. Ma non è rosso sangue.
Ci ha aperto gli occhi ieri sera, ospite d’apertura di Propaganda Live, don Luigi Ciotti. Davanti ai nostri occhi ha tracciato un filo nell’aria, e ha detto: “Quel filo è l’amore”.
E lo abbiamo visto: l’amore di don Roberto Malgesini per gli ultimi, l’amore di Willy Duarte per l’altro, l’amico in difficoltà , la storia d’amore di Maria Paola Gaglione e Ciro Migliore.
Quel filo sottile, persistente, rosso, impossibile da tagliare.
Ha detto due parole sovversive, don Ciotti: “amore” e “radicale”. La radicalità  d’una lotta, l’unica degna, quella che regge — che lega col suo filo indistruttibile — qualsiasi altra: quella dell’amore.
Ha parlato di don Roberto, e della sua “capacità  di testimoniare nei fatti, non con le parole, il Vangelo, nel modo in cui dovremmo farlo tutti, nel modo radicale”. L’ha scandita, don Ciotti, questa parola potente e bellissima — che ha fatto sussultare tutti, credenti e atei, scettici e sognatori, realisti e idealisti — “radicale”.
Perchè non c’è un altro modo di affermare, coltivare, perseguire l’amore, e ben lo sanno quelli che, come lui, come don Roberto, si occupano degli ultimi: “Ma non chiamateci, per piacere — ha detto don Ciotti con appassionata eloquenza — preti antimafia, preti antidroga, preti di strada”. Definizioni beffarde, che in realtà  limitano, linguaggi che chiudono, depotenziano la radicalità  del bene, dell’azione che in ogni momento deve sostenerlo: “I preti sono preti, e ognuno a modo suo è chiamato a vivere il Vangelo non così così, ma in modo radicale come il nostro don Roberto”.
Ancora una volta: guardate dall’altro lato, dalla parte della generosità  radicale e dell’abnegazione radicale. La morte di don Roberto, di Willy, di Maria Paola ci devastano, ma devono preoccuparci il nostro “morire quotidiano” – dice don Ciotti — “le nostre agonie”: “L’agonia di una società , di una politica, di tante persone che stanno a guardare, giudicano, etichettano, semplificano”.
Di colpo è stato chiaro anche cosa dobbiamo fare: perchè sì, è importante analizzare e capire dove sono piantati e come fruttificano i semi della violenza, e quanto concime arriva ogni giorno da ogni specie di vuoto e di disimpegno, ma è ancora più importante guardare dall’altro lato, tirare per noi quel filo.
Non le periferie come campi desolati dove attecchisce ogni specie di violenza e di embrionale fascismo, ma possibili comunità  in cerca di un “noi” più grande (e tutta la puntata di ieri di Propaganda live, dallo spiegone “desueto” di Damilano ai reportage di Zoro tra Artena e Colleferro, aveva quest’altro filo sottile e fortissimo: il senso della comunità , il “noi”).
“Dobbiamo recuperare un noi, dobbiamo recuperare le relazioni”, ha detto don Ciotti, invitandoci “a non cercare don Roberto nella tomba, nella cenere, ma ad incontrarlo nella storia, nel volto delle persone che ha amato, servito, nutrito”: rieccolo il filo comune, lo sguardo differente con cui dobbiamo percorrere le storie di don Roberto, di Willy, di Maria Paola cercando l’amore e non solo la violenza e la morte. Una morte che diventa nostra, se facciamo morire le relazioni, il “noi”, l’attenzione agli altri. Se facciamo morire le parole con cui tocchiamo gli altri e li definiamo.
Don Ciotti cita papa Francesco: il potere di mortificazione dell’altro — con la parola, con la negazione dei diritti, della dignità  — è violenza. E sì, nasce quando non riusciamo più a vedere, a dire l’amore. Salviamoci, e salveremo il mondo — non dice alla fine don Ciotti, ma noi lo sentiamo lo stesso.

(da “Huffingtonpost”)

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IL PRESIDENTE DEI PEDIATRI ITALIANI: “PER I BAMBINI SERVE IL TAMPONE”

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

 “E’ NECESSARIO, MA CI SONO TROPPI RITARDI NEI REFERTI”

Fughiamo subito un dubbio: nei bambini non è possibile distinguere i sintomi dell’influenza stagionale da quelli del Covid-19, se non facendo il tampone. Per questa ragione un intervento “tempestivo” sia da parte dei genitori che del pediatra, evita il peggio, soprattutto in termini di diffusione del contagio.
Ne è convinto il Professor Paolo Biasci, presidente Fimp, Federazione Italiana Medici Pediatri: “Ovviamente non parliamo di uno starnuto sporadico! La letteratura scientifica parla chiaro: anche il virus influenzale può manifestarsi con tutta una serie di sintomi che sono la febbre, la tosse, cefalea, sintomatologia gastrointestinale, mal di gola, dispnea (difficoltà  respiratoria), rinorrea (scolo di muco dal naso) e congestione nasale che si possono presentare singolarmente o l’uno associato all’altro”.
Ecco perchè, soprattutto nei bambini che il più delle volte sono paucisintomatici, cioè con sintomatologia molto lieve (“solo nel 50% dei casi o poco più è presente la febbre, giudicato come equivalente a una malattia in corso”), diventa difficile, anzi “impossibile”, ci dice il professore, “distinguere quale tipo di infezione, soprattutto nella stagione autunnale e invernale, ha causato questi sintomi. Si rende perciò necessario il tampone”.
Il percorso da seguire in caso di comparsa di sintomi nei bambini
Il tema è particolarmente attuale. Con la riapertura delle scuole e l’autunno alle porte, i genitori si chiedono quale sia l’iter da seguire in caso di comparsa di sintomi nei propri bambini. Abbiamo provato a fare una simulazione con il Professor Biasci per capire insieme il percorso. “La prima cosa da fare in caso di comparsa di sintomi influenzali è quella di rivolgersi al pediatra o al medico di base che effettua immediatamente un triage telefonico e poi una televisita sul bambino”, ci spiega il professore. ”Dopo la rilevazione dei sintomi, noi dobbiamo chiedere “tempestivamente”, che vuol dire immediatamente, il test diagnostico che conosciamo e cioè il tampone. Ma questo non lo diciamo noi: seguiamo le indicazioni di un documento ufficiale redatto dall’Istituto Superiore di Sanità , dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istruzione, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni e allegato il 7 di settembre al Dpcm che è uscito quel giorno e ha valore come linea guida operativa”.
E qui c’è il primo scoglio. E’ cronaca che molti genitori giudichino “terroristi” i medici che richiedono tamponi per i propri figli alla comparsa di anche solo uno dei sintomi. “I pediatri e i medici DEVONO chiedere il test diagnostico”, specifica il presidente Fimp. “Non solo per la salute del bambino interessato, ma per tutta la comunità , perchè dobbiamo pensare che il tampone e l’individuazione del Covid non serve solo per il soggetto, ma anche e soprattutto per fare sorveglianza sanitaria e impedire la diffusione dell’infezione”.
Tamponi tempestivi, ma ritardi nei risultati
Ricapitolando: sintomi, pediatra, tampone, risultato. Sembra facile, no? Ma è qui che arriva il secondo ostacolo. “Mio figlio da 10 giorni a casa per un raffreddore. Senza tampone, niente scuola”, lamenta una madre. E’ solo una delle tante storie di “quarantene” non “giustificate” da risultati certi che stanno emergendo in questi giorni e che figurano accanto a interventi tempestivi. “Vuole sapere come sia possibile?”, ci dice il Professore.“Da una breve indagine fatta in tutte le regioni dalla Fimp abbiamo avuto questa risposta: dal momento in cui il pediatra invia la richiesta del test diagnostico al momento in cui riceve il referto del test passano mediamente 4-5 giorni. E questo è inammissibile”.
Per quanto riguarda la signora, “bisogna vedere quando il pediatra ha chiesto il tampone: se l’ha fatto tempestivamente ok, se magari le ha dato dei consigli e ha perso le prime 48 ore, è evidente che ce le ritroviamo nei tempi di diagnosi e di esclusione da Covid. Ma una domanda adesso gliela rivolgo io”. Prego.
“Se sapevamo che sarebbe successo, se sapevamo che sarebbe arrivato il 15 settembre, se abbiamo sistemato gli ospedali, raddoppiato le terapie intensive, creato laboratori Covid ovunque, se abbiamo detto per tutta la fase 2 che bisognava investire sul territorio, perchè adesso ci troviamo difronte al fatto che la media per avere i risultati del tampone sono 4-5 giorni, quando se lei si presenta in un Pronto Soccorso con la stessa sintomatologia ha il risultato del tampone in 3-4 ore? Perchè le regioni non hanno investito sul territorio per davvero e non a parole?”.
Una domanda che si stanno cominciando a chiedere in molti. “Lo credo bene”, aggiunge, “fossi un genitore penserei: ma scusi io mi sono rivolto al pediatra, mi ha richiesto il tampone, nelle modalità  previste. Perchè se lui chiede il tampone alle 9 la mattina non mi chiamano nel pomeriggio per andare a farlo? Perchè si allungano così i tempi quando invece potremmo avere risulti in 24 ore e gestire tempestivamente la situazione?”.
I test rapidi di cui si parla in questi giorni, risolverebbero di molto il problema, ma ci spiega ancora Biasci “non sono ancora stati validati dall’Istituto Superiore di Sanità , li stanno valutando. Quando arriveranno, faciliteranno la situazione perchè offrono una risposta in 15 minuti e perchè la semplicità  di effettuazione permette di fare più test a parità  di risorse impiegate”.
Paucisintomaticità  e aumento dei casi nei bambini
Da sempre sappiamo che i bambini sono tendenzialmente paucisintomatici: sono pochissimi quelli sotto i 12 anni che presentano complicanze importanti dal punto di vista clinico in caso di Covid. “Da questo punto di vista non è cambiato niente”, dice il Professore. “Quello che sta cambiando e che stiamo intuendo dai primi dati è il fatto che la numerosità  dei tamponi che risultano positivi nei bambini sta aumentando. Non siamo sorpresi: la fase 1 e 2 si sono svolte in primavera e estate e i bambini erano in massimo lockdown (quello vero l’hanno fatto solo loro che a scuole chiuse non avevano ragione per uscire di casa: no scuola, no palestra, no lavoro, no spesa).
Ora le cose stanno cambiando: “La stagione autunnale e invernale, le scuole aperte: quello che ci aspettiamo è massima attenzione nell’età  pediatrica, finora messa un po’ nel ‘cantino’ perchè eravamo giustamente attenti agli anziani”.
Il vaccino antinfluenzale sicuramente può aiutare nell’arginare la diffusione del virus stagionale, soprattutto in una situazione di emergenza Covid: “E’ consigliato per le categorie a rischio da sempre e anche per i bambini. Quest’anno c’è una sottolineatura in più perchè è stata individuata la classe 6 mesi-6 anni che è quella più colpita da dati di ministero: ogni anno i bambini di quest’età  si ammalano circa 8 volte i più degli anziani”.
Perciò il consiglio è di prevenire ed evitare quello che si può evitare. “Anche perchè”, spiega ancora il Presidente Fimp, “dopo un’infezione da virus influenzale, residua anche una certa diminuita efficienza dell’apparato immunitario per qualche settimana: se un bambino si deve infettare da Covid è bene che succeda nelle migliore condizioni possibili. Quindi bisogna vaccinarsi”.

(da “Huffingtonpost”)

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DEF, LE NUOVE STIME: DAL 2021 DEBITO IN CALO E RIMBALZO DEL PIL TRA IL 4 E IL 6 PER CENTO

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

IN AUTUNNO SI PUNTA A UN INTERVENTO DA 25-30 MILIARDI, LA META’ GARANTITO DAL RECOVERY

Riduzione del debito, deficit contenuto intorno al 5-6 per cento del Pil, rimbalzo del Pil intorno al 4-6 per cento. Sono queste le prime cifre del 2021, ancora sotto stretta valutazione, che il Tesoro si avvia a presentare nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza attesa per il 27 settembre.
Il debito di quest’anno, fissato dal Def di aprile scorso in pieno Covid a quota 155,7 dovrebbe crescere in modo contenuto, nonostante la crisi, a quota 158-159 per cento del Pil.
Mentre la caduta del prodotto interno lordo di quest’anno dovrebbe fermarsi intorno all’ 8-9 per cento (rispetto al -8 previsto nella primavera scorsa). Una sostanziale tenuta resa possibile anche dall’ingente quantità  di risorse, pari a circa 100 miliardi erogate all’economia con i tre decreti anti-Covid.
L’operazione Nadef, che fissa le linee guida per la presentazione della legge di Bilancio, quest’anno è segnata dall’accesso alle risorse per il Recovery Fund europeo cui dovrà  essere legata a doppio filo. Come lo saranno anche i controlli da parte della Commissione previsti per i prossimi anni che considereranno insieme budget e avanzamenti dei progetti.
Le prime indicazioni sono di mettere in campo una “manovra”, ma sarebbe meglio dire un intervento a favore dell’economia, di 25-30 miliardi. Di questi circa 10-15 miliardi sarebbero “caricati” sul Recovery fund: soprattutto investimenti del ministero dei Trasporti e dello Sviluppo,   partite di spesa da finanziare o già  previste (sostituendo la copertura attuale con i fondi europei).
Operazione che si potrà  fare solo su una serie di misure compatibili con la dottrina della Commissione che impone le “condizioni” di digitale e green. Secondo quanto si apprende al Recovery potranno essere attribuite Industria 4.0 (3 miliardi); superbonus ecologico al 110 per cento (2 miliardi), decontribuzione per il Sud (5 miliardi). Il tutto, insieme ad altre partite minori, per 10 miliardi cui andranno aggiunti i 5 miliardi che serviranno per un primo taglio delle aliquote Irpef che aprirà  la strada alla riforma fiscale insieme alla semplificazione. I restanti 15 miliardi serviranno per spese incomprimibili e misure sociali non rinviabili: pensioni (Ape sociale), Università , scuola, cultura.
Il quadro del prossimo anno non si presenterebbe, almeno per ora, con grandi differenze rispetto alle cifre (che allora non furono definite “programmatiche” ma attribuite semplicemente a “nuove politiche”).
Il debito fu indicato al 152,7 per cento del Pil e dovrebbe comunque scendere dai livelli del 158-159 per cento del Pil rivisto per quest’anno, mentre il deficit (fissato allora al 5,7 per cento del Pil) non dovrebbe superare il 6 per cento.
A contribuire a moderare la crescita dei conti pubblici potrebbero essere determinanti i 44,7 miliardi (per 2021 e 2022) a fondo perduto (i cosiddetti “grant”) che transiteranno direttamente nella tesoreria dello Stato senza gonfiare il debito pubblico (come invece farà  la parte dei cosiddetti “loan”).

(da agenzie)

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“SE SEI NERO NON TI AFFITTO CASA”

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

STORIE DI RAZZISMO NELL’ITALIA DEL 2020

Che si chiami Angie Shaker, i proprietari, lo scoprono dopo averle assicurato la possibilità  di affittare l’appartamento. A Bologna, Angie, ci va per studiare. È una matricola di ingegneria, 20 anni da poco e in tasca il sogno — “non so se troppo grande”, dice — di diventare ingegnere generale di una scuderia di automobili.
Dopo il liceo, da Reggio Emilia, la sua città  natale, partono in molti per raggiungere le grandi città  universitarie. E parte anche lei: mezz’ora per raggiungere le future coinquiline con le quali — racconta — si trova subito bene.
L’agenzia immobiliare che ha pubblicato l’annuncio ha demandato alle ragazze il primo incontro con gli interessati all’appartamento. “È giusto così”, dice Angie. “D’altra parte dovrei vivere con loro. Siamo subito in sintonia, ci accordiamo, prepariamo i documenti da consegnare all’agenzia e quindi alla proprietaria”. Una signora a cui non interessa chi viene in casa, basta che si paghi l’affitto, confidano le coinquiline ad Angie. Che aspetta due settimane la risposta definitiva dell’agenzia, di solito pronta in tre giorni lavorativi.
I suoi genitori si preoccupano, l’università  sta per iniziare e serve un appartamento. “È proprio questo il problema”, rispondono gli agenti: “Troppi studenti si spostano, c’è sovraccarico”. Attendono altri giorni, poi la risposta arriva per vie traverse. A scriverle è una delle inquiline dell’appartamento. “Mi dispiace Angie”, le dice. “Ma la proprietaria ti ha rifiutato. È brutto da dire, ma ti ha rifiutato perchè sei straniera”.
“I miei genitori hanno chiamato l’agenzia, ma ha risposto che non poteva far molto”, racconta Angie a TPI. “Allora ho chiamato direttamente la proprietaria, le ho detto: ‘Vede, sono la ragazza che ha rifiutato perchè ha un colore della pelle differente dal suo’. Ho chiesto spiegazioni, sono rimasta interdetta. Lei mi ha detto: ‘Mi scusi, quando va al supermercato qualcuno le dice quali carote deve scegliere?’. Ero basita, le ho chiesto se davvero stesse paragonando la scelta delle inquiline di un appartamento a delle carote nel supermercato. Sì, la risposta è che per lei non sono più che una carota, marcia, nella cesta di un supermercato”.
I genitori di Angie Shaker sono di origine egiziana. Vivono a Reggio Emilia da trent’anni. In Italia vivono, lavorano, hanno costruito una famiglia di cui fa parte Angie, nata a Reggio, vissuta a Reggio, educata nelle scuole di Reggio sino alla maturità  scientifica.
Per convincere la proprietaria di casa a concedere la stanza in affitto i genitori si offrono di pagare un anticipo annuale. “L’ho detto alla proprietaria, anche se non dovrebbe esistere che per avere gli stessi diritti degli altri devono metterci nelle condizioni di fare queste proposte. Lei ha rifiutato: con persone della vostra razza, mi ha detto, ho sempre avuto problemi”.
Come Angie, anche Olga — studentessa cresciuta in Italia tanto da sentirsi italiana a tutti gli effetti, dice — ha incontrato un rifiuto che l’agenzia ha giustificato con la sua origine straniera. “Scelta dei proprietari”, dicono. In risposta alle lamentele: “Ha ragione, non ci possiamo far niente”.
La stessa risposta che si sente dare Gyan, che a Cassino studia e lavora, ma incontra difficoltà  a trovare casa. Nel suo video denuncia postato anche sui social racconta che, come lui, molti amici faticano a trovare un appoggio, nonostante garantiscano, documenti alla mano, di poter sostenere i costi.
Lo ha fatto anche Aboubakar Soumahoro, l’ex sindacalista dei braccianti dell’Unione sindacati di base, nel luglio 2018, quando si accorda per l’affitto di una casa a Roma con un’agenzia che garantisce la disponibilità  dell’appartamento fino alla richiesta del nome. “Aboubakar Soumahoro”, dice. “Mi spiace, non si affitta a stranieri”, rispondono dall’agenzia.
A Roma negli anni i casi si sono moltiplicati, tanto da indurre l’associazione Baobab Experience ad affiancare nella ricerca di un appartamento migranti, persone con cittadinanza italiana o contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Oltre al supporto nella ricerca, il portale Baobab4housing monitora anche le motivazioni del diniego: non si affitta agli stranieri, il senso del messaggio declinato in vari modi.   La percentuale di richieste di affitto per cittadini di origine straniera e migranti accolte dalle agenzie nella Capitale è di una su cinque, secondo un calcolo dell’organizzazione.
A Bologna, dopo il primo niet, Angie trova un secondo annuncio. Il proprietario affitta due case e lei lo contatta per messaggio garantendo di poter pagare un surplus per avere una singola. Le camere sono libere, sono quattro, fissano un appuntamento. Poi la richiesta, nome e cognome: Angie Shaker. “Mi ha chiamato all’istante chiedendomi se fossi italiana, se fossi adottata, se i miei genitori avessero la possibilità  di pagare l’affitto. Mi ha detto che stava cercando di creare un ambiente pacifico in casa, che non voleva che il subingresso di qualcuno potesse guastarlo. Come se il mio colore della pelle potesse sporcare il bianco dell’arredamento, o delle loro coscienze”.
Alla fine l’appuntamento arriva, è fissato per un lunedì. La domenica Angie chiede conferma, arriva anche quella. Lunedì lei e la sua famiglia sono pronti per la visita alle 10. Alle 9 la comunicazione del proprietario: gli appartamenti sono stati già  affittati. “Ho pensato ai miei genitori, agli sforzi di crescermi, educarmi, tutto per farmi sentire rifiutata da gente che peraltro parla l’italiano decisamente peggio di me”. “È il fatto di sentirsi troppo straniera per essere italiana, troppo italiana per sentirsi egiziana, a farmi star male”, racconta Angie. L’essere rifiutata per il colore della pelle, non per un tratto caratteriale, la personalità .
Dopo settimane alla ricerca, Angie Shaker ha trovato un appartamento a Bologna. “Anche più vicino all’università ”, dice ridendo. Poi si fa seria, un momento, e conclude: “Ci ho riflettuto tanto: le persone si fanno i capelli ricci, vogliono abbronzarsi, vanno nei paesi esotici, mangiano cibi orientali. Però poi quando hanno di fronte una persona che appartiene alla cultura che tanto idealizzano la respingono. Sembra un controsenso, forse non lo è. È come dire: voglio essere come te, ma non voglio te”.

(da TPI)

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INCHIESTA FONDI LEGA: MOVIMENTI DI DENARO PER PAGARE MORISI E IL SUO STAFF

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

LA SEGNALAZIONE DI BANKITALIA SULLE OPERAZIONI ANOMALE

Alcuni dei movimenti sospetti che sono al centro dell’inchiesta sui fondi della Lega sarebbero serviti per pagare anche lo staff di Matteo Salvini, in particolare la cosiddetta «bestia», il gruppo di collaboratori del leader leghista molto attivo sui social. È quanto emerge da una informativa di Bankitalia e finita agli atti dell’inchiesta milanese sulla Lombardia Film Commission.
I soldi serviti per pagare tra gli altri Luca Morisi, Matteo Pandini e Leonardo Foa (figlio quest’ultimo del presidente della Rai) non sarebbero stati drenati da quelli usati per pagare il capannone di Cormano, ma arriverebbero da altri società , tra cui la Valdolive, una società  del settore pubblicitario già  comparsa negli atti dell’inchiesta.
«Operatività  non coerente rilevata tra diverse società , coinvolte nei più disparati settori economici e spesso con lo stesso indirizzo, ed il partito politico Lega Nord» molte delle quali «riconducibili a (…) dottori commercialisti» di Bergamo e Milano. E poi «operazioni di accredito, spesso connotate da importo tondo e da periodicità  non in linea con gli usi di mercato, (…) seguite da operazioni in segno contrario in favore di professionisti e società  sempre riconducibili» al movimento.
È il quadro descritto in una segnalazione di operazioni sospette, una `Sos’, dell’Uif di Bankitalia e finito sul tavolo dei pm.
L’informativa fa riferimento ai pagamenti intercorsi tra il partito e il gruppo «Lega Salvini premier» e i commercialisti finiti in carcere (Di Rubba, Scillieri e Manzoni). In un passaggio si parla anche della vicenda, già  emersa, della società  Valdolive «impegnata nel settore pubblicitario, precedentemente di proprietà » di Vanessa Servalli barista e cognata di Di Rubba, pure lei tra gli indagati che «ha ricevuto bonifici dalla Lega Nord, dalla Partecipazioni S.r.l. e dallo Studio Dea Consulting S.r.l», nomi ricorrenti nell’indagine milanese.
«Tali fondi – si legge nella Sos – sono stati utilizzati per effettuare pagamenti in favore di alcuni membri dello staff» dell’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, «Luca Morisi, Leonardo Foa, Matteo Pandini». In pratica, i soldi partono dalla Lega ma prima di approdare ai componenti dello staff di Salvini sarebbero transitati sui conti delle società  citate.

(da agenzie)

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PAURA DEI CONTAGI, E’ FUGGI FUGGI DEGLI SCRUTATORI

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

A BARI E IMPERIA OLTRE IL 60% DELLE RINUNCE… RISCHIO CHE GLI ANZIANI DISERTINO

Urne orfane degli scrutatori, in fuga dal rischio del Covid. Monta la paura dei contagi nei seggi che ospiteranno le prossime elezioni del 20 e 21 settembre, le prime votazioni dall’inizio dell’emergenza coronavirus.
A lanciare l’allarme sulle rinunce che stanno arrivando in queste ore a Comuni e Prefetture sono diversi territori da Nord a Sud, dove fioccano ‘giustificazioni’ e certificati medici.
In Puglia, dove si svolgeranno sia le regionali che le comunali in diversi territori, oltre 200 volontari della Protezione civile sono pronti a sostituire i disertori tra i presidenti e i componenti dei seggi elettorali nominati dalla Corte di Appello per le elezioni di domenica e lunedì. In tutte le province della regione ci sono state alte percentuali di rinuncia.
A Bari si arriva al 67%, solo considerando i presidenti di seggio (228 persone), e tra questi hanno rinunciato tutti quelli nominati per i seggi Covid, ovvero quelli allestiti negli ospedali o per i malati in isolamento. Il dato record di rinunce è ufficialmente per ‘indisponibiltà ‘, ma è chiaro che per i più incide la paura del contagio, visto il netto superamento della media fisiologica delle rinunce, che alle ultime elezioni regionali era del 40%.
Al momento sono stati sostituiti con le riserve 203 presidenti. Tra le città  dove si segnala il maggior numero di defezioni c’è anche quella ligure di Imperia, dove sono 114 su 180 gli scrutatori che il Comune sta provvedendo a sostituire a causa delle rinunce arrivate in queste ore all’ufficio elettorale. La maggior parte di questi è già  stata sostituita. Ma il governatore Toti assicura: “Il voto per le elezioni regionali in Liguria e il referendum sarà  assolutamente in sicurezza perchè i seggi già  di per sè sono luoghi di distanza sociale: la segretezza del voto, l’ingresso ad uno ad uno nelle cabine elettorali, le sanificazioni sono assolutamente garanzia di sicurezza”.
Sono invece ottanta nella città  di Napoli (sugli 885 nominati dalla Corte d’Appello) i presidenti di seggio che hanno già  fatto pervenire rinuncia all’incarico in vista del voto di domenica e lunedì, poco meno del 10%. Nel capoluogo campano e in tutta la regione Campania, dove i contagi sono in netta crescita, si teme piuttosto che siano i votanti a disertare le urne per i timori del virus.
“Da parte dei cittadini in queste ore ho raccolto molta paura e preoccupazione, soprattutto dalle persone anziane, rispetto al rischio che i seggi possano diventare un focolaio”, spiega Stefano Caldoro, candidato per il centrodestra alla presidenza della Regione.
Le prime elezioni in era Covid rischiano di essere anche le prime nelle quali è altissima la probabilità  che le persone più fragili disertino le urne. Un rischio, e un vulnus per la democrazia, contro il quale non sembra esser bastato il decreto che il governo ha approvato ad agosto definendo le regole per la tornata elettorale tra le quali l’istituzione di seggi nei reparti Covid degli ospedali e la possibilità  del voto a domicilio: sono infatti meno di un migliaio le domande arrivate per esercitare il diritto di voto da casa.
Ma i malati in isolamento domiciliare sono ad oggi 39.862, senza contare tutti coloro che sono in quarantena perchè contatti stretti di positivi. Aldilà  delle paure, da tempo sono state disposte nelle strutture che in generale ospiteranno il voto – dalle scuole alle palestre fino ai teatri – già  tutte le misure con le relative precauzioni sulla sicurezza sanitaria.
Il protocollo prevede accessi contingentati agli edifici dei seggi, percorsi distinti di entrata e di uscita, distanziamento tra i componenti del seggio e tra questi e gli elettori, definizione del numero e della disposizione delle cabine elettorali tenendo conto dello spazio disponibile e delle necessità  di movimento. Per accedere ai seggi elettorali sarà  obbligatorio l’uso della mascherina da parte di chiunque. La misura del distanziamento tra i componenti del seggio e tra questi e gli elettori sarà  particolarmente rigida nel momento in cui bisognerà  rimuovere la mascherina per il riconoscimento. Per questo è stato anche definito il numero e la disposizione delle cabine elettorali, tenendo conto dello spazio disponibile e delle necessità  di movimento.

(da “Huffingtonpost”)

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ZANARDI, 90 GIORNI DOPO. IL MEDICO: “MUOVE LE DITA, REAGISCE, SOGNO DI VEDERLO ALLE OLIMPIADI”

Settembre 19th, 2020 Riccardo Fucile

“MENTE STRAORDINARIA”… INIZIATA LA FISIOTERAPIA NEUROLOGICA AL SAN RAFFAELE

Da qualche settimana, respira da solo e non è neanche più sedato.
Zanardi il 18 agosto è passato dalla terapia intensiva alle cure semi intensive e da lì un lento viaggio che ha come destinazione il recupero. La Stampa ne racconta i miglioramenti. A tre mesi dall’incidente Zanardi ha iniziato la fisioterapia neurologica al San Raffaele. Il suo medico: “Mente straordinaria. Io lo vedo alle Olimpiadi”
Oltre alla moglie Daniela e al figlio Niccolò, è andato a trovarlo spesso anche Claudio Costa, 79 anni, suo medico sportivo e diventato negli anni un grande amico, «abbiamo un rapporto simbiotico, un legame profondo». Lui è uscito rinfrancato da questi incontri: «Ha iniziato la fisioterapia neurologica che in medicina è quella fase in cui si aspettano le sorprese e i miracoli», e le parole gli danno coraggio: «Ho visto miglioramenti, dà  risposte agli stimoli, stringe le dita, gli stanno rieducando la testa. Ha un fisico da fantascienza e una mente straordinaria, lo so che questa volta si parla del cervello, ma sono sicuro che lui saprà  inventarsi qualcosa con quello che è rimasto».
Per Costa, una delle fortune di Zanardi è la vicinanza della moglie
«Una donna formidabile, presente e capace di sopportare tutto, una figura chiave, la sua principale fonte di stimoli. Mi fa fatica a dirlo perchè di lui ho una considerazione infinita, ma lei è persino più forte»(…).
«Il giorno dell’incidente ho visto la mamma di Alex e le ho detto: “guarda che questo vive”. Era disperata, ma mi è grata per quella speranza».
Lui immagina un futuro nello sport per l’amico, e un futuro che inizia domani: «Sarò pazzo, ma di sogni non ce ne sono mai abbastanza e io vedo Alex alle prossime Olimpiadi».

(da “Huffingtonpost”)

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    • SONO QUASI 90MILA I CANTIERI EDILI FERMI IN ATTESA CHE IL GOVERNO TROVI IL MODO DI SBLOCCARE 15 MILIARDI DI EURO DI CREDITI FISCALI DEL SUPERBONUS 110% CHE LE BANCHE NON VOGLIONO PIÙ COMPRARE
    • DALL’INIZIO DELLA GUERRA MIGLIAIA DI RUSSE SONO VOLATE IN ARGENTINA PER PARTORIRE, PER ASSICURARE AI LORO FIGLI LA NAZIONALITÀ DEL PAESE SUDAMERICANO (E UN PASSAPORTO CHE PERMETTA L’INGRESSO SENZA VISTO IN 171 PAESI, MOLTI DEI QUALI PRECLUSI AI RUSSI)
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