Destra di Popolo.net

IL PRE-CONTO, L’ULTIMO INGEGNO DEL RISTORATORE EVASORE

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

UN MODO PER FREGARE LO STATO E IL PROSSIMO, CIOE’ TUTTI NOI

Ceno in un ristorante salentino, succede due sere fa. Pieno quasi in ogni ordine di posti, segno che almeno da queste parti il Covid ha traghettato molta più gente del previsto e non solo in agosto.
Mi arriva il conto, anzi il pre-conto. Cos’è il pre- conto? Un modo per svicolare dalla legge e dalla responsabilità : fregare lo Stato, cioè il prossimo, cioè anche me.
Non pagare le tasse su ciò che si ricava. E metterle in conto ad altri.
Il pre-conto è un’invenzione recente dei ristoratori evasori. Inbrogliare il cliente disattento, sostituire alla ricevuta fiscale un pezzo di carta che le assomiglia ma che non vuol dir nulla.
Mica il ristoratore col pre-conto mi propone un prezzo? Mica mi chiede di essere d’accordo? Mica si intavola una trattativa?
Porgo la carta di credito e mi convinco, io ingenuo, che il fatto che la mia spesa sia tracciata consigli al ristoratore di rendermi la ricevuta fiscale. Niente di niente.
Allora la richiedo e protesto. Segue quella stupida moina di scuse, e mi arriva.
A questo ristoratore, come per tanti altri suoi colleghi imprenditori, neanche la moneta elettronica lo scuote, lo interroga, gli fa prendere coscienza che è non solo un obbligo di legge ma un minimo dovere civile partecipare alle spese della collettività .
La collettività  ha giustamente partecipato, nei mesi del lockdown, a sostenerlo: cassa integrazione per i dipendenti, bonus, vari sconti fiscali.
E ora che lui potrebbe restituire, perchè ha goduto di una rendita di posizione, il meraviglioso mare del Salento e l’afflusso straordinario di turisti, rifiuta, anzi fa di più: imbroglia.
Un imbroglio che si regge sulla convinzione che nessuno lo controllerà  mai, perchè bisogna essere furbi, perchè basta essere furbi in questa Italia del Medioevo, furbi e ben attrezzati con le relazioni, con le amicizie.
L’augurio che faccio a questo ristoratore, e a tutti i suoi colleghi del pre-conto, è di scoprire presto il costo salato della furbizia e di ricevere a domicilio, come corrispettivo, un pre-conto della finanza magari con qualche zero in più.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PERCHE’ LUCA ZAIA NON SI MERITA IL CONSENSO CHE HA

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

UNO DEI TERRITORI PIU’ INQUINATI D’EUROPA, MERCATO DEL LAVORO POCO DINAMICO, UNO DEI PIU’ ALTI TASSI DI EMIGRAZIONE GIOVANILE, TAGLI ALLA SANITA’, I CASI MOSE E PEDEMONTANA

Con il 76,8% alle elezioni regionali, Luca Zaia è stato eletto governatore del Veneto per la terza volta. Il più votato di sempre, forte di un consenso che sicuramente l’emergenza coronavirus ha rafforzato, ma che di fatto è radicatissimo anni nella Regione da ormai un decennio.
Già , perchè Zaia incarna la presidenza della Regione dallo scorso 7 aprile 2010. Anno in cui l’Europa si stava ancora riprendendo dalla crisi economica del 2008, in cui un giovane ambulante si è dato fuoco di fronte a un palazzo istituzionale in Tunisia innescando la Primavera Araba, e in cui la Apple ha presentato il primo iPad. Avvenimenti totalmente scollegati tra loro, ma che danno un’idea di quanto tempo sia effettivamente passato dalla prima elezioni di Zaia.
Eppure il Veneto continua a rimettersi nelle mani del governatore leghista. Diventato ormai emblema del buongoverno in tutta Italia. Ma nemmeno l’amministrazione di Zaia è esente da mancanze, colpe o inadempienze. Che i consensi record cercano di tacere, ma che non possono cancellare
Poca competitività , i giovani emigrano
Un governo va giudicato non solo nella sua capacità  di rispondere ai problemi e alle emergenze. Ma anche per il futuro che riesce a costruire per i suoi cittadini più giovani. E negli ultimi anni il Veneto guidato dalla Lega non sempre ha avuto successo nel rispondere alle esigenze delle nuove generazioni. Basta guardare ai dati sulla fuga dei cervelli raccolti dalla Fondazione Migrantes: nel 2018 hanno lasciato la Regione 13.329 persone, di cui la maggior parte tra i 18 e i 34 anni. Molti possono contare su un’ottima preparazione e guardano all’estero per un impiego (e una retribuzione) che nella loro terra natale è semplicemente un’utopia. Questo comporta un saldo negativo per la Regione, che investe sulla formazione dei suoi giovani, ma non è poi in grado di adattare il mercato del lavoro ai suoi nuovi talenti.
Manca la competitività  nel territorio, che appare sempre meno capace di trattenere le competenze che contribuisce a sviluppare.
D’altronde, come riporta l’Osservatorio JobPricing, il Veneto è al settimo posto tra le Regioni italiane per reddito annuo lordo: i giovani si trovano allora a cercare fortuna altrove. E non si può certo biasimarli. Nel frattempo il tasso di disoccupazione tra quelli che rimangono cresce, passando dal 5,7% del 2007 al 12% dell’anno scorso. Mentre si continua a guardare al Veneto come una parte fondamentale della locomotiva d’Italia, attribuendone il merito al buongoverno della destra, non ci si rende conto di quanti giovani questa lasci indietro
Sanità , troppi tagli e pochi medici
Molti di questi sono medici. Un altro dato che cozza con tutto quello che abbiamo sentito sulla sanità  veneta negli ultimi mesi di pandemia. L’esodo dei medici verso l’estero è un problema dell’Italia intera, ma il Veneto ne detiene il primato. E i numeri sono in costante crescita. Anche in questo caso, a cercare migliori opportunità  altrove sono specialmente i giovani tra i 28 e i 39 anni, che si formano sul territorio (rappresentando un costo che può anche arrivare a 150 mila euro), ma che poi non riescono a trovare lavoro. L’Ordine dei medici di Vicenza ha scritto una lettera direttamente a Zaia per denunciare i problemi derivati dai continui tagli della Regione alla sanità , in primis proprio la mancanza di organico. Si legge:
1300 i medici mancanti in Veneto.
Questo numero va aumentando velocemente in virtù della forbice progressivamente più ampia tra entrate e uscite nel mondo lavorativo sanitario. Entro pochi anni, ne mancheranno altri 1000, se non saranno introdotti i correttivi necessari. Prima di analizzare le cause di questo deficit, vanno però preventivamente spiegate alla popolazione due semplici cose: Il taglio del personale sanitario (così come dei posti letto) è stato fortemente voluto sia dalle Regioni (e di questo, il Veneto se ne è sempre fatto un vanto) sia dallo Stato, in epoca di recessione, come potente manovra di risparmio.
Alla mancanza di migliaia di medici, Zaia ha pensato di risolvere aprendo ai neolaureati che non hanno ancora terminato la specializzazione, assumendone qualche centinaio, specialmente per il pronto soccorso.
Una decisione che lo ha messo ancora una volta in luce come leader pragmatico che sa risolvere i problemi che si presentano. Ma la verità  è che non si fa nulla per andare alla radice del problema. E si continua a scostare lo sguardo mentre la sanità  pubblica continua a subire tagli, strizzando allo stesso tempo l’occhio ai privati. Luca Barutta, segretario dell’Anaao (il sindacato dei medici ospedalieri) della provincia di Belluno, ha avvertito: “I dati Veneti del confronto schede ospedaliere 2019-2023 rispetto al 2013 mostrano inequivocabilmente una riduzione di posti letto di -816 unità  (-4,29%) e un aumento dei letti a gestione privata accreditata +833 (+4,56%). Inoltre è netta la decurtazione di letti per pazienti post-acuti, -1533. La riduzione complessiva tra letti per acuti e post acuti è di 1414 (-6,67%)”
Ambiente e inquinamento
C’è poi un’altra questione su cui la Regione non ha mai spinto per implementare finalmente le giuste politiche. Che nell’ultimo decennio si sono rese sempre più necessarie.
Il Veneto è uno dei territori più inquinati d’Europa, ma la svolta green non è mai stata incentivata. E così si è arrivati al report Mal d’Aria 2020 di Legambiente, in cui ben quattro tra le dieci città  più inquinate d’Italia sono venete: Rovigo, Venezia, Padova e Treviso.
Scorrendo tra le prime quindici troviamo anche Verona e Vicenza. Solo a gennaio di quest’anno, cinque città  italiane hanno già  sforato per 18 volte i limiti di Pm10, cioè delle polveri sottili: due di queste (Padova e Treviso) sono in Veneto. In effetti, sottolinea lo studio di Legambiente, negli ultimi dieci anni le cose sono peggiorate invece di migliorare e nonostante il lockdown il primo trimestre del 2020 si è mostrato il peggiore degli ultimi cinque anni. Nell’ultimo decennio, in maniera ormai sistematica, sei capoluoghi su sette hanno sempre superato il limite di legge per quanto riguarda la quantità  di polveri sottili nell’aria, arrivando addirittura a doppiare la media annuale che l’Organizzazione mondiale della Sanità  indica come forma di tutela della salute umana. E intanto i cittadini continuano a pagare il prezzo dell’assenza di politiche che mirino davvero a contrastare l’inquinamento. Per non parlare del fatto che il Veneto sia stato teatro di un caso di contaminazione industriale tra i più gravi d’Europa, con l’inquinamento di una falda idrica che ha esposto centinaia di migliaia di persone a livelli allarmanti di Pfas, la sigla che indica le sostanze perfluoro alchiliche. Il problema è stato evidenziato nel 2013, quando una ricerca sperimentale su potenziali inquinanti effettuata nel bacino del Po dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero dell’Ambiente ha segnalato un livello allarante di Pfas in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili.
Il Veneto fa poi da anni i conti con il dissesto idrogeologico.
La tempesta Vaia del 2018 che ha schiantato al suolo milioni di alberi, distruggendo decine di migliaia di ettari di foresta nelle Dolomiti, non ne è che l’ultimo esempio. Lo shock termico del cambiamento climatico e le massicce opere di cementificazione sono una combinazione che può portare al disastro naturale, e la Regione lo ha sperimentato sulla sua terra. Ma l’amministrazione leghista continua a ragionare in un’ottica di emergenza, risolvendo i problemi una volta che i danni sono ormai fatti per poi sottolineare quanto veloci si è stati a mettere tutto a posto, senza però investire mai su delle politiche che punterebbero a risolvere le questioni a monte.
Lo scorso novembre l’acqua alta a Venezia ha raggiunto livelli record, provocando ingenti danni alla città . “Le fotografie del Consiglio regionale allagato a Palazzo Ferro Fini a Venezia che ho scattato lo scorso 12 novembre hanno fatto il giro del mondo. Durante la mezz’ora antecedente al disastro dell’acqua alta che ha messo in ginocchio Venezia, la Lega e Fratelli d’Italia continuavano a bocciare i nostri emendamenti al bilancio utili a contrastare i cambiamenti climatici”, denuncia il consigliere regionale del Pd, Andrea Zanoni, rieletto gli scorsi 20 e 21 settembre. E ancora: “Ironia della sorte mente loro votavano contro le misure proposte in tema di trasporti elettrici, agricoltura sostenibile, piantumazione di alberi, risparmio energetico, fonti rinnovabili e altro ancora, il clima impazzito mostrava direttamente in aula quanto sia necessario agire con urgenza su questo fronte”
Mose, uno spreco da miliardi di euro
Non si può parlare di acqua alta senza parlare di Mose, il Modulo Sperimentale Elettromeccanico progettato per proteggere la laguna dall’alta marea. La realizzazione dell’opera è stata avviata nel 2003 e l’esecuzione dei lavori è stato affidato al Consorzio Venezia Nuova (Cvn), che opera per conto del ministero delle Infrastrutture e che nel 2014 è stato commissariato dallo Stato, visto il coinvolgimento di vari membri nelle indagini sui fondi illeciti, che hanno portato anche all’arresto dell’ex governatore Giancarlo Galan (di cui Zaia è stato il vice tra il 2005 e il 2008), condannato per   reati di corruzione, concussione e riciclaggio. Secondo la procura di Venezia ha percepito “uno stipendio di un milione di euro l’anno più altri due milioni una tantum per le autorizzazioni” necessarie all’opera.
Il costo complessivo del Mose, che negli anni ha continuato a salire, è di circa 6 miliardi di euro. C’è poi la questione dell’impatto ambientale, legata principalmente allo zinco rilasciato in mare dai panetti attaccati sulle paratoie (che alzandosi e abbassandosi dovrebbero prevenire inondazioni in caso di acqua alta) che servono a ritardare la corrosione della lamiera. Quello che fanno in realtà , tuttavia, è inquinare una laguna già  di per sè avvelenata dai numerosissimi stabilimenti industriali e dal traffico navale. Non è tutto: si pone anche il problema della manutenzione e dei costi di gestione. Il Mose avrebbe dovuto essere completato nel 2016, ma in un’audizione alla Camera risalente a due anni fa l’ingegnere Francesco Ossola, amministratore straordinario del Cnv, aveva dichiarato che “ad oggi, sono completate le opere per una percentuale del 93%”.
L’anno scorso Zaia ha definito il Mose “uno scandalo nazionale”. E ancora: “Andavo forse alle elementari o alle medie quando parlavano di Mose. Prendiamo atto che ci sono 5 miliardi di euro sott’acqua e non abbiamo ancora capito quale sia il motivo per cui non è in funzione. Anche perchè da quello che ci risulta il Mose è concluso. Mi interessa che si sappia che il Mose non è un’opera della Regione Veneto, non è un cantiere nostro, ma dello Stato”. Zaia quindi, più che di cercare le risposte per i propri cittadini, prende le distanze e si preoccupa di sottolineare la sua estraneità  ai fatti. Anche se è difficile credere che il presidente della Regione, in carica da un decennio, non sappia che il Mose non è ancora concluso, che manca ancora l’ultima tranche del finanziamento da svariati milioni, che la fine dei lavori è prevista tra il 2021 e il 2022 e, infine, che il commissariamento da parte dello Stato è scattato nel 2014 dopo che un’inchiesta anticorruzione abbia fatto scattare gli arresti per 35 persone, indagandone oltre un centinaio tra politici di primo piano e funzionari pubblici, per reati quali creazione di fondi neri, tangenti e false fatturazioni
Pedemontana, un’altra opera tra irregolarità  e poca trasparenza
Infine c’è la Pedemontana veneta. Un’altra opera che non è estranea a irregolarità , problemi di impatto ambientale e di trasparenza, sequestri, inchieste e incidenti. La realizzazione dell’infrastruttura è stata assegnata a Superstrada Pedemontana Veneta S.p.A. (che è subentrata all’ATI SIS SCpA — Itinere SA nel 2011) che riscuoterà  i pedaggi per i primi 39 anni. Dopodichè tornerà  alla Regione. Il costo è pari a 2.391 milioni di euro. I lavori dovrebbero terminare il prossimo anno. Nel 2018 la spesa è aumentata a circa 3 miliardi e l’amministrazione Zaia ha erogato un contributo straordinario di 300 milioni di euro alla concessionaria privata. Alcuni tratti sono già  finiti diverse volte sotto sequestro. La prima volta nel 2016, quando un crollo uccise un operaio che stava lavorando al cantiere. La seconda volta nell’anno seguente a causa di un cedimento di una volta. E poi una terza volta la procura di Venezia ha sequestrato una galleria in quanto ha scoperto che parte dei materiali utilizzati non sarebbero muniti di certificazioni CE. Il che significa che non sarebbero abbastanza resistenti, con il rischio di incorrere in nuove irregolarità .
Insomma, nel Veneto di Zaia non andrebbe tutto così alla grande come un consenso elettorale al 77% farebbe credere. Ma nonostante ciò i cittadini continuano a scegliere la stessa amministrazione: nonostante le sfide siano cambiate, mentre i problemi (e chi ha il compito di risolverli) della Regione sono rimasti gli stessi, i veneti per la terza volta hanno scelto lo status quo. Legittimo, ma non si dica che a supporto di questa scelta ci sia un buongoverno privo di macchie. Perchè non è così.

(da Fanpage)

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LA POLEMICA SULL’AUMENTO DI STIPENDIO PER TRIDICO SI SGONFIA: L’INPS SMENTISCE IL COMPENSO RETROATTIVO

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

PER UN ANNO HA PERCEPITO 62.000 EURO LORDI, ORA PASSA A 150.000 EURO LORDI… IL TETTO MASSIMO PER DIRIGENTI PUBBLICI E’ DI 240.000 EURO, QUINDI NON SI CAPISCE DOVE SIA LO SCANDALO… SI DISCUTA SE E’ BRAVO O MENO, MA GUADAGNARE 60/70.000 EURO L’ANNO NETTI PER DIRIGERE L’INPS NON E’ CERTO UNA CIFRA FOLLE

Ha creato non poche polemiche la notizia che la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, insieme al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, abbiano raddoppiato con un decreto lo stipendio del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico.
A far accendere ancora di più gli animi dei parlamentari dell’opposizione anche il fatto che il provvedimento sia retroattivo, “forse a dispetto della legge” e sia stato fatto, quasi di nascosto, “in piena estate con la speranza di passare inosservati”, scrive il quotidiano la Repubblica.
Lo stipendio del ‘padre’ del reddito di cittadinanza è così schizzato da 62.000 euro a a 150.000 all’anno, il 50% in più del suo predecessore Tito Boeri che guadagnava 103.000 euro l’anno.
La decisione è stata presa dallo stesso Cda dell’istituto di previdenza, in pieno lockdown.
Come detto, oltre all’incremento della paga, a Tridico andrebbero corrisposti altri 100.000 euro per gli arretrati, hanno denunciato i sindaci dell’Inps.
Inps: “Nessun compenso retroattivo a Tridico”.
La Direzione Risorse Umane dell’Inps comunica che non ha corrisposto al presidente Pasquale Tridico compensi arretrati in seguito all’emanazione del Decreto del 7 agosto 2020 e, in ogni caso, gli Uffici dell’Istituto non hanno mai previsto l’erogazione di un compenso arretrato al presidente per il periodo che va da maggio 2019 al 15 aprile 2020.
“Pertanto -scrive la direttrice centrale delle Risorse umane Maria Grazia Sampietro – la notizia apparsa sul quotidiano La Repubblica di oggi, a firma di Giovanna Vitale, in merito ad un compenso arretrato al Presidente pari a 100 mila euro è priva ogni fondamento”.
“Non ho preso nessun arretrato. 100mila euro? Un falso. Il decreto interministeriale prevede i compensi del cda e del presidente da quando il cda si è insediato, ovvero aprile 2020“.
Un aumento che era previsto — anche se non nell’importo — dalla legge che nel marzo 2019, sotto il governo gialloverde, ha riformato la governance dei due istituti ripristinando i consigli di amministrazione.
Quanto alla cifra — 150mila euro lordi, 90mila in meno rispetto al compenso massimo per i dirigenti pubblici — la documentazione ufficiale rivela che a deciderla non è stato il cda ma il ministero del Lavoro guidato da Nunzia Catalfo (M5s), peraltro confermando una proposta risalente all’anno scorso quando a guidare il dicastero era Luigi Di Maio. Nel frattempo l’istituto ha tagliato altre spese per un totale di 522mila euro, per cui l’aumento non comporta esborsi aggiuntivi per le casse pubbliche.
La cifra è stata proposta dal ministero del Lavoro — Il caso è stato sollevato da Repubblica, secondo cui “è stato lo stesso Cda, riunitosi nel bel mezzo del lockdown, ad auto-assegnarsi il quantum, poi suggerito alla Catalfo”. Il verbale del cda Inps del 22 aprile sembra raccontare un’altra storia: nelle premesse viene infatti citata la Nota n. 6445 del 7 aprile 2020, con la quale il capo di Gabinetto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha comunicato all’istituto l’importo degli emolumenti del presidente, del vicepresidente e del consiglio di amministrazione, nella misura di euro 150.000 per il presidente, 40.000 per il vicepresidente — estensibile fino a 100.000 in funzione delle deleghe allo stesso attribuite — , di euro 23.000 per ciascun altro componente del cda (…), invitando il predetto organo, una volta insediato, all’adozione della delibera di proposta dei citati compensi, con l’indicazione delle relative coperture finanziarie“.
Per quanto riguarda il compenso del presidente, la cifra è peraltro identica a quella che era stata proposta nel giugno 2019 — subito dopo la nomina di Tridico — dall’allora capo di gabinetto di Luigi Di Maio, Vito Cozzoli (nella sua nota, l’emolumento riconosciuto al vicepresidente è di 100mila euro senza riferimento alle deleghe).
Ricapitolando: il cda non si è “auto assegnato” gli aumenti. E’ stato il ministero del Lavoro a proporre la cifra, disponendo così l’adeguamento previsto dalla legge e mettendo fine al periodo transitorio che si era aperto nella primavera 2019, quando i gialloverdi hanno nominato Tridico commissario dell’Inps affiancandogli Adriano Morrone (area Lega) come subcommissario.
Nella fase transitoria a Tridico 62mila euro l’anno — In quella prima fase, ai due era stato attribuito rispettivamente uno stipendio di 62mila e 41mila euro lordi, ripartendo tra loro i 103mila euro che fino all’anno prima spettavano al predecessore Tito Boeri. Cifre evidentemente basse a fronte delle responsabilità  legate alla gestione di un istituto che eroga prestazioni per oltre 200 miliardi l’anno (molto di più nel 2020 del Covid). Tanto più che il tetto dei compensi per i dirigenti pubblici è fissato a 240mila euro. Tridico inoltre non ha altri redditi: dal 14 marzo 2019 è in aspettativa dall’università  di Roma 3 dove insegnava Politica economica.
La legge 26 del 28 marzo 2019 — il “decretone” su reddito di cittadinanza e quota 100 — stabiliva comunque che fosse nominato un cda e rimandava a un successivo decreto interministeriale Lavoro-Economia la definizione dei compensi, “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica“.

(da agenzie)

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FONDI LEGA, IL CASO BONDENO: “COSI’ LE DONAZIONI PER IL SISMA TORNAVANO NELLE CASSE DEL PARTITO”

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

FALSE FATTURE E DONAZIONI DI MILITANTI: LE IPOTESI DELLA PROCURA SUI SOLDI SPARITI E POI TORNATI SUI CONTI LEGHISTI

Nel 2013 il Carroccio avrebbe donato 900mila euro al comune di Bondeno, in provincia di Ferrara, per poi vedere quei soldi tornare nelle casse del partito. È questa la pista che sta seguendo la Guardia di Finanza di Genova nell’ambito dell’inchiesta sul presunto riciclaggio di 49 milioni di rimborsi elettorali ottenuto in modo illecito.
In particolare nel 2013 quei 900mila euro furono dati al comune Ferrarese per per riparare una scuola danneggiata dal sisma in Emilia del 2012. Tuttavia, secondo la Procura alcune delle donazioni potrebbe essere tornate alla Lega attraverso false fatturazioni da parte di imprese vicino al partito o «con donazioni o sponsorizzazioni delle campagne elettorali da parte dei militanti», scrive La Repubblica.
L’ipotesi è che il conto in banca Alletti, aperto dall’allora tesoriere Francesco Belsito, sia stato svuotato a poco a poco subito dopo l’uscita di scena di Umberto Bossi attraverso una serie di donazioni, contributi e sostegni alle Leghe regionali e associazioni per evitare il sequestro da parte del tribunale disposto dopo la condanna dell’ex tesoriere Belsito. Sui conti vennero trovati solo 3 milioni. Secondo gli investigatori i soldi sarebbero stati dirottati all’estero o in altri conti per poi, in tempi più recenti, fare rientro nelle casse del partito.
Quello di Bondeno potrebbe essere un sistema replicato più volte. Sempre nel 2013 altri 450mila euro da Banca Aletti — aggiunge La Repubblica — sono finiti all’associazione Maroni Presidente, e da questa sarebbero stati girati su conti legati alla Lega e usati formalmente per stampare manifesti elettorali. In realtà  i soldi sarebbero tornati al partito.
L’altro filone della Gdf riguarda quello emerso più recentemente dopo l’arresto dei tre commercialisti della Lega per il caso Lombardia Film Commission. Nel 2018 il notaio Mario Grandi aveva fatto partire un bonifico di 17,8 milioni di euro verso la Bailican Ltd, una società  di Cipro con conto in Svizzera, e trasferito 937.230 euro a Merchant Trust alle isole Cayman.

(da agenzie)

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M5S, LA SFIDA DI LOMBARDI: “FUORI I BIG DAL DIRETTORIO”

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

E NON ESCLUDE SCISSIONI: “QUANDO DEFINIREMO LA LINEA, A QUALCUNO NON PIACERA'”

La capogruppo del Movimento 5 stelle in Regione Lazio: «Metterei in segreteria persone che vengono dal territorio». E su Raggi dice: «Difficile che arrivi al ballottaggio»
«Vorrei che il Movimento fosse guidato da un organo collegiale, ma non con i soliti nomi: Di Maio, Di Battista, Taverna, Fico. Non mi sento big, ma certo, nemmeno io. Vorrei che a guidare fossero le persone che hanno spesso dato un contributo silenzioso, ma concreto». Così Roberta Lombardi, capogruppo del Movimento 5 stelle in Regione Lazio, che in un’intervista a Repubblica dice: «Metterei in segreteria soprattutto persone che vengono dal territorio e nessuno che sia al governo».
Lombardi non esclude scissioni, a partire da quella dell’ala facente capo ad Alessandro Di Battista: «Quando il Movimento diventerà  più definito a qualcuno piacerà , a qualcuno no: ognuno si regolerà  di conseguenza». Parlando di quanti si sono opposti alle alleanze per le Regionali, Lombardi dice: «Non credo volessero fare del male, ma sono state vittime di un pregiudizio». E su un possibile scambio col Pd in vista delle elezioni, con i dem al Campidoglio e lei alla Regione, afferma: «Trovo fantapolitica tutto il ragionamento. Quello che ho detto, in modo pragmatico e senza nessuna interferenza di tipo personale, l’ho detto perchè vivo a Roma, ho il polso di questa città  e penso sia difficile, con Raggi, arrivare al ballottaggio. E invece vorrei che visto che abbiamo lavorato molto, quel lavoro non andasse sprecato».
«Rousseau? Svolge un ruolo importante»
Per Lombardi il M5s dovrà  fare una scelta di campo, e «il campo è chiaramente quello progressista». Quanto a Rousseau, dice Lombardi, «svolge un ruolo importante nella vita dei 5 stelle: serve all’interazione con gli iscritti e deve appartenere al Movimento. Tutti devono pagare il dovuto, onorare gli impegni presi, se non accade consiglio a Davide di sospendere i servizi non essenziali — quelli che non sono legati alla consultazione degli iscritti — finchè la vicenda non sarà  risolta».

(da agenzie)

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ALARM PHONE, 111 MORTI IN MARE AL LARGO DELLA LIBIA: “L’EUROPA CONTINUA A UCCIDERE”

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

QUESTA SETTIMANA CI SONO STATI ALTRI 5 NAUFRAGI CON 200 VITTIME… INVECE CHE ROMPERE I COGLIONI ALLE ONG, L’ITALIA MANDI LA NOSTRA MARINA A SALVARE ESSERI UMANI, DONNE E BAMBINI

Il sito di monitoraggio dei soccorsi in mare, Alarm Phone, dà  notizia di un naufragio in cui hanno perso la vita 111 persone, avvenuto al largo delle coste libiche di Zuara, il 21 settembre scorso.
“Solo nove delle 120 persone sono vive, soccorse da un pescatore dopo giorni in mare. Con i sopravvissuti stiamo ricostruendo gli eventi. Serve assistenza medica urgente!”, scrive in un tweet l’Ong.
“Tra le vittime ci sono Oumar, Fatima e i loro quattro figli. Solidarietà  a famiglie e amici che hanno perso i loro cari in questo naufragio. Questa settimana ci sono stati segnalati altri 5 naufragi per un totale di circa 200 vittime. Le politiche di frontiera europee continuano a uccidere”, scrive ancora Alarm Phone.

(da agenzie)

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DA LONDRA A PARIGI GLI ERRORI DELLE RIAPERTURE

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

THE LANCET: “NON HANNO RISPETTATO I CRITERI DELLA SCIENZA”

Controlli alle frontiere, conoscenza dell’infezione, strategie di arginamento domestico. La rivista elenca i criteri a cui molti dei paesi europei che hanno riaperto non si avvicinerebbero neanche. A cominciare dall’Inghilterra
Lo studio della rivista scientifica The Lancet le chiama «lezioni». Le considerazioni scientifiche su quello che l’allentamento delle restrizioni sta sta significando per molti paesi del mondo, sono difatti una vera e propria lezione su quanto il tentativo prematuro di tornare alla normalità  stia in realtà  portando all’ennesima impennata di contagi da Covid-19.
Secondo l’analisi degli scienziati nessun Paese dovrebbe allentare le restrizioni di blocco fino a quando non sarà  in grado di soddisfare cinque precisi criteri. Al momento la maggior parte delle nazioni prese in esame, non si avvicina neanche ai punti elencati dallo studio, che evidenzia così gli enormi errori fatti finora sulla gestione delle misure anti-Covid
Gli errori di Francia, Spagna, Germania e Regno Unito
«Le prove sono chiare. Se stiamo assistendo a una recrudescenza della malattia, del numero di casi, allora hanno aperto troppo presto, è una specie di assioma». Il coautore dello studio Martin McKee, professore di sanità  pubblica europea presso la London School of Hygiene e Tropical Medicine, ha spiegato così alla Cnn gli errori principali di alcune nazioni del mondo, a partire dalle europee. Per Spagna, Germania, Francia e Regno Unito il commento è piuttosto chiaro: «Sulle fondamentali attività  di rilevamento, tracciamento, isolamento e supporto alle persone potenzialmente infettive, c’è carenza, nessun di questi Paesi lo fa nel modo giusto» ha detto, sottolineando come l’Inghilterra agisca «particolarmente male».
In buona sostanza le nazioni avrebbero aperto troppo presto e con misure troppo allentate rispetto ai criteri scientifici individuati per l’efficace controllo della trasmissione. Nessuno dei governi oggetto dello studio avrebbe rispettato uno o più dei cinque punti elencati come indispensabili dallo studio prima di allentare le maglie, con la conseguente perdita di controllo dei contagi.
Gli autori di Lezioni apprese dall’allentamento delle restrizioni COVID-19, hanno esaminato nove paesi e territori ad alto reddito che hanno iniziato ad allentare le restrizioni. Oltre agli europei già  citati, anche Hong Kong, Giappone, Nuova Zelanda, Singapore e Corea del Sud. La scoperta, anche per il resto del mondo, è stata quella di una non corrispondenza tra le decisioni governative e le tappe graduali da seguire per evitare nuove ondate di infezione
I cinque criteri
I criteri considerati indispensabili per monitorare il virus e, quindi, riaprire in sicurezza sono i seguenti:
«I paesi possono andare avanti principalmente sulla base dell’epidemiologia». La conoscenza dello stadio di infezione è uno dei criteri fondamentali per poter attuare un programma di allentamento. Un piano necessario che indichi esplicitamente i livelli e le fasi dell’alleggerimento delle misure. Tutto sulla base di precisi obiettivi epidemiologici che attraverso i numeri hanno il potere di dare il via libera all’eventuale passaggio ad una fase successiva.
«Nessun allentamento senza sistemi robusti per monitorare da vicino l’infezione». L’indice R, a cui attualmente si fa riferimento, può essere certamente considerato come uno degli indicatori massimi del processo decisionale. «Come si fa ad Hong Kong», spiega lo studio. Tuttavia l’indice deve essere necessariamente interpretato nel contesto più generale dell’andamento dell’epidemia. «Ad esempio, un piccolo focolaio localizzato può aumentare il valore R per l’intero paese, ma non richiede un blocco a livello nazionale», cerca di chiarire il documento.
«Misure continue per ridurre la trasmissione». Terzo criterio è quello di ridurre le interazioni a pochi contatti in modo ripetuto, per creare delle specie di «bolle sociali». Lo studio porta in esempio la Nuova Zelanda. Invece di elaborare le misure formulando ipotesi «su ciò che le comunità  possono o non possono accettare», secondo i ricercatori, il criterio per alleggerirle deve prevedere un coinvolgimento diretto dei cittadini. «Un processo di coproduzione di soluzioni su misura appropriate per il contesto locale».
«Efficace sistema di tracciamento». Per poter allentare le restrizioni, ogni Paese deve arrivare a un sistema di «ricerca, verifica, isolamento e supporto» funzionate al massimo delle sue possibilità . Particolare caso portato in esempio è quello del tracciamento digitale dei contatti tramite app. Un buon metodo per interrompere la trasmissione solo se il tasso di assorbimento da parte della popolazione «raggiunge almeno il 56%», specificano gli scienziati.
«Investimenti sanitari per attuare una strategia ZERO-COVID mirata all’eliminazione della trasmissione domestica». Un modello impegnativo, come spiega lo studio, ma che è fondamentale in un contesto di riapertura progressiva dei confini. Le operazioni di screening sono al centro di tale criterio e con esse una spesa sanitaria che vada di pari passo.
«Non è troppo tardi»
Sebbene le prospettive di trasmissione di Covid-19 non siano purtroppo ancora chiare e soprattutto delle più rosee, i ricercatori tengono a ribadire quanto molto si possa ancora fare. «Non è troppo tardi per apprendere e applicare le seguenti lezioni» dicono, augurandosi che le direttive spiegate possano guidare in maniera più consapevole le politiche di gestione future. In ogni caso, gli autori spiegano su Lancet che anche questa fotografia va considerata «provvisoria», e che serviranno ulteriori valutazioni per una lettura «definitiva».

(da agenzie)

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IL PROFESSOR GALLI: “IL VIRUS NON SE N’E’ MAI ANDATO”

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

IL DIRETTORE DEL SACCO: “IL LOCKDOWN RIGOROSO HA LIMITATO LA CIRCOLAZIONE DEL VIRUS MA L’EQUILIBRIO E’ FRAGILE”

“La mia personale impressione è che il lockdown per come lo abbiamo vissuto e sofferto, più rigoroso che altrove, abbia limitato la circolazione del virus in alcune parti d’Italia. Parecchie regioni non hanno avuto nuovi casi per un determinato lasso di tempo. Quell’intervento radicale ci ha dato una sorta di onda lunga di protezione, ma l’equilibrio è fragile”. Ad affermarlo, in un’intervista al Corriere della Sera, è Massimo Galli, il direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco di Milano.
“Dopo un’estate condotta in maniera non prudente in molte parti del Paese – sottolinea Galli -, c’è stata una ripresa dei contagi. Il virus non se n’è mai andato. Il rialzo dell’età  media dei casi suggerisce che l’infezione si sia diffusa nel contesto familiare. I numeri finora sono sostenibili. Tuttavia la medicina territoriale ha bisogno di essere irrobustita, per contenere i focolai”.
L’impatto della riapertura delle scuole, aggiunge, “si vedrà  nelle prossime due-tre settimane. Ora è presto: una parte degli istituti ha ripreso le lezioni il 14 settembre, altri dopo le votazioni. La Francia ha riapertura le scuole con 15 giorni di anticipo. Ma non ritengo che la loro situazione sia determinata da questo elemento”.

(da agenzie)

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SALVINI HA LA FEBBRE MA STA SUL PALCO INVECE DI STARE A CASA COME DA CONSIGLIO MEDICO

Settembre 26th, 2020 Riccardo Fucile

POI I SELFIE SENZA MASCHERINA… CHISSA’ SE SI DARA’ AMMALATO IL GIORNO DEL PROCESSO PER OTTENERE UN RINVIO

Ieri era proprio la giornata di Matteo Salvini. Dopo essersi lamentato per il sequestro del telefono dell’ex moglie perchè “ci sono le foto della figlia” ha ammesso di essere febbricitante ma invece di starsene a casa, come gli ha consigliato il suo medico ha preferito andare in giro tenendo il comizio a Formello e facendo la solita pausa selfie:
“Scusate il ritardo. Odio arrivare in ritardo ma oggi è una giornata partita non benissimo, sono stato due ore attaccato al cortisone. Quando mi sono alzato il medico mi ha detto ‘lei ovviamente adesso va a casa’. Io gli ho detto ‘sì, tranquillo, vado prima ad Anguillara Sabazia, poi a Formello e termino a Terracina. Ma poi vado a casa”.
Ha confermato di avere la febbre: “Ci tenevo troppo ad essere qua. Un po’ dolorante, un po’ febbricitante, ma è bello essere tra voi”
Poi, quando va via, si presta a fare gli immancabili selfie, guancia a guancia, con i fan e con la mascherina abbassata. Lo show va in scena venerdì sera durante il primo incontro di Itaca, tre giorni di dibattiti e confronti a Palazzo Chigi nel comune di Formello, comune sulla Cassia, alle porte di Roma, governato dal sindaco di centro destra Gianfilippo Santi, a marzo costretto alla quarantena dopo essere rimasto contagiato dal coronavirus.
Il video con le parole del leader leghista ha scatenato polemiche nella cittadina.

(da agenzie)

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