Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile REGIONI PER IL COPRIFUOCO NAZIONALE ALLE 18… CONTE PER ZONE ROSSE IN BASE A INDICE RT… E TUTTO VIENE RINVIATO ANCORA
Sono le otto di sera quando dal maxischermo che Giuseppe Conte ha davanti alla scrivania del suo ufficio a palazzo Chigi arriva una voce contrariata. È quella della ministra Teresa Bellanova: “Non possiamo mettere in discussione quel che ieri sera era un dato acquisito. Ognuno assuma le proprie responsabilità ”.
Una frase che spiega il grande vulnus decisionale che si è aperto nel Governo sul taglio da dare all’ennesimo Dpcm imposto dal virus.
Perchè la strategia dei lockdown mirati, messa a punto 24 ore prima, si sgretola al mattino, quando i governatori ribaltano la prospettiva: niente zone rosse, ma misure nazionali.
E così il premier e i capigruppo della maggioranza si ritrovano a dibattere e a litigare sul coprifuoco alle sei del pomeriggio. E a prendere atto che il nuovo decreto deve slittare a martedì.
Quello che registra il bollettino odierno del lavoro nervoso del Governo contro il virus è l’incapacità di mettere un punto fermo a una questione che precede i singoli contenuti della nuova stretta al Paese.
È la questione di come calibrare il taglio dell’intervento, che a sua volta si tira dietro il tema di chi decide.
Perchè il contenuto determina chi guida la partita, se le Regioni o il Governo. Conte si ritrova in mezzo a questo guado. Da una parte la convinzione personale, e condivisa da una parte della maggioranza, che bisogna agire con interventi mirati sui territori, seguendo la mappa che è arrivata dal Comitato tecnico-scientifico sui territori più a rischio.
Dall’altra i governatori che spingono in una direzione opposta. Il dem Andrea Orlando sintetizza la situazione in un tweet, scrivendo che i governatori “sono federalisti quando le cose migliorano. Centralisti quando peggiorano”.
Anche nel Governo però si rischia l’approccio opposto.
Alle nove di sera, quando termina l’ennesima giornata convulsa, il premier deve prendere consapevolezza che lunedì mattina, in Parlamento, potrà al massimo indicare una prospettiva.
Sempre se riuscirà a risolvere le questioni con le Regioni, che il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia e quello alla Salute Roberto Speranza incontreranno di nuovo alle 9 del mattino.
E comunque il nuovo Dpcm dovrà slittare a martedì perchè potrà essere scritto solo dopo una nuova giornata di riunioni. E non solo con i governatori, ma ancora con la maggioranza e con il Cts, senza considerare l’accoglienza che le opposizioni sono pronte a riservare al premier alla Camera e al Senato.
L’epilogo della giornata porta nella pancia una raffica di nuove discussioni, di nuove ipotesi, con pochi punti fermi e l’incapacità del premier di tirare una riga dritta.
Basta scorrere in sequenza quel che accade dal mattino a sera per capire come quello del Governo si stia configurando sempre più come un salto nel buio.
Al mattino è l’intervista di Speranza, che evoca l’immagine della curva dei contagi “terrificante”, a dare voce all’ala rigorista che preme sull’orientamento assai più moderato di Conte.
L’analisi del titolare della Salute mette in fila il conto che il virus sta presentando al Paese, indica un timing stringente, 48 ore, che è la cifra della necessità di fare subito e di intervenire in modo pesante.
La presa d’atto che “c’è troppa gente ancora in giro” è di fatto l’indirizzamento verso un lockdown ampio, perfino nazionale, che può essere preceduto solo da misure rigorose.
Ma il piano di Conte, tutto puntato sulle zone rosse più a rischio, viene messo seriamente in crisi a metà mattina, quando Boccia e Speranza si collegano con i governatori, i sindaci e i rappresentanti delle province. Già dalle prime battute si evince che la prospettiva degli enti locali è opposta a quella del Governo.
Boccia illustra il piano e spiega che il punto di riferimento per la nuova stretta sono il documento dell’Istituto superiore di sanità e il sistema di monitoraggio condiviso con il Cts e con le Regioni: le restrizioni scattano sui singoli territori automaticamente se l’indice Rt (quello che misura la contagiosità ) supera un certo livello.
E scattano in modo settoriale perchè ogni comparto ha un suo indice. Quindi le scuole, i negozi e tutto il resto possono procedere anche in modo difforme, seguendo l’indicatore che segnala l’esigenza di chiudere o al contrario la possibilità di tenere aperto.
“Non si deve prendere una decisione univoca sulla scuola, ma deve dipendere dal grado di Rt in ogni Regione”, dice ancora il ministro. L’intenzione del Governo, quindi, è far passare le nuove restrizioni dai singoli territori.
Così l’onere della scelta impopolare passa ai governatori. Il grande timore delle Regioni è quello di ritrovarsi inadeguati di fronte alla gestione dell’emergenza che salirebbe di livello con la creazione dei lockdown nelle grandi città .
E di pagare il conto economico della stretta locale.
Quando tocca a Vincenzo De Luca, il governatore della Campania va dritto al punto: “Io le chiusure le ho fatte in molte località , ma siamo riusciti al massimo a gestire le vie principali, il resto è impossibile”.
La grande criticità , soprattutto nelle grandi aree metropolitane, viene individuata nell’impossibilità di avere una capacità di controllo capillare. Insomma il blocco di una città si può pure fare, ma poi c’è il problema di come gestire il controllo di questo blocco. E i governatori del Nord, a iniziare dal presidente della Lombardia Attilio Fontana, sono ancora più tranchant: è proprio sbagliato pensare di risolvere tutti con le chiusure delle grandi città . La pensa così anche Giovanni Toti ed è Fontana a esternare il concetto in modo deciso: “No ai lockdown territoriali, se fermiamo Milano, fermiamo la Lombardia”.
Le Regioni propongono altro, vogliono che Conte adotti misure nazionali. Quindi un coprifuoco alle 18.
E Fontana, insieme a Toti e Cirio, propone anche un lockdown per gli over 70.
La prospettiva delle Regioni arriva alla riunione tra Conte e i capi delegazione della maggioranza, a cui si aggiungono poi i capigruppo. Si discute e si litiga.
Il premier ribadisce i suoi dubbi sul coprifuoco nazionale: meglio, dice, lo schema delle chiusure che scattano a livello locale in base all’indice Rt. I renziani si schierano contro la chiusura dei negozi alle sei del pomeriggio. Mentre le due idee sostenute dai governatori e cioè quella di una chiusura della mobilità tra le Regioni e di uno stop ai centri commerciali durante il week end sembrano trovare d’accordo anche tutto il Governo.
Poi c’è la questione scuola da risolvere perchè non tutti sono d’accordo alla didattica a distanza per tutte le classi delle medie. Troppi problemi. E troppa poca coesione, dentro e fuori il Governo, per chiudere il cerchio.
Servirà più tempo, ma se il dpcm rallenta, la curva no.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile “E’ IN GIOCO LA TENUTA DEL SISTEMA SANTARIO”
“Servono misure più drastiche per riuscire a piegare la curva epidemica e per consentire a tutti gli
italiani di essere curati”: lo ha detto all’ANSA il presidente della Federazione degli ordini dei Medici (Fnomceo), Filippo Anelli
Il riferimento non è a un vero proprio lockdown, rileva, in quanto “la chiusura delle attività commerciali crea un profondo disagio economico”, ma secondo Anelli dei provvedimenti drastici sono tuttavia necessari.
“Da settimane – ha aggiunto – continuiamo a dire che la curva, per come si è impennata, non ci lascia tranquilli e che, se continua così, ben presto negli ospedali prima non avremo più posti da dedicare ai malati non Covid e poi ai pazienti Covid”.
Chiede invece il lockdown “immediato” l’Ordine dei Medici di Torino, “un provvedimento drastico ma assolutamente necessario a causa dell’aggravarsi dell’emergenza sanitaria”.
Dopo le “numerosissime richieste e segnalazioni ricevute nelle ultime ore da medici ospedalieri e di medicina generale. Siamo consapevoli che il provvedimento causa enormi disagi – dice il presidente Guido Giustetto – ma è in gioco la stessa tenuta del sistema sanitario”.
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile PERSO IN INTRIGHI DI PALAZZO MENTRE IL PAESE LOTTA CONTRO IL VIRUS
C’è il mondo che cambia verso ogni due settimane, e c’è Matteo Renzi, l’unico esemplare del globo malato alle prese con mutamenti epocali, paradigmi saltati, cigni neri puntuali come un dpcm, che ha il lusso e la sventura di non cambiarlo mai.
Fedele a se stesso, il boy scout, il bullo, il rottamatore, l’iPhone più veloce del West, s’è messo in testa che deve mettere in croce lo strano governo che ha contribuito a creare, e non c’è pandemia che tenga, alla verifica, al tagliando, al rimpasto occorre pensare.
In un certo senso è persino rassicurante abbandonare al proprio destino gli amatissimi virologi e risvegliarsi in un remake post apocalittico di Goodbye Lenin, ma invece che nella cortina di ferro ritrovarsi in piena Prima Repubblica, alle prese con liturgie di palazzo, manovre parlamentari, pizzini ai giornali e a leader dell’opposizione, tradimenti nei fatti ma inesorabilmente smentiti.
Il virus, vero unico leader globale, mette in ginocchio pezzi da novanta come Macron e Merkel, intere economie, stili di vita consolidati, e Renzi che fa?
Una serie di interviste in cui parla di lockdown e misure insufficienti e di un premier populista, ma ogni parola che dice ne evoca un’altra: rimpasto di governo.
La stessa che una cellula dormiente come il senatore Marcucci in pieno dibattito al Senato, tira fuori dal cilindro, in un discorso non concordato col gruppo del Pd, di cui, incidentalmente, è anche a capo.
Non c’è niente da fare, il tipo umano è fatto così. Di cambiare passo al governo se l’era messo in testa a febbraio, prima del Covid, e da lì non si schioda.
Allora si trattava di cambiare la legge sulla prescrizione, cosa buona e giusta, ma con il problema che i 5 stelle non l’avrebbero digerito e il governo ne avrebbe risentito negli equilibri profondi. Insomma, i tempi non erano maturi.
Che poi, se si tratta di Renzi, il punto è proprio questo. Il tempo è fattore determinante e lui, che è rapido come una faina, lo sa e fa dell’anticipo la sua forza creatrice e/o distruttrice. Se arrivare per primo sul campo di battaglia è lezione basilare dei bignami della guerra, Renzi della regoletta del blitz ha fatto pratica esistenziale e quotidiana.
Dal celebre tweet, “arrivo arrivo”, digitato ansimante sugli scaloni del Quirinale la sera dell’incarico a premier nel 2014 al culmine della guerra lampo con Enrico Letta, al “riapriamo tutto: fabbriche, negozi, scuole, librerie, messe”, detto troppo in anticipo lo scorso maggio quando si era in pieno lockdown, il passo è breve. Anzi veloce, frenetico, ansiogeno.
Degno rampollo dell’azienda di famiglia, la Speedy srl, in cui il nostro, da giovane, fece rapida esperienza. L’importante è stare fuori dalla “palude”, metafora che apprezza come poche. Vale la pena rileggersi Lapo Pistelli che lo conosce bene dai tempi della Margherita: “Matteo è talmente rapido da farti venire il mal di testa”. Un po’ meno comprensivo fu Giovanni Sartori che lo definì “un peso piuma malato di velocismo”.
C’è da scommettere che leggendo quelle parole venate di futurismo Matteo si sia offeso, si sia macerato nel non poter replicare duramente su whatsapp – i costituzionalisti sono meno raggiungibili dei direttori – e poi se ne sia fatto una ragione. E abbia ripreso a correre, su un lungarno, un tapis roulant o un Malecon dell’Avana, come accaduto davvero a margine di una visita di Stato, scortato da un bodyguard cubano troppo più in forma di lui.
Errore di comunicazione visuale persino troppo grossolano per uno che tiene a tal punto al linguaggio del corpo da andare dagli Amici teen della De Filippi in chiodo di pelle alla Fonzie e si veste strizzato Scervino – tessuti leggeri e high tech – per esprimere esplosività . Ma che importa? Fatta la bischerata, si volta pagina. Perchè di questo gli va dato atto. Renzi incassa e riparte. Come non fosse successo niente. Talmente convinto di sè da risultare inscalfibile. Come fosse l’uomo elastico, uno dei Fantastici Quattro della Marvel, prende musate pazzesche ma non si fa niente, concavo e convesso a seconda delle occorrenze, e tira dritto
Lo teorizzava anche un altro da cui – per via della smisurata spacconaggine ha mutuato il soprannome – quell’Alberto Tomba, “la bomba”, che gli errori in pista bisognava rimuoverli subito. C’è sempre una seconda manche.
D’altra parte, non sarebbe arrivato a essere il 39enne presidente del Consiglio più giovane della storia italiana se “il bomba” si fosse fermato alla prima sconfitta documentata. Al liceo Dante (il sommo, che ne avrebbe fatto sicuramente veloce sonetto) quando si candida a rappresentante studentesco ma la sua lista “Al buio meglio accendere la luce che maledire l’oscurità ” caracolla al cospetto dell’avversaria “Carpe diem”, nome che deve averlo segnato per il resto della carriera politica.
Ascesa costellata di cocenti sconfitte e pronte reconquiste.
Perde alle primarie Pd del 2012 ma si prende il partito un anno dopo. Perde il referendum più personalizzato dai tempi di Bettino Craxi (quello di “Andate al mare”) e invece che lasciare la politica come promesso in mille occasioni, si fa un giro in treno per ritrovare la connessione sentimentale col Paese, lascia Gentiloni e mezzo suo governo a palazzo Chigi, e dopo la traversata nel deserto – più una deviazione, nel suo caso – torna in scena al momento giusto, anzi in due.
Prima da Fabio Fazio, quando fa saltare le consultazioni tra Zingaretti e i 5 stelle e apre la stagione dei pop corn, da assaporare mentre va in scena l’horror del governo gialloverde.
Poi, quando i pop corn rischiano di diventare indigesti, salvando il Paese dai pieni poteri di Salvini e dalla new wave sovranista. In pieno stile turborenziano.
È lui stesso a raccontarlo al Foglio.“L’8 agosto, quando Salvini ha fatto la follia. Ero a casa a Firenze, appena rientrato da Roma. Mi arriva l’agenzia con cui Salvini chiude ufficialmente l’esperienza di governo. Respiro. E mi vedo il film. Papeete, tour nelle spiagge, caccia all’immigrato, mojito, dichiarazione contro Macron, cubista che balla, mercati che ballano, spread che aumenta…”
A quel punto il senatore si morde la lingua pensando all’idea di votare la fiducia a un governo con dentro Di Maio, e manda un sms all’unico del Pd con cui parla, Andrea Orlando: “Andrea, se fossimo seri ora sarebbe il momento di fare politica. Sentiamoci’. Poi prende la Mini della moglie Agnese e guida fino alla festa dell’Unità di Santomato, nel pistoiese: “Sono uno di quelli che quando ha bisogno di riflettere, ama guidare”. Figuriamoci.
Ma non è finita. Non pago della ritrovata centralità , pochi giorni dopo, fa quello che aveva in mente da anni, dal 40 per cento delle europee del 2014, ossia lascia il Pd.
In un lampo: un’intervista a Repubblica e un whatsapp al segretario Zingaretti. “A decisione presa”. Dieci anni dopo aver pronunciato per la prima volta la parola “rottamazione” di “un’intera generazione di dirigenti” del partito, è lui a levarsi dai piedi. Senza incentivi, direbbe. Una scelta fulminea in nome della sua libertà “ritrovata” che riesce a mettere d’accordo pur con sfumature diverse Goffredo Bettini (“L’operazione è un bene per tutti”), Lucia Annunziata (“Un’operazione di verità , stavolta non è criticabile”), Massimo Cacciari (“Finalmente”) e gran parte dei dem che tirano un sospiro di sollievo.
Al contrario di Conte (2) che da quel momento dovrà vedersela direttamente con lui. “Adesso Renzi può indebolire Conte, se per esistere dovrà marcare le differenze”, sentenzierà il saggio Rutelli, un altro che del ragazzo di Rignano legge mosse e pensieri.
Così dalle ceneri della fenice di Rignano nasce Italia Viva, che era stato lo slogan di una lontana Leopolda, la kermesse annuale per contare e contarsi nell’ex stazione di Firenze, progetto macroniano di un partito nazione. “Renzi — scrive Eugenio Scalfari — punta a ottenere un risultato politico che lo porti alla testa della struttura che ha in mente: un altro partito, vicino al quello democratico, ma da lui guidato”. Progetto difficile, perchè in primis, come osserva Michele Salvati, Renzi non è Macron, la cui novità è “nella provenienza da un mondo diverso da quello della politica politicienne”.
E infatti, Italia Viva respira nel Palazzo ma non cresce nel Paese. Anzi nonostante le fanfaronate del suo leader, “Si è vinto così anche grazie a noi”, è totalmente ininfluente alle ultime Regionali mentre il Pd si consolida. Ma non importa. Neanche stavolta. Riparte il fuoco di fila parlamentare e a metà ottobre arriva a sorpresa lo stop dei renziani al voto ai 18enni per il Senato. Ai dem, Graziano Delrio in testa, saltano i nervi. Poi c’è la nuova emergenza pandemia, ed eccoci ai continui distinguo, bollati come “irresponsabili” dal resto della maggioranza.
“Dopo sette anni di fuoco amico — sosteneva Renzi, uscendo da Pd — penso si debba prendere atto che i nostri valori, le nostre idee, i nostri sogni non possono essere tutti i giorni oggetto di litigi interni”. Esatto. Persino coerente. Molto meglio spostare i litigi direttamente dentro il governo. Però il Paese è altrove, alle prese con il reale, col virus, e Renzi appare sempre più nella temuta palude, laddove la velocità rischia di portarti a fondo.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile I MANIFESTI AFFISSI A TORINO
«Morto da patridiota» è l’ultima opera dello street artist senza nome di Torino che durante la
notte di Halloween ha affisso i suoi manifesti con la scritta No Mask inciso su una lapide.
Il poster che sbeffeggia i negazionisti del Coronavirus, si trova in piazza Zara e alla rotonda di Viale Dogali, negli stalli pubblicitari. Lo street artist, che vuole restare anonimo, si firma come Andrea Villa.
L’autore ha raccontato a Open che l’idea per l’ultima opera è giustificata dal fatto che «l’autorizzazione dell’opinione pubblica alla demagogia culturale ha creato una degenerazione dei costumi dovuta principalmente all’ incapacità degli utenti ad usare i nuovi media per arricchire il loro bagaglio culturale».
Secondo Villa il diritto di informazione «dovrebbe essere tolto al popolo perchè citando Umberto Eco “genera una legione di imbecilli”, e quindi penso che il popolo dovrebbe essere guidato da una classe aristocratica intellettuale poichè fondamentalmente non capisce un cazzo».
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile BIDEN IN TESTA IN QUATTRO STATI CHIAVE
L’ex vicepresidente Joe Biden guida i sondaggi alla vigilia dell’election day. Secondo l’ultima indagine condotta da NBC News e dal Wall Street Journal, Biden può contare su 10 punti di vantaggio sull’avversario, con il 52% del consenso fra gli elettori registrati contro il 42% di Trump.
Il trend è leggermente in calo, rispetto ai 12 punti di due settimane fa, ma comunque enorme.
Di 8 punti è invece il vantaggio secondo un’indagine di Reuters e Ipsos: in quel caso Biden è davanti 51% contro 43%.
Oltre 92 milioni di americani hanno già votato via posta prima del 3 novembre, data dell’Election Day. Rappresentano il 66,8% dei votanti del 201
Gli intervistati approvano la gestione di Trump dell’economia, ma il loro giudizio è fortemente negativo (57%) per quanto riguarda la gestione pandemica.
Il 51% degli intervistati ha detto che non voterebbe mai per Trump, mentre il 40% ha detto lo stesso per Biden.
A spostare l’ago della bilancia a favore del candidato democratico negli Stati in bilico sono stati gli elettori che non avevano votato nel 2016, quasi il 28% dei voti anticipati. Se l’affluenza continuerà a questo ritmo prima di martedì saranno pronte più di 100 milioni di sched
A due giorni dalle elezioni, Joe Biden è in vantaggio sul presidente Donald Trump in quattro Stati chiave: Pennsylvania, Florida, Arizona e, con un ampio margine, nel Wisconsin.
Secondo un sondaggio condotto dal New York Times e il Siena College, il candidato democratico è molto forte soprattutto in Wisconsin, dove avrebbe la maggioranza assoluta dei voti sopra Trump di 11 punti, col 52% dei voti contro il 41% del presidente.
A spostare l’ago a suo favore negli Stati in bilico, i più contesi, sono stati gli elettori che non avevano votato nel 2016, quasi il 28% dei voti anticipati secondo un’analisi di TargetSmart.
Non era mai accaduto che l’affluenza anticipata raggiungesse numeri del genere: per la prima volta nella storia la maggioranza dei voti sarà espressa prima del giorno delle elezioni. I cittadini hanno votato per posta o di persona. Il 28 ottobre le schede compilate erano già oltre 69 milioni.
L’analisi nel particolar
Secondo un’analisi del Washington Post almeno 91.655.857 americani avevano votato già fino sabato sera. I dati dello US Elections Project, gestito da Michael McDonald, scienziato politico presso l’Università della Florida, confermano che circa 32,9 milioni hanno espresso la propria preferenza di persona sabato pomeriggio. Nei 20 Stati in cui sono disponibili i dati di registrazione del partito, il 45,9% sono democratici, il 30,2% repubblicani e il 23,3% senza affiliazione al partito.
Identikit dell’elettore che ha già votato
Gli elettori afroamericani si sono presentati in gran numero sia a livello nazionale che in alcuni Stati chiave come la Georgia e la Carolina del Nord. Anche gli under 30 non sono mai stati così numerosi. Un trend che era già cominciato nelle elezioni di mid term nel 2018 quando erano più che raddoppiati.
La Gen Z, gli elettori millennial abbracciano l’attivismo e spingono al voto, e perfino i più piccoli, che non possono ancora votare ma sono fedeli seguaci di Greta e del movimento ambientalista stanno spingendo affinchè i propri genitori votino Biden.
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile CENTOMILA IN PIAZZA DA TRE MESI NONOSTANTE CARCERI E TORTURE
Al momento c’è un solo reporter italiano in Bielorussia, dove da oltre tre mesi è in corso una
violenta rivolta contro l’ultimo dittatore d’Europa, Lukashenko.
La sua presenza è preziosa poichè costituisce l’unica vera fonte senza filtri capace di raccontare cosa accade sul territorio. Grazie al suo lavoro sul campo, siamo in grado di documentare quello che avviene nella capitale Minsk
Ogni maledetta domenica le strade principali di Minsk vengono invase da una fiumana di persone che le fa letteralmente straripare. Più di 200mila bielorussi formano un corteo colorato di bandiere bianco-rosse. I colori tradizionali della Bielorussia. Dal mese di agosto ad oggi — ininterrottamente per oltre tre mesi — la popolazione si dà appuntamento nel centro della città , paralizzandola, per protestare contro il presidente Aleksandr Lukashenko, in carica da 26 anni, colpevole secondo i manifestanti di aver sistematicamente truccato le elezioni politiche, oltre a negare i più fondamentali diritti umani e perseguitare i suoi oppositori.
Ma perchè tutto ciò avviene solo di domenica? L’economia familiare bielorussa è estremamente debole (oltre ad essere piegata da una micidiale crisi economica), così decine di migliaia di famiglie non possono permettersi d’incrociare le braccia durante i giorni feriali e scendere in piazza ogni giorno.
Stesso dicasi per la maggior parte degli studenti coinvolti nelle proteste, i quali temono di perdere per sempre il diritto allo studio. Del resto è anche a causa di questi motivi che lo sciopero nazionale proposto della leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya, in esilio a Vilnius, in Lituania, ha riscontrato un debole successo con solo il 50 per cento delle fabbriche che hanno risposto positivamente al suo appello.
Ecco insomma perchè le strade di Minsk (compresa quella alle mie spalle dove la polizia ha sparato) dal lunedì al sabato appaiono regolarmente trafficate come se nulla fosse. Per disperdere la folla dopo le sette di sera la polizia ha utilizzato granate assordanti e proiettili di plastica nel quartiere centrale di Nemiga
Queste armi vengo utilizzate ad altezza d’uomo provocando gravi lesioni tra i manifestanti e lasciando sul campo ogni domenica decine di feriti.
Come se non bastasse le forze speciali della polizia (OMON), nelle notti della domenica e nei giorni successivi alle proteste di piazza, rastrellano i manifestanti, i quali vengono fotografati dai servizi segreti, nelle loro case private e negli atenei universitari strappandoli dalle loro famiglie e incarcerandoli, e talvolta torturandoli
Patrizio Russo
(da TPI)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile AVEVANO AFFITTATO UN APPARTAMENTO CON PISCINA E SALA CINEMA PER 2.500 EURO… ALLERTATI DALLA MUSICA I VICINI CHIAMANO LA POLIZIA: TUTTI DENUNCIATI, MOLTI ERANO UBRIACHI
Una festa clandestina di Halloween è stata scoperta e interrotta dai carabinieri del Nucleo Radiomobile che hanno denunciato i partecipanti, venti ragazzini tra i 18 e i 20 anni, per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità in relazione alle norme sul contenimento della diffusione del Covid.
L’intervento dei militari è scattato all’una di notte presso un’abitazione di via Niccolini, al quartiere cinese, dopo una segnalazione di una festa in corso. I residenti riferivano alla centrale operativa schiamazzi e musica ad alto volume.
I carabinieri hanno trovato così il gruppo di ragazzi, residenti quasi tutti a Milano, qualcuno nell’hinterland, a Paderno Dugnano e Limbiate.
L’appartamento, un’abitazione dislocata su due piani con piscina e sala cinema, era stato affittato per 2.500 euro dal gruppo proprio per festeggiare la ricorrenza di Halloween.
Gli organizzatori avevano previsto ingressi a pagamento e un servizio bar ben fornito di alcolici. Tanto che i carabinieri hanno trovato molti dei ragazzi ubriachi, qualcuno anche in una condizione tale da dover richiedere l’intervento delle ambulanze.
Dalle verifiche, nessuno dei partecipanti risulta censito all’anagrafe dei contagiati da Covid. E così dopo aver preso le generalità di tutti, sono state restituite le chiavi dell’appartamento ad un fiduciario della società proprietaria. I ragazzini sono stati denunciati e anche multati, poi invitati a tornare a casa.
(da agenzie)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile LA PROVOCAZIONE DEL PRIMARIO DI RIANIMAZIONE DELL’OSPEDALE DI RIVOLI: “IL REPARTO E’ VUOTO, HO FATTO SDRAIARE MEDICI E INFERMIERI GIUSTO PER FARE LA FOTO”
«Non ci credete? Bene, La TourinGrio organizza tour guidati in Rianimazione e nei reparti Covid». 
Usa l’arma dell’ironia Michele Grio, primario della rianimazione di Rivoli (Torino), rivolgendosi con un post sui social ai (tanti) negazionisti che vogliono far credere che i reparti negli ospedali siano vuoti.
Con ironia, in un lungo post su facebook, ha spiegato, ancora una volta, come lui e i suoi colleghi stanno affrontando la nuova ondata di Covid che ha colpito anche la regione Piemonte.
«No no, è tutto vuoto, ho fatto sdraiare i miei medici ed i miei infermieri giusto per fare le foto, le buste le indossiamo per la cellulite — scrive il medico da sempre impegnato nel reparto-. Non dormiamo perchè ormai siamo avanti con l’età e passiamo le giornate seduti mangiando e bevendo. Non ci credete? Bene, la TourinGrio organizza da domani tour guidati in Rianimazione e nei reparti Covid: sarà per me un piacere farvi personalmente da guida e condurvi in un piacevolissimo viaggio in quello che per noi è un girone dantesco, ma per voi giustamente è esagerato. Ah, dimenticavo, io mi bardo con tuta, maschera e calzari, a voi non servono ma tengo libero un letto con ventilatore meccanico e monitoraggio continuo multiparametrico molto invasivo. Nel gabinetto, perchè lo sgabuzzino l’ho già impegnato”.
E poi conclude con un consiglio a chi nega la presenza del virus. «Non chiedeteci suggerimenti se vi ammalate dopo aver scritto e pensate la qualunque. Coerenza, ci vuole coerenza».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Novembre 1st, 2020 Riccardo Fucile SEI SU DIECI FAVOREVOLI A LOCKDOWN PER GLI OVER 65, OGNUNO PENSA AI CAZZI PROPRI….PERCHE’ ALLORA NON UN LOCKDOWN AGLI UNDER 65 CHE INFETTANO GLI OVER 65?
Con l’avanzare della seconda ondata di pandemia di coronavirus, aumenta anche il livello di preoccupazione per la propria salute degli italiani.
L’88% degli intervistati per l’ultimo sondaggio condotto da Ixè si dicono preoccupati. Tra questi, il 42% del totale sono “seriamente preoccupati”.
Numeri che hanno ormai raggiunto quelli della prima ondata, quando il governo aveva optato per un lockdown nazionale.
La preoccupazione dei cittadini è direttamente collegata alla prossimità con casi di Covid. Manifestano più paura per la propria salute proprio coloro che conoscono o sono venuti in contatto con persone che hanno contratto il coronavirus, situazione segnalata da circa tre italiani su quattro, con un aumento nell’ultimo mese dovuto anche al picco di nuovi casi.
Nell’attuale situazione, sei cittadini su dieci sarebbero a favore di un lockdown circoscritto agli over 65 e alle persone con gravi patologie.
(da agenzie)
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