Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
SAREBBE LA PROVA CHE “E’ TUTTO UN COMPLOTTO E CHE IL VIRUS NON ESISTE”, MA LA VERITA’ E’ UN’ALTRA: STAVA RIENTRANDO IN POSTAZIONE ALL’OSPEDALE DOPO UN INTERVENTO A DOMICILIO… CHI DIFFONDE QUESTE FALSE NOTIZIE E’ UN CRIMINALE
Ha accumulato migliaia di condivisioni, commenti e ri-condivisioni su social network diversi da Facebook (Instagram, Twitter, ma anche Tik tok) perfino massive spedizioni su Whatsapp e Telegram un video di un quarto d’ora, girato da un automobilista residente nella provincia di Napoli, zona Vesuviana, in cui si vede un’ambulanza della Croce Rossa che percorre le strade tra Portici, Ercolano e Torre del Greco, per un tratto anche con la sirena accesa, e alla fine parcheggia nell’ospedale Maresca.
Dal portellone posteriore del mezzo di soccorso non scende nessuno.
Secondo chi l’ha registrato, e purtroppo anche secondo molte delle migliaia di persone che lo hanno condiviso, il filmato sarebbe la prova schiacciante di un complotto che sta diventando popolare in questi giorni: le ambulanze verrebbero mandate in giro per le città a sirene spiegate ma vuote, col solo scopo di diffondere terrore.
La realtà è naturalmente diversa, come ha spiegato a Fanpage.it Domenico Piscitelli, presidente del Comitato di Ercolano della Croce Rossa Italiana.
L’uomo che ha girato il video scappa via non appena l’ambulanza si ferma e quindi, in concreto, quel video non dimostra proprio nulla, se non per chi è già convinto di una tesi (per quanto assurda sia).
L’unica cosa che quel video dimostra è che l’uomo ha commesso diverse infrazioni: ha pedinato l’ambulanza per quasi dieci minuti, è stato incollato a un mezzo di soccorso con le sirene accese, ha tenuto il telefonino in mano alla guida e ha superato varie volte i limiti di velocità .
Oltre ad avere un comportamento che può istigare altri a seguire a loro volta le ambulanze, a bloccarle o ad aggredire i sanitari: “questi stanno giocando con la nostra vita — dice nel video — vanno linciati” e “sono dei criminali, dei bastardi”.
Ambulanza vuota tornava da intervento in casa
Ma quell’ambulanza era davvero vuota? Sì, lo era: al suo interno non vi era nessun paziente. Il complotto non c’entra nulla: le ambulanze sono sempre vuote quando tornano alla postazione e capita che, nel caso siano già “prenotate” per un altro intervento, debbano usare la sirena per ridurre i tempi.
“Quella mattina — spiega Piscitelli a Fanpage.it — una delle nostre due ambulanze è stata ripresa in un video mentre stava tornando all’ospedale Maresca di Torre del Greco. L’equipaggio era intervenuto alle 5 in casa di un paziente sospetto Covid che necessitava di ossigeno; intorno alle 7 un parente dell’uomo aveva reperito una bombola e l’ambulanza stava quindi tornando in postazione.
Attualmente per i mezzi di soccorso c’è una lista di attesa, le ambulanze effettuano un intervento dopo l’altro, con la sola pausa della sanificazione, ed i tempi sono limitati: per questo l’equipaggio ha usato la sirena che, come prevede la legge, va disattivata quando c’è la strada libera o una volta arrivati nei pressi dell’ospedale.
Gli equipaggi sono sottoposti a turni massacranti, la mancanza di posti letto blocca le ambulanze anche per dieci e più ore in fila, e c’è sempre un nuovo intervento in coda: altro che finta emergenza”.
(da Fanpage)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
PAZIENTI COVID E NON COVID NON SEPARATI, REPARTI ALLO STREMO… “SEMBRA KABUL O BAGDAD, UNO SCENARIO INACCETTABILE”
L’aumento dei contagi in Campania sta mettendo a dura prova la tenuta delle strutture sanitarie della regione. Le ambulanze del 118 sfrecciano a qualsiasi ora del giorno e della notte per soccorrere i pazienti affetti da Covid-19.
L’ospedale del Mare e l’ospedale Cardarelli, il più grande del Mezzogiorno, sono i due principali nosocomi della città di Napoli e sono sottoposti a una mole di lavoro impressionante. I due maggiori pronto soccorso della città accolgono pazienti sospetti Covid di continuo.
Una situazione che ha portato a uno scenario drammatico in cui sono saltate le distanze di sicurezza tra i pazienti, mentre le file di ambulanze in attesa sono una scena pressochè quotidiana.
Siamo andati a vedere la situazione di notte
Ospedale del Mare: “Manca l’ossigeno, sembra Kabul”
Le immagini del pronto soccorso dell’Ospedale del Mare mostrano i pazienti Covid e non Covid negli stessi ambienti, sulle barelle, divisi praticamente da nulla. In queste condizioni la possibilità di trasmettere il virus è altissima.
Anziani e meno anziani sono ammassati con letti e barelle attaccati l’una all’altro. Non c’è spazio, l’afflusso di pazienti è continuo. I posti letto sono esauriti, si liberano con il contagocce, per questo restano tutti in pronto soccorso.
Incontriamo uno degli infermieri del pronto soccorso dell’Ospedale del Mare, ci chiede di restare anonimo (l’editto di Vincenzo De Luca che impedisce a medici e infermieri di parlare con i media se non autorizzati dall’unità di crisi da lui presieduta, ha creato il terrore tra il personale medico sanitario).
“A me sembra Kabul, Baghdad, in un paese occidentale scene di questo tipo non sono tollerabili — ci spiega — non sappiamo più dove mettere le persone, questa situazione perdura da settimane”.
Allo scenario da ospedale di guerra visto nel pronto soccorso si unisce il rischio di contagio: “Non ci sono più aree destinate ai pazienti Covid e aree destinate ai pazienti non Covid — ci racconta — si mischia tutto, pazienti che accedono per altri problemi poi diventano Covid. Si stanno creando dei focolai”.
Le immagini raccolte da Fanpage.it negli ultimi giorni, mostrano anche le file di ambulanze in attesa al pronto soccorso stracolmo: “I pazienti aspettano in ambulanza per ora fuori al pronto soccorso, vengono trattati anche in ambulanza da medici e infermieri, fuori da noi all’Ospedale del Mare siamo arrivati fino a 7 ambulanze in fila”. Ma l’aspetto più drammatico riguarda la carenza di ossigeno. Lo scorso 4 novembre la farmacia dell’Ospedale comunicava l’esaurimento delle scorte di ossigeno, fondamentale per ventilare i pazienti affetti da Covid 19. Una situazione che anche nei giorni successivi è rimasta drammatica, con poche scorte che vengono destinate quasi tutte al pronto soccorso. Uno scenario denunciato anche da una lettera inviata da una ventina di medici alla direzione sanitaria dell’ospedale: “I pazienti vengono accolti e trattati in spazi non sicuri e non adeguati alla gravità della situazione — scrivono i medici — sono saltati i percorsi separati. Decliniamo ogni responsabilità derivante da questa situazione e chiediamo interventi urgenti”.
Cardarelli: “Il Pronto soccorso è un lazzaretto”
Le immagini che arrivano dal Cardarelli sono molto simili a quelle dell’Ospedale del Mare. Qui i pazienti Covid e non Covid in pronto soccorso sono divisi semplicemente da una tendina.
Negli ultimi giorni però l’aumento dell’afflusso ha determinato un ulteriore mescolamento che ha coinvolto anche l’OBI, osservazione breve intensiva, l’area che si trova subito dopo il pronto soccorso e da dove i pazienti dovrebbero essere poi smistati in altri reparti. Ce lo racconta la figlia di un anziano che si trova proprio nell’OBI del Cardarelli, che ci ha inviato ulteriori immagini della situazione: “I pazienti sono tutti mischiati, Covid e non Covid”.
Rodolfo Nasti è un medico sindacalista dell’ANAOO Assomed: “Durante la notte abbiamo lo zenit degli accessi, tutti si riversano al pronto soccorso e in questa condizione è impossibile tenere separati i percorsi tra Covid e non Covid, in queste condizioni il pronto soccorso diventa un lazzaretto”.
Da qualche giorno sono iniziati i lavori per l’installazione di un ospedale da campo della Croce Rossa nel parcheggio dell’ospedale Cardarelli che dovrebbe dare ulteriori posti letto alla struttura, ma per ora non si sa come funzionerà , con quali medici e con quali infermieri: “C’è una tendostruttura, un ospedale da campo, ma ad oggi non sappiamo chi lo farà funzionare — ci spiega Nasti — doveva venire il personale dell’esercito ma per ora tutto tace”
“Bisognava fare le formiche e non le cicale” : perchè siamo ridotti così?
“Bisognava fare le formiche e non le cicale — ci spiega l’infermiere dell’Ospedale del Mare — accumulare scorte di farmaci, presidi sanitari, di personale soprattutto, di medici, di infermieri”. Già perchè la domanda da porsi è: come è possibile che la Campania si sia ridotta così? Come è possibile che una regione che 8 mesi fa era tra le meno colpite dal Covid 19 sia stata messa k.o.? Semplicemente bisognava organizzarsi. “Molte volte a noi che ci lavoriamo qui dentro — sottolinea l’infermiere — ci sembra che queste scelte siano prese dall’alto, da politici, da tecnici di altri settori e non da medici, da chi dovrebbe capirne qualcosa”.
Il dato di fatto è che al di la dei numeri, delle zone gialle, rosse o arancioni, gli ospedali napoletani scoppiano: “Non sappiamo più dove metterli — conclude l’infermiere — non abbiamo più posti, non abbiamo dove metterli, io personalmente non vorrei mai trovarmi in questa situazione, nella situazione di avere bisogno del pronto soccorso, in questo momento”.
(da Fanpage)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
LOCALI E STRADE PIENE, C’E’ ANCHE CHI FA IL BAGNO
Persone che prendono il sole, altre che fanno il bagno, altre ancora che si godono il pranzo al
ristorante sul lungomare.
Questa è la scena di un sabato assolato in piena seconda ondata da Coronavirus a Napoli. Locali pieni, traffico intenso, passeggiate in mascherina su un lungomare rimasto aperto, secondo la chiara direttiva del sindaco De Magistris.
Una decisione che va in direzione esattamente opposta all’invito fatto giorni fa dal presidente di Regione Vincenzo De Luca a tutti i sindaci, esortandoli a tenere chiuse nel fine settimana sia le aree del lungomare sia quelle dei centri storici.
Uno scontro continuo che sembra non trovare punti di svolta: «Sono un uomo delle istituzioni da trent’anni ma con De Luca è impossibile avere un dialogo» si è lamentato De Magistris. Nonostante le decisioni poco restrittive riguardanti le zone della città più a rischio assembramento, il sindaco di Napoli continua a dichiarare «molto grave» la situazione dei contagi, esponendo ancora non pochi dubbi sulla decisione del governo di inserire la Campania tra le zone gialle del Paese, e quindi quelle considerate a minor rischio.
A fare eco al sindaco anche il direttore generale del Cotugno di Napoli, il professor Maurizio Di Mauro: «Vi prego, fate tutti un lockdown personale» ha detto il direttore, da poco tornato negativo dopo aver contratto anche lui il virus. «Il personale sta facendo sforzi sovraumani, ma siamo al limite».
(da agenzie)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
I DATI DI OGGI SONO DRAMMATICI, MA TUTTI HANNO PAURA DI DIRE CHE SENZA LOCKDOWN SERIO E TOTALE NON SE NE ESCE
Sono quasi 40mila (39.811) i nuovi contagi da coronavirus registrati nel nostro Paese nelle ultime 24 ore, in ulteriore aumento rispetto ai 37.809 di ieri.
I tamponi, invece, sono in lieve calo: 231.673 contro i 234.245 effettuati ieri.
Ciò significa che il tasso di positività , cioè il rapporto tra nuove infezioni e test, è passato dal 16,1 a 17,1%. Per quanto riguarda i posti letto occupati in ospedale, l’ultimo bollettino del ministero della Salute fotografa una situazione ancora in peggioramento. Sono oltre 1.200 le persone ricoverate nel giro di un giorno: 119 in terapia intensiva e 1.104 in reparti Covid. 425 i decessi.
Guardando ai dati delle singole Regioni, la Lombardia supera quota 11mila casi: le nuove infezioni sono 11.489, a fronte di 46mila tamponi. 108 i decessi.
L’incidenza dell’infezione qui sfiora il 25%. Ciò significa che un lombardo su quattro tra chi si sottopone al test risulta positivo.
Sempre sopra i 4mila contagi quotidiani la Campania (+4.309) e il Piemonte (+4.437), anche se in lieve calo rispetto a ieri.
Seguono il Veneto, che registra un nuovo record con 3.815 casi, l’Emilia Romagna (+2.009), il Lazio (+2.618) e la Toscana (+2.787).
Liguria, Puglia e Sicilia sono tutte e tre sopra i mille contagi. Nessuna Regione registra un numero di casi inferiore alle tre cifre (anche il Molise, con 152 positivi in più).
Picco in Friuli Venezia Giulia, passata dai 542 contagi di ieri ai quasi 900 di oggi. Male anche la Calabria, alle prese con 392 casi in più (ieri erano 264).
Stando all’andamento settimanale dei contagi, risulta che due settimane fa i nuovi casi accertati tra lunedì e sabato erano 90.277, poi saliti a 153.670 una settimana fa.
Tra lunedì e sabato di questa settimana, invece, sono arrivati a quota 193.172, praticamente il doppio rispetto a 14 giorni fa.
In forte aumento i decessi, oltre 1.200 solo negli ultimi tre giorni. Rispetto all’inizio dell’epidemia, il totale dei morti arriva quindi a 41.063, mentre sono 902.490 le persone risultate positive al Covid finora. 328.891 i malati dimessi dall’ospedale o guariti, di cui oltre 5mila solo oggi. Il totale delle persone attualmente positive è invece pari a 532.536, di cui 504.793 in isolamento domiciliare. Oltre 120mila sono cittadini lombardi.
(da agenzie)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
NON VEDEVANO L’ORA DI LIBERARSI DI TRUMP
La vittoria di Joe Biden e Kamala Harris alle presidenziali Usa era stata annunciata da poco e
già arrivavano, in particolare su Twitter, i messaggi di congratulazioni – e gli auspici – di molti leader internazionali. Eccone alcuni.
Sergio Mattarella , presidente della Repubblica, in un messaggio inviato direttamente a Joe Biden, scrive “Desidero esprimerLe, a nome della Repubblica italiana e mio personale, i più calorosi rallegramenti per la Sua elezione alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Il popolo americano ha affidato a Lei, a seguito di un confronto che ha visto una straordinaria partecipazione, il mandato di guidare gli Stati Uniti in un momento drammaticamente complesso per l’intero pianeta. La comunità internazionale ha bisogno del contributo statunitense, a lungo protagonista nel costruire le regole del multilateralismo, per affrontare una crisi senza precedenti che sta mettendo a repentaglio la salute, la vita e l’avvenire di milioni di persone”.
Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, afferma: “Siamo pronti a lavorare con il presidente eletto Joe Biden per rafforzare le relazioni transatlantiche. Gli Stati Uniti possono contare sull’Italia come un solido alleato e un partner strategico”.
La cancelliera Angela Merkel, commenta: “La nostra amicizia transatlantica è insostituibile se vogliamo superare le grandi sfide di questo tempo”.
Anche Emmanuel Macron, presidente francese, si congratula con Joe Biden per l’elezione a presidente degli Stati Uniti e lancia un invito: “Lavoriamo insieme”.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen commenta : “L’Ue e gli Usa sono amici e alleati, i nostri cittadini condividono i legami più profondi. Non vedo l’ora di lavorare con il presidente eletto Biden”.
C’è poi il premier britannico, Boris Johnson, che dice: “Gli Usa sono il nostro più importante alleato e non vedo l’ora di lavorare insieme da vicino sulle nostre priorità comuni dal cambiamento climatico al commercio alla sicurezza”.
Le congratulazioni arrivano anche dal premier spagnolo, Pedro Sanchez: “Vi auguriamo buona fortuna e tutto il meglio – commenta -. Non vediamo l’ora di collaborare con voi per affrontare le sfide che ci attendono”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
IL RIUNIFICATORE: BIDEN E’ UN VETERANO DELLA POLITICA CAPACE DI RICOSTRUIRE
“Papà , fammi una promessa…”. A cinque anni dalla morte del figlio Beau, ucciso da un tumore al cervello, quella promessa Joe Biden può dire di averla mantenuta.
Ha reagito al dolore, ha scalato la montagna, si è avventurato nella grande sfida per rimettere insieme l’anima d’America.
Quel dolore immenso, già conosciuto con la perdita della moglie e della figlia in un incidente stradale nel ’72, non solo non lo ha spezzato, ma è stato il motore per realizzare il sogno di entrambi: correre per la presidenza e vincere, in un momento in cui il lutto, a causa della pandemia, ha sconvolto la vita a più di due milioni di americani.
Quella di Biden è una vittoria storica, sotto tutti i punti di vista.
Il “miraggio rosso” che si è verificato in diversi Stati chiave a causa del boom del voto anticipato; le parole mai così incendiarie di Donald Trump e le incognite sulle sue prossime mosse; le proteste che da giorni tolgono il sonno a milioni di americani: sono tutti segnali di un Paese lacerato come mai prima d’ora.
Liquidare Trump come “lo zio matto” ora accecato dalla rabbia non può essere la soluzione: vorrebbe dire alienare ancora di più la possibilità di convivere con chi finora ha aderito a ciò che il trumpismo rappresenta.
Chi si riconosce in Trump si sente – ed è percepito – come portatore di una visione del mondo inconciliabile rispetto a chi si colloca dall’altra parte.
L’evoluzione di questo muro contro muro dipenderà anche da come si comporteranno il partito repubblicano e i più influenti media conservatori, ma è evidente che il grosso della responsabilità pesa sulle spalle già curve di Joe Biden, 77 anni, il presidente più anziano d’America chiamato a guidare una nazione sconquassata nelle sue fondamenta.
“Nessuno di noi è ingenuo”, dichiarava già mercoledì pomeriggio il democratico, quando la fiducia si è via via trasformata nella consapevolezza di avercela (quasi) fatta. “Sappiamo che abbiamo punti di vista divisivi su diversi temi, ma dobbiamo andare avanti, dobbiamo smetterla di trattare i nostri rivali come nemici. Ciò che ci unisce è più forte di quello che ci divide”.
Accanto a lui la donna che ha scelto come sua vice, Kamala Harris, prima donna in un ticket presidenziale, rigorosa in questi giorni sia nell’aplomb sia nel ribadire che “ogni voto deve essere contato”.
Alla fine il veterano della politica americana, simbolo di un establishment che in questi anni non ha saputo riflettere sui propri limiti ed errori, è riuscito a vincere anche meglio di quanto ci si potesse aspettare (se il sorpasso in Pennsylvania era in qualche modo atteso, quello in Georgia era insperato).
La pandemia ha probabilmente aumentato le sue chance, consentendogli di giocare una campagna elettorale in difesa: più che a segnare, si è impegnato a non fare autogoal, gestendo il vantaggio e accettando la narrazione di una candidatura fiacca sin dall’esordio.
Nelle primarie, così come alla prova del dibattito tv, non ha brillato per particolari performance: la sua mission è stata piuttosto quella di non fare danni, considerata la sua natura di gaffeur.
Qualche piccola caduta di stile c’è stata, come guardare l’orologio durante il dibattito o dare del clown al presidente, ma l’aver giocato da lungometrista, sfruttando la distanza a proprio vantaggio, ha pagato.
Davanti a lui si apre ora una sfida immensa: guidare un Paese già sotto stress in una transizione dai contorni incerti. Ma chi lo ha votato — facendogli superare il record stabilito da Barack Obama nel 2008 — sa di poter contare tutto sommato su un’esperienza politica fatta di granito ma anche di empatia.
Da un lato, infatti, ci sono i 36 anni trascorsi come senatore del Delaware, più gli 8 anni come vicepresidente al fianco di Obama. Dall’altro c’è la sua storia personale, i lutti, le pause, le ripartenze.
Un percorso raccontato in un libro pubblicato nel 2017 di cui la storia di oggi sembra il naturale epilogo: “Papà , fammi una promessa: Un anno di speranza, sofferenza e determinazione” (tradotto in Italia da Francesco Costa per NR edizioni).
Accanto a tutti i limiti sopra elencati, infatti, Biden ha avuto successo anche perchè ha mostrato qualità non pervenute in Donald Trump: gentilezza, empatia, capacità di reagire alle avversità , ragionevolezza, avversione al dramma – tanto per citarne qualcuna.
Riguardo alla pandemia, ha adottato un approccio molto diverso rispetto a quello del presidente. Ha tenuto alto il livello d’attenzione, ha sempre indossato la mascherina, ha esortato il pubblico ad ascoltare gli scienziati evitando le grandi manifestazioni e gli eventi in presenza. La sua squadra ha smesso di bussare alle porte per la maggior parte della campagna elettorale, ricominciando solo alla fine.
Ha mostrato empatia per le persone che avevano lottato con il coronavirus, un aspetto sottolineato qualche tempo fa in un commento di Judith Graham: la pandemia del lutto durerà più a lungo della pandemia di Covid-19, e nessuno è preparato a questo. E ancora: “guidare una nazione attraverso una pandemia significa trattare il lutto con il rispetto e la reverenza che merita”.
Con un presidente negazionista — scelto comunque dal 48% degli elettori, oltre 6 milioni di persone in più rispetto a quattro anni fa – Biden non ha avuto esitazioni nel posizionarsi al fianco della scienza ma anche della vulnerabilità umana, includendo emozioni come il dolore e la paura (nelle sue varie declinazioni, inclusa quella economica).
La sua storia familiare lo ha costretto a conoscere da vicino cosa significa perdere ciò che di più caro si ha al mondo.
Nel libro Biden racconta con dettagli vividi e strazianti come gli è cambiata la vita da quando a suo figlio maggiore, Beau, astro nascente del partito democratico, è stato diagnosticato un cancro al cervello, fino alla sua morte, meno di due anni dopo.
Pagina dopo pagina, Biden mette a nudo le proprie emozioni e la propria vulnerabilità in un percorso di dolore a lui drammaticamente già noto: era il 1972 quando la giovane moglie e la figlia morirono in un incidente stradale. Beau e Hunter, all’epoca 3 e 2 anni, erano sul sedile posteriore: sono sopravvissuti ma sono stati ricoverati in ospedale per giorni.
Quei calvari lo hanno reso più empatico, aiutando le persone a sentirsi in relazione con lui. Nel suo discorso alla Convention nazionale democratica, non c’era una folla chiassosa in un’enorme arena come di solito succede. Biden ha invece parlato direttamente nella telecamera, in modo più intimo, rivolgendosi agli americani che avevano perso qualcuno nella pandemia. Vale la pena di rileggerle oggi, quelle parole:
“In questa notte d’estate, lasciate che mi prenda un momento per parlare a quelli di voi che hanno perso di più. So come ci si sente a perdere qualcuno che ami. Conosco quel buco nero e profondo che si apre nel tuo petto. Senti che tutto il tuo essere ne è risucchiato. So quanto la vita a volte possa essere meschina, crudele e ingiusta. Ma ho imparato due cose. Primo, i tuoi cari potrebbero aver lasciato questa Terra, ma non hanno mai lasciato il tuo cuore. Saranno sempre con te. Secondo, ho scoperto che il modo migliore per superare il dolore e la perdita è trovare uno scopo. In quanto figli di Dio, ognuno di noi ha uno scopo nella propria vita. E abbiamo un grande scopo come nazione: aprire le porte dell’opportunità a tutti gli americani. Per salvare la nostra democrazia. Per essere ancora una volta una luce per il mondo”.
Le montagne russe che dovrà affrontare darebbero le vertigini a chiunque: una pandemia in costante crescita e un’economia che ne soffre le ricadute; un movimento per la giustizia razziale che pretenderà riforme; gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, così evidenti negli incendi dell’Ovest.
Sopra ogni altra cosa, Biden dovrà dimostrare di saper guidare un Paese fratturato e confrontarsi con la presenza ingombrante di Trump, che è ancora la forza dominante nel partito repubblicano senza un ovvio successore, a parte il figlio.
Le sue politiche saranno senza dubbio contestate nei tribunali, dove alla fine si scontreranno con una Corte Suprema a forte maggioranza conservatrice. Il GOP è sulla strada per mantenere la maggioranza in Senato, ponendolo fin da subito in una posizione di maggiore debolezza rispetto ai suoi predecessori.
Il compito che lo aspetta da qui in avanti è difficilissimo, ma intanto la prima parte è andata: ha dimostrato come si vince contro un bullo rimanendo fedeli a se stessi, pregi e difetti inclusi, con le spalle larghe di chi conosce il dolore e sa rispettare quello degli altri.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
LA PRIORITA’ SARA’ REALIZZARE UN’OPERAZIONE “FIDUCIA” RIALLACCIANDO I RAPPORTI CON L’EUROPA
Il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden ha di fronte a sè poco più di due
mesi che lo separano da mercoledì 20 gennaio, quando verrà inaugurato il suo mandato, ma già fin d’ora è possibile delineare i principali orientamenti in politica estera della sua amministrazione, con uno sguardo particolare all’impatto che produrranno in Europa e in Italia.
Per prima cosa il presidente Biden dovrà realizzare un’operazione “fiducia” per ricostruire a tutto campo un solido sistema di relazioni internazionali, a partire dagli alleati storici nell’America, reso traballante dalla breve, ma “intensa” stagione trumpiana.
L’”America First” di trumpiana memoria, sarà sostituito da “America is back”: gli Stati Uniti sono tornati, con la loro forza e la loro credibilità per essere nuovamente protagonisti e leader delle nuove sfide globali attraverso un multilateralismo “evoluto” ed un sistema articolato di alleanze fra le democrazie.
Il primo banco di prova sarà la sfida alla pandemia da coronavirus.
Gli Stati Uniti torneranno a sedersi al tavolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità , non certo come spettatori, ma come protagonisti di una stagione che rafforzi l’organizzazione, faccia dimenticare la gestione dell’etiope Tedror Ghebreyesus, la renda più forte e più indipendente dai condizionamenti esterni a cominciare dalla Cina.
Ma Biden non punterà tutte le sue carte soltanto sull’Oms.
La nuova amministrazione americana promuoverà una grande alleanza scientifica per la bio-difesa, in grado di sconfiggere il Covid-19 ed essere preparata per le sfide future. E tale sfida sarà possibile solo inaugurando una nuova stagione di cooperazione e interdipendenza fra stati, industria privata e laboratori scientifici, intanto fra le due sponde dell’Oceano Atlantico.
L’America nuovamente leader globale non cercherà soltanto di accaparrarsi qualche centinaio di milioni di dosi di vaccino, ma favorirà la cooperazione scientifica pubblica e privata per fare in modo che nei prossimi mesi si possa produrre un vaccino sicuro, efficace, disponibile in grandissime quantità ed a costi contenuti.
Il rilancio delle alleanze storiche (Usa ed Europa) e la costruzione di un nuovo e articolato sistema globale di intese, andrà però riletto attraverso la lente d’ingrandimento della nuova competizione fra “democrazie” e “autocrazie”
Joe Biden, lo ha scritto a chiare lettere di suo pugno sei mesi fa su Foreign Affairs: “The triumph of democracy and liberalism over fascism and autocracy created the free world. But this contest does not just define our past. It will define our future, as well”.
Quindi buone notizie per Europa e Nato: i rapporti transatlantici non saranno più sbeffeggiati e ridotti a un fatto “transazionale”, con l’accusa costante agli alleati europei di contribuire troppo poco al budget della difesa comune e la Nato tornerà ad essere il pilastro fondamentale della politica di sicurezza degli Stati Uniti d’America.
A partire da un rilancio a tutto campo delle relazioni transatlantiche, il presidente Biden cercherà poi di allargarne gli orizzonti per creare un sistema di alleanze con le democrazie dell’Indo-Pacifico in grado di rappresentare un terzo pilastro, accanto a Usa ed Europa, sul quale poggiare una politica di difesa e sicurezza più solida e in grado di affrontare con adeguatezza le nuove sfide poste da Russia e Cina.
Quindi il dialogo sulla sicurezza e la difesa con India, Giappone e Australia (il cosiddetto Quad-Quadrilateral Security Dialogue) potrebbe essere presto istituzionalizzato e ampliato ad altre democrazie dell’Indo-pacifico.
Entro il primo anno del suo mandato, il Presidente Biden si farà promotore di un “Summit delle Democrazie” per costruire un’agenda comune e per far fronte in modo più adeguato alla sfide sempre più assertive delle autocrazie.
Promozione della democrazie e tutela dei diritti umani minacciati saranno nuovamente la stella polare dell’amministrazione statunitense, con un obiettivo chiaro in mente: arginare l’ondata populista e sovranista che ha mutato rapidamente il panorama politico in quasi tutti i continenti.
Come ricorda l’ultimo rapporto di Freedom House, spesso citato dal Presidente Biden: su 41 paesi considerati stabilmente “liberi e democratici” fra il 1985 e il 2015, ben 22 hanno registrato un declino dei propri standard democratici negli ultimi 5 anni.
Il “Summit delle Democrazie” potrà anche diventare una struttura permanente come già sognato anni fa da Bronislaw Geremek e da altri leader democratici dei paesi ex comunisti, quando fondarono la “Community of Democracies”, consapevoli dei limiti strutturali del sistema onusiano, bloccato dal diritto di veto delle due grandi autocrazie del pianeta (Cina e Russia) o dall’assurda rotazione dei paesi membri della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, che vede spesso i più grandi violatori dei diritti umani fondamentali sedere nella Commissione che proprio quei diritti dovrebbe denunciare e proteggere.
Sul Medio Oriente, il Presidente Biden non cambierà la linea del suo predecessore su Israele: l’ambasciata statunitense rimarrà a Gerusalemme e gli Accordi di Abramo saranno ampliati e rafforzati con l’adesione di nuovi paesi dopo gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Sudan. La sicurezza di Israele continuerà ad essere dunque una priorità per l’amministrazione americana.
L’impegno militare statunitense nel Grande Medio Oriente per contrastare l’insorgenza jihadista cambierà natura e caratteristiche, adottando quello che potremmo definire il “modello Rojava”, applicato nel nord della Siria in sostegno ai combattenti curdi: poche basi militari permanenti e di ridotta dimensione, un uso sempre maggiore di forze speciali, intelligence e droni, accordi a tutto campo con le forze locali che condividono gli obiettivi di contrasto del jihadismo.
Assisteremo quindi ad un’ulteriore riduzione dei contingenti Usa in Iraq e Afghanistan, insieme ad alcune novità nei confronti di Arabia Saudita e Turchia.
Se il primo viaggio all’estero di Trump era stato proprio a Ryad ad omaggiare la monarchia saudita, la nuova amministrazione Usa non ha perdonato a Mohammed Bin Salman l’orribile uccisione dell’oppositore, e giornalista del Washington Post, Jamal Khashoggi e neppure l’uso spropositato della forza nel conflitto in Yemen.
Dovremmo quindi attenderci una fine del sostegno americano alle operazioni militari a guida saudita nello Yemen ed una maggiore severità nei rapporti con la più grande monarchia del Golfo.
Alla Turchia di Erdogan non verranno più applicati sconti: la svolta islamista e autoritaria del regime e la durissima repressione interna; l’esportazione di instabilità nel Mare Egeo e la costante minaccia a Grecia e Cipro; la spregiudicata azione turca in Siria contro i migliori alleati dell’occidente (i curdi); l’uso delle milizie jihadiste in Azerbaijan contro gli armeni; l’acquisto dei sistemi di difesa antimissile russi S-300 e S-400, rappresentano molte red-line già superate, che rischiano di compromettere la permanenza della Turchia nella Nato e che muteranno l’atteggiamento dell’amministrazione Usa.
Sull’Iran, Biden ripartirà da quanto fatto da Obama, cercando di ricondurre il regime di Teheran ad un tavolo negoziale tentando di negoziare un nuovo “Nuclear Deal”, che questa volta però non potrà essere separato dal tentativo di ridurre in modo strutturale le azioni destabilizzanti dell’Iran nella regione, soprattutto in Libano.
Sulla Cina è possibile prevedere una aumentata assertività americana a tutto campo: tutela della proprietà intellettuale; contrasto all’esportazione del modello cinese a cominciare dal sostegno della Free and Open Pacific Initiative in alternativa alla nuova Via della Seta; denuncia sistemica delle massiccia violazioni dei diritti umani a cominciare da Xinkiang, Tibet e Hong Kong; denuncia del “dumping sociale” (produrre a costi bassissimi grazie all’assenza di diritti sindacali). Ma non sarà una Seconda Guerra Fredda Usa contro Cina: il presidente Biden farà di tutto per coinvolgere l’Europa ed un’ampia coalizione di paesi democratici per contrastare Pechino nella cornice della nuova competizione fra “democrazie” e “autocrazie”.
Nei primissimi giorni del suo mandato, Biden farà rientrare gli Usa nell’Accordi sul Clima di Parigi e riprenderà a partecipare attivamente in tutti i forum globali e multilaterali sulle grandi questioni ambientali, con l’obiettivo di convertire l’economia statunitense a zero emissioni il 2050. Ci sarà dunque un forte protagonismo americano nel settore delle energie rinnovabili, nella produzione di veicoli elettrici, negli investimenti nelle tecnologie pulite.
Infine su 5G e intelligenza artificiale dovremo aspettarci una presidenza Biden estremamente assertiva: “non possiamo permettere che le regole dell’era digitale siano scritte da Cina e Russia”, ha dichiarato Biden recentemente.
Aspettiamoci dunque un forte impegno della nuova amministrazione nella creazione di una una nuova alleanza tecnologica pubblico/privata fra Europa e Usa per lo sviluppo delle tecnologie 5G ed un maggiore impegno nei confronti del “Gafistes”(i GAFA-Google, Amazon, Facebook, Apple), per contrastare fake-news e minacce alla democrazia.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
L’EX PROCURATORE DELLA CALIFORNIA E’ IL VOLTO GIOVANE DELLA CASA BIANCA: COLTA E TRASCINATRICE DI FOLLE
Kamala Harris entra nella storia: è la prima donna, e la prima donna afroamericana, a diventare vicepresidente degli Stati Uniti.
A 54 anni si presenta come il ‘volto giovane’ della Casa Bianca di Joe Biden, in grado di prendere per mano il partito democratico e proiettarlo verso il futuro. Un futuro che potrebbe vederla rompere anche quel soffitto di cristallo al quale aspirava Hillary Clinton e diventare, in una staffetta con Biden nel 2024, la prima donna presidente.
Ex procuratrice di San Francisco prima e della California poi – prima donna anche in questo caso a ricoprire tali incarichi -, Harris ha conquistato un seggio in Senato nel 2016, anno della vittoria di Donald Trump.
E al presidente ha subito dichiarato guerra, non ritenendolo il ritratto nè l’aspirazione della sua America e di quella di milioni di donne e minoranze. Il Senato l’ha proiettata sul palcoscenico della politica nazionale con gli ‘interrogatori’ all’ex ministro della giustizia Jeff Session e quelli a Brett Kavanaugh, nominato alla Corte Suprema da Trump.
Il prestigio conquistato l’ha spinta nel 2019 a considerare di correre per la Casa Bianca: nonostante ci abbia messo anima e corpo, il suo tentativo non è però andato a buon fine ed è stata costretta a ritirarsi.
Le primarie le concedono però l’occasione di diventare un volto familiare per milioni di democratici, conquistati anche grazie al duro scontro proprio con Biden, per il quale si rivela una delle rivali più agguerrite.
E’ rimasto celebre infatti l’aspro confronto fra i due nel corso di uno dei dibattiti: Kamala ha rinfacciato a Biden di essersi compiaciuto della collaborazione con due senatori segregazionisti negli anni ’70. Non contenta, ha raccontato all’America di conoscere una ragazzina nera che per fortuna era potuta andare in una scuola migliore grazie a un servizio di scuolabus per le minoranze che vivevano nei quartieri più disagiati, servizio al quale – ha ricordato – il senatore Biden si era opposto: “Quella ragazzina ero io”.
Prima del 2016 Kamala Harris aveva già attirato l’attenzione di Barack Obama, che l’aveva definita la più bella procuratrice americana. Un commento che l’aveva mandata su tutte le furie tanto da chiedere, e ottenere, le scuse dell’allora presidente.
Colta e trascinatrice di folle, molti la chiamano proprio l’“Obama donna”, un soprannome ingombrante che però non l’ha mai spaventata e che non le ha impedito di criticare l’ex presidente sull’immigrazione. “Non ero d’accordo con il mio presidente” e con l’ordine di espellere ogni immigrato senza documenti, a prescindere dai precedenti penali, ha detto durante un dibattito delle primarie.
Alla tradizionale famiglia americana dei Biden, Harris affianca una famiglia moderna e allargata. Sposata con Douglas Emhoff, che potrebbe diventare primo Second Gentleman della storia, Harris non ha figli suoi ma è la ‘Momala’ – questo è il suo soprannome – di Cole e Ella, le figlie che il marito ha avuto dalla prima moglie.
“Ho avuto tanti titoli nella mia carriera ma Momala sarà sempre quello che ha il maggior significato”, ha confessato Kamala.
(da agenzie)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
“INDIPENDENTEMENTE DA COME HANNO VOTATO, I CITTADINI AMERICANI POSSONO ESSERE ORGOGLIOSI DELLA STORIA CHE E’ STATA SCRITTA QUI IERI”
Le parole sono importanti, lo sappiamo. “Le elezioni non sono finite, da lunedì inizia la
battaglia legale” non è una semplice minaccia ma il messaggio del presidente degli Stati Uniti a pochi minuti dall’elezione del suo sfidante Joe Biden.
L’America è abituata alle affermazioni roboanti dell’attuale inquilino della Casa Bianca, ma sentir contestato lo stesso fondamento della democrazia elettiva fa un certo effetto.
Il repertorio di Donald Trump presentato negli ultimi quattro anni è ampio. Il presidente ha preso frontalmente di mira l’amministrazione federale, apparati militari e di sicurezza, tribunali, organi di informazione, esperti della sanità , oltre all’opposizione politica, strizzando l’occhio anche a gruppi di estrema destra e formazioni razziste.
Dodici anni fa, una mattina di novembre, il presidente George W. Bush si avviò a passo deciso verso il microfono nel giardino della Casa Bianca e concesse la vittoria a Barack Obama.
E’ vero che George W. Bush aveva completato il suo secondo quadriennio presidenziale e non era quindi coinvolto personalmente nella campagna elettorale — a Obama si opponeva il repubblicano John McCain.
Tuttavia, riascoltando le parole della “concessione” della vittoria al candidato dello schieramento avversario, oggi si resta impressionati dalla dignità , dal rispetto e dal senso delle istituzioni che emergono fortissimi dal presidente conservatore texano, pur così lontano dal neo-eletto senatore di colore dell’Illinois.
In tre minuti e cinquanta secondi, con un intervento asciutto e toccante Bush jr. assicurò completa collaborazione nella transizione, esaltò la vitalità della democrazia americana e andò dritto al punto, perchè per la prima volta nella storia degli Stati Uniti un nero era stato eletto alla presidenza: “Indipendentemente da come hanno votato, i cittadini americani possono essere orgogliosi della storia che è stata scritta qui ieri”. Andremo avanti come una Nazione, scandì solennemente, e una cosa non cambierà , il nostro impegno a proteggere il popolo americano.
In queste ore si accavallano le voci circa prese di distanza di autorevoli esponenti repubblicani rispetto all’arroccamento presidenziale. Alcuni consiglieri starebbero cercando di convincere il presidente a rinunciare a una linea di contrapposizione frontale, dagli esiti incerti e rischiosi.
Inquietano le immagini di sostenitori di Trump, armati di mitragliatori come se scendessero dagli elicotteri di Apocalipse now.
In attesa degli sviluppi, sarebbe bello se qualcuno mostrasse al presidente Trump la registrazione di quel magistrale messaggio di Bush jr. di dodici anni fa. Non gli farà certo cambiare idea o tono, ma forse gli farà riconoscere che alle sue spalle c’è una gloriosa tradizione di statisti ispirati da alto senso di responsabilità verso la comunità nazionale.
(da “Huffingtonpost”)
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