Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
AVVOCATO, PADRE DI DUE FIGLI DAL PRECEDENTE MATRIMONIO, E’ IL SUO PIU’ GRANDE SOSTENITORE
È il primo “second gentleman” americano nonchè il primo ebreo della storia americana a ricoprire il ruolo di “secondo” per un presidente o vicepresidente.
Douglas Emhoff è il marito di Kamala Harris e il suo più grande sostenitore. È un avvocato e ha due figli nati dal suo primo matrimonio.
Come scrive Bloomeberg, Kamala Harris sta dando agli americani una Second Family “piena di prime volte”, offrendo un contraltare moderno alla più tradizionale famiglia di Joe e Jill Biden.
Kamala e Douglas Emhoff, oggi 56enne, si sono conosciuti nel 2013, dopo il divorzio di lui, complice un appuntamento al buio, organizzato da una loro amica.
Dopo un anno, nel marzo 2014, Emhoff ha chiesto a Kamala di sposarlo con un anello di fidanzamento di platino e diamanti. In agosto il matrimonio a Santa Barbara: Kamala, vestita color oro in segno di rispetto per la fede ebraica di Doug, ha rotto per tradizione un bicchiere.
Nato a Brooklyn e laureato in giurisprudenza all’università della Southern California, Emhoff è un avvocato e partner dello studio legale
Dla Piper, specializzato nell’intrattenimento e nella proprietà intellettuale. Un’occupazione dalla quale si è per il momento allontanato, congedandosi per evitare potenziali conflitti di interesse.
Amante del golf e del fantasy football, Doug – il primo ebreo della storia americana a ricoprire il ruolo di ‘secondo’ per un presidente o vicepresidente – ha due figli dal suo primo matrimonio: Cole e Ella, grandi sostenitori di Harris, che per loro è ‘Momala’.
L’arrivo di Kamala e Doug a ‘Number One Observatory Circle’, la casa della Second Family, riflette così il cambiamento in corso nella società e nella politica americana, offrendo una speranza e un modello alle attiviste di genere.
Doug Emhoff ha fatto campagna elettorale per la moglie. È interessante vederlo in questo ruolo per il quale sembra molto preparato
Con una first lady, Jill Biden, che continuerà a fare il suo lavoro di insegnante, la nuova Casa Bianca a gennaio potrà avere invece un “second gentleman” che ha messo in pausa la sua carriera di avvocato per stare vicino alla moglie, la prima vice presidente donna Kamala Harris.
E Doug Emhoff “ha già mostrato di essere completamente a suo agio con l’idea di mettere da parte la sua carriera”, spiega all’Adnkronos Anita Bevacqua McBride, ex assistente del presidente George Bush ed ex capo dello staff di Laura Bush, che ora dirige un programma sulla storia delle first lady all’America University di Washington.
“Ha fatto campagna elettorale per la moglie, rilasciato interviste, è interessante vederlo in questo ruolo a cui sembra molto preparato”, spiega la storica delle first lady sottolineando quindi come l’avvocato californiano, che dalla scorsa estate è in aspettativa, sarà pronto ad assumere una sorta di ruolo ufficiale alla Casa Bianca.
E come si potrà avere una Casa Bianca al passo dei tempi in cui ”l’intero concetto di donne e uomini che lavorano in una famiglia, chi deve mettere in pausa la propria carriera per l’altro, le linee ed i ruoli sono meno definiti”.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
MARITO E MOGLIE, SONO I DUE SCIENZIATI CHE HANNO DATO VITA A BIONTECH
La notizia è di quelle che in questo 2020 fanno ben sperare. 
I partner Pfizer e BioNTech hanno annunciato oggi che il loro vaccino contro il Covid-19 ha mostrato un’efficacia del 90%. Dietro a quella che potrebbe essere la scoperta dell’anno, c’è un’altra storia.
Quella di una coppia di tedeschi figli di immigrati turchi che in pochi mesi hanno trasformato BioNtech in una delle aziende in prima fila nella lotta contro il Covid-19.
UÄŸur Åžahin e à–zlem Tà¼reci, marito e moglie, sono i cofondatori dell’azienda che ora vale 21 miliardi di dollari.
Impegnati per quasi tutta la vita nella ricerca sul sistema immunitario e il suo impatto nella lotta al cancro, a gennaio, ancora prima dell’annuncio dell’ Oms, avevano intuito che l’azienda avrebbe dovuto cambiare volto e concentrare le forze nella ricerca per un vaccino contro il Covid.
«È stato necessario fare un’opera di convincimento», ha dichiarato Åžahin a ottobre al Wall Street Journal. «Alcune persone pensavano che la situazione in Cina fosse sopravvalutata e che l’epidemia non sarebbe arrivata anche da noi».
Il padre di Åžahin si era trasferito nei primi anni ’60 nella Germania dell’Ovest per lavorare in una fabbrica della Ford come gastarbeiter, ovvero “lavoratore ospite”. Tra il 1961 e il 1973 migliaia di cittadini turchi, a seguito di un accordo bilaterale tra i due Paesi, emigrarono in Germania per colmare il bisogno della Repubblica federale di lavoratori nell’industria.
Oggi, sono circa 2.5 milioni le persone emigrate dalla Turchia o nate da famiglie turche che vivono e sono cresciute in Germania. Tà¼reci è invece figlia di un medico turco emigrato in Germania.
I due amministratori delegati di BioNTech figurano ora tra i 100 tedeschi più ricchi del Paese. La loro vita imprenditoriale inizia nel 2001 quando, a Mainz, creano la Ganymed Pharmaceuticals per sviluppare anticorpi contro il cancro. Dopo averla venduta nel 2008 a un’azienda giapponese per 1,4 miliardi di dollari, fondano poi la BioNtech per lavorare su una gamma molto più ampia di strumenti di immunoterapia contro il cancro.
A gennaio l’azienda assegna 500 persone a un progetto di ricerca di un vaccino contro il Covid-19 per poi diventare a marzo partner ufficiale di Pfizer per lo sviluppo del farmaco.
(da Open)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
LE COSE DA SAPERE SUL FARMACO
Risultati preliminari emersi nei test su larga scala hanno portato la casa farmaceutica Pfizer ad annunciare in un recente comunicato che l’arrivo del vaccino contro il nuovo Coronavirus (in collaborazione con BioNTech) sarebbe sempre più vicino.
«È efficace al 90%, secondo i produttori», riporta il Guardian nel lanciare la notizia. Si tratta di un vaccino a mRNA, di quelli raccomandati anche in studi molto recenti come i migliori nel saper suscitare una risposta anticorpale specifica adeguata, alla luce di quanto sappiamo delle nostre principali linee di difesa (poco, ma ci auguriamo che basti).
Le fasi della sperimentazione
Il vaccino di Pfizer è uno di quelli arrivati alla fase 3 della sperimentazione, ovvero la più avanzata. Come spiegavamo nella nostra guida ai vaccini più avanti nella sperimentazione, abbiamo diversi livelli che devono essere superati, prima di arrivare a un qualsiasi farmaco che possa essere somministrato su vasta scala, garantendo efficacia e sicurezza.
Si comincia da una fase preclinica, costituita da studi in vitro e in vivo, ovvero utilizzando modelli animali adatti allo scopo. Se queste prime fasi vengono superate si arriva a quelle cliniche, chiamando man mano un numero sempre maggiore di volontari. Le fasi sono principalmente tre
A questo punto il vaccino passa alla Fase I, dove lo si somministra a un piccolo gruppo di persone perfettamente sane, magari del personale sanitario, cominciando a testarne efficacia e sicurezza, cosa che si ripeterà ovviamente nelle fasi successive;
Nella Fase II il numero di volontari a cui si somministra il vaccino comincia a essere più ampio, nell’ordine delle centinaia di persone, divise per gruppi con differenti caratteristiche, almeno uno di questi riceverà un placebo, così da scremare effetti dovuti alla suggestione o ad altri fattori non visti nelle fasi precedenti
Nella Fase III si fa grosso modo lo stesso genere di test di quella precedente, ma con migliaia di volontari. Diventa fondamentale accertarsi che non vi siano significativi casi di eventi avversi.
Bill Gruber, definito uno tra i migliori scienziati a disposizione di Pfizer, parla di «un grande giorno per la salute pubblica e per il potenziale di farci uscire tutti dalle circostanze in cui ci troviamo ora». La fase 3 ha coinvolto oltre 43mila volontari divisi in due gruppi, a cui è stato somministrato un vaccino in due fasi separate nel lasso di due settimane.
Il primo gruppo ha ricevuto il vaccino vero e proprio, per il secondo è stato utilizzato un vaccino contro la meningite che fungeva da placebo, il tutto in doppio cieco (nè i volontari nè gli sperimentatori sapevano cosa stavano iniettando), in modo da escludere eventi casuali o eventuali bias da parte dei ricercatori.
Come funziona un vaccino a mRNA
Parliamo appunto di un vaccino a mRNA (RNA messaggero). Sono diverse le case farmaceutiche arrivate alle fasi che utilizzano lo stesso metodo, come ad esempio Moderna. Si tratta di iniettare dei frammenti di mRNA contenenti esclusivamente le informazioni per produrre la glicoproteina Spike (S), ovvero il principale antigene del SARS-CoV2, utilizzato dal virus per prendere di mira i recettori ACE2 delle cellule bersaglio.
In questo modo saranno le nostre cellule a «leggere» questa informazione, producendo gli antigeni. Del resto lo fanno in continuazione, quando dal nucleo il DNA produce mRNA, con informazioni destinate all’attività cellulare; ed è per questo che i virus riescono a «ingannarle», spingendole a leggere il loro genoma — tralasciando il resto -, dirottando ad esempio il lavoro dell’enzima RNA polimerasi, che viene invece monopolizzato nella produzione dei virioni, a scapito della cellula ospite.
Questa infezione simulata stimolerà dunque la produzione dei soli anticorpi specifici, come le immunoglobuline G, la cui permanenza garantisce l’immunità . In questo modo le persone si immunizzano, senza essere infettive, nè tanto meno avere i sintomi della malattia. Lo stesso Gruber riferisce che non sono mai emersi durante la sperimentazione eventi avversi significativi
Il problema della conservazione
L’RNA è una macromolecola piuttosto fragile che, come ci spiegava il genetista Marco Gerdol, necessita di essere manipolata con cura. Altre case farmaceutiche — come AstraZeneca o CanSino Biologics — utilizzano ad esempio dei vettori virali (virus resi innocui e incapaci di infettare), per agevolare il trasporto di un frammento di RNA codificante l’antigene.
Il vaccino di Pfizer per conservarsi deve stare a -80°C; non di meno, si sta studiando il modo di renderlo resistente per almeno cinque giorni a 4°C, ovvero la normale temperatura di un frigorifero. Bisogna sbrigarsi: il Regno Unito ha già acquistato 30milioni di dosi; l’Unione europea se n’è aggiudicata 200milioni; in Germania si stanno predisponendo centri di vaccinazione con appositi congelatori.
Pfizer non è l’unica casa farmaceutica il cui vaccino ha raggiunto le fasi più avanzate. Dobbiamo augurarci di ricevere presto altre notizie di questo tipo da parte della «concorrenza», perchè il tempo stringe e c’è già chi ci ricorda il pericolo che questo virus diventi endemico, eventualità che sarebbe meglio scongiurare.
Questo genere di vaccini assicureranno anche una immunità di lunga durata? Non lo sappiamo, ma il problema è un altro: quello di immunizzare nel minor tempo possibile il maggior numero di persone, magari dando la priorità alle categorie più a rischio. Sarebbe un colpo notevole contro la diffusione del virus, ed è al momento la migliore delle soluzioni possibili.
(da Open)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL PRESIDENTE BONSIGNORE: “GENOVA DEVE CHIUDERE, LO DICIAMO DA SETTIMANE, GLI OSPEDALI SONO AL COLLASSO”
Non è un problema solo di terapie intensive, ma soprattutto di accessibilità ad ospedali e
reparti anche per tutte le altre patologie. Una situazione che può portare al collasso del sistema sanitario.
Questo il messaggio che vuole dare Alessandro Bonsignore, presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Genova, che da tempo lamenta la mancata attivazione della zona rossa nel capoluogo ligure. TPI lo ha intervistato per comprendere la situazione locale e nazionale
Qual è la situazione ad oggi negli ospedali in Liguria?
“A nostro avviso è sbagliato fare una considerazione globale regionale perchè sono molto diverse le situazioni delle province. I dati che abbiamo indicano Genova in una condizione da zona rossa, le altre province oscillano tra il giallo e l’arancione e i peggioramenti a La Spezia e Imperia sono stati negli ultimi 5-6 giorni. Questo giustificherebbe la regione come zona arancione”.
La situazione di Genova è quella che allarma di più.
“Genova dovrebbe essere zona rossa e questo lo stiamo dicendo da ormai 20 giorni. È da settimane che chiediamo che la città venga messa in lockdown totale. Se lo avessero fatto quando avevamo iniziato a dirlo, avremmo potuto già vedere risultati e benefici. Invece la situazione è molto peggiorata e i benefici, ammesso e non concesso che potranno effettivamente esserci, potremo vederli solamente dopo un lockdown molto prolungato”.
Che tipo di errori sono stati commessi?
“È stata fatta una scelta governativa di implementare valutazioni su scala regionale. Bisognava avere il coraggio di fare scelte su scala provinciale, anche per cercare un equilibrio tra economia e salute”.
Compiere scelte per provincia e non per regione porterebbe vantaggi all’intero territorio nazionale?
“Ho sentito colleghi della Lombardia che mi dicono le stesse cose: abbiamo Milano e altre città che sono correttamente identificate come zona rossa, ma ci sono realtà che potrebbero essere definite gialle. L’aver reso rossa tutta la regione diventa penalizzate per alcune aree. Al tempo stesso, se non si ha il coraggio di isolare territori a rischio, si rischia di non poter far altro che attivare un lockdown nazionale”.
Sono state sollevate critiche rispetto ad una presunta mancata trasparenza dei dati. Cosa ne pensa?
“Noi abbiamo sempre chiesto che i dati venissero divulgati in modo più chiaro possibile per l’opinione pubblica, perchè i cittadini si comportassero in modo adeguato. C’è poi un tema relativo a quali dati vengono o non vengono divulgati. Ancora oggi sentiamo parlare della problematica dei posti in terapia intensiva, ma noi sappiamo che oggi il problema non è la terapia intensiva: il dato interessante che i cittadini dovrebbero comprendere è il tasso di occupazione di posti letto di bassa e media intensità ”.
Cosa potrebbe succedere?
“La preoccupazione è che con questo trend a breve, massimo 10 giorni, potremmo non riuscire più a curare alcuna patologia, a parte Covid-19, perchè abbiamo trasformato reparti interi in Covid-19, e per fare questo stiamo depauperando il contingente di posti letto per tutte le altre patologie e condizioni. Stiamo bloccando gli interventi chirurgici, stiamo togliendo follow up per pazienti oncologici, stiamo arrivando alla situazione in cui una persona che ha avuto un infarto rischia la vita perchè l’ambulanza si ritrova in coda per 4 ore davanti al pronto soccorso”.
Cosa dovrebbero fare i cittadini?
“Il nostro richiamo perchè i cittadini si comportino come in zona rossa è legato al fatto che non è un rischio solo il Covid-19: il problema è che la scala dei contagiati si è allargata, e — anche se solo una piccola percentuale richiede l’ospedalizzazione — il valore assoluto raggiunge il 100% dei posti letto negli ospedali. Il terrore — e il rischio — è arrivare al punto di non essere più in grado di curare nessuno per nessuna patologia. Il problema non sarà più la terapia intensiva, perchè alcuni pazienti rischiano, purtroppo, di non arrivarci neanche”.
(da TPI)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
“E IL PICCO NON E’ ANCORA ARRIVATO”
«È precipitato tutto il 12 ottobre. Un lunedì». A parlare è Anna Maria Brambilla, la direttrice della Medicina d’urgenza al Luigi Sacco di Milano. Di quel giorno ricorda cento ambulanze prendere d’assalto l’ospedale, uomini e donne sintomatici che si presentavano da soli al pronto soccorso. «Nel giro di due settimane, abbiamo ricoverato più polmoniti da Coronavirus che in tutto marzo e aprile», dice. «Una cinquantina al giorno. In due settimane, il bollettino di due mesi»
Ad intervistarla è Carlo Verdelli — ex direttore de la Repubblica — sulle pagine del Corriere della Sera.
Da quel lunedì, racconta, è stata una «maxi emergenza quotidiana». I posti letti attualmente occupati al Sacco sono 300 su 400, e solo negli ultimi 20 giorni sono morte 10 persone. Lei lavora dalle 8 di mattina alle 21 di sera. Eppure, dice, e non siamo ancora all’apice. La città ha davanti giorni ancora più duri, perchè «Milano sembra non rendersi conto dell’incendio che la minaccia».
«Forse potremmo esserne fuori verso marzo o aprile», ipotizza la primaria. «Ma soltanto se faremo le cose giuste e diremo le verità che vanno dette. La gente deve sapere. Milano deve sapere e capire». C’è bisogno di aumentare le misure restrittive, dunque, per evitare il collasso definitivo. «Al momento, l’unica vera arma contro questo virus è proprio riconoscerlo per quello che è: un nemico malefico, che ti prende alla sprovvista, che sbriciola le difese umanitarie. Un nemico mortale».
Qualche giorno fa il murale dedicato ai medici, agli infermieri e al personale sanitario del Sacco è stato sfigurato. Era stato realizzato durante la prima ondata, quando chi lavorava negli ospedali — e ci lavorava nella zona più colpita d’Italia — era visto come un eroe. «Ora siamo vissuti con ostilità , dice Brambilla. Come se fossimo noi, medici e infermieri, i responsabili di quello che sta accadendo. Si è cercato un colpevole per scacciare il fantasma del Coronavirus. Ed è sconvolgente che sia toccato a noi».
(da Open)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
“PEGGIO DI MARZO. LA GENTE FUORI SE NE FREGA”
L’Istituto clinico di Casal Palocco, a Roma, ha dovuto trasformare in cinque giorni i propri
reparti di malattie infettive in reparti dedicati al Covid, quando a marzo il contrasto alla pandemia, in Italia, faceva acqua da tutte le parti e nessuno sembrava riuscire a starle dietro.
L’ospedale è diventato presto una sede distaccata dell’Istituto Spallanzani, celebre perchè da lì sono partiti i primi bollettini sul Coronavirus — il caso della coppia cinese all’Hotel Palatino ha fatto scuola. Da allora, sono otto mesi che qui si lavora instancabilmente. In quest’ultimo periodo la situazione si è aggravata, complici i numeri che sta registrando il Lazio.
Dagli spogliatoi al reparto
Per lavorare prima si indossano le divise di cotone, poi il camice usa e getta, la doppia mascherina, doppi guanti, gli zoccoli sanitari col copri scarpe, cuffia e visiera. Non si esce dai reparti se non si è eseguita la “svestizione”: per farlo, ad ogni passaggio ci si disinfetta le mani con la Clorexidina, prodotto utilizzato anche a mani nude, come sostituto dei comuni igienizzanti: «A lungo andare questa sostanza ti consuma la pelle, puoi arrivare ad avere le impronte digitali inesistenti», spiega il direttore sanitario Paolo Onorati
Operatori sanitari, medici e infermieri fanno percorsi diversi all’interno della struttura. Una linea rossa di nastro adesivo sul pavimento all’entrata delle terapie intensive delimita il confine tra il pulito e lo sporco. Al di là di quella linea, chi lavora a stretto contatto con i malati non può andare, o rischia di “sporcare” il mondo esterno, di contaminarlo. «Siamo stanchi», raccontano gli infermieri di reparto. «La domanda che ci facciamo è: quando finirà tutto questo? Siamo esausti per il lavoro ininterrotto — spiegano — ma soprattutto della gente là fuori che se ne frega di quello che succede».
I turni di lavoro sono in generale, per tutti, di 12 ore. Qualcuno racconta di aver visto medici in servizio anche per 36 ore consecutive. «Siamo alla frutta». In Istituto la maggior parte del personale ha perso il senso del tempo, «non riesco più a capire come funzioni la settimana, come si dice: non ho più la cognizione del tempo». È un continuo fluire di ore, e di malati che arrivano. Tra chi è ricoverato, nessuno ha sintomi lievi: «Arrivano solo casi gravi, persone che magari hanno insufficienze respiratorie, polmoniti, febbre alta da parecchio tempo».
Situazione fuori controllo
Medicina 1, 2, 3 sono piene. «La terapia intensiva è quasi a regime, e non sappiamo più come fare. La situazione è peggiore di marzo», racconta Davide che si è laureato da un anno in scienze infermieristiche e questo è praticamente il suo esordio nella professione. Le 24 postazioni della terapia intensiva, dislocate in più stanze, su corridoi diversi, sono terminate. «La situazione è ormai fuori controllo». Per ospitarne di nuove, una squadra di operai sta lavorando in tempi record — anche sabato e domenica — per dare vita a un nuovo reparto, con più di una decina di letti. Anche gli oltre 100 posti in Medicina Covid sono saturi.
Seconda ondata prevedibile
Una seconda ondata era prevedibile? «Sapevamo che sarebbe arrivata», dicono gli infermieri. «Per questo guardavamo con diffidenza quel “Libera tutti” scattato a fine maggio quando ognuno ha ripreso a fare quasi la vita di sempre. Non ci capacitavamo di come le spiagge potessero essere affollate in quel modo durante l’estate, mentre noi qui assistevamo gente che aveva fame d’aria e che, in alcuni casi, non è mai più uscito da questo posto». Come mai chi ci governa non ha agito con consapevolezza e un pizzico di lungimiranza? A questa domanda ci chiedono di spegnere la videocamera: «Perchè vale più l’economia di un Paese delle vite umane».
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
L’ENNESIMA FOTO-DENUNCIA CHE FA INCAZZARE
La foto scattata, ieri, domenica pomeriggio 8 novembre a Roma nella centralissima via del Corso sta facendo parecchio discutere. Nello scatto si nota un fiume di gente ammassata mentre passeggia nel centro cittadino senza alcun distanziamento.
Complici le temperature primaverili, i romani si sono riversati in centro per una passeggiata all’insegna degli assembramenti in barba alle norme anti Covid.
A Roma nelle ultime 24 ore si sono registrati 1.195 contagi, con un indice Rt a 1.2 e i centri commerciali sono chiusi il week end proprio per evitare la ressa del fine settimana.
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
UN ALTRO ATTO INDEGNO: E’ ORA DI FAR CAPIRE CHE LA LEGGE SI APPLICA CON LE BUONE O CON LE CATTIVE
I volontari della Protezione civile invitano i ragazzi «del muretto» a indossare la mascherina
e a non stare gli uni addosso agli altri.
I «ragazzi del muretto» rispondono a suon di sassi, sputi e maleparole. È accaduto sabato pomeriggio a Casal di Principe, in zona di edilizia popolare, nei pressi di un muretto, appunto, dove i ragazzini hanno l’abitudine di radunarsi.
Il giorno dopo (ieri) Casal di Principe avrebbe pianto la sua terza vittima del covid, Enzo Diana, di 57 anni.
Durissima la ricostruzione del sindaco, Renato Natale, secondo il quale il paziente affetto da coronavirus non avrebbe avuto in tempo le cure necessarie e sarebbe stato ricoverato quando ormai le condizioni di salute erano compromesse.
Natale ha scritto che il decesso è giunto dopo «quella che i familiari hanno definito un’odissea. Per giorni hanno richiesto, e noi abbiamo sollecitato, il ricovero, arrivato evidentemente troppo tardi».
Da settimane il primo cittadino casalese, come altri sindaci campani, denuncia i disservizi del sistema sanitario nel Casertano in questa seconda ondata della pandemia. Natale ha scritto all’Asl chiedendo conto della situazione epidemiologica e della gestione della stessa, non solo a Casal di Principe, ma anche negli altri 18 comuni del popoloso comprensorio agro-aversano
(da agenzie)
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Novembre 9th, 2020 Riccardo Fucile
“TROPPA GENTE IN GIRO, E’ L’UNICA SOLUZIONE MA VA FATTA SUBITO”
Lockdown “subito” nelle grandi città o “si profila una tragedia annunciata”. A parlare è Walter Ricciardi, consulente scientifico del ministro della Salute, in un intervento televisivo a Che tempo che fa e sulle colonne della Stampa.
“In certe aree metropolitane il lockdown va fatto subito. Io avrei fatto Napoli zona rossa due settimane fa” spiega, parlando di situazione “drammatica, a volte tragica, in continuo peggioramento”. Questa è “una tragedia nazionale annunciata. Ci vuole una catena di comando unica e dobbiamo prendere decisioni rapide”. Inoltre, ha aggiunto, “vanno rafforzati medici e infermieri, anche spostando le persone da una parte all’altra del Paese, perchè molti tra di loro si stanno riammalando”. È un “gabinetto di guerra con questi tempi e non si può aspettare”, ha avvertito, “era tutto prevedibile. Con il ministro Speranza già il 6 aprile avevamo preparato un piano che però doveva essere recepito dalle Regioni. Alcune lo hanno fatto, altre no”. Ricciardi ha sottolineato come il ministro Speranza recepisca l’urgenza della situazione “con la massima serietà , ma poi si confronta con gli altri ministri e le Regioni ed i meccanismi decisionali sono tali per cui le decisioni non vengono prese con la rapidità che il ministro vorrebbe”.
Alla Stampa Ricciardi ribadisce il concetto: “Servono dei veri lockdown cittadini e spetta ai governatori proclamarli. Vedo troppa gente ancora in giro per le strade. Nelle grandi città , penso soprattutto a Milano, Genova, Torino e Napoli serve agire con decisione e farlo presto”. Alla domanda se le misure attuali possono bastare Ricciardi risponde: “La semplice raccomandazione a non muoversi di casa riduce del 3% l’incidenza dei contagi, il lockdown del 125%. Se a questo accoppiamo lo smart working, che vale un altro 13% e il 15% determinato dalla chiusura delle scuole si arriva a quel 60% che serve per raffreddare l’epidemia. Per questo dico che fermare un attimo tutto dove la situazione è già fuori controllo è l’unica soluzione possibile”.
In merito al fatto che negli ospedali la percentuale di letti occupati dai pazienti Covid abbia superato la soglia di sicurezza riferisce: ”È un disastro. In molte Regioni si stanno rinviando ricoveri e interventi chirurgici. Quando si dice rinviamo gli interventi elettivi che richiedono il post operatorio in terapia intensiva, parliamo di sostituzioni di valvole cardiache o interventi oncologici demolitivi per arginare i tumori. Già oggi la mortalità per le malattie cardiovascolari e oncologiche è aumentata del 10%”. “L’unica soluzione – sottolinea – è raffreddare la curva epidemica. Per questo dico che tutti, istituzioni e cittadini, dobbiamo giocarci bene questa carta delle misure differenziate”.
“Non è facile – afferma – fronteggiare un’epidemia di questa portata, soprattutto dopo anni di tagli alla sanità . Ma ci sono anche le responsabilità di chi ha avuto a disposizione un miliardo e 400 milioni per assumere personale e mettere in sicurezza gli ospedali e invece non lo ha fatto. Però adesso serve anche un maggior coinvolgimento dei medici di famiglia, che devono seguire i loro assistiti per evitare l’intasamento di ospedali e pronto soccorso”. “Bisogna rivedere – aggiunge – la governance della sanità territoriale. O i medici di base passano a un rapporto di dipendenza oppure restano nella libera professione ma all’interno di accordi con il servizio sanitario pubblico più stringenti, dal punto di vista delle funzioni, degli strumenti e degli orari di apertura degli studi”.
(da agenzie)
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