Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
ROOSEVELT (PENNSYLVANIA UNIVERSITY), GARDNER (BUFFALO UNIVERSITY), HARRIS (JOHN CABOT) BOCCIANO I RICORSI PRESENTATI DA TRUMP
Al di là dei meme che ritraggono Donald Trump trascinato a forza dallo Studio Ovale, o in versione “Parasite” nascosto sotto il tavolo insieme a Melania, quello che sta accadendo a Washington è un film inedito nella storia d’America.
La giungla di azioni legali intraprese da Trump, la postura sicura ma pronta a difendersi di Joe Biden, i conteggi e riconteggi, il simulacro della Corte Suprema, mentre le lancette corrono veloci verso metà dicembre, quando la legge prevederebbe un finale.
HuffPost ha chiesto a tre autorevoli professori di Legge americani di spiegare ai lettori italiani in cosa consiste la guerra politico/legale in corso, quali sono gli appigli giuridici del presidente e cosa aspettarsi per le prossime settimane.
A parlare con Huffpost sono Kermit Roosevelt, professore di Legge alla University of Pennsylvania Law School specializzato in diritto costituzionale; James A. Gardner, professore di Legge e Scienze Politiche alla School of Law dell’Università di Buffalo (New York), esperto in legge elettorale, federalismo, diritto e teoria democratica, e Pamela Harris, professoressa di Diritto della John Cabot University.
1) È molto difficile dall’Italia capire cosa sta succedendo negli Stati Uniti. Sappiamo che Joe Biden ha vinto le elezioni, ma Donald Trump non vuole lasciare la Casa Bianca e sta conducendo una guerra legale per sovvertire il risultato. Ha la possibilità di farcela?
Roosevelt – “Non c’è alcuna possibilità che Donald Trump vinca con i normali mezzi legali. Se vince, significa che qualcosa è andato storto in America”.
Gardner – “È difficile da capire perchè il sistema è estremamente complesso. Primo, non è vero che Biden ‘ha vinto’ le elezioni. È stato proiettato vincitore dai mezzi di informazione, ma non ci sarà un risultato finale ufficiale fino a quando tutte le restanti schede elettorali non saranno state contate (comprese, ad esempio, le schede per assenti presentate dal personale militare all’estero) e tutte le restanti controversie legali non saranno state concluse . Ma siamo arrivati a un punto nei risultati ufficiali in cui è praticamente certo che Biden vincerà , ed è per questo che, informalmente, si comporta come se avesse vinto e, informalmente, la gente si congratula con lui. Le cause intentate da Trump sembrano avere pochissime possibilità di influenzare il risultato”.
Harris – “Sia chiaro, Trump non sta conducendo una guerra legale. Questo è ciò che vorrebbe che i media e il suo pubblico pensassero, ma non è vero. La dimostrazione di una volontà di combattere fino alla fine è anche strumentale alla disperata raccolta fondi post-elettorale. La campagna di Trump ha un debito di circa 45 milioni di dollari. Nell’ultimo tentativo della campagna di raccogliere soldi per il suo fondo di “difesa elettorale”, vediamo che almeno la metà di qualsiasi donazione potrebbe essere destinata al pagamento del debito per la campagna del presidente. Le rivendicazioni legali sono del tutto prive di merito e vengono derise in tribunale. Ma ovviamente la loro minaccia serve a gettare carne ai leoni e intrattenere i suoi sostenitori. Ci sono stati riconteggi in alcuni Stati, ma lo spostamento medio dei voti in un riconteggio è di 450, non abbastanza per cambiare nulla”.
2. Quali sono le rivendicazioni legali di Trump? Su quale base giuridica si fondano?
Roosevelt – “Ci sono molte rivendicazioni diverse. Alcune sono specifiche e riguardano determinate schede: schede che sono arrivate dopo il giorno delle elezioni o che sono state inizialmente compilate in modo sbagliato ma “curate” dagli elettori. I tribunali potrebbero invalidare quelle schede. Ma non ce ne sono abbastanza per cambiare il risultato delle elezioni. Trump ha fatto anche vaghe affermazioni su frodi e ingiustizie diffuse, ma si tratta di affermazioni non supportate da prove o basate su chiari errori fattuali. Mi aspetto che i tribunali respingano rapidamente questi ricorsi, ma è possibile che possa trovare un giudice comprensivo disposto a sostenerlo”.
Gardner – “Le rivendicazioni avanzate dai legali di Trump sono molteplici: stanno intraprendendo ogni strada a cui possono pensare. Alcune sono molto deboli – per esempio, che agli osservatori repubblicani del conteggio non è stato permesso di avvicinarsi abbastanza (a causa del distanziamento sociale) per vedere se il conteggio era onesto. Un’altra rivendicazione ha a che fare con la validità degli accordi transattivi sottoposti a supervisione giudiziaria che estendono (a causa di Covid-19) la data entro la quale è possibile ricevere le schede per corrispondenza. Queste sono affermazioni deboli”.
Harris – “La teoria giuridica generale è quella della frode: l’introduzione di voti impropri. Tuttavia, la base fattuale per queste rivendicazioni legali è zero. Le prove sono dicerie e bugie, passate attraverso il mulino delle teorie del complotto trumpiano. Gli avvocati che promuovono questi casi rischiano di perdere la licenza per aver presentato reclami senza merito. Gli studi legali si stanno dissociando da questi casi in quanto offuscano seriamente il loro marchio”
3. Il team di Biden ha affermato che azioni legali contro l’amministrazione Trump sono “certamente una possibilità ”. Cosa significa? Il presidente eletto teme davvero che Trump possa in qualche modo minare il risultato elettorale? Che tipo di azione legale potrebbe intraprendere Biden?
Roosevelt – “Il team legale di Biden potrebbe intervenire nei casi per sostenere i funzionari elettorali che sono stati citati in giudizio, ma non credo che ci sia molto altro che potrebbero fare”.
Gardner – “Non sono sicuro del contesto di questa affermazione. Per la maggior parte, la campagna Biden non ha bisogno di intraprendere un’azione legale affermativa perchè Biden sarà il vincitore. I Democratici giocano principalmente in difesa”.
Harris – “A questo punto la squadra di Biden non ha bisogno di ricorrere ad azioni legali, perchè ha vinto le elezioni. Trump sta ora cercando di motivare i legislatori repubblicani in PA, MI e WI a ignorare il voto popolare e inviare una lista di elettori repubblicani al Congresso. Ciò è del tutto assurdo e si immagina che la reazione politica in quegli Stati a un tale disprezzo della volontà popolare sarebbe termonucleare. La Costituzione dice che i legislatori sceglieranno la modalità di nomina degli elettori presidenziali. Biden impugnerebbe certamente una mossa del genere in tribunale, sostenendo che i legislatori statali non possono cambiare le modalità di nomina dopo che le procedure sono state svolte, in assenza di prove di frode o altri problemi, semplicemente perchè si preferisce un altro risultato. E per quanto i tribunali siano favorevoli a Trump, distruggerebbero per sempre la loro legittimità se consentissero ai legislatori statali di farlo, cambiando il risultato delle elezioni”.
4. Quali sono gli Stati in cui gli appelli di Trump sono più solidi (se ce ne sono)?
Roosevelt
“Gli Stati più vicini: Georgia, Nevada, Arizona e Wisconsin sono quelli in cui le sue possibilità sono maggiori, perchè è lì che ha bisogno di meno voti. I suoi argomenti legali però non sono solidi da nessuna parte”.
Gardner – “Come detto prima, le azioni legali di Trump hanno scarsissime possibilità di influenzare il risultato. Questo perchè (1) in molti casi, si tratta di rivendicazioni deboli o non supportate da alcuna prova, e (2) il numero di schede interessate è probabilmente troppo piccolo per influenzare il risultato, anche qualora dovesse prevalere nelle sue rivendicazioni. Sembra tentare anche un’altra strategia, che è quella di rallentare o impedire il conteggio per un tempo sufficientemente lungo da impedire agli Stati di riportare i loro risultati entro il periodo di “approdo sicuro” previsto dalla legge federale. I risultati delle elezioni statali che sono certificati entro quella data (8 dicembre) devono essere conteggiati dal Congresso a gennaio quando conta i voti elettorali. Apparentemente, la teoria è che se può prolungare il procedimento in modo da impedire agli Stati di riferire entro questa data, ciò darà al Congresso la discrezione su quali voti elettorali contare. Ma questa strategia dipende dalla volontà del Congresso di ribaltare la volontà popolare democraticamente espressa, e sebbene non sembri esserci alcun limite alla malafede dei repubblicani in queste elezioni, dubito che supereranno quella linea”.
Harris – “La Pennsylvania è la più rumorosa, ma anche se ci riuscisse, non farebbe differenza. Le affermazioni di frode sono prive di fondamento”.
5. Che ruolo potrebbe svolgere la Corte Suprema? Il presidente si è già rivolto alla corte o ha appena minacciato di farlo?
Roosevelt – “La Corte Suprema alla fine deciderà la vittoria o la sconfitta dei ricorsi di Trump: se perde nei tribunali inferiori, può appellarsi fino alla Corte Suprema; se vince, sarà l’altra parte a presentare l’appello. Quindi probabilmente la Corte Suprema finirà per avere l’ultima parola, anche se, in caso di sconfitta di Trump, potrebbero farla finita rifiutandosi di ascoltare il caso”.
Gardner – “La mia sensazione è che la Corte Suprema non voglia essere coinvolta. Nel periodo immediatamente precedente le elezioni, hanno rifiutato molte opportunità di intervenire. Il filo conduttore sembrava essere la convinzione che i tribunali federali non dovrebbero interferire con il processo di regolamentazione elettorale condotto dagli Stati e che questo principio si applica sia che gli Stati stiano lavorando per espandere il voto sia per sopprimerlo. Il mio sospetto è che il giudice capo John G. Roberts creda che l’intervento della Corte nelle elezioni del 2000 (Bush vs Gore) sia stato un errore e non desideri ripeterlo.
Trump non è ancora stato alla Corte Suprema. Tutti questi casi sono stati archiviati a livello di processo e ci vorrà del tempo per vedere se emerga qualche reclamo che un tribunale federale avrebbe giurisdizione per risolvere”.
Harris – “La Corte ha segnalato che è aperta a considerare le recriminazioni secondo cui le procedure elettorali statali non sono state determinate dalle legislature statali, ma piuttosto da tribunali o altri organi esecutivi. Ma questi reclami sono stati per lo più esauriti ora che si sono svolte le elezioni”.
6. Il partito repubblicano, con poche eccezioni, non ripudia la guerra legale di Trump. Significa che condividono la legittimità di questa sfida? O è solo una mossa politica, magari in vista del voto decisivo in Georgia per due seggi al Senato?
Roosevelt – “In parte probabilmente è perchè non vogliono scoraggiare gli elettori repubblicani in Georgia. L’altro dato di fatto è che gli elettori repubblicani amano Trump, e qualsiasi repubblicano che sembri tradirlo verrebbe probabilmente eliminato alle prossime primarie repubblicane”.
Gardner – “Per la maggior parte della mia vita, le battaglie politiche negli Stati Uniti sono state tra due partiti, ciascuno dei quali era profondamente impegnato nella democrazia liberale. Non è più così. Il Partito Democratico è ancora impegnato nella democrazia liberale, ma il Partito Repubblicano è scivolato molto rapidamente nell’autoritarismo populista di destra. Poichè non sono impegnati per la democrazia e rimangono fedeli al loro leader forte, non sono disposti a concedere nulla. C’è qualche disaccordo qui sul fatto che Trump sia migliore rispetto a Berlusconi o Mussolini, ma di certo non potrebbe essere più diverso da George Washington, che ha avviato una tradizione di 220 anni di trasferimento dignitoso e pacifico del potere”.
Harris – “Ancora una volta, stiamo attenti a chiamarla una guerra legale. È come la chiama Trump, ma non è ciò che è (e i giornalisti professionisti non dovrebbero permettergli di definire la realtà che è loro compito filtrare e riferire oggettivamente! Infatti, i media americani hanno davvero raccolto questa sfida negli ultimi tempi, e soprattutto attorno alle elezioni).
Questa è una guerra politica, in cui Trump sta cercando di arruolare il sistema legale. Certo, può aiutare a motivare i sostenitori a votare in GA (ma motiva ancora di più Dems!), ma è più mirata a mantenere il carisma di Trump e la leadership sul suo popolo, mentre cerca di creare una sorta di governo virtuale in esilio. La sua incapacità di concedere la vittoria è un atto di tradimento paragonabile alla secessione degli Stati del sud quando Lincoln vinse le elezioni nel 1860. I leader repubblicani, la cui legittimità poggia sull’integrità di queste elezioni, si espongono a un grande rischio nell’adottare troppo a lungo la strategia di delegittimazione di Trump”.
7. Cosa ci si aspetta nei prossimi giorni e settimane? Quali sono i possibili scenari? L’iter prevede che gli Stati risolvano riconteggi e controversie giudiziarie entro l′8 dicembre, cosicchè il risultato possa essere finalizzato il 14 dicembre, quando i membri del collegio elettorale si incontreranno a Washington. Andrà tutto per il verso giusto o ci aspettiamo colpi di scena?
Roosevelt – “Spero che tutto vada per il verso giusto. Dovremmo sapere nei prossimi giorni se si tratta solo di una campagna di pubbliche relazioni o se sta succedendo qualcosa di più serio. Se Trump perde ogni causa al primo livello (trial courts), allora penso che non ne sentiremo molto di più. Se vince e un giudice della corte di grado inferiore dice alla Pennsylvania che non possono certificare i risultati delle elezioni, allora ci troveremo su una strada molto più pericolosa”.
Gardner – “Mi aspetto del dramma, ma mi aspetto anche che alla fine il processo si svolga normalmente”.
Harris – “Tutto andrà per il verso giusto a meno che un numero sufficiente di legislatori statali repubblicani tenti di aggirare il voto popolare e invii liste rivali di elettori. Sarebbe un disastro e spetterà al Congresso decidere. Ma la Corte Suprema potrebbe intervenire anche qui”.
8. Siete tre affermati professori di Diritto in America e in Italia. Come state vivendo — voi e i vostri colleghi – questo terremoto legale, dopo mesi di aspra campagna elettorale e 96 ore di ansia in attesa di un risultato?
Roosevelt – “È molto allarmante. Ci auguriamo che non significhi nulla, che sia solo una postura politica e che presto finirà . Ma non abbiamo mai visto un candidato presidenziale perdente accusare di frode e attaccare l’integrità delle elezioni stesse in questo modo, tanto meno un presidente in carica. Qualunque cosa accada, tutto questo sta facendo molti danni alla fiducia degli americani nel loro sistema politico. Vorrei che la gente capisse che in una democrazia a volte il voto va contro di te, e devi accettarlo e andare avanti. La visione di Trump è che tutto ciò che va contro di lui è illegittimo e dovrebbe essere attaccato – se tutti si sentiranno in questo modo, la nostra democrazia non sopravviverà ”.
Gardner – “È stato orribile. Per quattro anni abbiamo avuto un presidente che non rispetta, e nemmeno capisce, lo Stato di diritto. Essere un professore di Diritto quando il massimo ufficiale incaricato di eseguire fedelmente la legge non crede nel proprio lavoro, è molto difficile e disorientante”.
Harris – “Non è un terremoto legale. La sconfitta elettorale di Trump dà alla nostra democrazia un ultimo sussulto d’aria, ma la sua resistenza e il sostegno stabile del suo popolo e del partito repubblicano sono allarmanti. Voglio dare molto credito ai media americani, che ci hanno preparato per questo, e hanno cercato di tenerci legati alla realtà ”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
IL VIDEO ERA GIA’ STATO SMENTITO DA UNA SETTIMANA, NESSUN IRREGOLARITA’, SOLO UNO SVUOTAMENTO DELLE URNE A LOS ANGELES
Donald Trump non ha ancora concesso la vittoria a Joe Biden. Piuttosto ha preferito
spacciare un video che mostra le normali operazioni di raccolta delle schede elettorali come se fosse una nuova “prova” di brogli col voto postale.
Tutto è accaduto — come sempre — su Twitter, dove ieri sera il presidente degli Stati Uniti ha postato un filmato che era già stato oggetto di fact-cheking da parte dell’agenzia di stampa Reuters e altre testate giornalistiche.
Nel video, pubblicato per la prima volta il 4 novembre, il giorno dopo l’Election Day, si sente una donna fare una serie di domande a due persone che stanno raccogliendo i voti postali da una drop box, ovvero da un’urna elettorale a Reseda, quartiere della San Fernando Valley di Los Angeles, in California. La donna chiede come mai, visto che la California è già stata assegnata a Joe Biden.
Il “mistero” è presto svelato, e i presunti brogli smascherati, dalla stessa contea di Los Angeles, che il 5 novembre spiega su Twitter: «Non esistono schede che non vengano raccolte. Le drop box sono state chiuse e sigillate alle ore 20.00 la notte delle elezioni e le schede ritirate il ​​giorno successivo. Si tratta di schede elettorali valide che verranno elaborate e conteggiate durante lo scrutinio post-elettorale, proprio come le schede ricevute con un timbro postale valido e tempestivo».
La cosa incredibile è che a distanza di una settimana Trump abbia riproposto il video senza curarsi del debunking già effettuato. Delle due l’una: o il presidente è molto disinformato, o sta davvero giocando sporco con la sua propaganda.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
ALTRO SCHIAFFONE A TRUMP, MENTRE VIENE CONFERMATO CHE BIDEN HA VINTO ANCHE IN ARIZONA
Papa Francesco ha telefonato al presidente americano eletto, Joe Biden, per congratularsi con lui per la vittoria alle elezioni. Lo rende noto lo staff di Biden.
“Il presidente eletto ha ringraziato Sua Santità per la benedizione e le congratulazioni”, si legge nel comunicato diffuso dal suo ufficio. Biden è il primo presidente cattolico degli Stati Uniti dopo John Fitzgerald Kennedy.
Biden “ha sottolineato il suo apprezzamento per la leadership di Sua Santità nel promuovere la pace, la riconciliazione ed i legami comuni dell’umanità nel mondo”.
“Il presidente eletto – conclude il comunicato – ha espresso il desiderio di lavorare insieme sulla base della fede condivisa nella dignità e uguaglianza di tutti gli esseri umani, su questioni quali la cura dei marginalizzati e dei poveri, l’affrontare la crisi dei cambiamenti climatici, accoglienza e l’integrazione dei migranti e rifugiati nelle nostre comunità “.
Media Usa: “Biden vince anche in Arizona”
Joe Biden vince anche in Arizona. Secondo Political Polls e Decision Desk Hq, il democratico si aggiudica gli 11 grandi elettori dello Stato, arrivando così a quota 290. Con lo spoglio arrivato ormai al 99%, Biden è in vantaggio rispetto al presidente uscente con più di 11 mila voti di differenza (11.635) al 49,4% e 1.663.447 voti. Trump si ferma al 49,1% e 1.651.812.
Ron Klain nominato capo dello staff del presidente eletto
Joe Biden compie il primo passo per la formazione della sua squadra e nomina Ron Klain capo dello staff. Veterano del partito democratico e da decenni a fianco di Biden, Klain era lo ‘zar per l’Ebola’ dell’amministrazione di Barack Obama, colui chiamato a delineare la risposta americana all’emergenza. Ora Klain si trova ad affrontare il Covid-19, una pandemia a suo avviso non gestita in modo appropriato da Donald Trump. E Klain non ha mai nascosto su Twitter la sua contrarietà alle mosse della Casa Bianca per affrontare il coronavirus.
Avvocato con una profonda conoscenza di Capitol Hill, Klain era da tempo il favorito per l’incarico visti i trascorsi con Biden. Era infatti a fianco del presidente eletto negli anni Ottanta quando Biden era presidente della commissione Giustizia del Senato e lui si era appena laureato alla Harvard Law School.
Klain era poi stato capo dello staff di Biden durante i suoi anni alla vicepresidenza. Un rapporto quindi lungo e basato su una fiducia reciproca che ha spinto Biden a nominarlo. Una nomina che, secondo gli osservatori, segnala un’inversione di rotta rispetto al caos della Casa Bianca di Trump.
Conosciuto per avere i nervi saldi, Klain è un uomo della politica di Washington dotato di esperienza e competenza. “Ron è stato preziosissimo durante gli anni che abbiamo lavorato insieme, incluso quando abbiamo salvato l’economia americana nel 2009 da una delle peggiori recessioni della storia”, afferma Biden. “La sua profonda e variegata esperienza e la sua capacità di lavorare con gli altri nell’ambito di tutto lo spettro politico è precisamente quello di cui ho bisogno nel capo dello staff della Casa Bianca”, aggiunge il presidente-eletto. Klain accetta con “umiltà ” l’offerta e si dice “onorato” dell’incarico.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
SI CHIAMA MEDIASET IL NAZARENO DELLA PANDEMIA E NEL PD NON SI CAPISCE CHI DECIDE
E allora, mettiamo in fila gli elementi. 
Silvio Berlusconi, chapeau, sempre il più luciferino, abile, scaltro di tutti (capirete tra un po’ perchè) che da qualche giorno ha ricominciato a saltellare in tv, nei panni dell’uomo di Stato che offre collaborazione al governo perchè, con i morti davanti ai pronti soccorsi, ci vuole responsabilità .
Nicola Zingaretti che quello spirito costruttivo a tutte le opposizioni lo chiede da tempo, in vista di mesi ancor più duri. E che, invece, in tv evita di andare, un po’ stufo, raccontano i suoi, di dover difendere un governo che, dopo sette ore di vertice, è ancora perso nell’arcobaleno del lockdown, tra giallo, arancione e rosso.
E ancora: la collaborazione – parola magica di questi giorni, meglio non cercare sinonimi – che, come d’incanto, si concretizza nella proposta della “conferenza dei capigruppo unificata” e nell’idea che circola di un relatore anche di Forza Italia sulla legge di bilancio, come se fosse in maggioranza.
Tutta questa riscoperta di interesse nazionale, fair play istituzionale, spirito repubblicano sancita, ecco il punto, dall’emendamento “pro-Mediaset” presentato dalla maggioranza nel decreto Covid e che col decreto Covid, direbbe il poeta non c’azzecca proprio nulla. C’azzecca, eccome, con gli interessi del Biscione che, in tal modo, ottiene uno “scudo” per i prossimi sei mesi consentendo a Berlusconi di scendere a patti con Bollorè, ma da una posizione di forza.
Questo articolo è una cronaca dell’eterno ritorno dell’uguale. E, in questa storia che si ripete, scegliete voi quanto è tragedia, quanto è farsa, quanto nemesi storica con i Cinque stelle che votano una norma ad aziendam, appunto scegliete voi, c’è, come sottofondo, la genialità del vecchio Silvio che è tutt’uno con l’altrui perdita dell’anima.
Avrà pensato, il Cavaliere che anche stavolta gli è riuscita, come tante altre volte, quando era all’opposizione e, facendosi concavo e convesso, è riuscito a tutelare i suoi interessi, mostrandosi dialogante, tranne poi, al momento giusto, scaricare la sinistra e la responsabilità e andare a fare il pieno con la destra. E addio dialogo.
Gli sarà venuto alla mente il famoso discorso di Violante, nel febbraio del 2002. Era lì, comodamente seduto sullo scranno di palazzo Chigi riconquistato mandando all’aria la Bicamerale e lo spirito costituente, quando l’allora capogruppo dei Ds gli ricordò la sua ingratitudine: “Ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni tv, avessimo durante il centrosinistra aumentato venticinque volte il fatturato di Mediaset”.
E gli sarà venuto in mente anche il gioco da ragazzi per lui, quando da “Pregiudicato” additato alla pubblica gogna, si ripresentò come padre della Patria, grazie a Renzi, un giovane spregiudicato, che non aveva capito che, a giocare col fuoco, ci si brucia, e si è visto come è andata a finire.
Anche quella fu una straordinaria stagione per Mediaset che si è potuta permettere il lusso di continuare a investire poco, tanto la modifica della Gasparri era rimasta nei titoli della Leopolda e non nei programmi di palazzo Chigi.
Poi la difesa dello status quo televisivo, grazie a un’operazione garantita dal governo Gentiloni. Ovvero l’ingresso di Cassa depositi e prestiti in Telecom e l’alleanza col fondo di investimento Elliott (il nuovo proprietario del Milan per intenderci) in funzione anti-Vivendi.
Ed è proprio su questo stop ai francesi che il Cavaliere diede il via libera al governo gialloverde. Perchè lo schema è sempre lo stesso e schema che funziona non si cambia: disarmo, in cambio di tutela degli interessi aziendali.
Peccato che la Corte europea, con la sentenza di settembre, ha dato ragione a Vivendì collocando la legge Gasparri nel capitolo “antiquariato” in epoca di digitale. Ed è qui che arriva l’emendamento che concede sei mesi di tempo all’Agom per un’istruttoria, che consente a Mediaset per i prossimi sei mesi di non garantire a Vivendi una presenza di minoranza nel cda di una azienda di cui possiede quasi un terzo e con la quale ha conteziosi legali in tutta Europa.
Tu chiamalo, se vuoi, “nuovo Nazareno” anche se più embedded, con buona pace dei moralisti in servizio permanente effettivo che sui precedenti “inciuci” ci hanno costruito brillanti e rumorose carriere.
Siccome queste cose a sinistra le sanno, si capisce perchè qualcuno si è sentito un po’ scosso nella coscienza davanti a una norma arrivata praticamente già scritta da Patuanelli col via libera di Gualtieri, senza tanta discussione col Nazareno. Nel corso di una riunione con parecchi ministri del Pd anche il vicesegretario Andrea Orlando è apparso piuttosto perplesso per le modalità e la formulazione perchè se tanto ci tenevano i Cinque stelle, potevano anche esprimere un relatore invece di far gravare l’ingrato compito sulla dem Valeria Valente.
Nel corso del confronto, piuttosto virile anche il ministro Boccia e il sottosegretario all’editoria Andrea Martella hanno espresso la loro contrarietà su una norma che, su un settore strategico, è in continuità logica con le tante leggi definite da loro stessi ad personam e contrastate in questo ventennio.
Tanta determinazione del ministro dell’Economia ha fatto fiorire tutta una serie di suggestive dietrologie sulla mano di D’Alema — quando si parla di accordi è sempre il principale indiziato — il cui ascendente su Gualtieri è noto, come è nota in questa fase anche l’ascolto che i suoi esperti consigli ricevono a palazzo Chigi. Il che aprirebbe un lungo capitolo su chi comanda nel Pd, e dove si decide, ma questo è un altro articolo.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
TRENTA RELATORI, IL TERZO MANDATO E’ “DI FATTO”… ATTESA PER VIDEO DI GRILLO
Molti nomi sono quelli di sempre: l’ex capo politico Luigi Di Maio, l’anima ribelle Alessandro Di Battista, il leader degli ortodossi Roberto Fico, la pasionaria Paola Taverna.
I primi tre, in particolare, hanno fatto parte del famoso direttorio che per un periodo ha guidato il Movimento 5 Stelle. Saranno loro, insieme al ministro Lucia Azzolina, al viceministro Stefano Buffagni, al sottosegretario Manlio Di Stefano, agli ex ministri Giulia Grillo, Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli, e a un po’ di nuove leve, a intervenire domenica nella giornata conclusiva degli Stati generali in streaming.
Sono i 30 relatori scelti sulla piattaforma Rousseau per illustrare il documento suddiviso in tre macroaree (agenda politica, organizzazione e struttura, princìpi e regole base) e redatto dai 305 delegati votati dai circa 8mila iscritti che hanno preso parte alle prime tre settimane di confronto a livello locale.
Gli occhi sono puntati sulla struttura del partito e sulle regole base.
Domenica non si conoscerà la nuova leadership ma si saprà che tipo di guida sarà data a M5s. Dai documenti fino ad ora elaborati è emersa la volontà di puntare su un organo collegiale, una segreteria allargata di numero dispari, con un primus inter pares, che in tanti identificano in Luigi Di Maio.
I nomi però che entreranno a far parte di questa segreteria si conosceranno solo in un secondo momento, probabilmente entro Natale. Quando il Movimento diventerà a tutti gli effetti un partito, con un segretario e la sua segreteria in rappresentanza delle varie anime.
Ed è per questo che il week end dedicato agli Stati generali servirà per contarsi. Di fatto sul palco ci saranno le varie correnti, votate e rappresentate in questa prima fase. Ci sono le diverse visioni di Movimento. C’è chi come Luigi Di Maio vuole consolidare l’alleanza con il Pd e chi invece come Alessandro Di Battista chiede un ritorno alle origini.
Il tutto si potrebbe concludere nel modo più tradizionale che esista nella storia dei partiti, ovvero con l’ingresso del più movimentista di tutti, tra l’altro sempre più isolato, in questa nuova struttura collegiale.
Durante la due giorni dovrebbe parlare anche Beppe Grillo. Non sarebbe stato invitato invece Davide Casaleggio, anzi i documenti scritti in queste settimane chiedono il divorzio dalla piattaforma Rousseau così come intesa oggi.
C’è poi il tema dei temi, quello del terzo mandato, che sembra allo stato uno dei temi cruciali anche se di fatto non all’ordine del giorno perchè formalmente non affrontata da quasi nessuna delle cosiddette “mozioni” in campo. Fatta eccezione per quella capitanata da Di Battista che nella sua piattaforma ha fatto esplicito riferimento al divieto di derogare al limite dei due mandati, se non per ricandidarsi nel proprio comune di appartenenza.
Da questo punto di vista sarebbe lui ad accogliere l’indicazione, arrivata forte e chiara, dai territori che avrebbero dato mandato ai loro delegati a non avallare in alcun modo deroghe a questo principio cardine del Movimento.
Il limite dei due mandati potrebbe essere il vero convitato di pietra, ma basta scorrere i nomi dei relatori, tanti big e della prima guardia, per capire che un terzo mandato nei fatti c’è già .
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
COMPRATI DA UN DENTISTA DI BOLZANO, IMPORTATI DALL’INDIA TRAMITE CONTATTO CINESE E INTERMEDIARIO TURCO
Vaccini indiani importati da un dentista di Bolzano attraverso un intermediario turco, grazie
agli auspici di un conoscente cinese. È questa la surreale filiera dietro la fornitura di 150mila dosi di vaccino antinfluenzale che Regione Lombardia era in procinto di affidare allo Studio Dr. Mak & Dr. D’Amico Srl, società che gestisce un piccolo studio dentistico in Alto Adige. Una fornitura che ora rischia di saltare.
Sul caso hanno infatti avviato verifiche sia i carabinieri del Nas di Trento sia la guardia di finanza di Bolzano, dopo l’articolo de ilfattoquotidiano.it che ha svelato i retroscena dell’ultimo tentativo della giunta Fontana per mettere una pezza sul pasticcio dei vaccini.
Dai primi riscontri è emerso che la società dello studio dentistico non è iscritta nel registro degli intermediari di prodotti farmaceutici detenuto dal ministero della Salute. E per questo i carabinieri, in attesa di approfondire eventuali rilievi penali, hanno già preso un primo provvedimento amministrativo: una sanzione da 6mila euro allo studio.
La vicenda è solo l’ultimo tassello della tragicomica rincorsa ai vaccini antinfluenzali di Regione Lombardia, che dopo una sequela di errori fatti nei bandi d’acquisto è arrivata in ritardo e con carenza di dosi all’appuntamento con la campagna vaccinale, quest’anno ancora più importante del solito per la concomitanza con la pandemia di Covid. Nelle scorse settimane la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo sui prezzi elevati a cui sono stati acquistati alcuni lotti.
E come se non bastasse 620mila dosi, parte delle 2,9 milioni di dosi ordinate, sono al momento senza l’autorizzazione all’importazione dell’Agenzia italiana del farmaco. Così il 28 ottobre la centrale acquisti regionale Aria ha pubblicato in fretta e furia un ultimo bando, il decimo, per l’acquisto di altre 150mila dosi.
Un bando lampo, rimasto aperto per sole 24 ore, tempo comunque sufficiente perchè la società Studio Dr. Mak & Dr. D’Amico Srl di Bolzano, che ha come soci e amministratori il dentista Lars D’Amico e la specialista in ortodonzia Rozmary Mak D’Amico, inviasse la propria offerta da 2,7 milioni di euro e si aggiudicasse la gara, salvo le verifiche ancora da effettuare sul possesso dei requisiti richiesti.
A colpire sono soprattutto il brevissimo tempo previsto dal bando per presentare un’offerta e le caratteristiche dell’unico partecipante, che in quanto studio dentistico dovrebbe occuparsi di ben altro, piuttosto che fornire vaccini alle regioni.
Ma non è tutto: la società di Bolzano è stata costituita poco più di un mese fa, il 30 settembre, giusto in tempo per partecipare alla gara lombarda.
Quando la settimana scorsa ilfattoquotidiano.it ha chiesto chiarimenti in Regione, l’assessore al Welfare Giulio Gallera ha scaricato ogni responsabilità relativa ai bandi su Aria. E Lorenzo Gubian, direttore generale che in Aria ha sostituito Filippo Bongiovanni dopo il caso dei camici comprati dall’azienda di famiglia Fontana, ha spiegato che era “in corso la verifica dei requisiti sulla base del codice appalti. Se l’operatore economico non è una casa farmaceutica, sarà un intermediario come succede per tantissime gare di beni sanitari. Se ha i requisiti per poterlo fare, non c’è nessun problema dal punto di vista della legittimità ”.
Ma l’autorizzazione per fare da intermediario nella vendita di farmaci, non si ottiene di solito nelle poche settimane trascorse dalla costituzione della società .
E i farmaci possono venderli i farmacisti e i grossisti farmaceutici, non i medici o i dentisti. Così a Bolzano sulla vicenda si è scatenato un vespaio.
Se ne sono interessati l’ordine dei farmacisti e quello dei medici, che ha avviato una serie di verifiche. Così come hanno fatto la guardia di finanza e i carabinieri del Nas che, come detto, hanno già sanzionato la studio dentistico, mentre ulteriori approfondimenti sono in corso.
Tornando in Lombardia, resta da capire se davvero in Aria e negli uffici dell’assessorato di Gallera non si sono accorti di avere in corso una negoziazione per la fornitura di vaccini non con una società che commercia farmaci, ma con un dentista. Il quale — secondo i primi accertamenti — per venderli alla Lombardia se la fornitura non andrà a monte, li importerà dall’India attraverso una triangolazione con un conoscente cinese e un intermediario turco.
“La fornitura è sotto verifica — si limita a dire ancora oggi il direttore generale di Aria -. Le procedure d’acquisto sono regolate dal codici appalti e le verifiche dei requisiti vengono effettuate in sede di gara prima di procedere all’esecuzione del contratto. Questo è il modo previsto dalla norma a tutela della stazione appaltante”. Raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it, invece, il dentista D’Amico dice: “Non so nulla della sanzione. Per il momento non posso dire niente, posso solo dire che tutto procede per il meglio”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
SOSPESO ANCHE IL SINDACALISTA CHE HA RIVELATO LA VICENDA
Pietro La Grassa, tecnico di farmacia del Pio Albergo Trivulzio con 31 anni di anzianità , rappresentante sindacale della Cgil, ha ricevuto oggi alle 12 una lettera di sospensione di un mese dal servizio. Il grave provvedimento gli è pervenuto subito dopo la pubblicazione su “Il Fatto Quotidiano” di un articolo di Gad Lerner che riportava dichiarazioni del sindacalista in merito al “clima di terrore” instaurato all’interno del polo geriatrico sotto inchiesta per le note vicende legate al Covid.
La Grassa ha raccontato che in soli due mesi sono state aperte 120 procedure disciplinari su medici, infermieri e altro personale della Baggina. Lui stesso, fino a ieri, ne aveva già collezionate sei. La settima, accompagnata da un mese di sospensione preventiva dal lavoro, si riferisce a un presunto alterco con la responsabile del servizio di infermeria che aveva allontanato La Grassa dai locali in cui abitualmente opera. Il provvedimento odierno ha tutto il sapore di una rappresaglia antisindacale.
Ecco l’articolo del Fatto sulla vicenda
L’invito mi era giunto in diretta televisiva venerdì scorso a Agorà , e subito l’avevo accolto. Collegato dal marciapiede di fronte al Pio Albergo Trivulzio, me lo rivolgeva il professor Fabrizio Pregliasco, supervisore scientifico e di fatto unica voce parlante del più grande polo geriatrico italiano: “La aspettiamo, venga a constatare di persona che la nostra situazione è assai diversa da come viene descritta”.
Un certo stupore me l’ha poi manifestato Giulia Frailich, che ha la mamma in degenza al Trivulzio e che partecipava alla trasmissione in rappresentanza di Felicita, associazione di familiari per i diritti nelle Rsa: “Strano che la facciano entrare, a noi non è mai stato concesso di essere ricevuti dal direttore generale Giuseppe Calicchio, nonostante le numerose richieste, e con lo stesso Pregliasco siamo riusciti a fare solo un incontro a distanza via Zoom”.
Cionondimeno l’appuntamento è stato prontamente fissato. Peccato che, proprio mentre stavo arrivando in via Trivulzio mi perveniva il messaggio di Pregliasco: “C’è un cambiamento, la aspetto nel mio ufficio all’Istituto Galeazzi” (del quale è direttore sanitario).
L’accesso alla Baggina tanto cara ai milanesi resta dunque sbarrato, e non è difficile immaginare per volontà di chi.
Nonostante le inchieste giudiziarie e amministrative abbiano chiarito che le percentuali di mortalità Covid all’interno del Pio Albergo Trivulzio, per quanto elevate, restino nella media delle altre strutture per anziani dell’area milanese, lì dentro continua a viversi un’atmosfera pesante, da stato d’assedio.
Un clima di terrore
“Un clima di terrore”. La stessa identica espressione viene adoperata da due personalità che non potrei immaginare fra loro più distanti: il settantenne geriatra Luigi Bergamaschini, in pensione dal 1° novembre dopo cinque anni di lavoro al Pat grazie a un protocollo di collaborazione con l’Università Statale; e il cinquantenne tecnico di farmacia Pietro La Grassa, forte di un’anzianità aziendale di 31 anni, coordinatore della Cgil.
Non avrei denunciato su Repubblica, nell’aprile scorso, il tentativo di occultare la grave situazione causata dall’esplodere della pandemia nei reparti, se non mi fossero pervenute due testimonianze perfettamente convergenti dal luminare estraneo a qualsivoglia schieramento politico e dal militante sindacale che lì dentro invano tentano di screditare come “testa calda”.
Bergamaschini fu esonerato dal servizio il 3 marzo con una mail di contestazione, dopo che il direttore sanitario Pier Luigi Rossi gli aveva rimproverato di aver disobbedito alla volontà superiore di Calicchio.
Sua colpa era di aver consentito al personale di utilizzare le mascherine. Tanto che, dopo la sua estromissione, per alcuni giorni fu imposto di levarle. Solo la minaccia di un’azione legale dell’Università Statale consentì il rientro del geriatra. Contagiato dal Covid, a maggio Bergamaschini trascorse quindici giorni sotto ossigeno e in posizione prona all’ospedale San Paolo. Dopo di che è tornato a curare i suoi malati.
La Grassa, a sua volta, mi rivelò il tentativo di far passare le prime morti da Covid per bronchiti e polmoniti stagionali.
Da allora sono passati sette mesi, un’ispezione ministeriale, una commissione di verifica promossa da Regione e Comune, un esposto di 150 familiari, ed è ancora in corso un’inchiesta della Procura per epidemia colposa e omicidio colposo.
Fabrizio Pregliasco, ricevendomi al Galeazzi, manifesta la convinzione che non emergeranno rilevanze penali. Del resto già a maggio, assumendo l’incarico di supervisore, aveva dichiarato che sul Pio Albergo Trivulzio si era fatta della “panna montata”. A cosa si deve, allora, il “clima di terrore” di cui parlano ancora oggi sia La Grassa sia Bergamaschini? Il direttore generale Calicchio ha scelto di trincerarsi nel più assoluto riserbo, in attesa dell’esito delle indagini che lo riguardano. Ma non solo. Se già prima del Covid esasperava la contrapposizione fra dipendenti fedeli e infedeli, adesso sembra aver inaugurato una vera e propria offensiva intimidatoria.
La nuova offensiva
Da settembre ad oggi si contano 120 provvedimenti disciplinari, quasi il doppio di quelli intrapresi nei cinque anni precedenti. Solo a ottobre La Grassa ne ha ricevuti già sei. Viene accusato di aver pubblicato post diffamatori, di essersi abbassato la mascherina per fumare nella piazzetta vicino al bar, di aver gettato un mozzicone appena spento nel corridoio… “Mai vissuta prima d’ora una situazione del genere, in 31 anni di servizio. Piovono accuse per motivazioni futili a scopo ritorsivo. Vengono comminate sospensioni preventive dal lavoro e sanzioni comunque non proporzionate alle imputazioni. L’ex dirigente degli assistenti sociali licenziato per un presunto conflitto d’interessi ha fatto ricorso e ha vinto. Sono colpiti anche primari e medici per vicende risalenti a diversi anni addietro… È come se si volesse approfittare dell’emergenza per una resa dei conti, inducendo chi può alle dimissioni. Senza contare i 46 fisioterapisti già lasciati a casa e i 30 infermieri con contratto a termine che andranno via a dicembre”.
Come se non ne avesse già avute abbastanza, anche il professor Bergamaschini si ritrova, col collega Francesco Riboldi, accusato per rivelazione di segreti d’ufficio (alla segretaria di Calicchio!) e per cartelle cliniche del 2017 compilate in maniera tale da consentire la permanenza in reparto di pazienti che, se dimessi, sarebbero finiti in mezzo a una strada.
“Ormai sono in pensione — dice — ma nei confronti di altri medici assistiamo a veri e propri episodi di mobbing”. Pregliasco sorride imbarazzato di fronte al mio resoconto. Ammette che si sono rafforzati i controlli notturni per verificare che gli addetti non si tolgano la mascherina. Giustifica i metodi accentratori e autoritari di Calicchio con la necessità di porre fine a “una consuetudine di cogestione” che da sempre contraddistingue una megastruttura come il Trivulzio, appesantita da stratificazioni di potere cui non è estranea la lottizzazione politica delle nomine e delle assunzioni.
Il futuro incerto
L’esito però è un clima avvelenato che aggrava una situazione resa difficile dalle precauzioni anti-Covid. Il numero degli ospiti è drasticamente calato, fin quasi a dimezzarsi. Si disperdono molte valide professionalità , come se non bastassero gli elevati tassi di assenteismo ereditati dal passato. Tanto da rendere legittimo un interrogativo: cosa ne sarà del Pio Albergo Trivulzio, in futuro?
Sta subendo solo l’esasperato impulso di autotutela del direttore generale sotto inchiesta, o qualcuno sta già predisponendo le condizioni di un drastico ridimensionamento della gloriosa struttura figlia dell’illuminismo lombardo?
La tragedia del Covid impone certamente una revisione strutturale delle politiche di assistenza agli anziani. Gli investitori privati sono pronti ad approfittare della crisi del grande polo geriatrico pubblico, tutto da ripensare. Il suo enorme patrimonio immobiliare fa gola a molti. Ma l’ansia da repulisti non favorisce certo una pianificazione trasparente.
(da “il Fatto”)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
SCOPPIA L’INDIGNAZIONE DEGLI STUDENTI… IL RETTORE: “POST INDEGNO, INTEVERREMO”
La fotografia di Kamala Harris. Con sopra un messaggio: “Sarà un’ispirazione per le giovani
ragazze – c’è scritto in inglese – dimostrando che se vai a letto con l’uomo giusto, potente e ben ammanicato, anche tu puoi essere il secondo violino di uomo con demenza. Come la storia di Cenerentola insomma”.
È l’immagine pubblicata su Facebook da Marco Bassani, professore di Storia delle dottrine politiche alla Statale di Milano. Un post pubblico fino a poche ore fa, in questo momento non più visibile a tutti.
Ma lo screenshot della pagina del docente, con il commento sulla nuova vicepresidente eletta degli Stati Uniti, sta facendo il giro dei social.
Scatenando l’indignazione di studenti e non solo: nella casella di posta elettronica del rettore, Elio Franzini, sono già arrivati messaggi che chiedono all’università di intervenire. E la sua reazione che arriva in serata è durissima: “Un post indegno – dice – l’ateneo, nei limiti delle sue possibilità , interverrà nel modo più severo possibile”.
“Un post sessista”, accusano gli universitari “lesivo della dignità delle donne”. Trovano “inaccettabile che un professore, che dovrebbe occuparsi anche della crescita umana degli studenti e delle studentesse oltre che della formazione culturale di questi ultimi, condivida post di questo genere”.
Lo studioso, aggiungono, “non è nuovo a episodi spiacevoli. Per questo abbiamo chiesto di prendere provvedimenti seri e immediati”.
(da agenzie)
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Novembre 12th, 2020 Riccardo Fucile
“INSULTARE GLI STUDENTI CHE RISPETTANO LE REGOLE CHIAMANDOLI RITARDATI MENTALI E AUGURANDO LORO LA MORTE PER CANCRO E’ INAUDITO PER UN DOCENTE”
«Noi non ci stiamo, intervengano istituzioni competenti»: questo il messaggio chiaro e forte lanciato dall’Unione degli Studenti di Melfi.
La segnalazione dei post ritenuti offensivi di alcuni docenti è stata fatta presso il Ministero e all’Ufficio scolastico regionale. La richiesta è di provvedimento immediato nei confronti di «due docenti del Liceo Federico II di Svevia» di Melfi, comune della Basilicata in provincia di Potenza.
Non ci stanno e lo fanno sapere chiaro e forte, tramite un comunicato stampa Unione degli Studenti di Melfi. «Dobbiamo purtroppo prendere atto che anche in una realtà piccola come quella di Melfi, si è verificato un evento indegno che però sicuramente merita l’attenzione di tutte le istituzioni competenti», comincia la nota.
Il riferimento è a «ben due docenti coniugati sostengono sui loro profili social che quella che stiamo vivendo sia una “dittatura sanitaria” e tutti coloro che indossano la mascherina sono ritenuti dagli stessi “Covidioti” e “Pandementi”, senza ovviamente dimenticare di definire la stessa mascherina come un “bavaglio”».
«Ritardati» agli studenti che non sono d’accordo
Il comunicato non finisce qui, sottolineando episodi ancora più gravi. Si parla di attacchi diretti agli studenti in disaccordo con le teorie cospirazioniste con «termini quali “ritardati” ed addirittura augurando il “cancro” ad alcuni».
Un comportamento che nulla ha a che vedere con il lavoro di un docente e gli studenti sono stati chiari: «Non riteniamo questi individui professori, perchè non meritano di essere definiti tali in quanto i professori non sono questo, sono tutt’altro».
Arriva infine l’appello alle istituzioni competenti: «La domanda è: può un docente, negazionista, che incita i propri followers e studenti a non indossare la mascherina, essere tale? Non saremo noi a deciderlo, ma il Ministero dell’Istruzione e il competente dell’Ufficio Scolastico Regionale cui abbiamo esposto alcuni post dei docenti».
(da agenzie)
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