Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
CALANO FDI E M5S, SALE FORZA ITALIA… LEGA 22,3%, PD 21,7%, FDI 16,3%, M5S 15,6%, FORZA ITALIA 8,1%
Si assottiglia la differenza nel consenso tra Lega e Partito Democratico che adesso sono separati da
appena lo 0,6%.
Il Carroccio, secondo gli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto Ixè, rimane il primo partito pur perdendo lo 0,1% che fa scendere il partito di Matteo Salvini al 22,3%, tallonato ormai dai Democratici che, crescendo dello 0,1%, si attestano al 21,7%.
Mentre i due principali partiti italiani rimangono stabili, con la distanza che si riduce allo 0,6% dei consensi, un sensibile calo lo registra Fratelli d’Italia, che invece era cresciuto nei mesi scorsi.
La formazione di Giorgia Meloni si conferma terzo partito, ma scende al 16,3%, riavvicinandosi al Movimento 5 Stelle che però conferma di nuovo il calo, questa volta dello 0,2% rispetto a tre settimane fa, fermandosi al 15,6%.
Staccata Forza Italia all’8,1%, seppur in salita di 0,4 punti percentuali.
Conte ancora primo leader ma avanza Zaia. Seguono Speranza e Meloni
Il presidente del Consiglio si conferma il leader che si guadagna la maggior fiducia da parte degli italiani, seguito dal governatore del Veneto che negli ultimi mesi ha conosciuto una rapida ascesa, anche a discapito del segretario del suo partito, Matteo Salvini.
A ricoprire la terza posizione, ma staccato di 6 punti, al 47%, c’è un altro protagonista della gestione dell’emergenza Covid: il ministro della Salute, Roberto Speranza, ben 11 punti sopra i consensi per Giorgia Meloni, al 36%.
Dietro di lei, al 32%, Matteo Salvini, e Nicola Zingaretti, al 30%.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
DIVISI SU QUASI TUTTO I TRE PARTITI DEL CENTRODESTRA CHE IN EUROPA APPARTENGONO A TRE GRUPPI DIVERSI… SALVINI NON E’ CREDIBILE QUANDO ACCUSA BERUSCONI DI INCIUCIARE CON IL GOVERNO: IL PRIMO TRADITORE E’ STATO LUI QUANDO E’ ANDATO AL GOVERNO CON I GRILLINI CON I VOTI DEGLI ELETTORI DI CENTRODESTRA
Causa il declino degli ultimi mesi, Matteo Salvini non ha più la forza di imporsi ai suoi alleati, ha smarrito l’ascendente e i risultati sono sotto gli occhi: nel centrodestra si recita a soggetto, in mancanza di una regia domina l’improvvisazione.
Il genio dell’imprevisto è senza dubbio il Cav che, senza concordare nulla, ha avviato un ciupi-ciù con il governo sotto l’alto patronato del Quirinale.
Nè si è premurato di informare i partner sulla norma salva-Mediaset, spuntata come un fungo nelle notti di plenilunio: sul piano politico e personale, un’autentica cafonata. Ma scagli la prima pietra chi in passato non ha fatto altrettanto.
Coi Cinque stelle la Lega è andata addirittura al governo, perdendo il diritto di dare lezioni agli altri. L’antica Casa delle libertà ormai da tempo s’è trasformata in casino, tra liti sulle candidature, gazzarre populiste, rincorse in avanti e fughe all’indietro.
L’unico vero collante che tiene unita la destra è lo scorno di trovarsi tutti insieme all’opposizione, fuori dalla porta al freddo mentre dentro si svuota la dispensa.
Salvini ora propone di dar vita a una federazione tra Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega con l’obiettivo di coordinare le mosse. Per esempio prima di avviare una trattativa con il governo sui ristori anti-Covid o in prospettiva quando si tratterà di eleggere il prossimo presidente della Repubblica. È l’uovo di Colombo, c’è da stupirsi che da quelle parti nessuno ci avesse pensato prima.
Però c’è un problema: qualunque federazione presuppone un progetto, per piccino che sia. Richiede obiettivi comuni e regole condivise. Ha bisogno di uno statuto dove si stabilisca ad esempio chi prende le decisioni, come dirimere le controversie, cosa diavolo fare se qualcuno rompe le righe.
In una federazione andrebbero coordinati i gruppi, tanto alla Camera quanto al Senato; moderati gli appetiti a livello locale.
Non è impresa da poco tenere insieme partiti rivali, parenti serpenti, con Giorgia Meloni che ha già messo la freccia del sorpasso e a ogni giro di pista sta tentando di scavalcare la Lega.
Una federazione degna del nome non potrebbe rinunciare a sciogliere certi nodi, incominciando dalla collocazione europea.
È impossibile che riescano a coordinarsi come si deve tre partiti appartenenti ad altrettante famiglie politiche: Silvio che sta coi Popolari di Frau Merkel, Giorgia con i Conservatori Ue (ne è diventata la numero uno), Matteo appollaiato sulla curva ultrà insieme con la Le Pen e con i nipotini del Fà¼hrer.
Hanno divergenze abissali sull’America, sulla Russia, su Erdogan, sull’euro, sul sovranismo; per federarsi dovrebbero chiarire un tantino le idee
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
SE POI LA SANTANCHE’ PREFERISCE CHE VENGANO AMMAZZATI AL RIENTRO IN PATRIA LO DICA APERTAMENTE
Tra un post in cui pubblicizza i braccialetti del Twiga e l’altro, Daniela Santanchè trova anche tempo e
modo di ricordare al mondo come una parte fondamentale della sua vita sia fatta di politica.
Ma lo fa male, come quando parla dell’emendamento passato alla Camera che “allarga” le tutele per i richiedenti asilo e i migranti che arrivano in Italia.
Un tema che è stato solamente certificato, specificando meglio quali siano le categorie di persone che non possono essere sottoposte a rimpatrio.
«Il PD è riuscito a far passare un emendamento per vietare il rimpatrio nel caso in cui un clandestino si dichiari gay (se proviene da un Paese dove questi sono perseguitati). Quanto scommettiamo che ci sarà un boom di omosessuali sui prossimi barconi? Vogliono farci invadere!», scrive la senatrice di Fratelli d’Italia ricalcando quando già espresso (anche lei senza conoscere lo status quo delle leggi già in vigore) dalla sua leader Giorgia Meloni.
Eppure è molto semplice. L’emendamento approvato dalla Commissione Affari Costituzionali alla Camera ha un solo obiettivo.
Ecco il testo prima del testo unico sull’immigrazione: «In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione».
Si tratta dell’articolo 19 del D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Insomma, non una cosa recente.
Cosa è cambiato? Nulla, se non una specifica
E con l’emendamento ultimo, passato in Commissione, si specifica solamente cosa rientri nel macro-settore ‘sesso’, facendo rientrare in questo campo semantico «orientamento sessuale e identità di genere».
Insomma, una specifica e poco più.
Già prima le persone il cui orientamento sessuale poteva essere oggetto di persecuzioni nel proprio Paese di origine non potevano essere rimpatriate.
Ora, però, si può tornare a parlare di quanto sono belli i nuovi bracciali del Twiga.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
L’INCHIESTA DI REPORT PARLA DEI FINANZIERI NAPOLETANI, CONSIGLIERI DI AMMINISTRAZIONE DEL CLUB ROSSONERO E DELLA LORO FORTUNA IMPRENDITORIALE
Chi è il vero proprietario del Milan? A questa domanda cerca di rispondere la puntata di Report che andrà in onda lunedì 23 novembre.
Una puntata, che vedremo alle 21.20 su Rai3, che si aprirà con un servizio dedicato alla squadra un tempo dell’ex premier Silvio Berlusconi e che appunto tenta di spiegare chi oggi la controlla.
Dopo la parabola del cinese Mr Lì, tutti parlano del Fondo Elliott ma in realtà i titolari effettivi delle società lussemburghesi che controllano il Milan sono due consiglieri di amministrazione del club rossonero, Gianluca D’Avanzo e Salvatore Cerchione.
Due finanzieri napoletani che sono i proprietari della Blue Skye e controllano poco più del 50 percento delle quote della società Project Redblack, lussemburghese che controlla la Rossoneri Sport Investment, che controlla il Milan.
La figura dei due finanzieri di Napoli è avvolta dal riserbo, è emerso che sono professionisti dell’Off shore, che hanno basato le loro società in Polonia, a Ibiza, Lussemburgo e che oggi sono a Londra.
Ma dall’inchiesta di Report emerge che è proprio nella loro città natale che nasce la loro fortuna. Uno dei primi investimenti è nella società Beta Skye srl che a partire dal 2006 acquista circa 12 milioni di euro di crediti che vantano alcune strutture accreditate presso il servizio sanitario della regione Campania.
I due, che si presentano come “salvatori della patria” dice Report, immettono liquidità in un sistema stagnante, ma lo fanno pagando le fatture agli imprenditori della sanità privata circa il 30 percento in meno con commissioni altissime facendosi però rimborsare dalla regione l’intera cifra dovuta più gli interessi maturati.
Gli interrogativi su chi operi realmente alle spalle del Milan non sono mai stati risolti, pur tornando in auge per via degli approfondimenti di Report sul ruolo della Blue Skye.
Una delle tante “scatole” coinvolte nella gestione e nel controllo del club rossonero.
Il 99,93% delle quote di Ac Milan, stando ai documenti depositati presso la Camera di Commercio lussemburghese, è detenuto da Rossoneri Sport Investment Luxembourg, società veicolo utilizzata da Yonghong Li per controllare il club.
L’insolvenza del cinese ha fatto sì che tale veicolo finisse nelle mani del fondo Elliott, come escussione di un pegno su dei capitali anticipati dall’hedge fund statunitense al presidente rossonero per l’affare legato all’acquisizione e alla gestione della società .
In questo modo il Milan è passato sotto il controllo di Elliott, ma formalmente sono entrate in gioco altre “scatole” sparse tra il Lussemburgo e il Delaware.
Una struttura che non semplifica affatto la comprensione su chi sia il reale proprietario del Milan. Rossoneri Sport Investment Luxembourg, ovvero la società che detiene quasi in toto il capitale del club, non è controllata direttamente da Elliott.
Il 100% del pacchetto azionario è in mano alla Project Redblack S.a.r.l., a sua volta controllata da tre diverse società : le americane King George Investments LLC e Genio Investments LLC, entrambe facenti riferimento all’hedge fund, e la lussemburghese Blue Skye. Quest’ultima è quella creata dai finanzieri italiani Gianluca D’Avanzo e Salvatore Cerchione.
(da Fanpage)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IERI IL PRANZO CON SILERI
Dopo Cotticelli, Zuccatelli e Gaudio, quella di Tronca sarà la nomina giusta? Il nome dell’ex prefetto
darebbe garanzie anche sul piano gestionale. La Regione deve rimettere in sesto le finanze del settore
Più passano le ore, più l’ultimo (?) nome individuato per la Calabria sembra certo. Stando a quanto circolato nelle ultime ore nella maggioranza, Francesco Paolo Tronca si avvia ad essere nominato commissario alla Salute della Calabria.
Dopo le precedenti tre nomine fallimentari — Saverio Cotticelli (che alla trasmissione Titolo V dimostrò di non sapere che il piano Covid fosse compito suo), Giuseppe Zuccatelli (che in un video diventato virale disse che le mascherine erano inutili), Eugenio Gaudio che ha rinunciato per «motivi personali» (sua moglie non sarebbe disponibile a trasferirsi Catanzaro) — la quarta nomina potrebbe essere quella giusta, avendo il governo preso del tempo questa volta per una più opportuna valutazione della figura individuata.
L’ex prefetto risulta essere, secondo l’esecutivo, la persona più adeguata per la gestione della complicatissima situazione che si è creata in Calabria.
Tronca rappresenterebbe certamente un taglio netto con le precedenti scelte essendo riconosciuto, unanimemente, come uomo delle istituzioni dall’atteggiamento duro e irreprensibile ma allo stesso tempo capace di mediare.
Palermitano, 68 anni, ha cominciato nella Guardia di finanza e poi, da prefetto, ha svolto incarichi di primo rilievo, come la gestione commissariale del Comune di Roma, dopo la cacciata del sindaco Ignazio Marino nel 2015.
La scelta sarebbe ricaduta proprio su Tronca anche per via della sue doti di gestione manageriale, stando a quanto scrive La Presse, dal momento che la regione Calabria ha necessità , in primo luogo, di sanare l’aspetto relativo alle finanze del settore sanitario. Secondo la stessa agenzia di stampa, l’ex prefetto è stato visto a pranzo ieri nel centro di Roma, vicino al Teatro Marcello, insieme al viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri. Un altro elemento utile a concludere che i fatti stiano andando in questa direzione.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
AREA E MI OPTANO PER LA SCHEDA BIANCA… DOPO QUATTRO INCONTRI ANCORA NIENTE DA FARE
Niente da fare all’Anm. Non sono bastati quattro lunghi giorni (due weekend, intervallati da due settimane) per arrivare a una qualsivoglia soluzione condivisa per l’elezione del presidente e della giunta.
C’è una parola, più di tutte, che è stata ripetuta in queste lunghe ore in cui il sindacato delle toghe ha provato, con discussioni lunghissime in cui ci si divideva anche per le più banali questioni procedurali, a darsi un esecutivo, dopo le elezioni finite il 20 ottobre. Quella parola è unità , tra i gruppi associativi.
Unità necessaria per guardare avanti, dopo che la magistratura è stata travolta dal caso Palamara e da tutte le sue conseguenze.
La predicavano in tanti, dagli eletti di Area, l’associazione delle toghe di sinistra, ai rappresentanti di Unicost, corrente di centro, passando per gli eletti nelle liste di Magistratura Indipendente, compagine dei moderati.
Più scettici sul fronte erano stati i rappresentanti di Autonomia&Indipendenza, la corrente di Piercamillo Davigo, e i quattro eletti nella lista articolo 101, un gruppo che rifiuta di essere inserito nello schema dei gruppi associazioni e ha tra gli obiettivi il sorteggio per le elezioni del Csm.
Dopo ore e ore di dibattito la conclusione è che questa unità non c’è, non è stato possibile trovarla. Che una giunta che includa tutte le anime elette al parlamentino dell’Associazione nazionale magistrati non può esistere. Così come non si riesce a trovare quella maggioranza assoluta necessaria per designare il presidente.
Già dalle prime battute della riunione in cui si sarebbe dovuti arrivare alla designazione della giunta, il 7 novembre, era chiaro che l’impresa sarebbe stata piuttosto ardua. Il primo weekend di discussioni si era concluso con un nulla di fatto. Ci hanno riprovato a partire da ieri, quando, dopo la bocciatura di una mozione di Articolo 101 che chiedeva di impedire la presenza dei segretari e dei presidenti di corrente alle riunioni del comitato direttivo centrale. Nel pomeriggio di ieri un gruppo ristretto, al quale non ha partecipato Articolo 101, si era messo a lavoro per stilare un documento con un programma di massima condiviso. In tarda mattinata il colpo di scena. Quando è stato chiaro che i 101 non avrebbero mai votato quel documento ma uno proprio, Autonomia&Indipendenza ha scelto di percorrere la stessa strada. E a quel punto Magistratura Indipendente, preso atto della situazione “radicalmente cambiata,con due componenti che si sono sfilate” ha annunciato la propria astensione “nella speranza che si possa ricostituire una più larga condivisione degli indirizzi programmatici”.
I magistrati progressisti e Unicost, invece, hanno votato a favore. Il documento è stato approvato con 18 voti a favore e 18 astensioni. Una spaccatura netta, che rende l’idea di quanto la strada sia stata in salita. Per l’elezione del presidente, infatti, è necessaria la maggioranza assoluta che, con gli 11 voti di Area e i 7 di Unicost, non si sarebbe raggiunta per un voto.
È ora di pranzo quando si iniziano a fare in chiaro dei nomi per le votazioni. Giuseppe Castiglia, della lista 101, propone il collega Andrea Reale. Nessun altro, prima di rivedersi con il suo gruppo avanza in chiaro altre candidature.
E dopo pranzo arriva un altro colpo di scena. Area, gruppo di maggioranza relativa annuncia, tramite Giovanni Tedesco, che voterà scheda bianca. A quel punto prende la parola Aldo Morgigni, di Autonomia&Indipendenza, che si autocandida “per uscire dall’impasse”. Salvatore Casciaro, di Mi, che aveva annunciato l’astensione dal documento, dichiara che anche la corrente di destra opterà scheda bianca. Segue a ruota Unicost. Nulla di fatto, insomma. L’Anm che dovrà aiutare la magistratura a superare la questione morale ancora non è riuscita a darsi un vertice. “Davvero non si capisce perchè non c’è il coraggio di fare questo nome”, sostiene Giuliano Castiglia, della lista Articolo 101, riferendosi alla designazione del futuro presidente. Si tenterà di trovare una quadra il 5 dicembre. Il nome, intanto, per ora non c’è.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“DOVREMMO ESSERE ZONA ROSSA DA TEMPO, ALTRO CHE ARANCIONE”
“La scelta di prorogare la zona arancione in Puglia è pessima. Da quando ci hanno assegnato il colore
secondo la ripartizione nazionale abbiamo assistito a un aumento esponenziale dei contagi giornalieri e soprattutto dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Noi medici siamo consci della drammaticità della situazione: a breve dovranno dirci cosa fare con chi resta fuori dalle terapia intensive”.
Sono queste le parole con cui Antonio Amendola, presidente dell’associazione dei medici e rianimatori e dirigente medico presso il Policlinico di Bari, commenta a TPI la proroga della zona arancione in Puglia.
È giunta nella mattinata di venerdì, infatti, la firma del Ministro della Salute Roberto Speranza sull’ordinanza che di fatto congela le misure previste per sei regioni — Puglia compresa — e respinge la richiesta di chiusura di sole due province (Foggia e Bat) avanzata dal presidente di Regione Michele Emiliano.
Già nella serata di giovedì, il Ministro per gli affari regionali, Francesco Boccia, aveva avanzato delle riserve sulla richiesta di estendere la zona rossa a due sole province, preferendo invece una stretta uniforme. Con la firma di venerdì è arrivato il niet definitivo: nessuna stretta o chiusura selettiva. La zona resta arancione, almeno per il momento.
Decisione accolta con scetticismo da molti, tra cui il presidente dei medici anestesisti e rianimatori: “Mi piacerebbe capire se e quanto ha influito sulla decisione il peso economico dei ristori da garantire alle attività maggiormente colpite dalle misure restrittive da zona rossa”, il suo commento. “Tutti qui sappiamo che la zona doveva essere rossa da tempo: non capisco come, numeri alla mano, ancora possano esserci le condizioni da zona arancione”.
Ormai da settimane, infatti, i medici pugliesi chiedono al governo centrale e regionale misure più restrittive per allentare la pressione sugli ospedali.
Filippo Anelli, presidente dell’ordine dei medici di Bari, ha parlato di una sanità regionale in guerra. Alludendo anche ad alcune regole che medici e anestesisti si sarebbero dati per scegliere quale paziente trattare in caso di mancanza di posti letto. Già nelle scorse settimane, sempre da Bari, è arrivato l’allarme del direttore del servizio di emergenza, Gaetano DiPietro, secondo cui negli ospedali del barese giungono anche 2.400 chiamate d’emergenza al giorno.
Negli ultimi giorni, dopo un valzer iniziale, anche la voce del neo-assessore alla salute Pierluigi Lopalco si era unita al coro di chi chiedeva un lockdown generalizzato. Nonostante la Regione abbia poi virato sulla richiesta di chiusura selettiva, non accolta dal governo.
“La situazione è già drammatica e i contagi continuano a salire — è il commento di Antonio Amendola a TPI — Se veniamo costretti, noi abbiamo un documento concordato dalla federazione nazionale dell’ordine dei medici e dalla nostra più importante società scientifica: se io ho un solo posto e due, tre pazienti che attendono sono costretto a scegliere chi intubare. È questo un rischio concreto e vicino. Oggi il sistema regge a stento grazie a tutto il personale medico. In prospettiva temo che a distanza di pochissimo tempo saremo di fronte a un crollo strutturale e tragicamente potremmo trovarci dinanzi a scelte che nessuno vorrebbe fare”.
L’equilibrio — secondo il dirigente — si regge su fili sottili. Nel quadro d’insieme occorre considerare vari elementi: l’emergenza, a differenza della prima ondata, colpisce tutta la nazione e molti paesi europei. I trasferimenti di pazienti da una struttura satura a una con posti letto a disposizione risulta quindi sempre più difficile. Lo si vede bene in Puglia, dove nelle ultime settimane pazienti Covid sono stati trasferiti dalle province di Foggia e Bari all’ospedale Vito Fazzi di Lecce, da dove sono stati smistati presso nosocomi di provincia, salvo poi tornare all’ospedale di Lecce per mancanza delle attrezzature necessarie a fronteggiare l’aggravarsi delle loro condizioni.
In Puglia, infatti, la pressione sugli ospedali è forte. Secondo i dati Agenas, il 45% dei posti in terapia intensiva è occupato dai pazienti Covid. Ben oltre la soglia del 30% indicata dal ministero come limite oltre il quale può parlarsi d’emergenza e di poco superiore alla media nazionale, ferma al 43%. In Regione, secondo la fondazione Gimbe, un tampone su quattro è positivo. Ma negli ultimi giorni qualcuno ha puntato l’attenzione sulla riduzione dei contagi.
Non Antonio Amendola, che fa notare come occorra parlare non di riduzione della curva dei contagi, ma di riduzione del loro aumento. “Bisogna considerare anche che non esiste solo il Covid. Tra gli intubati ci sono molti pazienti non Covid. Ma io non posso metterne uno Covid accanto a uno che è qui per altre patologie. Ecco perchè la saturazione del 45% attesta la drammaticità della situazione”.
Poi l’analisi dei dati e lo spettro di una nuova Bergamo. “Quando si vede un abbassamento del numero dei positivi e un incremento dei morti si può pensare che si stia riproducendo la situazione della bergamasca: lì a un certo punto i pazienti non entravano più in ospedale. Morivano a casa. È questo lo scenario da scongiurare, ma verso il quale siamo diretti senza le adeguate restrizioni”, spiega il presidente dei medici anestesisti e rianimatori.
Che punta il dito anche sulla gestione del periodo estivo, con i proclami a fare le vacanze senza restrizioni e a risollevare l’economia, ma senza le dovute attenzioni alla prevenzione in vista della seconda ondata. Il risultato è presto detto: la riproduzione delle problematiche già incontrate nella prima ondata. Emblematica la situazione campana, dove ora c’è l’ossigeno ma non le bombole necessarie per il suo utilizzo, come accaduto nella bergamasca lo scorso aprile.
“Potevamo fare molto di più in vista della seconda ondata. Non c’è stato nemmeno l’approntamento di un programma per un contact tracing efficiente e generalizzato sul modello orientale”, continua Amendola. “In compenso — conclude — c’è stata l’apertura delle discoteche. Se si lancia un cerino nella benzina, all’inizio prenderà fuoco un piccolo rivolo. Se poi non si spegne subito il rivolo, prenderà fuoco il resto e si arriverà ai bomboloni di benzina o alla foresta. È questo quanto accaduto qui. Abbiamo lasciato che le persone facessero le vacanze dappertutto. Che andassero in discoteca. Che incontrassero poi i parenti. Ora ne paghiamo le conseguenze”.
(da TPI)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IL PROTOCOLLO DELL’ ISS DA OSSERVARE IN SITUAZIONI DI ESTREMA GRAVITA’
Elaborati dall’Iss alcuni criteri in un protocollo da osservare per i medici, in particolare gli anestesisti, nel caso in cui dovessero trovarsi a scegliere chi ricoverare prima in terapia intensive.
Precedenza a chi può sopravvivere; l’età non è l’unico criterio e regole da applicare nei casi di sovraffollamento.
Queste misure, ricorda l’Iss, vanno applicate solo ed esclusivamente in situazioni di estrema gravità .
Al paziente, c’è scritto ancora nel documento, vanno comunque garantiti i diritti e va data l’assicurazione che sarà preso in carico con “gli strumenti possibili a disposizione”.
Per questo è fondamentale creare un “triage ad hoc” negli ospedali.
Sono dodici i parametri da tenere conto per decidere chi, tra i pazienti, dovrà essere seguito e prima di arrivare a una difficile scelta. Il protocollo, tuttavia, ricorda che nella valutazione avrà un peso anche la volontà dei singoli malati sulle cure o meno da ricevere.
(da agenzie)
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Novembre 22nd, 2020 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO AGLI OPERATORI SANITARI DEL SAN DONATO DI AREZZO
“State facendo la storia! Veramente grazie, grazie proprio di cuore a tutta la vostra categoria. Siete
straordinari, grazie”.
È questo il ringraziamento che Lorenzo ‘Jovanotti’ Cherubini ha rivolto agli operatori sanitari dell’ospedale San Donato di Arezzo con una videochiamata a un suo amico ricoverato per Covid nel reparto di pneumologia
La chiamata è partita da un veterinario, Alberto Brandi, grande amico di Jovanotti e in questo periodo ricoverato proprio per covid.
I medici non si sono fatti trovare impreparati: sulle loro tute avevano scritto versi delle canzoni di Lorenzo Cherubini. “Riportatemi a casa il Brandi che mi serve”, ha poi detto sorridendo Jovanotti ai medici.
“Te lo rimandiamo presto” dice qualcuno riferendosi a Brandi e alla sua degenza ospedaliera, che ormai si protrae da qualche giorno.
(da agenzie)
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