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CON 887 VITTIME ODIERNE, IL GOVERNO ALLA FINE CONCEDERA’ LO SPOSTAMENTO TRA COMUNI, COSI’ AUMENTERA’ LA DIFFUSIONE DELLA PANDEMIA

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

SPERANZA PER LA LINEA DURA, SOVRANISTI PER FAR DIFFONDERE IL VIRUS IN NOME DELLA “SACRA FAMIGLIA” E DEI PENDOLARI DEL PANDORO, CONTE TENTENNA MA ALLA FINE CEDERA’

Si riapre a sorpresa la partita del Natale. Un effetto domino che parte dal Senato, e che mette in discussione il divieto dello spostamento tra Comuni, nei giorni di Natale, Santo Stefano e Capodanno.
A Palazzo Madama si riuniscono i capigruppo. Il centrodestra vuole mettere in calendario una mozione che chieda che nei giorni di festa siano consentiti gli spostamenti almeno tra piccoli Comuni limitrofi.
Parte la discussione, i colleghi di maggioranza prendono tempo, hanno paura dell’incidente. Significativamente non dicono di no, e rimandano la discussione a lunedì.
È Andrea Marcucci, presidente dei senatori del Pd, a insistere, dopo aver sottoscritto una lettera firmata da venticinque colleghi la settimana scorsa. La richiesta è sempre la stessa: “Il governo deve solo far prevalere il buon senso: modifichi la mobilità  nei piccoli Comuni, c’è un’Italia ‘minore’ che non può essere penalizzata”. Italia viva si accoda, i 5 stelle nicchiano.
Miele per le orecchie delle opposizioni, che si infilano nelle contraddizioni della maggioranza. Una norma “assurda”, che il governo “vuole politicizzare”, la “maggioranza fa muro”.
È più tattica per forzare la mano che convinzione. Perchè i segnali che arrivano dalle forze che sostengono l’esecutivo sono contrastanti. Per i renziani il via libera si potrebbe dare subito, il Pd è lacerato, con il capogruppo che guida una robusta sia pur minoritaria fronda, mentre il grosso del partito, da Nicola Zingaretti a Dario Franceschini, rimane ancorato alla linea del rigore.
I 5 stelle faticano a prendere una posizione, fatto non nuovo in questi tempi di assenza di leadership, e si appiattiscono su Giuseppe Conte.
Ed è guardando a Palazzo Chigi che la questione si fa interessante. Perchè il premier non è mai stato un tetragono dello stop alla mobilità  tra i Comuni più piccoli. Timide aperture che aveva già  palesato nell’incontro con i capigruppo alla vigilia del varo del dpcm.
E, racconta un parlamentare con una certa consuetudine con il premier, anche nelle lunghe discussioni in seno al governo su questo specifico punto si era mostrato aperturista.
Conte ci pensa, le strade per cambiare la norma ci sono, ma sono tutte non semplici. Maria Elena Boschi a sera twitta forzando la mano: “Bene il passo indietro del governo”. Ne approfitta anche Matteo Salvini. Fonti della Lega spiegano che il segretario proverà  “a contattare Conte” per ribadire i suggerimenti della Lega, che propone di “consentire gli spostamenti all’interno della Province o in un raggio di poche decine di chilometri dalla residenza”.
Un grimaldello fra le contraddizioni degli alleati di governo. Perchè oltre alla contrarietà  della gran parte del Pd, anche Roberto Speranza è assolutamente contrario, gli uni e l’altro presi in contropiede su un capitolo che consideravano chiuso.
“Il ministro non è favorevole, rimane sulle disposizioni già  prese”, spiegano fonti del ministero della Salute. In serata a Porta a Porta ribadisce: “Sono per la linea della massima fermezza, abbiamo dati drammatici sui decessi, non possiamo assuefarci a questi numeri, dobbiamo fare sacrifici anche a Natale”.
Un dirigente Pd risponde sconsolato al telefono: “Vediamo la Merkel che piange sconsolata per i suoi concittadini deceduti, e proprio oggi che abbiamo 887 morti ci incartiamo di nuovo sul tema delle riaperture?”.
Osservazioni non peregrine, anche perchè la materia è delicata, e un’eventuale modifica delle norme non si presenta come una passeggiata.
Sarebbe una retromarcia piuttosto clamorosa dopo giorni di braccio di ferro e maratone negoziali con capi delegazione e partiti per definire l’impianto normativo, in secondo luogo darebbe, spiega una fonte di governo, “un messaggio di rilassamento che in questa fase non possiamo permetterci”.

(da “Huffingtonpost”)

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VIA LIBERA AL RECOVERY, MA ANCORA UNA VOLTA L’EUROPA SI PIEGA AD ORBAN

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

UNGHERIA E POLONIA POTRANNO PRENDERE I SOLDI UE E VIOLARE LO STATO DI DIRITTO PER ALMENO UN ALTRO ANNO

Tra i 27 leader europei riuniti all’Europa Building a Bruxelles la discussione sul recovery fund e sul bilancio pluriennale dell’Ue dura nemmeno mezz’ora.
Tutto è stato deciso ieri da Angela Merkel, presidente di turno dell’Ue, e i governi di Ungheria e Polonia. Il compromesso, che di fatto sospende il regolamento che lega i fondi europei al rispetto dello stato di diritto, plana sul tavolo del Consiglio europeo e viene approvato senza emendamenti.
Così il veto posto da Viktor Orban e il suo alleato polacco Mateusz Morawiecki viene superato. Sbloccati ben 1800 miliardi di euro, la somma tra il bilancio 2021-27 e il ‘Next Generation Eu’, bazooka anti-crisi da covid-19. Ma per l’erogazione dei soldi bisognerà  aspettare le ratifiche dei Parlamenti nazionali: un processo non proprio scontato, sul quale l’Ue non può più di una moral suasion. Dipende dagli Stati membri.
Basti pensare che per ‘Sure’, lo strumento varato in primavera dalla Commissione europea di sostegno alla disoccupazione, ci son voluti ben 4 mesi per le ratifiche dei 27 Parlamenti nazionali dell’Ue. Di questo passo, il recovery fund non sarà  operativo a gennaio, malgrado l’accordo di stasera.
Osservata speciale: l’Olanda dove si vota a marzo per le politiche, paese che non ha mai ben digerito l’idea di maturare un debito comune europeo (seppure una tantum) al fine di inviare ingenti risorse ai paesi del sud, tra cui l’Italia con i suoi 209 miliardi di euro. In Olanda il recovery fund resta una spina della campagna elettorale del premier Mark Rutte, che ha ottenuto un aumento sugli sconti ai contributi al bilancio Ue, motivo del suo sì stasera. Ma sullo stato di diritto il capo del governo olandese non esce bene.
Rutte è sempre stato il più accanito a chiedere che l’erogazione dei fondi fosse condizionata al rispetto dello stato di diritto, questione molto sentita nell’opinione pubblica olandese come in tutti i paesi nordici, compresa la Germania. Al summit, il premier de L’Aja si presenta con tre richieste.
Primo, vuole essere sicuro che il compromesso raggiunto da Merkel con i due paesi dell’est vada bene anche al Parlamento europeo, istituzione che ha condotto una strenua battaglia sullo stato di diritto, riuscendo a ottenere che diventasse una condizione per avere i soldi Ue. Su questo c’è il placet del presidente David Sassoli, convinto che questo sia “il momento per adottare le decisioni, non per rinviarle”.
Ma Rutte non la spunta sul punto più cruciale. L’accordo raggiunto prevede che Ungheria e Polonia possano usufruire dei fondi europei anche se violano lo stato di diritto. Di fatto, la condizionalità , tanto invocata e ottenuta dal Parlamento europeo, esce ‘sospesa’ dal vertice di stasera. In caso di violazioni, le risorse verrebbero bloccate solo dopo una sentenza della Corte di giustizia europea, dietro ricorso di Budapest e Varsavia (che certamente arriverà ). Di solito, per emettere una sentenza la Corte impiega almeno un anno. Va da sè che l’anno prossimo Orban e Morawiecki potranno continuare ad avere soldi dall’Ue senza dover dare conto del rispetto dei diritti.
Ecco, Rutte chiedeva che questo meccanismo fosse almeno retroattivo: se la sentenza conferma le violazioni, i soldi erogati dovranno essere restituiti. Ma il premier olandese non ottiene nemmeno questo. “Sarebbe come neutralizzare la sospensione”, ci dice una fonte europea, di fatto ammettendo che la condizionalità  sullo stato di diritto c’è e non c’è: per ora, è sospesa. Non c’è.
Rutte riesce solo a ottenere che, dopo il vertice di stasera, il servizio giuridico del Consiglio europeo esprimerà  un parere sulla solidità  giuridica di tutto l’impianto. Magra vittoria. Orban e Morawiecki brindano per aver schivato l’attacco al loro modo di governare, con discriminazioni verso le minoranze, i media non governativi, le comunità  Lgbtq.
I leader più interessati ai fondi europei esultano. A cominciare dal premier italiano Giuseppe Conte che, assediato in Italia dalla sua stessa maggioranza di Italia Viva e Pd, trova a Bruxelles un respiro di sollievo con l’accordo di stasera.
Merkel riesce a chiudere il semestre di presidenza tedesco con successo. Non era scontato. L’Europa va avanti nella definizione degli strumenti economici anti-crisi da covid. Ma nel rapporto con i paesi dell’est non c’è un passo in avanti.
Vince il compromesso ‘merkeliano’, forse l’unico modo per tenere unita l’Ue. A che prezzo?

(da “Huffingtonpost”)

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GREGORETTI E OPEN ARMS: DUE PROCESSI PER SALVINI NELLO STESSO GIORNO, IL 12 DICEMBRE

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

SECONDA GIORNATA DELL’UDIENZA PRELIMINARE A CATANIA, PRIMA PER QUELLA A PALERMO: ENTRAMBE PER SEQUESTRO DI PERSONA AGGRAVATO E OMISSIONE D’ATTI D’UFFICIO

Doppio appuntamento per Matteo Salvini. Stessa data per la seconda giornata dell’udienza preliminare del processo Gregoretti e la prima giornata dell’udienza preliminare del processo Open Arms.
Ieri i legali dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini hanno chiesto al gip di Palermo di rinviare l’udienza preliminare, fissata per sabato prossimo, 12 dicembre, in cui si sarebbe dovuto decidere l’eventuale rinvio a giudizio del leader della Lega accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio per lavicenda della nave dell’ong Open Arms a cui fu impedito di attraccare a Lampedusa e far sbarcare i migranti soccorsi in mare.
Salvini non potrà  essere a Palermo per partecipare all’udienza perchè dovrà  nelle stesse ore presentarsi davanti al gip di Catania per rispondere delle accuse di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio per il caso della nave Gregoretti.
La sovrapposizione dei procedimenti si è verificata per una serie di proteste al Palazzo di Giustizia di Catania, dove gli avvocati sono sul piede di guerra per via di casi Covid registrati, che hanno sollevato dubbi sull’efficacia delle misure di sicurezza.
Per questo motivo l’udienza inizialmente prevista per il 3 dicembre è stata spostata a sabato.
L’udienza, fa sapere l’ufficio stampa della Lega, si terrà  nell’aula bunker Bicocca della città  etnea alle 9,30, e sono “attesi anche Giuseppe Conte, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta”. Per questa vicendalo scorso 3 ottobre si è svolta al Palazzo di Giustizia di Catania la prima udienza preliminare.

(da Fanpage)

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COME E’ DIFFICILE PER SALVINI RIFARSI UN NOME FUORI DALL’ITALIA

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

MOLLARE PUTIN, AGGANCIARE BIDEN E PIACERE A MERKEL: LA MISSION IMPOSSIBILE DELLA LEGA

Il “dossier Usa” – anche in questi giorni in cui le contorsioni della politica interna si sono riprese la scena – è in primo piano sulla scrivania di Matteo Salvini.
Perchè avviare un’interlocuzione con la Casa Bianca di Joe Biden è fondamentale per chiunque aspiri a governare l’Italia.
E perchè, come insiste Giancarlo Giorgetti, un rapporto transatlantico “senza tentennamenti” va di pari passo con un più forte accreditamento presso le cancellerie dell’Europa continentale.
Un doppio obiettivo fondamentale affinchè si realizzi l’auspicio espresso dal Capitano dopo il pranzo a Villa Taverna con l’ambasciatore uscente Lewis M. Eisenberg: “I rapporti tra Italia e Usa e tra Lega e democrazia americana sono solidi e lo saranno sempre di più”.
Comincia a delinearsi la road map della Lega in politica estera che nei prossimi due anni ruoterà  intorno a due corni: massima attenzione ai movimenti di Pechino, che preoccupano molto Washington, e (lenta) marcia di avvicinamento verso il Ppe, soprattutto tedesco, per riuscire a incidere sulla ricollocazione dei migranti in ambito Ue e sulla riforma del trattato di Schengen appena rilanciata da Macron.
Il Dragone avversario comune
Da Eisenberg, tesoriere dei Repubblicani insediato a Roma da Donald Trump e scaltro uomo d’affari che verso “Matteo” ha manifestato simpatia personale oltre che stima, il leader della Lega ha ricevuto più di un consiglio.
Quello, in chiave di avvertimento, di “prudenza e saggezza” nei rapporti con Mosca che in passato hanno provocato “qualche imbarazzo”. E quello, in chiave di potenziale grimaldello per aprire le porte della nuova amministrazione americana, della massima attenzione alle mosse di Pechino.
Già : la Cina resta il nemico numero uno di Washington e la “coperta di Linus” della Lega. Al pranzo si è parlato di 5G. Ma sulle garanzie di sicurezza di quella rete e sulle relative strategie di fondo all’interno dell’Alleanza Atlantica, l’Italia (e l’Europa) hanno già  ampiamente rassicurato gli alleati. Lo hanno fatto anche il premier Conte e il ministro degli Esteri Di Maio durante la visita italiana del segretario di Stato uscente Mike Pompeo. Salvini stesso, quando governava, è sempre stato netto nel voler “garantire la sicurezza di dati sensibili italiani” e non ha gradito l’accordo sulla nuova Via della Seta promosso da Di Maio. Mentre era stato Giorgetti a spendersi per potenziare il “golden power” per il 5G in capo a Palazzo Chigi, sia per fermare azioni predatorie di potenze straniere che per tranquillizzare l’amministrazione Usa.
Alla Casa Bianca, piuttosto, l’allerta riguarda il timore di infiltrazioni cinesi nelle infrastrutture italiane, soprattutto nei porti.
In sostanza, il pericolo di investimenti in settori strategici da parte di aziende ricche di cash, e dunque suscettibili di attrarre l’interesse di chi gestisce quelle infrastrutture locali. Con obiettivi da parte del Dragone non tanto economici quanto di potenza e di espansione.
Un rischio che l’ex ministro dell’Interno ha mostrato di comprendere bene, come anche la necessità  di un potenziamento della cyber-sicurezza a livello nazionale ed europeo.
Al punto che ieri, nella dichiarazione di voto a Palazzo Madama sulla riforma del Mes, Salvini ha infilato l’Ilva e Leonardo come esempi di patrimoni italiani da difendere e non svendere. Con un inciso apparentemente casuale: “Non regaliamo l’acciaio e la difesa magari ad un investitore cinese che è pronto ad arrivare domani mattina con i contanti nella borsa”.
La road map in Europa
L’altra gamba della strategia di riposizionamento leghista riguarda l’Unione Europea. E ha necessariamente tempi più lunghi. E’ un tasto su cui Giorgetti – responsabile Esteri e numero due del partito, che conversa in inglese molto fluente — batte da tempo.
Con una road map ambiziosa e affatto facile da perseguire: una marcia di avvicinamento al Ppe, soprattutto dal lato tedesco, per arrivare al 2023 (quando salvo imprevisti si voterà  in Italia) e al 2024 (data delle prossime elezioni europee) con una piattaforma comune su alcuni temi cruciali.
Il primo è l’immigrazione, su cui oggi le distanze tra le posizioni leghiste e la gestione di Berlino sembrano incolmabili. Quando Salvini era al Viminale, la stampa tedesca fu durissima, e il ricordo nell’opinione pubblica è vivo.
Tuttavia, la gestione dei richiedenti asilo è un tema che esiste. E che tornerà  a farsi sentire appena le limitazioni alla mobilità  imposte dalla pandemia di coronavirus si allenteranno. L’Italia chiede da tempo regole diverse nella redistribuzione dei migranti e modifiche più forti del trattato di Dublino, mentre l’efficacia nuovo patto su ricollocamenti e rimpatri varato dalla commissione Von Der Leyen è ancora da verificare.
Sulle istanze italiane, la Germania è più sensibile della Francia, ma costruire un asse con il governo tedesco lungo questo filo esile è poco più di una speranza. Tanto più che a settembre la Germania andrà  al voto, e il dopo-Merkel è un’incognita totale.
Tuttavia, al Parlamento Europeo i contatti per agganciare il Ppe di Manfred Weber sono già  partiti.
Anche su un altro fronte: la riforma di Schengen. Tema di cui si discute da anni, e che gli attacchi terroristici da un lato e i problemi dell’immigrazione clandestina dall’altro hanno reso più pressante. Ad accelerare è stato Emmanuel Macron: “Dobbiamo proteggere meglio i nostri confini esterni — ha detto il presidente francese — se vogliamo mantenere aperti quelli all’interno dell’Ue”. Del resto, con Francia e Austria ci sono già  stati attriti ai valichi di frontiera. E per Salvini cercare un’interlocuzione con la Germania su questo punto è più a portata di mano.

(da “Huffingtonpost”)

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LA SFURIATA DEL PRIMARIO CONTRO IL POLITICO RICOVERATO: “BASTA SELFIE IN TERAPIA INTENSIVA”

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

L’EX VICEPRESIDENTE DEL VENETO DI AN PUBBLICA FOTO E POST SU FACEBOOK, CONCEDE INTERVISTE E RICEVE MIGLIAIA DI TELEFONATE DAL LETTINO DI OSPEDALE

Neppure il coronavirus e il ricovero in terapia intensiva bastano più a interrompere la connessione con il mondo virtuale.
Per quanto incredibile possa sembrare, è proprio da un letto del reparto di rianimazione dell’ospedale di Udine riservato ai pazienti Covid che, nei giorni scorsi, sono partiti selfie e commenti che l’imprenditore 59enne Paolo Ciani, uno degli oltre 35 mila contagiati in Friuli Venezia Giulia, ha ritenuto di dover diffondere con il cellulare, per raccontare la propria storia a parenti e amici.
Non un degente qualsiasi, Ciani, visto il suo passato di amministratore di prim’ordine in Regione, di cui è stato vicepresidente tra il 2003 e il 2008, come esponente di An nella giunta allora guidata da Roberto Antonione, e il suo presente di consigliere comunale a Villa Santina, un piccolo comune della Carnia friulana in cui aveva tentato la scalata a sindaco.
Ma questo interessa assai poco al direttore del dipartimento di anestesia e rianimazione, Amato De Monte, il medico che, di fronte al bailamme mediatico scatenato dall’attività  “social” di Ciani, è andato su tutte le furie.
Perchè “fuori”, ha ricordato, c’è gente che sta male come e più di lui, ma un posto in ospedale ancora non ce l’ha.
“Le sue esternazioni mi stanno mettendo in difficoltà  — spiega De Monte sul Messaggero Veneto —.   Da un lato, c’è il mio personale che mi chiede perchè il signor Ciani possa tranquillamente postare selfie e descrivere le operatività  del reparto, quando invece, per situazioni analoghe, alcuni dipendenti sono andati incontro a provvedimenti disciplinari. Dall’altro – continua —, ci sono privati cittadini che mi chiedono perchè lo stesso signor Ciani occupi un posto di terapia intensiva, se ha tutta la lucidità  e la tranquillità  di scrivere elaborati messaggi su Facebook e rispondere a ‘migliaia di telefonate, sms e mail’ che riceve”.
Ovviamente, a consentirgli di entrare in reparto con il cellulare era stato lo stesso ospedale. “Concediamo la possibilità  di utilizzare il telefono per mantenere il contatto con i propri cari, data l’impossibilità  della visita — spiega De Monte —. Ma mai era accaduto di foto e interviste pubblicate durante il ricovero, nemmeno da altri personaggi politici, presenti e passati. Queste in genere sono cose rinviate a patologia risolta”, commenta basito il direttore.
Prima di entrare in terapia intensiva, Ciani, che dopo avere trascorso a casa una decina di giorni con la febbre alta aveva deciso di chiamare il 112 per chiedere di essere ricoverato, aveva lamentato in un post di essere stato trattenuto per ore in pronto soccorso, a San Daniele del Friuli, prima che gli fosse trovato un posto nella terapia intensiva di Udine.
Poi, una volta accolto in rianimazione, era stato sottoposto al primo di tre cicli di ozonoterapia. Ed era stato lui stesso a raccontarlo sui social, postando la sua immagine con il casco, descrivendo la “grande umanità ” del reparto e i medici “che danno il massimo”, ma aggiungendo anche di avere visto “uscire i corpi nei sacchi neri”. Davvero troppo, per chi in mezzo a quei drammi vive e lavora ogni giorno e pretende rispetto per la dignità  di tutti, morti compresi.
Da qui, i chiarimenti di De Monte. “In terapia intensiva si accede per criteri clinici e non per cognome — ha precisato il direttore —. Evidentemente la precedenza è stata data a persone con condizioni cliniche più gravi delle sue. La riprova è che, per ora, ha risposto positivamente utilizzando solo la ventilazione con maschera e non con l’intubazione”.
Ma la regola del buon senso, con un precedente simile, ormai è saltata e De Monte lo sa. “Cosa dovrei fare ora per evitare il rischio di accuse di mancato rispetto della privacy? Forse — si chiede — far firmare una liberatoria a chi entra in terapia Intensiva prima di autorizzarlo a parlare con gli affetti rimasti fuori dalla porta?”.

(da agenzie)

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STRAGE DI LAMPEDUSA, ARRIVANO 7 ESEMPLARI CONDANNE PER L’EQUIPAGGIO DEL PESCHERECCIO CHE NON SI FERMARONO A SOCCORRERE I NAUFRAGHI

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

NELLA TRAGEDIA MORIRONO 366 MIGRANTI… 6 ANNI AL COMANDANTE, 4 ALL’EQUIPAGGIO PER OMISSIONE DI SOCCORSO

Tre ottobre del 2013, una imbarcazione stracolma di migranti è in difficoltà  al largo di Lampedusa, chiede invano aiuto. Niente. E’ strage, muoiono in 366. Una delle pagine più tragiche del Mediterraneo.
Oggi, per quei soccorsi negati sono stati condannati sette componenti dell’equipaggio del peschereccio “Aristeus”, accusati di non essersi fermati a soccorrere l’imbarcazione, stracolma all’inverosimile con almeno 520 immigrati, che stava per colare a picco. Sono stati riconosciuti colpevoli di omissione di soccorso.
La pena più alta – 6 anni di reclusione – è stata inflitta al comandante. Si tratta di Matteo Gancitano, 67 anni, di Mazara del Vallo, Quattro anni ciascuno ai componenti dell’equipaggio, quattro dei quali sono africani (tre tunisini e un senegalese) e due mazaresi, Alfonso Di Natale e Vittorio Cusumano.
L’imbarcazione stava per affondare e l’equipaggio del peschereccio proseguì senza fermarsi a soccorrere i profughi nè tantomeno avvisare le autorità .
È questa l’ipotesi fatta propria dalla Procura della Repubblica di Agrigento – l’inchiesta è stata condotta dal procuratore Luigi Patronaggio e dal pm Andrea Maggioni, l’accusa in giudizio è stata rappresentata dal pm Gloria Andreoli – che ha avuto adesso il vaglio del tribunale.
L’inchiesta fu avviata sulla base delle denunce dei sopravvissuti. Raccontarono di avere visto passare un peschereccio che, nonostante i segnali di allarme, non si prestò a soccorrerli nè si curò di avvertire le autorità  marittime.
“Siamo partiti due giorni fa dal porto libico di Misurata, – hanno raccontato alcuni superstiti – su quel barcone eravamo in 500. Non riuscivamo nemmeno a muoverci. Durante la traversata tre pescherecci ci hanno visto ma non ci hanno soccorso”.
Oltre ai superstiti aveva confermato questa versione lo stesso scafista dell’imbarcazione – Khaled Bensalem, 36 anni, tunisino – arrestato pochi giorni dopo e condannato definitivamente a 18 anni di carcere per omicidio colposo plurimo, naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Bensalem era stato indicato dai superstiti.
I sopravvissuti, quasi tutti eritrei e quindi molto più scuri di lui, interrogati dalla squadra mobile di Agrigento, lo avevano definito “white man”: uomo bianco.
Il suo assistente, anch’esso tunisino, sarebbe morto nel naufragio. Incrociando le testimonianze dei superstiti e mostrando loro la foto di Bensalem è arrivata la conferma ai sospetti.
La “carretta del mare” venne caricata all’inverosimile e lo scafista quando, a distanza di parecchie miglia dalla costa di Lampedusa, iniziò a imbarcare acqua, avrebbe dato fuoco a delle lenzuola per farsi notare provocando, invece, il panico e uno spostamento di massa che la fece ribaltar
Fu Bensalem a dire che, un peschereccio era passato davanti e aveva proseguito, nonostante i vistosi cenni di tutti i migranti. È stato questo il primo spunto per l’inchiesta. La procura, oltre a raccogliere le testimonianze, ha disposto una complessa consulenza tecnica per ricostruire il percorso seguito dal peschereccio attraverso il segnale del gps.

(da agenzie)

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PAOLA TAVERNA E’ CONVINTA CHE CON IL VOTO SUL MES SIA STATO SOSPESO IL PATTO DI STABILITA’

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

POCHE IDEE E ANCHE CONFUSE: E’ SOSPESO DA SETTEMBRE, SVEGLIA!

La risoluzione della maggioranza sulle modifiche del Mes — quindi il mandato parlamentare per confermare la linea favorevole dell’Italia (non all’utilizzo, ma ai cambiamenti strutturali) — è stata approvata nella giornata di mercoledì.
Prima a Montecitorio, poi a Palazzo Madama. Non sono mancate le polemiche, anche all’interno delle forze che compongono l’esecutivo, ma alla fine si è arrivati alla quadratura del cerchio.
Poi arriva chi ha votato a favore, ma evidentemente non sa per cosa ha votato. Si tratta di Paola Taverna che, tra le tante cose, è anche Vicepresidente del Senato.
Nella sua intervista a La Repubblica, l’esponente del Movimento 5 Stelle ha detto che con la risoluzione approvata ieri — quella sul mandato favorevole per le modifiche del Mes — è arrivata anche l’ufficializzazione della sospensione del patto di stabilità .
Cosa che, ovviamente, non è reale. Questo tema è già  stato affrontato nei mesi scorsi all’interno dell’Unione Europea e la sospensione per tutto il 2021 è stata decisa nel mese di settembre dalla Commissione UE.
Insomma, un qualcosa che era sul tavolo dall’inizio della pandemia e che è stato bloccato da diversi mesi.
Ma secondo Paola Taverna le dinamiche sono ben diverse: «Per noi quella contro il fondo salva-Stati è una battaglia importante: il Mes è uno strumento obsoleto che mai utilizzeremo. Ma con la risoluzione, abbiamo messo per la prima volta nero su bianco la necessità  di sospendere il patto di stabilità . E il Pd ci è dovuto venire dietro».
Insomma, poche idee e anche confuse nel mare magnum di un populismo che continua a imperare. Anche all’interno del Parlamento.

(da agenzie)

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PARLA LA MODELLA DELLE FESTE PRIVATE: “HO VISTO ANCHE VESCOVI TRA SESSO E COCAINA”

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

“L’ITALIA E’ PIENA DI PARTY ESCLUSIVI A CUI PARTECIPANO ANCHE PROFESSIONISTI, CALCIATORI, RISTORATORI E VESCOVI, SE FACCIO I NOMI MI AMMAZZANO”

La verità  è che serie come “The Young Pope”, per quanto possano sembrare esagerate nelle scene di piacere, non sono estreme come la realtà .
“Una volta, in una bellissima villa romana di proprietà  di una ex escort, ho visto un prete che aveva messo in fila tre ragazze nude sul letto e ognuna di loro aveva una striscia di cocaina sul pube. Il resto si può immaginare. Ne ho visto un altro che faceva un threesome, un trio con due ragazze, e non si è fermato neppure quando sono passata nella stanza per andare in bagno. Se faccio i nomi mi ammazzano”.
A parlare è Giulia Napolitano, una fotomodella siciliana 21enne che da anni lavora come ragazza immagine per feste private in tutta Italia e che ha deciso di raccontare a Fanpage.it i retroscena delle notti proibite degli insospettabili.
“A Roma è pieno di vescovi e preti che fanno messa e tre ore dopo pippano cocaina e si divertono con 18enni come se niente fosse. Quando ho provato a chiedere come mai un uomo di Chiesa frequentasse serate del genere, qualcuno di loro mi ha risposto che stava seguendo la fuga nel rifugio dei peccatori. Uno schifo”.
Siamo arrivati alla Napolitano durante il nostro lavoro di ricerca sulle feste di Alberto Genovese, l’imprenditore digitale arrestato per lo stupro di una modella 18enne durante un party organizzato lo scorso 10 ottobre nel suo super attico vista Duomo.
“Preferisco non parlare di Terrazza sentimento perchè le feste di Genovese non erano il top in circolazione. C’è di peggio. Lui ha fatto una cosa orribile e dovrà  pagare ma vi assicuro che di party come i suoi è piena l’Italia, ne ho visti uguali a Milano, a Roma, in Sicilia, in Sardegna, in campagne di paesini sperduti. Di persone che pippano 5 grammi di cocaina (come ha dichiarato lui agli inquirenti, ndr) ce n’è dappertutto”.
Lo schema descritto della 21enne ricalca esattamente quello scoperto dagli investigatori della Squadra mobile a lavoro sui misteri di casa Genovese: “Tutti gli organizzatori di feste private fanno lasciare il cellulare all’ingresso e molti usano bodyguard dentro e fuori casa per garantire la privacy degli ospiti, che spesso sono avvocati, medici, notai, ma anche calciatori, procuratori. Dicono che sia per la sicurezza, in realtà  nessuno vuole che si sappia che di giorno sono stimati professionisti e di notte si drogano e pagano ragazzine”.
Eppure la 21enne aveva trovato il sistema per evitare rischi, uno stratagemma pericoloso ma al cui pensiero ora ride: “Avevo comprato un altro piccolo cellulare che nascondevo nelle mutande, nel reggiseno o negli stivali alti. Così appena arrivavo andavo in bagno e scrivevo un messaggio a mia madre per informarla della situazione e avvertirla che nel caso non rispondessi oltre una certa ora avrebbe dovuto chiamare la polizia dando l’indirizzo”.
Ecco perchè c’è omertà  attorno Genovese
È un mondo sommerso eppure frequentatissimo quello vissuto e descritto dalla Napolitano, che confessa di non aver timore di esporsi “perchè nessuno può ricattarmi, poichè non mi drogo e non ho mai barattato la mia dignità  prostituendomi, facevo solo la ragazza immagine”.
Cosa che invece non possono dire molte altre invitate alle feste di Genovese: “L’omertà  che ruota attorno a questa vicenda è dettata solo dalla paura di perdere la droga gratis e il lavoro con i clienti, lo dico senza problemi. Ma chi vuole fare un lavoro serio? Guadagnano 10mila euro al mese se vogliono e all’improvviso devono andare a lavorare in un bar per mille? No, meglio stare zitte”.
Alla domanda: “C’è qualcuna che si pente di questa vita?”, la risposta è secca: “No, non si pente nessuna. È difficile tornare a una vita mediocre, chi smette è perchè è troppo vecchia, ha trovato marito o è morta per la droga. In ogni caso c’è un mare di ragazze che fa a gara per partecipare a queste feste. Mica vai lì per la bella musica o per fare amicizia, ci vai perchè c’è l’avvocato che ti dà  mille euro. Così ti paghi l’università  o magari ti compri la borsa che volevi. E poi non ci dimentichiamo che molte sono tossicodipendenti e lì trovano la droga gratis”.
I 15mila euro per il lato La Napolitano ha partecipato alla prima festa esclusiva quando aveva solo 18 anni, si era appena trasferita a Roma da Caltagirone. Un giorno ha scoperto che la sua coinquilina faceva la escort ed è stata invitata in una famosa villa a 4 piani di una maà®tresse con moltissimi legami con i potenti di ogni tipo, dal calcio alla Chiesa. “La proprietaria ha circa 50 anni e dopo una vita passata a fare il mestiere più antico del mondo ha deciso di sfruttare la rete di contatti prendendo una percentuale sulle prestazioni delle giovani. La mia coinquilina mi aveva detto che avrei preso 150-200 euro solo per fare la ragazza immagine, che non ero obbligata a drogarmi o prostituirmi. E così ho iniziato”. Da quel giorno ha girato l’Italia entrando in case e alberghi da sogno, con personaggi famosi e uomini ricchissimi. “Una volta un 40enne mi ha offerto 15mila euro per fare sesso con me, voleva il mio lato b. C’è stata una trattativa assurda partita da 5mila. Ogni volta mi rifiutavo e lui alzava la posta. Alla fine gli ho detto ‘no, non te lo do il mio sedere’. Si è alzato arrabbiato e mi ha mandato a quel paese, l’organizzatore mi ha pagata e sono andata via. Quell’uomo era il più ricco della festa, aveva il potere di farmi cacciare”.
Chi sono gli organizzatori dei party privati
Gli organizzatori sono un capitolo a parte molto interessante. Ci sono ex escort che mettono a frutto i contatti, i pr della notte, imprenditori pieni di soldi con i giusti agganci che vogliono svagarsi e possono tutto. “O lo fai per hobby o per soldi”, sintetizza la Napolitano. “Ci sono chat ma per lo più si usa il passaparola tra ragazze, gli organizzatori non sono mai espliciti perchè temono sempre di essere intercettati dalla polizia. Si parla in codice anche per i pagamenti e per la droga. Ognuno conosce i suoi clienti e sa cosa gli piace: cocaina, mdma, pasticche”.
La realtà  come nei porno
C’è un tariffario preciso: 300-400 euro a Milano, 150-200 a Roma. Solo per fare “immagine”, con gli extra il prezzo sale molto. “Non sono mai andata oltre, facevo questi lavori perchè come fotomodella stavo ancora ingranando e dovevo mantenermi in maniera pulita nei confronti del mio corpo. Però ho assistito a una quantità  di scene assurde che bastano per una vita. Un uomo con 5 ragazze, per esempio. Ricordo un famoso ristoratore sardo che ha dato 5mila euro a 3 ragazze per farsi fare un pompino mentre guardava un porno. E intanto sniffava cocaina. Per non parlare dei preti. So che non si direbbe ma sono molto religiosa, soprattutto dopo la perdita di mio padre, ma io ormai sono scioccata. Mi fido di Dio, non della Chiesa”.

(da Fanpage)

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LE FESTE SEGRETE CON RAGAZZE IMMAGINE CHE VIOLANO LE RESTRIZIONI ANTI COVID

Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile

“TUTTO AVVIENE NELLE CASE, CON 30-40 PERSONE, TANTO NESSUNO TI ROMPE LE SCATOLE”

Cartabianca ieri sera ha parlato di come vengano organizzate, tramite passa parola, feste segrete con decine di partecipanti, in barba alle regole anti COVID.
Laura Buonasera nel suo servizio intervista Martina, nome di fantasia per un’influencer di vent’anni che organizza feste, anche per Capodanno.
La ragazza spiega che le gente non rispetta il DPCM e che lei stessa con i suoi amici si vede continuamente in raduni vietati, senza mascherina e senza aver mai fatto il test del tampone: “Giurò che non ho mai tossito da quando c’è questo virus, se ero asintomatica dopo aver baciato qualcuno ed aver fatto festa tante volte da maggio credo che i miei amici se lo beccavano tutti. No, questo non è successo, quindi…”
Martina è stata fortunata, almeno finora, e non è l’unica che si comporta così.
Anche Anna, che ha pubblicato i video di una festa con tanti suoi amici, tutti senza mascherina, sui social spiega che è stata un’ingenuità : “Non ci abbiamo pensato, eravamo tutti insieme sin da pranzo, e poi era prima del coprifuoco”.
Tutto fatto senza volere, altrimenti l’avrebbero nascosto invece di renderlo pubblico.
Ma non sono solo i ragazzi ad aggirare i divieti. Gli adulti si rivolgono ad organizzatori di eventi, che procurano anche ragazze immagine a richiesta, proprio come se la pandemia non ci fosse. “Tutto nelle case, non so se ci saranno 20, 30, 40 persone, tanto nessuno ti rompe le scatole”.

(da agenzie)

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