Destra di Popolo.net

INTERVISTA A SALLUSTI: “L’ASSALTO AL CONGRESSO E’ UNO SPARTIACQUE, IL SOVRANISMO ORA CAMBI PAROLE E NOME”

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

IL DIRETTORE DEL GIORNALE: “I FATTI DI WASHINGTON COME IL MURO DI BERLINO PER IL COMUNISMO”

Alessandro Sallusti, nel suo editoriale di oggi sul “Giornale” lei scrive che il 6 gennaio 2021 sta al sovranismo come il 9 novembre 1989 sta al comunismo. L’assalto dei sostenitori di Trump a Capitol Hill politicamente paragonabile alla caduta del Muro di Berlino. E’, insomma, il momento della verità ?
Sì, lo considero uno spartiacque. Non solo per gli Usa ma per il sovranismo europeo e italiano, che esiste in forme e misure diverse. Adesso, come il comunismo dopo la fine della DDR, dovrà  cambiare parola d’ordine, strategie e prospettive. Magari persino il nome, come è corso fare il Pci.
Non se ne sono accorti tutti un po’ tardi? Atlanta, Minneapolis, Saint Louis: le violenze – contro i neri – c’erano già  state.
Finchè la barca va, di rado ci si fanno domande. Trump ha preso una massa di 74 milioni di voti: un americano su due o non ha visto cosa faceva o non si è spaventato. A me non è simpatico, ma leggendolo solo con occhi europei non si spiega il fenomeno del trumpismo. E darlo per morto sarebbe un abbaglio: se vorrà  diventare interlocutore del mondo dovrà  evolversi, cambiare.
Complicato intravvedere un’evoluzione migliorativa di Trump all’orizzonte…
Forse dovranno sostituire proprio Tump. Non sarebbe la prima volta che il fondatore deve farsi da parte per garantire la sopravvivenza della sua creatura.
“Non vorremmo ritrovarci il Parlamento occupato da matti in camicia nero-verde” è un’espressione molto forte. Soprattutto se riferita aglie elettori dei trentennali compagni di strada di Forza Italia. C’è un pezzo di opposizione anti-democratica?
No, sarebbe sbagliato dire che è un pezzo importante dell’opposizione. Tutti i movimenti radicali a sinistra come a destra hanno all’interno o nei paraggi delle frange estreme. E c’è il rischio che esse, pur essendo marginali, sfuggano di mano. Tenerle sotto l’ombrello rischia di offrire giustificazione politica e culturale a quella che è semplice frustrazione o follia.
Fatte le debite proporzioni, per carità , ma poche settimane fa durante l’ostruzionismo hard della Lega sui Decreti Sicurezza sono finiti in infermeria un commesso e un questore con la spalla slogata… dove comincia il rischio che la situazione sfugga di mano?
Condivido che portare la violenza verbale e fisica dentro il Parlamento rischia di provocare un effetto emulativo: se ci si picchia in aula, figurarsi in piazza. E’ molto pericoloso. Attenzione però a non considerare il trumpismo l’origine di tutti i mali: tra l’assalto dei cittadini al palazzo come a Washington, e l’assalto del palazzo ai cittadini come a Pechino, trovo più pericolo il secondo.
Berlusconi è l’unico dei tre leader del centrodestra ad aver condannato con nettezza il comportamento di Trump. L’impressione è che i destinatari del messaggio siano (anche) Salvini e Meloni. Tentativo di riportare le pecorelle all’ovile liberale o prove di governo di unità  nazionale?
Più che il tentativo, è il percorso per riportare Forza Italia dove deve stare. Si è pensato che all’interno di una grande coalizione di centrodestra, il cui capo teorico è Salvini perchè ha più voti, si potesse “spostare” il Dna forzista sulla linea sovranista. Ma significherebbe la morte di quel partito. L’Italia ha bisogno di un punto di equilibrio che tra Salvini e Meloni non si trova. E un punto di equilibrio per definizione sta in mezzo a qualcosa. Se sarà  in una coalizione di centrodestra o per dare a qualcos’altro un’identità  liberale, lo vedremo nelle prossime ore.
Quindi, il Cavaliere potrebbe separare il proprio destino dagli attuali alleati?
Berlusconi non sa fare opposizione e non gli interessa. E i destini si sono già  separati in passato, quando lui ha sostenuto il governo Monti oppure Salvini si è alleato con i Cinquestelle. Non lo troverei pazzesco. Sarebbe più pericoloso, invece, se lo strappo non fosse consensuale, almeno formalmente.
Quella del 6 gennaio negli Usa è violenza ai limiti del golpe, e non ha paragoni in Italia. Berlusconi evocando il riconteggio delle schede del 2006 ricorda di non avere “mai considerato l’ipotesi di ostacolare il funzionamento delle istituzioni”. Nel 2013, però, 150 parlamentari del Pdl hanno marciato fino al Palazzo di Giustizia di Milano. E le leggi ad personam, fino al voto su Ruby “nipote di Mubarak” hanno avuto un impatto sulle elezioni…
Queste cose sono accadute. E dire che sono accadute contro la volontà  di Berlusconi non sarebbe credibile, per quanto possa testimoniare di persona che della marcia milanese avrebbe fatto volentieri a meno. Qui però si entra in un campo diverso, dove bisogna decidere se è nato prima l’uovo o la gallina. E’ stato eccesso di legittima difesa o eccesso di accanimento giudiziario da parte dei magistrati? Almeno la domanda bisogna porsela.
Il suo editoriale cita anche Lincoln (peraltro Repubblicano) e Martin Luther King. Ha ricevuto gli apprezzamenti di qualche leghista o meloniano?
No, ma credo che la maggior parte della gente non conosca la reale importanza di Martin Luther King nella storia dei diritti civili americani.

(da “Huffingtonpost”)

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SALVINI IN VIA D’AMELIO, L’IRA DEL FRATELLO DI PAOLO BORSELLINO: “MI FA VOMITARE, E’ UNO SCIACALLO”

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

LA IGNOBILE SCENEGGIATA DELLA MASCHERINA CON IL VOLTO DEL MAGISTRATO UCCISO DALLA MAFIA

Uno che strumentalizza tutto: Salvini in via D’Amelio? Una passerella come sempre. Vendendo quelle immagini mi viene da vomitare, ma uno sciacallo come lui non può fare altro che sciacallaggio”.
Le parole di Salvatore Borsellino, fratello del giudice antimafia Paolo, in merito alle polemiche legate alla presenza del leader della Lega, Matteo Salvini, in via D’Amelio sul luogo dell’eccidio, con indosso una mascherina con il volto del magistrato.
Borsellino punta il dito non solo “sull’uso strumentale della mascherina” fatto dal ‘Capitano’, ma anche sulla sua presenza di Matteo Salvini in via D’Amelio.
“Vorrei ricordare le dichiarazioni precedenti fatte da Salvini quando non aveva mire elettorali sulla Sicilia e parlava di terroni. Vorrei ricordagli che mio fratello era palermitano e, quindi un terrone. Non capisco cosa va a fare in via D’Amelio, se non un atto di sciacallaggio – dice – Non bisogna dimenticare che a Natale è andato a distribuire pacchi dono ai bisognosi, con un fotografo dietro che lo ritraeva. Fa tutto a scopo di propaganda”.

(da agenzie)

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NON BASTA SOSTITUIRE GALLERA: LA CAPORETTO DELLA REGIONE LOMBARDIA SI CHIAMA SANITA’

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

DAI VACCINI ALL’INCHIESTA SU FONTANA.. LA MORATTI NON HA COMPETENZE SPECIFICHE

L’avvocato, berlusconiano di ferro, sostituito dalla manager Letizia Moratti. Entrambi non hanno competenze in ambito medico, e tutto fa pensare che i problemi cronici della salute pubblica in Lombardia non saranno risolti con un semplice cambio di assessore
Giulio Gallera se ne va dalla giunta lombarda. Ma non basterà  rimuovere l’assessore alla Sanità  per cancellare i problemi del sistema sanitario della Regione italiana più colpita dal Coronavirus.
La Lombardia ha vissuto una Caporetto etica, politica e amministrativa, con inchieste giudiziarie e giornalistiche che hanno rivelato una gestione poco limpida della salute pubblica, voce di bilancio che assorbe 20 dei 25 miliardi di euro annuali delle casse regionali.
Ma se l’attacco a sorpresa della pandemia può giustificare il caos dello scorso febbraio, è da marzo che i generali del centrodestra lombardo non riescono a impartire l’ordine della ritirata. La linea del Piave, dietro la quale il modello sanitario lombardo potrà  rifondarsi, questa volta prestando attenzione agli ospedali pubblici, alla medicina territoriale, all’organizzazione preventiva e non di emergenza, appare ancora lontanissima.
La nomina di Letizia Moratti come successore dell’avvocato Gallera (oltre che come vicepresidente) è una foglia di fico che non può coprire le criticità  che il Covid ha scoperchiato nel 2020, ma che derivano da anni di politiche sanitarie poco oculate. L’ultima di una lunga serie di gaffe di Gallera, «Abbiamo medici e infermieri che hanno 50 giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa», è soltanto l’ennesimo errore comunicativo. Che, in realtà , è stato utilizzato a mo’ di barricata per distogliere le attenzioni dalle inefficienze del modello lombardo.
«Non era questo il momento di cercare il capro espiatorio e fare speculazioni politiche», dichiara Lidia Decembrino, dottoressa e membro della segreteria regionale di Forza Italia con delega alla Sanità . «Gallera si è impegnato molto. Come in tutte le situazioni di emergenza, ci può essere qualche sbavatura. Ma la sanità  lombarda resta un’eccellenza proprio perchè ha resistito all’urto della pandemia, riorganizzandosi rapidamente, mentre sui media e nell’agone politico il Covid è diventato il pretesto di un attacco ingiusto». Decembrino rimarca «l’esperienza straordinaria» dell’ospedale in Fiera, «che ha garantito nuovi posti letto. E siamo una delle regioni che hanno avuto il numero di morti inferiori nella sanità ».
Sulla riorganizzazione della sanità  lombarda in tempi di emergenza, invece, non appare affatto convinta Paola Pedrini, medico e segretario regionale di Fimmg Lombardia: «La realtà  è che mancano le persone in assessorato. Sono d’accordo quando si dice che non è solo colpa di Gallera, perchè è tutto il Welfare a essere carente di personale in Regione».
Pedrini fa un confronto con l’Emilia-Romagna: «Lì ci sono quasi 40 persone che si occupano di cure primarie nell’assessorato, mentre in Regione Lombardia sono appena quattro». La scarsità  di personale sembrerebbe uno dei principali problemi che costringe la giunta ad agire sempre in ritardo, «comportandosi come se l’emergenza fosse costante, cronica».
Il primo tassello di un rapporto insalubre tra politica e sanità  lo svela la vicenda di Alzano Lombardo e Nembro. I due piccoli comuni della provincia di Bergamo nei quali, a inizio marzo, il Coronavirus si diffondeva e diffondeva morte a velocità  inaudite. Alla stregua di quanto fatto con i dieci paesi del Lodigiano e con Vo’ Euganeo, il Comitato tecnico scientifico propose la zona rossa la sera dello scorso tre marzo. Il governatore Attilio Fontana e Gallera rimisero la scelta nelle mani dell’esecutivo, che optò, dopo alcuni giorni, l’8 marzo, per una zona arancione estesa a tutta la Lombardia.
«In effetti la zona rossa potevamo farla anche noi» ammise un mese più tardi lo stesso Gallera, messo a tacere da Fontana così: «È un ottimo assessore, ma come giurista un po’ meno». Il problema è che sia governo centrale che Regione, in quel momento, non risposero al principio costituzionale della leale collaborazione tra le istituzioni dello Stato. E per non perdere l’appoggio del tessuto economico, «un cinismo imbarazzante per ottenere i voti di Confindustria» afferma il consigliere di opposizione in Lombardia Michele Usuelli, non è stata data priorità  alla salute dei cittadini. «C’è sempre solo il calcolo del beneficio elettorale».
I vaccini antinfluenzali e le gare deserte
Risale a quei primi mesi dell’anno un’altra criticità  che si riverbera tutt’oggi sulla risposta lombarda alla pandemia. La carenza di vaccini antinfluenzali. In quest’anno, la Regione ha fatto dieci gare d’appalto, alcune andate deserte per le ragioni più svariate, altre indette erroneamente e cancellate dalla stessa centrale unica d’acquisto. Nel frattempo, gli enti sanitari di tutto il mondo si accaparravano le dosi dei vaccini presenti sul mercato. E questo lo sa anche uno studente di economia del primo anno: diminuendo le quantità  disponibili di un bene, aumenta anche il prezzo.
Così, per acquistare le dosi del farmaco biologico contro l’influenza, necessario per evitare che i malati influenzali si sommino a quelli di Covid-19 e intasino gli ospedali, la Regione si è rivolta ad aziende che non avevano tutte le certificazioni necessarie per poter vendere i vaccini nel mercato italiano ed europeo. «La mancanza di pianificazione fa si che si decida in deroga, in emergenza, e quindi si arriva a contattare la casa farmaceutica indiana», denota Usuelli. La Lombardia è arrivata a pagare gli stessi vaccini acquistati dal Veneto, ambedue le Regioni amministrate dalla Lega, al triplo del prezzo.
Per la dottoressa Pedrini, «c’è stata una sottovalutazione dell’importanza della vaccinazione antinfluenzale e si è ignorato che la domanda di vaccini sarebbe aumentata a livello europeo». Su questo punto, anche Decembrino, Forza Italia, ammette che «qualcosa nella macchina burocratica si è inceppato». Ma attribuisce le responsabilità  al contesto emergenziale che «comunque non ha impedito che la copertura fosse garantita a tutti, soprattutto in età  pediatrica». Dalla scarsità  di antinfluenzali, tuttavia, si è ingenerato un panico organizzativo, dimenticato solo per un’altra incombente campagna vaccinale: quella per il Sars-CoV-2.
Il ritardo sui vaccini anti-Covid
È per una — finale — dichiarazione sulla vaccinazione anti-Covid, partita a rilento in Lombardia, che Gallera è stato scaricato dal centrodestra lombardo. Un ritardo che si palesa nei numeri pubblicati sul sito di presidenza del Consiglio, ministero della Salute e Commissario per l’emergenza. Alle 18 del 6 gennaio, la regione più colpita di Italia, la Lombardia, è quintultima per percentuale di dosi inoculate: il 17,8% di quelle ricevute in totale. In questo caso, il medico Usuelli difende Gallera, diventato il capro espiatorio «della mancata organizzazione che coinvolge tutti i membri della giunta».
Mentre da Palazzo Lombardia provano a scaricare le responsabilità  del ritardo sul piano di vaccinazione nazionale, il viceministro dell’Economia Antonio Misiani sostiene che «se la Regione a guida leghista, che aveva già  combinato disastri con la vaccinazione antinfluenzale, non è in grado di attuare quella contro il Coronavirus, è giusto che subentri lo Stato esercitando i poteri sostitutivi. La salute dei lombardi è troppo importante per continuare a lasciarla in mano a chi ha fallito».
«Attenderei la fine della campagna vaccinale per vedere i risultati definitivi», replica Decembrino, «siamo vittime dell’ennesimo tiro a bersaglio e a pagarne le conseguenze sono proprio i cittadini lombardi. Certo, ci sono stati errori e ritardi anche qui da noi, ma sono figli dell’emergenza: anche a livello nazionale, ad esempio, si è scoperta la mancanza del piano pandemico preteso dall’Oms».
Per Pedrini, invece, il problema non è tanto la partenza in ritardo, quanto «l’ammontare di dosi disponibili: sono insufficienti per vaccinare nei tempi giusti e raggiungere un’immunità  significativa nella popolazione lombarda»
Le debolezze strutturali: gli ospedali piccoli e non collegati
Le Regioni giustificano la loro esistenza — almeno dal punto di vista del bilancio — perchè devono amministrare la sanità . «Ma gli ospedali funzionano come pacchetti di voti», denuncia Usuelli. «Abbiamo più reparti ospedalieri che campanili in Lombardia». Le parole del consigliere trovano una manifestazione nel caso di Varese, dove ci sono tre pronto soccorso in nove chilometri quadrati, «tutti e tre piccoli e che, per questo, lavorano male». Il consigliere regionale fa un parallelismo con la sanità  in Calabria, dove si trovano 18 ospedali pubblici chiusi «perchè i decisori politici dovevano costruirli vicino a casa. Nel corso degli anni si sono costruiti presidi ospedalieri seguendo logiche di collegio elettorale, non di necessità  del territorio».
La Lombardia, ad esempio, abbonda di reparti di cardiochirurgia: «Sono 24. È la stessa dinamica di Crotone, dove l’ospedale ha 800 posti letto, ma meno di 250 in funzione. Milano e Reggio Calabria sono meno distanti di quanto una certa politica voglia far credere». In Lombardia scarseggiano reparti grandi che, generalmente funzionano bene perchè accumulano più know how sulle malattie meno comuni. Sono svilite le reti di connessione tra i grandi e i piccoli centri territoriali, che dovrebbero gestire i casi meno gravi o ricevere i pazienti per la fase di recupero dopo le cure intensive negli ospedali maggiori.
La proliferazione dei privati
Una delle questioni più controverse del modello lombardo riguarda il moltiplicarsi di presidi ospedalieri privati che, di fatto, costituiscono in molti casi l’unica alternativa possibile per curare determinate patologie o evitare liste di attesa lunghissime. Il meccanismo che si è reiterato negli ultimi anni è estremamente semplice: un privato decide di aprire una struttura ospedaliera, si fa accreditare dal sistema sanitario nazionale i reparti più remunerativi senza rispondere, invece, all’esigenza di diversificazione di cui necessità  la sanità  su un territorio. Così proliferano posti letto in oncologia, più redditizia, e scarseggiano posti letto in geriatria, meno soddisfacente dal punto di vista economico.
«Anche l’accreditamento delle strutture private risponde spesso a una logica di voti di scambio», incalza Usuelli. «Abbiamo tutti gli strumenti scientifici per sapere quanti posti letto servono per ogni patologia al fine di assicurare la cura a tutti i lombardi. Invece, accreditiamo ai privati i posti di oncologia, senza verificare che ce ne siano di sufficienti per altri tipi di malattie». Quanti medici e operatori sanitari servono in Lombardia? Quanto deve essere grande un reparto per funzionare bene? «Sono domande per le quali abbiamo una risposta scientifica. Ma non è corrisposta negli ultimi decenni un’azione politica. E se le Regioni, che spendono la maggior parte del bilancio per la sanità , non rispondono a queste domande, allora ha senso abolirle».
Per Decembrino, invece, «la coesistenza di pubblico e privato non fa altro che aumentare l’offerta. Tant’è che non vengono curati solo i lombardi nei nostri ospedali, ma attiriamo pazienti da tutta Italia. Nelle altre Regioni questa attrattività  non c’è, e per la sanità  lombarda deve essere un vanto». La dottoressa, direttrice in pediatria a Vigevano, sottolinea che «l’eccellenza della sanità  lombarda si basa proprio sulla forte collaborazione tra pubblico e privato. Per me, il presupposto essenziale di ogni sistema sanitario, dev’essere il diritto di scelta del paziente. Ognuno deve poter decidere da chi farsi curare e in quale struttura».
La medicina territoriale
In Lombardia ci sono nove Ats e ognuna agisce a modo suo. Manca un’unica agenzia regionale che sia responsabile della pianificazione e della gestione della sanità  su tutto il territorio. Molti ospedali, anzichè essere pensati per servire il proprio territorio di riferimento, sono strutture monospecialistiche, a vocazione verticale. Si è impoverita, invece, la rete di ospedali generalisti referenti dei singoli territorio. Il professor Giuseppe Remuzzi dell’istituto Mario Negri propone per la Lombardia il recupero del concetto dei distretti, unità  ospedaliere a cui fanno riferimento nuclei di 60 mila abitanti. Ogni distretto dovrebbe avere un suo manager che si occupa di far funzionare la sanità  territoriale e di fare da collegamento con l’hub centrale. Secondo l’idea del professore, tot distretti dovrebbero afferire a grandi ospedali.
I distretti, poi, dovrebbero sviluppare al proprio interno poliambulatori che riuniscono i medici di medicina generale del territorio, così da farli lavorare in èquipe. «Il concetto del medico di base, solo nel suo studiolo, che è il pontefice massimo della salute dei suoi pazienti, è un concetto arcaico», sottolinea Usuelli. «I medici di base dovrebbero lavorare in consorzio nelle cosiddette case della salute: si offre ai cittadini un servizio spalmato su una fascia oraria più ampia, con team di infermieri e segretari che aiutano i medici a gestire il lavoro. E, nei poliambulatori, si potrebbero sfruttare macchinari rx, laboratori di analisi, strumenti che un singolo medico di famiglia non può possedere».
Decembrino considera che le difficoltà  della medicina di base sono un tema nazionale, non imputabili alla sola Lombardia. «L’attenzione al territorio, effettivamente, non è stata sufficiente: la pandemia ci ha colti di sorpresa», e auspica che le prossime riforme in ambito sanitario potenzino questo aspetto della sanità  pubblica. Più dura Pedrini, che ravvisa proprio nei pochi investimenti e nella scarsa attenzione alla medicina territoriale «il più grande errore che ci ha esposto agli effetti devastanti del Covid». Pedrini ritiene ricorda che «all’inizio della pandemia, i medici di base hanno dovuto faticare per avere i Dpi necessari, adesso non è cambiato nulla con i vaccini: sono medici di serie B rispetto a quelli degli ospedali». In sintesi, lo sbaglio è stato aver puntato troppo sugli ospedali, quando il vero filtro era il territorio.
Le debolezze politiche: la parabola di Gallera
Doveva essere schierato come candidato sindaco di Milano: l’avvocato di 51 anni, assessore al Welfare della Lombardia, aveva raggiunto l’acme della popolarità  durante la prima fase della pandemia. Tutti vedevano il berlusconiano di ferro come pedina ideale del centrodestra da schierare nel 2021 contro il sindaco uscente Beppe Sala. Nel caos iniziale della pandemia, era il volto onnipresente che rappresentava la risposta lombarda all’emergenza sanitaria. La sua ubiquità , in tv e sui social, si è rivelata però un’arma a doppio taglio: con l’affievolirsi della frenesia delle prime settimane, sono venute a galla tutte le dèfaillance di un amministratore che, a prescindere dalle competenze politiche, nella comunicazione e nella gestione della sanità  ha fallito.
Si è detto delle problematiche strutturali della salute pubblica lombarda, imputabili a decenni di decisioni scellerate. Se Gallera non fosse stato così predisposto ed esposto all’attenzione mediatica, sarebbe stato più complicato per i suoi detrattori imputargli i disastri relativi alla sanità .
Invece, con la sua sconsiderata spiegazione dell’Rt uguale a 0,51, «Questo vuol dire che non è così semplice trovare due persone nello stesso momento infette per infettare me», o con la dichiarazione sulla sanità  di classe, «Gli ospedali privati vanno ringraziati perchè hanno aperto le loro terapie intensive e le loro stanze lussuose ai pazienti ordinari», l’avvocato ha reso manifesta la sua inadeguatezza in ambito medico e comunicativo. E non si può non citare l’inosservanza del Dpcm di domenica 6 dicembre, quando l’assessore, senza mascherina, è uscito dal suo Comune di residenza per fare una corsa con alcuni amici, violando due prescrizioni della zona arancione. «Non ho fatto caso ad alcun cartello che segnalasse il confine comunale», si è difeso.
La mancanza di medici in giunta
Un’altra verità  all’origine del caos nella sanità  lombarda è l’assenza di competenze mediche nella giunta. Non c’è nessuno tra gli assessori a essersi laureato in Medicina, a fronte di una spesa pubblica annuale da investire sulla salute dei cittadini pari a 20 miliardi. Con il Coronavirus, i cittadini hanno capito che Regione vuol dire sanità : è la competenza più importante affidata dalla Costituzione a questa istituzione e, non a caso, i bilanci delle amministrazioni sono assorbiti quasi in toto dal tema salute pubblica. «Le coalizioni che si presentano alle elezioni dovranno raccontare ai cittadini come costruire una sanità  che risponda alle esigenze dei cittadini», rimarca Usuelli.
«Dicevano che nella fase, due o tre che sia, nulla sarebbe stato più come prima — aggiunge il medico e consigliere di opposizione -. Invece, con la terza ondata di contagi alle porte, Fontana manda via un avvocato che di sanità  non capiva nulla e chiama una manager che di sanità  non sa nulla». La percezione della società  sull’importanza della sanità  pubblica è cambiata, «perchè si sono evolute le richieste dei cittadini con lo scoppiare della pandemia — conclude Usuelli -, ma questa destra legaiola dà  priorità  a cercare una figura di Forza Italia per non alterare gli equilibri politici piuttosto che pensare ai bisogni dei cittadini».
Le inchieste giudiziarie
Infine, una questione spinosa che accompagnerà  il presidente Fontana a prescindere dalla dipartita di Gallera è quella relativa alle inchieste giudiziarie. Se i 5,3 milioni di euro ereditati dalla madre su un conto bancario svizzero non c’entrano nulla con il Coronavirus, per quanto riguarda la pandemia il governatore ha due fronti aperti. Da un lato, anche se non risulta indagato, le chat del suo cellulare sono state acquisite dagli inquirenti che investigano sull’accordo tra la multinazionale farmaceutica Diasorin e l’ospedale San Matteo di Pavia. Dall’altro, il pm che sta lavorando all’inchiesta sui 75mila camici forniti alla Regione dalla Dama Spa, società  del cognato di Fontana, ha parlato di «diffuso coinvolgimento del governatore».
La fornitura, trasformata in donazione quando è emerso il conflitto di interessi — la moglie di Fontana possiede il 10% delle quote di Dama Spa -, ha comportato l’inserimento nel registro degli indagati dell presidente, con l’ipotesi di reato di frode nelle pubbliche forniture. Il nodo sta tutto nella mancanza di pianificazione che porta gli amministratori della cosa pubblica ad agire in deroga a causa delle emergenze che si susseguono. «I 20 miliardi spesi per la sanità  lombarda — conclude Usuelli — vengono organizzati in una delibera annuale decisa univocamente dalla giunta, senza passaggi democratici e in via emergenziale». Il piano quinquennale socio-sanitario della Regione Lombardia che, tra le altre cose, ha al suo interno le direttive per la fornitura di dispositivi medici agli ospedali, è scaduto dal 2014.

(da Open)

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TRUMP PUO’ GRAZIARE SE STESSO?

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

ORA TEME DI ESSERE INCRIMINATO PER ISTIGAZIONE ALLA RIVOLTA E STUDIA LA GRAZIA PREVENTIVA MA I COSTITUZIONALISTI DICONO CHE NON PUO’

Il presidente-re Lear, sempre più isolato nei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca, sarebbe tornato a parlare di auto-graziarsi.
Lo scrive il New York Times, citando le solite «persone a conoscenza della discussione». Trump è convinto di poterlo fare, e da tempo va ventilando anche pubblicamente l’ipotesi.
Ma non ci sono precedenti, e i costituzionalisti sono estremamente scettici sulla legalità  di una simile mossa.
Nelle scorse settimane qualcuno aveva ipotizzato che Trump avrebbe potuto dimettersi in modo che gli subentrasse il vicepresidente Pence e fosse lui a graziarlo come fece Ford con Nixon.
Ma i rapporti tra il commander in chief e il suo vice, dopo l’assalto di mercoledì sei gennaio al Congresso, sembrano irrimediabilmente compromessi.
Cosa rischia per i fatti di Washington
Il mezzo passo indietro di Trump con le dichiarazioni sulla necessità  di una pacifica transizione sarebbe stato dettato dalle pressioni dei pochi uomini rimasti al suo fianco, in particolare dal consigliere legale della Casa Bianca Pat Cipollone, il quale gli avrebbe fatto presente che rischia l’incriminazione per istigazione alla rivolta.
È vero che Trump non era fisicamente con gli uomini e le donne che hanno fatto irruzione al Congresso, ma le sue parole nel comizio di pochi minuti prima dell’assalto – «Marceremo fino al Campidoglio» suonano come delle istruzioni precise.
Più grave ancora sarebbe se si provasse che l’intera operazione era stata pensata e pianificata. Il procuratore federale di Washington D.C., Michael R. Sherwin, in una conferenza stampa giovedì ha detto che la procura «sta esaminando tutti gli attori, non solo le persone che sono entrate nell’edificio».
A rischio processo Trump lo è anche per la telefonata, pubblicata per primo dal Washington Post, in cui insiste con il segretario di Stato della Georgia affinchè trovi gli 11.780 voti «che ci mancano per vincere le elezioni in Georgia».
L’autoperdono, se arrivasse e se fosse giudicato costituzionale, lo salverebbe da queste eventuali incriminazioni ed altre che potrebbero aprirsi seguendo i filoni lasciati aperti dal superprocuratore Robert Mueller durante il Russiagate.
Non lo metterebbero al riparo invece – nè lui nè i figli Ivanka (e il marito Jared Kushner), Donald Jr. ed Eric che pure vorrebbe graziare preventivamente – dalle molte inchieste statali che pendono sulla sua testa e sulla Trump organization.
I «perdoni» concessi finora
Amici e sodali, parenti e contractor condannati per una strage di civili in Iraq. Finora Donald Trump ha concesso il «presidential pardon» una settantina di volte: 60 dei beneficiari sono persone che hanno contatti personali con lui o l’hanno aiutato a perseguire i suoi obiettivi politici, secondo una ricerca di Jack Goldsmith, professore della Harvard Law School. Non è certo la prima volta nella Storia che l’utilizzo di questo delicato potere concesso al presidente dalla Costituzione solleva aspre polemiche: era successo con la grazia concessa da Bill Clinton al finanziere fuggitivo Marc Rich e a Gerald Ford che aveva «perdonato» il suo predecessore Richard Nixon, ma la quantità  di amici con gravi condanne lasciati liberi da Trump alza il livello di allarme.
Da dove deriva e cosa prevede questo potere?
È inscritto nella Costituzione e deriva dal potere dei re inglesi di compiere degli atti di clemenza nei confronti di condannati. Una grazia presidenziale significa che reati federali (non statali quindi) commessi o che il soggetto potrebbe aver commesso vengono condonati. Non cancella il reato dalla fedina penale, ma, oltre alla pena, elimina le conseguenze che comporta, come i limiti al diritto di voto o all’acquisto di armi. George Washington usò questo diritto presidenziale con un gruppo di contadini che avevano guidato la cosiddetta «Whiskey Rebellion». Oltre alla grazia il presidente può commutare la sentenza, come fece per esempio Barack Obama con Chelsea Manning, accusata di aver passato documenti riservati a Wikileaks e condannata a 35 anni di carcere.
Come si riceve un «presidential pardon»
Solitamente una grazia la si chiede, facendo domanda attraverso il dipartimento di Giustizia, ma un presidente può anche concederla a proprio piacimento, e pare sia questo che sta facendo Trump nelle ultime settimane della sua presidenza (Joe Biden, dichiarato presidente eletto dai grandi elettori il 14 dicembre scorso, si insedierà  il 20 gennaio).
Come si sono comportati gli altri presidenti?
Tra grazie e commutazioni della pena Trump ha esercitato il suo potere meno di cento volte, il numero più basso dalla presidenza McKinley (1897-1901). Obama, nell’arco però di otto anni, aveva concesso 212 grazie e 1715 commutazioni della pena. La differenza, oltre che nel numero, sta nel fatto che Obama come la maggior parte dei presidenti prima di lui, aveva interpretato questo potere presidenziale non in modo personale ma per cancellare sentenze discusse o che rappresentavano alcune delle ingiustizie endemiche del sistema giudiziario americano, come quelle eccessivamente severe per possesso di droga nei confronti di imputati afroamericani o latini.
Un altro modo di usare la grazia in passato è stato per sanare alcune delle ferite del Paese, come quando Jimmy Carter decise di perdonare i giovani che erano scappati dagli Stati Uniti per evitare il servizio militare in Vietnam.
Tempo di una riforma
È ora per il presidente eletto Joe Biden –ha scritto dopo l’ultima tornata di perdoni di Trump il comitato editoriale del New York Times, di «re-immaginare questo importantissimo e lungamente abusato potere e farlo funzionare per come i padri fondatori lo avevano inteso: come contrappeso a procedimenti giudiziari ingiusti e sentenze eccessive. Se c’è mai stato un momento per riformare il sistema, è adesso. La decennale crisi carceraria americana ha gettato milioni di persone dietro le sbarre, molte delle quali scontano pene enormemente sproporzionate».
Il dilemma di Biden
Un auto-perdono di Trump metterebbe ulteriore pressione su Biden, che forse preferirebbe evitare processi al predecessore nella speranza di guarire le ferite del Paese, affinchè indaghi su eventuali abusi di potere commessi dal suo predecessore. «Solo un tribunale può invalidare un self-pardon, e può farlo solo se l’amministrazione Biden cita in giudizio Trump», ha spiegato Goldsmith al New York Times .
Altri abusi di potere commessi da Trump riguardano le azioni degli legali del presidente, che secondo alcune ricostruzioni allusero alla possibilità  di una grazia con gli avvocati di Paul Manafort quando l’ex responsabile della campagna del presidente, «perdonato» alla vigilia di Natale, stava valutando se collaborare o no con i procuratori (cosa che poi non fece).

(da il Corriere della Sera)

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ORBAN SI RIFIUTA DI CONDANNARE TRUMP: “NON GIUDICO GLI ALTRI PAESI”. E QUESTO SOGGETTO STA NELLA UE E NEL PPE

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

ALLA RADIO PUBBLICA UNGHERESE “METTE IN GUARDIA” DALLE INGERENZE NEGLI AFFARI AMERICANI

Non c’era da meravigliarsi che Viktor Orban non condannasse Donald Trump per l’assalto di Capitol Hill. Anzi, il presidente ungherese segue la scuola di Giorgia Meloni, e si limita a dichiarare: “Non ci piace essere giudicati, quindi non giudichiamo gli altri Paesi”.
Nel corso di un’intervista alla radio pubblica ungherese Orban, tra i rari sostenitori di Trump all’interno dell’Ue, ha messo in guardia dalle “ingerenze” negli affari americani, distinguendosi dalle tante condanne internazionali piovute sulla Casa Bianca.
“Non dovremmo interferire con quello che sta succedendo in America – ha chiarito – Siamo sicuri che riusciranno a risolvere i loro problemi”.

(da agenzie)

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“NON RINUNCIARE MAI ALLE TUE ARMI”: VIAGGIO DENTRO THEDONALD, IL RIFUGIO ON LINE DEI CRIMINALI DI TRUMP

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

IL GIORNO DELL’ASSALTO OLTRE IL 50% DEI COMMENTI INCITAVANO ALLA RIVOLTA … E LA SITUAZIONE DOPO DUE GIORNI NON E’ CAMBIATA

Keyboard warrior. Secondo UrbanDictionary, una persona che è incapace di esprimere la sua rabbia attraverso la violenza fisica e che quindi decide di usare la violenza verbale in rete.
Nel gergo italiano, leoni da tastiera.
La sera del 6 gennaio, mentre Capitol Hill veniva assaltata dai sostenitori di Trump, è stato chiaro che queste definizioni non funzionano poi così tanto. Chi passa le giornate e seminare violenza sul web, prima o poi quella violenza vuole metterla in pratica davvero. A 48 ore dall’attacco al Congresso Usa siamo stati nel forum TheDonald, il rifugio dei più accaniti sostenitore del (quasi) ex presidente degli Stati Uniti.
Reddit non è un social molto diffuso in Italia. Eppure è una delle fucine di meme e subculture più attive del web. Senza addentrarci troppo nei suoi cunicoli, Reddit è strutturato come se fosse una sorta di contenitore di mini-forum.
Chiunque può creare quello che in gergo si chiama un subreddit per discutere di un argomento in modo verticale. Uno di quelli diventati più famosi negli ultimi anni è stato r/The_Donald, uno spazio dedicato solo ai sostenitori di Donald Trump. È stato creato nel 2015 ed è cresciuto talmente tanto da arrivare a 790 mila utenti.
Una community grande ma non esattamente inclusiva. Il 29 giugno 2020 Reddit ha deciso di chiudere r/The_Donald. Troppi commenti razzisti, troppi incitamenti all’odio e troppe fake news.
Come successo già  per altri social, gli utenti che si sono incontrati qui non hanno rinunciato a interagire tra di loro ma si sono spostati da un’altra parte. È così che è nato il forum TheDonald.win. (Sì, il dominio è proprio questo).
Il gruppo di ricerca no profit Advance Democracy ha calcolato che il 4 gennaio oltre i 50% dei commenti pubblicati su questo forum incitavano a trasformare la protesta andata in scena il 6 gennaio in una serie di scontri violenti. Ed è proprio qui che abbiamo cercato di capire la reazione dei sostenitori più accanti di Trump il giorno della resa, quello in cui il Presidente ha detto che garantirà  una «transazione pacifica» dei poteri.
L’eterno ritorno al 1776
Uno dei grandi miti citati su TheDonald è il 1776, l’anno in cui gli Stati Uniti firmarono la Dichiarazione di Indipendenza. Un anno che viene citato spesso, con la giustificazione che quando bisogna combattere una battaglia non è necessario seguire le legge.
Scrive Thomas 1963-1967, «Dobbiamo smettere di giocare secondo le regole. Nel 1776 gli inglesi marciarono e giocarono secondo le regole. Noi invece ci siamo nascosti dietro gli alberi e le rocce pure di sparargli addosso». Una rivoluzione, quella proposta su TheDonald, che è contro lo Stato ma sempre condita da un distorto senso di patriottismo. «Noi non distruggiamo l’America, noi distruggiamo le istituzioni che distruggono l’America», scrive crazyfingers619.
Due pesi, due proteste
All’interno del forum sono molti gli utenti che paragonano l’attacco a Capitol Hill con le proteste del movimento Black Lives Matter. «I media ci definiranno come terroristi, mentre gli esponenti del movimento Blm (che si sono proclamati marxisti/terroristi che vogliono rovesciare gli Stati Uniti) vengono definiti come attivisti», scrive 1A2A.
Una contrapposizione netta quindi tra i sostenitori di Trump e gli attivisti di Blm, tanto che per battere la fazione nemica diventa necessario preparare le armi, come si legge da questo dialogo. Aristones: «Io sono pronto a morire per la libertà  delle prossime generazioni. Loro lo sono?». Nancypelosisoldiver: «Sì, lo sono. Non rinunciare mai alle tue armi».
La propaganda dei Democratici
L’odio verso il sistema mediatico è comune nei movimenti populisti, particolarmente accentuato in questo caso. Uno dei principali account di informazione sul social di destra Parler si chiama @MurderTheMedia. Non esattamente un nickname conciliatorio. Un odio che si è esteso anche ai social media dopo la decisione presa da Facebook di bannare Trump a tempo indertminato.
Commies-aint-people paragona il sistema mediatico, a sua detta curato dai Democratici, a quello gestito da Joseph Goebbles, il ministro della Propaganda del Terzo Reich Nazista: «Hanno alle spalle la più grande rete di propaganda nella storia dell’Occidente. Il 100% delle comuncazioni e delle informazioni arrivano dai loro alleati dei media e dei social media. Gobbles (scritto proprio così, ndr) non avrebbe potuto nemmeno sognare un sistema del genere».

(da agenzie)

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I TERRORISTI TRUMPIANI ANNUNCIANO NUOVE AZIONI VIOLENTE PER LA VIGILIA DELL’INSEDIAMENTO

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

SUI SOCIAL APPELLI AD AZIONI CONTRO LE SEDI DELLE ASSEMBLEE LEGISLATIVE DI TUTTI GLI STATI

Sarebbe pronto un nuovo attacco a Washington il 19 gennaio, un giorno prima dell’inaugurazione di Joe Biden.
Esaltati dal successo di mercoledì, dall’assalto al Congresso che dovrebbe segnare per loro l’inizio di una “rivoluzione”, leader di gruppi dell’estrema destra americana in questi hanno lanciato sui social l’appello ad azioni contro le sedi delle Assemblee Legislative in tutti gli stati.
Ma per molti dei loro attivisti e simpatizzanti, che nei mesi scorsi hanno manifestato contro le proteste di Black Lives Matter ed a sostegno della polizia con lo slogan “Blue Lives Matter”, è arrivata come una doccia fredda la notizia della morte di un poliziotto della Us Capitol Police, quinta vittima della sedizione inscenata dai sostenitori di Donald Trump lo scorso 6 gennaio nel tentativo di impedire la certificazione della vittoria di Biden.
La morte del poliziotto, su cui la procura federale ha aperto un fascicolo per omicidio, è destinata a dividere ancora di più gli animi di questi rivoltosi in nome del credo law and order diffuso da Trump, che permette comunque di tentare di rovesciare l’esito di elezioni legale sulla base di infondate accuse di brogli.
E su i social media, anche quello preferito dall’estrema destra Parler, in queste ore ci si divide tra il rivendicare l’azione, ed anche i saccheggi ed i vandalismi che sono testimoniati da foto e video, oltre che dalle denunce di furti che stanno arrivando da senatori e deputati di computer ed altre cose.
Oppure avallare la fake news che alcuni deputati repubblicani sostenitori di Trump hanno fatto circolare, cioè che responsabili delle violenze sono stati degli attivisti antifa travestiti da sostenitori di Trump. Ed anche le quattro vittime degli scontri, in particolare l’ex militare Ashli Babbitt, da qualcuno viene definita una martire della causa, da altri un’infiltrata degli antifa, con una bugia smentita dai familiari della donna che da San Diego l’hanno descritta come una grande sostenitrice di Trump.
“Per lo zoccolo duro dei gruppi di estrema destra questo è stato un grande successo, una pietra miliare nella loro lotta contro i mulini a vento, i presunti nemici dell’America – commenta Arie Kruglanski, docente di psicologia dell’università  Maryland che studia i movimenti estremisti americani – mentre invece scoraggerà  chi non era così impegnato”.
Per gli esperti quello che è successo mercoledì, per quanto sconvolgente, non è avvenuto come una sorpresa, preceduto da mesi di scontri, attacchi simili – si pensi all’occupazione armata della sede dell’Assemblea Legislativa del Michigan – e persino un piano per rapire es assassinare la governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, grande nemica di Trump.
“L’estremismo è ormai il mainstream della politica americana, dobbiamo capirlo per il bene del nostro Paese, non è più un fenomeno marginale”, ha detto Eric Ward, esperto di estremismo del Southern Poverty Law Center.

(da Globalist)

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ECCO CHI SONO GLI ALTRI TERRORISTI CHE HANNO ASSALTATO IL CAMPIDOGLIO: C’E’ ANCHE UN DEPUTATO REPUBBLICANO, IL FIGLIO DI UN GIUDICE E CHI HA NOLEGGIATO UN AEREO PRIVATO

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

SOVRANISTI, COSPIRAZIONISTI, EX MILITARI E RAZZISTI

Due giorni dopo l’assalto al Congresso che è costato la vita a cinque persone, l’Fbi e la polizia stanno cercando di identificare gli organizzatori della rivolta al Campidoglio con l’aiuto di cittadini e social media.
Il Bureau ha chiesto al pubblico di aiutare la polizia a identificare i rivoltosi, offrendo fino a 50 mila dollari di ricompensa per chi darà  informazioni “sulle persone responsabili dell’installazione di ordigni nella sede del comitato dei principali partiti politici statunitensi nella capitale”.
Il dipartimento di polizia del distretto di Columbia ha condiviso una pagina web con le foto di alcuni manifestanti chiedendo aiuto per l’identificazione.
Bigo il cattivo
La foto diventata virale di un uomo seduto sulla scrivania della speaker della Camera Nancy Pelosi ritrae Richard “Bigo” Barnett, 60 anni, di Gravette, Arkansas. Arringava la folla all’entrata con la camicia strappata e poi è stato fotografato lì, nel cuore del potere di Washington. “Le ho scritto un brutto biglietto, ho messo i piedi sulla sua scrivania e mi sono grattato le palle”, ha detto dopo essere uscito dall’ufficio di Pelosi. Sul suo profilo Facebook Barnett aveva criticato la speaker la scorsa settimana rivendicando di essere un nazionalista bianco: “Sono bianco. Non lo si può negare. Sono un nazionalista. Metto la mia nazione al primo posto. Quindi questo fa di me un nazionalista bianco”, ha scritto. Barnett aveva raccolto fondi per la campagna “Save Our Children”, che è uno slogan di cui QAnon si è impossessato per affermare la sua teoria secondo cui l’èlite democratica di Washington sarebbe responsabile di un traffico di minori. I ribelli che sono entrati in Campidoglio sventolavano anche bandiere che facevano riferimento alla tratta dei bambini, pilastro del culto QAnon. Non è chiaro cosa Barnett facesse per vivere.
Evans, deputato e rivoltoso
“Derrick Evans è in Campidoglio! Oh Mio Dio, non posso credere che siamo qui adesso!”. Il video è scomparso da Facebook poche ore dopo essere stato condiviso ma oramai la storia era uscita e la faccia di Derrick Evans è diventata un simbolo del cortocircuito che ha portato qualche migliaia di persone a tentare l’assalto al palazzo della democrazia americana, due giorni fa.
Deputato repubblicano della West Virginia, 34 anni, Evans si è unito ai rivoltosi e ha poi cercato di ridurre il danno, cancellando i video che lo ritraevano con l’elmetto bianco a Capitol Hill e dicendo di esserci andato come “membro indipendente dei media” e non come parlamentare. “Voglio assicurarvi che non ho avuto nessuna interazione negativa con la polizia nè ho partecipato ad alcuna distruzione”, si è scusato sempre via Facebook. Nel suo distretto Evans è un noto anti-abortista, il Washington Post ricorda che nel 2019 “un impiegato di una clinica per aborti a Charleston, W. Va., ha presentato un ordine restrittivo contro Evans per presunto stalking e ripetuta minaccia di lesioni personali”. I democratici hanno chiesto che il deputato venga immediatamente sospeso.
Aaron, figlio di un giudice della Corte Suprema
The Gothamist ha identificato anche un altro perosnaggio dell’invasione al Campidoglio, il ragazzo che appare vestito con le pelli di pelliccia e il giubbotto anti-proiettile anche all’uomo con la bandiera confederata. Si chiama Aaron Mostofsky, è il figlio di un giudice della Corte Suprema di Brooklyn. “Il padre dell’uomo è Shlomo Mostofsky, un’importante figura del mondo ortodosso di Brooklyn ed ex presidente del Consiglio nazionale della Giovane Israele. È stato eletto alla Corte Suprema della Contea di Kings lo scorso gennaio con il sostegno del Partito Democratico di Brooklyn”. Aaron ha parlato con il New York Post e ha spiegato che ha preso d’assalto l’edificio perchè “le elezioni sono state rubate”. Suo fratello, Nachman, che è il vice presidente del South Brooklyn Conservative Club pure era alla manifestazione giovedì da dice di non essere mai entrato in Campidoglio. “Mio fratello non ha fatto nulla di illegale”, ha detto Nachman a Gothamist. “Sicuramente non faceva parte della rivolta, è stato spinto dentro”.
Antisemiti ed ex militari
Tra i rivoltosi c’erano anche uomini e donne che indossavano magliette con slogan negazionisti dell’Olocausto e antiebrei, ma anche uomini con una chiara formazione militare. Sui social girano molto le foto di un uomo con passamontagna e lacci di plastica che di solito vengono usati come manette.
Secondo il ricercatore John Scott Railton, che ha identificato l’uomo grazie ai contributi di altri utenti online con l’analisi di video e foto, nella biografia dell’uomo ci sono: “nulla osta di sicurezza a lungo termine, una laurea all’accademia militare, grado di ufficiale superiore al momento del pensionamento”.
La presenza di militari o ex militari durante le rivolte del 6 gennaio è uno degli elementi su cui indaga l’Fbi. Finora sono state arrestate 68 persone. Tra i manifestanti c’erano anche operai edili di Indianapolis e una agente immobiliare di Frisco, in Texas, che è arrivato a Washington su un jet privato per “assaltare la capitale”: Jenna Ryan, che è anche conduttrice radiofonica.

(da agenzie)

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ARRESTATO IL TERRORISTA TRUMPIANO FOTOGRAFATO ALLA SCRIVANIA DI NANCY PELOSI

Gennaio 8th, 2021 Riccardo Fucile

RICHARD BARNETT DEVE RISPONDERE DI TRE CAPI DI IMPUTAZIONE… TRA GLI ARRESTATI CINQUE ERANO ARMATI SENZA LICENZA E UNO AVEVA 11 MOLOTOV

Il sostenitore di Donald Trump che dopo l’incursione al Campidoglio del 6 gennaio era stato fotografato seduto alla scrivania della presidente della Camera Usa Nancy Pelosi è stato arrestato e accusato di tre reati federali compreso il furto di proprietà  pubblica: lo hanno detto oggi funzionari federali citati dalla CNN.
L’immagine dell’uomo sessantenne seduto trionfante con un piede sul tavolo, diventata un simbolo delle violenze che hanno scosso il Paese, avevano fatto il giro del mondo.
I funzionari federali hanno fatto sapere che Richard Barnett dell’Arkansas è stato arrestato venerdì mattina a Little Rock. “Barnett è stato accusato di entrare e rimanere consapevolmente in un terreno edificabile limitato senza autorità , ingresso violento e comportamento disordinato nei terreni del Campidoglio e furto di proprietà  pubblica”, hanno detto i funzionari.
“Anche se avete lasciato Washington potete ancora attendervi che qualcuno bussi alla vostra porta”, ha affermato l’Fbi.
In un video pubblicato da un giornalista del New York Times durante gli scontri a Capitol Hill, Barnett si vanta di aver preso una busta personalizzata, ma ha assicurato di non averla rubata. “Ho lasciato un quarto di dollaro sulla sua scrivania”, ha aggiunto.
Anche un residente dell’Alabama è stato accusato per una bomba a tubo trovata sul lato Sud dell’edificio del Campidoglio, 11 bottiglie molotov e un’arma in stile militare trovate nel suo camioncino. In tutto quindici persone sono state incriminate a livello federale per gli scontri al Congresso.
“L’FBI non sta risparmiando risorse in questa indagine”, ha detto Steven D’Antuono, assistente direttore dell’ufficio di Charge Washington.

(da agenzie)

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