Gennaio 20th, 2021 Riccardo Fucile
L’ASTENSIONE NON E’ STATA UN GENTILE OMAGGIO DI RENZI A CONTE, MA UN COMPROMESSO PER SALVARE IL GRUPPO PARLAMENTARE
Ieri Matteo Renzi è intervenuto al Senato iniziando il suo discorso con “Signor presidente, se lei parla di crisi incomprensibile, le spiego le ragioni che hanno portato la nostra esperienza al termine. Il suo non è il governo più bello del mondo: pensiamo ci sia bisogno di un governo più forte, non pensiamo possa bastare la narrazione del “gli altri Paesi ci copiano”. Non è stata aperta ancora una crisi istituzionale perchè lei non si è dimesso”.
In tanti, in quel momento, hanno pensato che alle parole così dure contro il premier sarebbe seguito il No alla fiducia di Italia Viva.
Non è andata così. Perchè?
Il leader di IV mentre guardava “negli occhi il Presidente del Consiglio” attaccava : “L’Italia è il Paese messo peggio al mondo sull’economia. L’Italia è il Paese al mondo con il peggior rapporto fra popolazione e decessi per Covid, occorre investire in sanità , farlo meglio e farlo adesso. Abbiamo il record negativo nella crisi educativa e scolastica: non se ne parla mai in modo compiuto, ma il dato di fatto e’ che l’Italia ha mandato i suoi ragazzi a scuola meno degli altri paesi in Europa. Questi tre record negativi sono macigni di cui lei non ha parlato, signor Presidente, nel suo discorso“.
Eppure i senatori di IV, sotto l’indicazione del loro capo, si sono astenuti. Il motivo viene spiegato bene su oggi su Repubblica da Emanuele Lauria che racconta che nonostante i molti falchi che avrebbero voluto metterci la faccia dopo che Conte nel suo discorso alla Camera aveva spiegato senza mezzi termini di voler voltare pagina Renzi ha preferito ripiegare su un’astensione tattica per frenare le defezioni che si sarebbero potute creare nel gruppo parlamentare:
L’ex premier ha comunque preferito evitare spaccature nel gruppo, o defezioni dell’ultima ora da sommare a quella di Riccardo Nencini, il socialista che ha dato il simbolo a Iv, e che in extremis ha votato sì, differenziandosi dai colleghi. E sul no non sarebbero mai andati Eugenio Comencini («L’astensione è l’unica posizione che ci consente di riannodare i fili del dialogo e del confronto coi nostri colleghi di maggioranza») e Leonardo Grimani: «Grazie all’astensione la posizione del gruppo è granitica». Affermazione, quest’ultima, suffragata dalla conta in aula. E i 16 senatori di Renzi (al netto di Nencini e con Marino assente per Covid) hanno fatto la differenza a favore di Conte. Se fosse passata la linea del no la partita sarebbe finita pari: 156 a 156. «Assurdo», commenta un senatore di Iv che avrebbe voluto fare cadere il premier.
“I nostri no, uniti a quelli del centrodestra impediranno a Conte di raggiungere anche la maggioranza relativa” spiegava qualche senatore.
L’incertezza però è durata il tempo della prima chiama, che Italia Viva ha saltato. Poi ci ha pensato Renzi a confermare l’astensione mentre scagliava strali contro il Presidente del Consiglio. Insomma Italia Viva è stata più dura a parole che nei fatti. E non per rispetto o generosità , ma per non perdere posizioni che sarebbero potute andare a favore del Premier.
La tattica darà i suoi frutti anche nei prossimi giorni o qualche parlamentare di Italia Viva preferirà appoggiare la maggioranza?
(da NextQuotidiano”)
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Gennaio 20th, 2021 Riccardo Fucile
LA SPALLATA NON E’ RIUSCITA E RISCHIA IL DISFACIMENTO DEL GRUPPO
È stata — ed è — una partita complicata, che si è chiusa oltre il tempo regolamentare, con una
proclamazione sospesa e un finale thrilling. Ma, alla fine, Mattei Renzi ha perso la sua sfida.
In un’Aula arroventata, dopo la zuffa, la gazzarra, le urla, le polemiche sul computo del risultato, e addirittura dopo la moviola sul voto sul filo di lana del Senatore ex grillino Lello Ciampolillo, la spallata non è riuscita
La scena dei segretari d’Aula che rivedono i video mentre la presidente del Senato Elisabetta Casellati attende per proclamare l’esito finale per un quarto d’ora è un fotogramma cult: una contaminazione quasi grottesca fra la lingua della politica e l’estetica del Var. E poi c’è addirittura il sottofinale: quello che si rivela quando si scopre che dopo Ciampolillo — ammesso in extremis perchè è arrivato alle 22.14 — ha votato anche Riccardo Nencini (si potrebbe dire ai supplementari) e che entrambi hanno votato sì.
Ora, come è ormai noto ai lettori, Nencini non è uno qualunque: è il proprietario del simbolo che ha permesso a Renzi di costituire il suo gruppo alla Camera. Il che significa che, da domani, Renzi e i suoi potrebbero ritrovarsi come degli abusivi e parcheggiati al gruppo misto.
Il risultato finale del governo, che durante la sospensione era fermo a quota 154, migliora perchè con questi due ultimi voti sale a quota 156, molto più della maggioranza richiesta (la metà di chi ha espresso un voto): quindi, tolti i 16 astenuti (tutti renziani) i no si sono fermati a quota 140.
Come abbiamo scritto prima del voto, l’uomo di Rignano ha perso la sua sfida per un motivo bel preciso: se l’è giocata fino all’ultimo, ma forse è stato battuto peggio di come si poteva immaginare alla vigilia, e non solo per un fattore aritmetico. Per mandare a casa Conte, Renzi aveva bisogno di fare e in modo che il governo finisse in minoranza.
Ha fatto di tutto, a provato a giocare d’astuzia ma non c’è l’ha fatta. Se avesse vinto si apriva lo scenario di un nuovo governo, di cui lui diventava antipaticamente king maker e potenziale azionista. Non ce l’ha fatta, e ora il governo lavorerà per rafforzare se stesso. Dal punto di vista Costituzionale la legittimità di un governo che ha la fiducia delle Camere è inattaccabile.
Ed è per questo che Conte, avendo superato la prova, ha un secondo round a disposizione: dopo questo (che ha vinto) il prossimo, che già si prepara da oggi. Renzi — invece — di carta ne aveva comunque una sola.
Il presidente del Consiglio, una volta incassata la fiducia continua a governare. E sceglie lui se provare la strada di un nuovo governo per puntare alla maggioranza assoluta: non ha bisogno (come scrive erroneamente qualcuno) di concordare una via con nessuno, in questo caso nemmeno con il Quirinale.
Ha vinto in aula, e per la seconda volta: un anno e mezzo fa con uno dei Mattei, stasera con il secondo. Per essere un dilettante se l’è cavata abbastanza bene. Questa sconfitta di Renzi, invece, è frutto di una grande debolezza: quella di aver fatto un discorso di condanna totale, con toni e temi vicini a quelli del discorso di Matteo Salvini, ma di essersi poi dovuto poi rifugiare nell’astensione, per il rischio di spaccatura di cui abbiamo parlato.
Il governo, invece, dopo aver raccolto la stessa maggioranza relativa con cui altri esecutivi hanno governato per anni (esempio illustre quello di Azeglio Ciampi) ha tutta la possibilità di scegliere il nuovo arredamento della nuova maggioranza di Palazzo Chigi: può decidere se fare un rimpasto o meno.
Oppure se tentare la strada del “ter” (il terzo governo), eventualmente allargando la sua maggioranza ad altre forze, con un nuovo patto di governo. La sua partita si gioca in due round perchè tutti quelli che volevano contrattare sono rimasti alla finestra, in attesa di questa fase. Ci sono nuove maggioranze politiche — volendo — sul mercato.
Renzi invece adesso è in un luogo per lui molto scomodo: all’opposizione con Salvini e con la Meloni. E ci si ritrova con una pattuglia di parlamentari che, però, sono eletti prevalentemente nel centrosinistra. Un vero trasformista al Senato c’è e — a ben vedere — è proprio lui.
(da TPI)
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Gennaio 20th, 2021 Riccardo Fucile
SI ERA FREGATO I SOLDI DELLA RACCOLTA FONDI PER LA COSTRUZIONE DEL MURO CON IL MESSICO
A poche ore dalla fine del suo mandato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, concede la grazia a Stephen Bannon.
L’ex capo stratega della Casa Bianca era stato incriminato e arrestato ad agosto dai procuratori federali di Manhattan. L’accusa, in concorso con altre tre persone, riguarda la campagna online di raccolta fondi “We Build The Wall” per la costruzione di un muro al confine tra Usa e Messico.
In base alle imputazioni contenute nell’incriminazione depositata alla corte federale di Manhattan, Bannon, uno dei principali esponenti dell’alt-right, o “destra alternativa”, e i tre soci Brian Kolfage, Andrew Badolato e Timothy Shea, “hanno escogitato una truffa ai danni di centinaia di migliaia di donatori” in relazione alla campagna di crowdfunding che ha raccolto oltre 25 milioni di dollari.
Sono in tutto 147 le persone che hanno ricevuto l’annullamento o la riduzione della pena da Trump, tra queste non figurano il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, nè la ‘talpà dell’Nsa, Edward Snowden. Il presidente non ha perdonato se stesso, come alcuni media avevano ipotizzato, e nemmeno il suo avvocato Rudolph Giuliani.
Trump ha parlato con i suoi più stretti consiglieri della possibilità di fondare un nuovo partito chiamato “Patriot Party”. Lo riporta il Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali Trump ha discusso di questa possibilità la scorsa settimana nonostante l’impeachment alla Camera. Non è chiaro quanto Trump stia valutando seriamente la creazione di un partito, che richiederebbe un significativo investimento di tempo e risorse.
(da agenzie)
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Gennaio 20th, 2021 Riccardo Fucile
SI E’ CONSEGNATA ALLA FBI DOPO DUE SETTIMANE DI LATITANZA
A poche ore dall’insediamento di Joe Biden come 46° Presidente degli Stati Uniti, continuano
senza sosta gli arresti degli estremisti che, su incitamento del quasi ex-Presidente Donald J. Trump, hanno fatto irruzione nel palazzo del Campidoglio, a Washington D.C., lo scorso 6 Gennaio.
L’FBI sta impegnando centinaia di agenti in tutti e 48 gli Stati, e l’ultima ad essere assicurata alla giustizia si chiama Riley June Williams, ha 22 anni, la faccia pulita e, fino a pochi mesi fa, viveva una vita normale in una normale cittadina della Pennsylvania, Harrisbusrg.
Poi ha incontrato i seguaci di Trump ed è stata affascinata dalle teorie complottiste, fino a diventare una frequentatrice attiva dei forum di estrema destra. E poi è diventata una terrorista, una ladra (presunta), una latitante (accertata) e, quando finalmente ha deciso di costituirsi, una rea confessa, ma non pentita.
«Mia figlia non avrebbe torto un capello a nessuno, se è entrata nel Palazzo del Campidoglio l’avrà fatto spinta dalla folla», ha raccontato la mamma ai microfoni di ITV, una tv inglese.
Aggiungendo anche che sua figlia non era una sovversiva ma una normale ragazza di provincia americana, e che il viaggio verso Washington era l’occasione per fare una gita con il papà , non un piano organizzato per attentare alla democrazia.
E il padre, che ha confermato la teoria della gita di famiglia davanti alle telecamere, davanti alla polizia che lo interrogava ha però aggiunto che lui e sua figlia Riley non sono rimasti insieme durante la giornata, si sono lasciati all’arrivo a Washington e si sono rivisti solo nel tardo pomeriggio, per tornare a casa.
La stessa mamma, una decina di giorni prima, aveva detto all’FBI che aveva bussato alla sua porta in cerca della figlia, che la ragazza era andata via di casa in fretta e furia e che non ne aveva più notizie.
Lo racconta una fonte attendibile, l’agente speciale dell’FBI Jonathan Lund, che è stato sulle tracce della fuggitiva sin dall’8 gennaio. Nel suo rapporto sull’interrogatorio della madre di Riley Williams si legge che “Il giorno dopo i fatti di Washington la ragazza ha preparato velocemente una borsa dicendo alla madre che sarebbe stata via due settimane o più per andare da qualche parte “a rilassarsi”, e di non cercarla che si sarebbe fatta sentire lei”.
E anche a volerla cercare, non sarebbe stato facile visto che la Williams, nelle 24 ore successive all’invasione del Campidoglio, ha cancellato tutti i suoi account sui social media e cambiato numero di telefono, distruggendo la scheda in suo possesso fino a quel momento.
La ragazza è ora detenuta nella locale prigione federale in attesa di presentarsi davanti al giudice per rispondere delle accuse di violazione di monumento nazionale, interruzione di pubblico servizio e altri reati “minori”, potrebbe però essere un pesce più grosso di quello che sembra.
Sarebbe lei infatti l’autrice del furto di un computer portatile nell’ufficio di Nancy Pelosi, la Presidente (Speaker) della Camera dei rappresentanti. L’agente Lund l’ha riconosciuta in numerosi filmati che hanno documentato l’irruzione nel palazzo di Governo.
“Il soggetto”, dice il documento ufficiale dell’FBI, indossava una maglietta verde, un cappotto o impermeabile marrone e una borsa a tracolla bianca e nera. La si vede mentre si affaccia nella tromba delle scale per incitare altri manifestati a salire al piano superiore, mentre sosta nel salone noto come “La piccola Rotunda”, e persino ai piedi delle scale che portano all’ufficio della Pelosi”.
A dare il colpo di grazia alla tesi della mamma, secondo la quale “Riley è stata spinta dentro dalla folla”, è arrivata anche la testimonianza di un presunto ex fidanzato della ragazza. L’uomo, secondo quanto ha dichiarato l’agente dell’FBI che ha raccolto la testimonianza, avrebbe visto un video in cui la Williams si nasconde sotto la maglia quello che sembra un piccolo portatile o un hard disk. Ma non basta.
Il ragazzo, indicato nei documenti ufficiali come “testimone 1”, avrebbe anche notizie dettagliate su un tentativo della Williams di proporre il computer in vendita agli agenti dell’SVR, il servizio segreto russo.
A fare da intermediaria sarebbe stata un’amica della ragazza, anche lei membro di uno dei gruppi pro Trump, e il suo fidanzato, un russo americano che -al momento- si trova a Mosca. A quanto pare, però, la transazione non sarebbe andata a buon fine, per motivi ancora ignoti, e la Williams avrebbe nascosto il Pc o lo avrebbe addirittura distrutto.
Ma questo computer esiste davvero? E quali segreti può contenere?
Il Vice capo dello staff della Speaker della Camera, Drew Hammill, ha confermato che un computer portatile è stato effettivamente trafugato da una sala conferenze, ma ha anche specificato che si trattava di un dispositivo usato solo per le presentazioni. Questo potrebbe spiegare il disinteresse dei presunti agenti segreti Russi che avrebbero dovuto comprare la refurtiva. Ma non spiega l’interesse dell’FBI. Così come non convince neppure la teoria complottista, diffusasi in rete, secondo la quale il computer avrebbe contenuto le prove dell’avvenuta frode elettorale (inesistente ndr) e sarebbe stato sequestrato e poi distrutto dall’FBI stesso.
Il tutto, ovviamente, per proteggere il neo-eletto Presidente e l’intera categoria di politici (Democratici) corrotti, anti-America, e persino pedofili, che solo Trump, paladino dei veri valori americani, avrebbe potuto smantellare.
(da Open)
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Gennaio 20th, 2021 Riccardo Fucile
DALLA BERLUSCONIANA ROSSI AL SOCIALISTA NENCINI… E ORA PER CONTE E’ PIU’ FACILE ALLARGARE I CONSENSI AL GOVERNO
La vera sorpresa è Forza Italia. Al Senato, come alla Camera, si è visto l’effetto “responsabili”. Un effetto trasversale che ha coinvolto gli azzurri ma anche un ex M5s e soprattutto Riccardo Nencini, che fino alla fine ha lasciato tutti con il fiato sospeso. Talmente sospeso che sia l’ex grillino sia il leader del Psi hanno rischiato di non votare perchè fuori tempo massimo. In Aula scoppia il caos, la presidente Casellati fa visionare i video e vengono riammessi. Il numero dei voti a favore sale a 156. Di fatto i responsabili, che segnano un punto di svolta sono quattro: Maria Rosaria Rossi di Forza Italia, l’azzurro Andrea Causin, l’ex grillino Alfonso Ciampolillo e Riccardo Nencini.
Per Forza Italia a segnare la fine di un’epoca è il Sì di Maria Rosaria Rossi, l’ex “badante” di Silvio Berlusconi, amministratrice del partito nella fase del “Bunga Bunga”, tesoriera che pose fine ai fagiolini pagati 80 euro al chilo nonchè grande amica di Francesca Pascale e animatrice del “cerchio magico” spazzato via dal più sobrio Ronzulli-power.
Già da tempo finita nel cono d’ombra, ha aperto una pizzeria nel Casertano in cui leggenda vuole si gusti la pizza allo champagne. E ha salutato Forza Italia sbattendo la porta.
E con buona pace delle smentite fino a un minuto prima, arriva Andrea Causin. Imprenditore veneto, cattolico ex Acli, tendenza Ppe, aveva aderito al Pd veltroniano per poi candidarsi nel 2013 con Scelta Civica. Già indiziato per l’assenza al voto sulla riforma del Mes (dove Salvini impose la linea dura obbligando Fi alla capriola) era da giorni oggetto di rumors. Vota sì lasciando Forza Italia tra i mugugni dei colleghi: “Andata e ritorno, senza pagare il biglietto…”.
Ecco poi il leader del Psi. Con Renzi sono “fratelli”, oltre che entrambi toscani, ma la politica è un’altra cosa. Anche se, il Sì di Riccardo Nencini è arrivato praticamente fuori tempo massimo evitando spaccature di Italia Viva, che in questo clima è già qualcosa.
Socialista, appassionato di ciclismo, veterano in Parlamento, ex vicepresidente ulivista del consiglio regionale toscano, poi viceministro ai Trasporti con i governi Renzi e Gentiloni, attuale presidente del Psi il cui simbolo ha “prestato” a Renzi per consentire la nascita del suo gruppo. Porta in dote un voto, un’insegna presentata alle elezioni, e una pistola puntata sul leader di Rignano.
Alfonso Ciampolillo, per gli amici Lello, nel 2009 è stato candidato dai 5Stelle sindaco di Bari ottenendo lo 0,4% dei consensi. Nel 2013 sbarca in Senato e viene riconfermato nel 2018. Cade però nella trappola ‘rimborsopoli’, non restituisce parte dello stipendio, è fortemente critico nei confronti di Luigi Di Maio e viene espulso. Oggi il suo voto a favore, in extremis, è stato salutato da un applauso accorato.
A portare a casa il risultato è stato Saverio De Bonis, anche lui ex grillino, che in Senato si muove da “padre della Patria”, come viene definito dai colleghi nei corridoi di Palazzo Madama. Entra in buvette, parla al telefono e con la mano copre la bocca affinchè non si legga il labiale.
Tiene il conto dei senatori che voteranno la fiducia al governo, tratta alla ricerca di nuove reclute a favore del premier Conte. Eppure anche lui era stato espulso, con un post sul Blog delle Stelle, insieme a Gregorio De Falco, per non aver votato il decreto Sicurezza.
A proposito, anche il comandante di fregata, come annunciato, ha votato la fiducia. Si diceva di loro che si sarebbero dovuti dimettere nel rispetto delle regole M5s. De Bonis inoltre, studioso dei fanghi inquinanti, sosteneva che i grillini fossero poco a favore dell’ambiente e veniva bollato come un traditore. Ora è in ballo per un posto nel governo.
Anche Maurizio Buccarella è stato molto corteggiato. Il suo voto a favore era già stato annunciato come d’altronde ha fatto in questi anni. Proprio lui che, in una conferenza stampa memorabile, in piena campagna elettorale, nel febbraio 2018 venne accusato da Luigi Di Maio di non aver restituito 137mila euro a favore delle piccole e medie imprese. Si difese dicendo che comunque nella precedente legislatura ne aveva versati cento mila. Ormai però le liste erano state depositate e l’allora capo politico non potè fare altro che invitarli a dimettersi una volta eletti. Cosa che, come era prevedibile, non avvenne.
Non solo M5s. Al Senato ha un ruolo da protagonista ‘reposanbile’ anche Sandra Lonardo, eletta con Forza Italia, infanzia americana e radici a Ceppaloni, è da quarantacinque anni la metà di Clemente Mastella, con cui condivide (anche) gioie e dolori della politica. Con l’Udeur fu eletta presidente del consiglio regionale, ma quando nel 2008 finì ai domiciliari con l’accusa di concussione (assolta molti anni dopo), suo marito si dimise da Guardasigilli aprendo la crisi che portò alla caduta del governo Prodi.
Tornando ai 5Stelle, anche alla Camera c’è una nutrita pattuglia di ex grillini, coinvolti in rimborsopoli, che ieri ha votato per il governo.
Intanto ben sei ex M5s si trovano nel gruppo Centro democratico di Bruno Tabacci, che già fa parte della compagine di governo.
Tra questi spicca Marco Rizzone, molto attivo al fianco del leader nel rilasciare interviste. Nel settembre scorso è stato espulso dal Movimento per aver chiesto i 600 euro di bonus destinati alle partite Iva. Proprio lui che uno stipendio fisso da parlamentare lo ha.
Tra i voti a favore, premesso che anche lui ha votato quasi sempre con il governo, c’è quello di Andrea Cecconi, espulso per non aver restituito 28mila euro.
Tra i ‘Responsabili’ veri e propri arrivati ieri in soccorso a Montecitorio ecco Silvia Benedetti, che aveva un ammanco di circa 23mila euro.
C’è anche Piera Aiello che nel settembre scorso aveva lasciato il Movimento per ben altre ragioni. Lei, siciliana, testimone di giustizia, aveva espresso tutta la sua “amarezza” poichè “il lavoro svolto è stato vanificato da persone che non si sono mai occupate di antimafia con la formazione adeguata. Di quanto fatto non rimane nulla, è sempre il ministro a decidere tutto, sicuramente non in autonomia”.
Di “deriva autoritaria” ha parlato Nadia Aprile, deputata in ritardo con la rendicontazione, mentre Alessandra Ermellina diceva che M5s ha “tradito le speranze di 11 milioni di italiani”.
Si arriva poi a Lorenzo Fioramonti, il ministro dell’Istruzione che ha lasciato l’incarico in rotta con il governo per non aver ottenuto i 3 miliardi di investimenti richiesti su scuola e università .
La pattuglia dei Responsabili non finisce qui.
Il colpo di teatro lo ha offerto Renata Polverini. Romana de Roma, viene dall’ambiente della destra sociale: ex segretaria dell’Ugl, riuscì a costruire buoni rapporti sia con Fini che con Berlusconi. Nel 2010 fu eletta governatrice del Lazio in quota Pdl salvo dimettersi due anni dopo per lo scandalo di “Batman Fiorito” (che non la toccò di persona).
Deputata azzurra nelle ultime due legislature, ha covato un malessere — spesso sfogandosi con l’amico Renato Brunetta — dovuto alla “prepotenza salviniana” nell’attuale coalizione di centrodestra. Definita da Renzi “soccorso nero” a Conte, tra gli abiti predilige le giacche e le sciarpe rosse.
L’abbandono nell’abbandono è di Michela Rostan, avvocata salernitana, vicepresidente della commissione Affari Sociali di Montecitorio, eletta con Leu ma ex Pd, è passata a Italia Viva quasi un anno fa. Impegnata sui temi della salute, in particolare, nella terra dei fuochi. Tra i motivi del suo attuale sostegno a Conte: “Le centinaia di messaggi di disappunto ricevuti dai cittadini”.
Trasformista per eccellenza è Carmelo Lo Monte, avvocato siciliano, ha attraversato quattro legislature senza lasciare ricordi indelebili nei colleghi del Parlamento, ma neppure nemici. Cattolico, un passato all’Ars di cui è diventato anche vicepresidente, ha girovagato per i piccoli partiti di cerniera tra destra e sinistra: Mpa di Lombardo, IdV di Di Pietro, Dc, Cd, Psi, fino alla Lega di Salvini che lo elegge nel 2018. Sembrava colpo di fulmine, invece pochi mesi dopo eccolo nel Misto.
E da bravo ‘responsabile’, come i suoi colleghi, eccolo votare Conte.
(da “Huffingtonpost”)
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