Destra di Popolo.net

“SCUSAMI, PENSAVO CHE TU MANGIASSI BAMBINI”

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

UN EX SOSTENITORE   DI TRUMP PORGE LE SCUSE AL GIORNALISTA DELLA CNN PER AVER CREDUTO A UNA PALESE BUFALA CHE CIRCOLAVA ONLINE

La teoria della Cospirazione ha toccato vette inarrivabili.
A svelarle è stato il giornalista e anchorman della Cnn Anderson Cooper che ha realizzato un’inchiesta per scavare all’interno di Qanon: quel folto gruppo di complottisti che sostenevano (e sostengono, anche se ora meno rumorosamente) Donald Trump citando improbabili teorie avverse per mettere fuori gioco l’ex Presidente degli Stati Uniti.
Una community nata sul web seguendo tesi irreali, come quelle che hanno portato alle scuse sostenitore Qanon allo stesso giornalista della Cnn.
«Ai tempi credevi che Democratici di alto livello e celebrità  adorassero Satana e bevessero il sangue dei bambini?», chiede Anderson Cooper rivolgendosi a un ex sostenitore della teoria della Cospirazione denominata QAnon. E la risposta lascia allibiti.
«Anderson, pensavo che tu lo facessi e per questo, ora, vorrei chiederti scusa — ha risposto l’ex sostenitore di QAnon pentito -. Mi scuso per aver pensato che tu mangiassi (quindi non solo il riferimento al sangue, ndr) i bambini».
Lo stesso giornalista, sorpreso, chiede all’uomo in collegamento streaming di ripetere quanto appena detto. E lui conferma quella sua versione dei fatti. Insomma, all’interno del circolo magico di QAnon, erano state messe in circolo assurde fake news. E la conferma arriva poco dopo.
Oltre alle scuse l’uomo spiega che tipo di informazioni circolavano all’interno della loro rete cospirazionista: «Credo che fosse perchè Q ti aveva nominato e lo avesse fatto molto tempo fa. Poi ha parlato anche della tua famiglia. Sarò sincero — prosegue -: in realtà  la gente ne parla ancora oggi».
E pensare che questa sembra essere la cosa più banale all’interno di quel mondo artefatto che mira a creare realtà  parallele: il mondo di QAnon.

(da agenzie)

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SONDAGGIO IXE’: SE CONTE FA UN PARTITO, CENTROSINISTRA E M5S ALLA PARI DEL CENTRODESTRA AL 46%

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

L’ALTRO 8% DIVISO TRA CALENDA, RENZI, + EUROPA E ALTRI… CENTRODESTRA VINCE SENZA PROBLEMI SE IL PARTITO DI CONTE NON NASCE

È uno scenario politico inedito quello fotografato dall’ultimo sondaggio dell’istituto Ixè: se si andasse a votare oggi e la coalizione giallorossa si presentasse compatta, allargando il campo anche a +Europa, Verdi e Azione di Carlo Calenda, sia al Senato che alla Camera potrebbe ottenere la maggioranza assoluta, anche se a poca distanza dal blocco del centrodestra.
La seconda ipotesi immagina invece che il Movimento 5 stelle decida di correre da solo, con uno schieramento tripolare analogo a quello del 2018. In questo caso Fi, Lega e Fratelli d’Italia potrebbero contare su un ampio vantaggio in entrambi i rami del Parlamento.
Poi c’è la terza ipotesi, che riflette l’attuale posizionamento dei partiti ma tiene conto della variabile premier: da un lato Pd, M5s, partiti minori e una lista Conte, al centro Italia viva con Calenda e Bonino, a destra il consueto blocco capitanato dalla Lega.
Se si andasse così alle urne, ci sarebbe un testa a testa con i renziani e partiti annessi a contendersi i seggi decisivi per la nascita di un nuovo governo.
Scenario 1
Stando alla rilevazione Ixè, se la politica italiana si dividesse in due blocchi distinti (da un lato giallorossi e partiti minori, dall’altro il centrodestra) lo scettro della maggioranza spetterebbe allo schieramento di centrosinistra.
In questo scenario a Pd, Movimento 5 stelle, Leu, Iv e gli altri vengono attribuiti 201 seggi alla Camera, contro i 199 del centrodestra, e 103 al Senato sui 200 totali.
I numeri ovviamente tengono conto del taglio dei parlamentari entrato in vigore dopo il referendum di settembre.
Le intenzioni di voto degli italiani sono aggiornate al 28 gennaio e vedono la Lega ancora primo partito al 23,2%. A stretto giro il Pd con il 20,6%, seguito dal 15,8% di Fratelli d’Italia e dal 15,4% dei 5 stelle. Forza Italia è data in crescita all’8,8%, mentre tra i minori La sinistra e Azione sono appaiati intorno al 3,5%. Italia viva è al 2,1%, in costante calo da ottobre a oggi.
Scenario 2
Il secondo scenario si basa sull’ipotesi che il Movimento 5 stelle decida di correre da solo e di valutare solo in un secondo momento eventuali alleanze in Parlamento. In questo caso la vittoria del centrodestra sarebbe schiacciante: a Lega, Fdi e Fi vengono assegnati 245 seggi a Montecitorio, 113 al centrosinistra e solo 42 ai pentastellati. Stessa cosa al Senato: 125 seggi alle destre, 52 al fronte del centrosinistra e 23 al Movimento.
Il capo dello Stato, quindi, assegnerebbe l’incarico di formare un governo al candidato premier del centrodestra — con tutta probabilità  Matteo Salvini — al quale mancherebbero una manciata di voti per poter contare sulla maggioranza dei due terzi del Parlamento. Proprio quella che serve per cambiare la Costituzione.
Scenario 3
L’ultima proiezione elaborata dall’istituto dei sondaggi tiene conto di un fattore al momento non presente nella compagine politica, cioè una lista direttamente collegata a Giuseppe Conte.
Alle elezioni i cittadini si troverebbero quindi tre schieramenti: da un lato Pd, 5 stelle e sinistra con Conte, al centro il fronte Calenda, Renzi e Bonino, a destra la solita coalizione trainata dalla Lega.
I risultati in termini di seggi sono subito evidenti nel grafico: giallorossi e centrodestra sostanzialmente appaiati sia alla Camera che al Senato ma senza i numeri sufficienti per governare, la coalizione lilla formata da Azione, Iv e +Europa a fare da ago della bilancia. O quantomeno a contendersi i seggi decisivi.
Il motivo è che l’ipotetica lista Conte è data al 13,5%, con un bacino elettorale sottratto in parte al Pd (dato in calo al 18%), ai 5 stelle (al 10,4) e alla sinistra. Qualche voto in arrivo anche da leghisti, moderati e Iv. Un eventuale governo, quindi, potrebbe nascere solo previo accordo con Renzi e co. Salvo il peso degli astenuti e di eventuali sorprese in campagna elettorale, capaci di spostare gli equilibri in un senso o nell’altro.

(da agenzie)

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FONTI DEM: “RENZI STIA ATTENTO A NON TIRARE TROPPO LA CORDA, SIAMO ARRIVATI AL LIMITE DELLA SOPPORTAZIONE”

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

“SE SI LIMITA A CHIEDERE CAMBIAMENTI ALLA GIUSTIZIA E AL LAVORO SI PUO’ FARE, SE OLTREPASSA QUEL LIMITE CI SONO LE URNE”

«Solo Renzi sa cosa ha in testa Matteo Renzi». Un deputato, poi un altro, un senatore e un portavoce: gli uomini di Italia viva, alla domanda sul punto di caduta del senatore di Rignano, rispondono tutti con la stessa frase. Infarcendola, ovviamente, con le motivazioni già  note, dalle difficoltà  del mondo scuola agli investimenti del Recovery Plan. Eppure, dietro alle lotte sui macrotemi, ci sono delle richieste concrete che Renzi sta avanzando, più o meno tacitamente, e dalle quali dipenderà  la permanenza di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi
La questione Domenico Arcuri è la più ostica, il vero snodo della partita di Renzi. «Non si tratta di Arcuri in sè, ma di un singolo individuo su cui si è accentrato un potere immenso», spiegano fonti di Italia viva. Ogni investimento pubblico fatto per la pandemia di Coronavirus passa dalle mani del Commissario per l’emergenza: terapie intensive, mascherine e adesso vaccini. «Credo che Renzi, e faccia bene, voglia che questo enorme potere sia suddiviso tra più persone, così è più facile che si limiti da solo. La diarchia Conte-Arcuri era diventata troppo pericolosa per la trasparenza della cosa pubblica».
Parole dure, ma altrettanto resistente sarà  la barricata di Conte: cedere sull’uomo al quale ha affidato la gestione della pandemia e così esposto mediaticamente vorrebbe dire delegittimare le scelte più importanti fatte da Palazzo Chigi nell’ultimo anno. La richiesta di togliere ad Arcuri le competenze sui vaccini non dovrebbe essere accolta dalla controparte. Così come la poltrona del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, nel bersaglio di Italia viva, sarebbe fuori discussione: «Per il bene del Paese alcune persone devono restare e faccio riferimento al ministro dell’Economia», l’ha blindato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.
Nelle dichiarazioni di Renzi, non manca mai un attacco alla gestione del rapporto scuole-pandemia. Anche su questo punto, però, la trattativa non si schioda ed è difficile che il dicastero sarà  affidato a un renziano. Sono due i temi, invece, sui quali Renzi sta davvero vincendo la partita: la giustizia, e qui Italia viva è supportata anche dal Pd che chiede la fine della linea giustizialista di Alfonso Bonafede, e il lavoro. Nessuna delle forze di maggioranza sembra disposta a immolarsi per difendere l’operato della ministra Nunzia Catalfo. Il suo dicastero, inoltre, è una buona contropartita per la trattativa in corso, data la centralità  del Lavoro in alcune voci di spesa del Recovery Plan.
«Se Renzi si limita a queste due richieste, la quadra si può trovare», afferma a Open un membro della direzione del Pd. «Sul Mes, invece, deve fermarsi: è un tema identitario dei 5 stelle». Il punto di incontro, qui, potrebbe essere raggiunto aumentando le risorse per la sanità  previste nel Pnnr. «La pazienza negli altri partiti è arrivata al limite e stiamo rischiando grosse spaccature interne pur di dare una seconda chance a Italia viva — conclude il Dem — . Se Renzi continua a tirare la fune la situazione degenererà  e l’unica alternativa al caos istituzionale resteranno le urne».

(da agenzie)

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RECOVERY, RISTORI, NOMINE, RAI: GLI INTERESSI DEI MANDANTI DI RENZI PER SOSTITUIRE GUALTIERI

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

DIETRO IL PRESSING RENZIANO CONTRO IL MINISTRO DELL’ECONOMIA INTERESSI MILIARDARI DEI GRUPPI ECONOMICI

L’ultimo a fare quadrato intorno al suo nome è il segretario del Pd Nicola Zingaretti: “Queste sono proprio cose che non vanno neanche ripetute perchè diventano una notizia”.
Le “cose” sono le voci, sempre più insistenti, che vogliono Roberto Gualtieri fuori dal ministero dell’Economia. Per volontà  dei renziani.
Ettore Rosato, il presidente di Italia Viva, prova a spostare l’asse della questione e usa il metodo già  adottato per Giuseppe Conte: “Nessun veto nei confronti di nessuno”, il tema è la “discontinuità  nella linea politica rispetto al passato”.
Ma il recinto costruito intorno a Gualtieri (appena domenica dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi) e il toto-nomi del successore (in testa Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce) sono lì a dire che la questione c’è ed è caldissima.
Il Tesoro è custode di un bottino, anche politico, molto ambito. Dentro ci sono le nomine e il Recovery Fund.
Prescindendo dal ruolo strutturale che il ministero dell’Economia ha assunto con maggior vigore negli ultimi anni – tenere a freno ministri e partiti da impeti di spesa ingenti – la poltrona di via XX settembre è cruciale anche per la gestione della pandemia.
Un extra deficit di 108 miliardi nel 2020 e un nuovo scostamento di bilancio da 32 miliardi a gennaio di quest’anno hanno allargato a dismisura il perimetro dei soldi da iniettare nel Paese. Passano da queste risorse e dalle misure che le contengono passaggi cruciali della gestione economia e politica della crisi che è scoppiata con il virus.
Misure come la cassa integrazione, gli aiuti alle imprese, il potenziamento degli ospedali, ancora i soldi per la scuola e per i trasporti, hanno nel Tesoro un passaggio obbligato e determinante.
Se una fetta degli interventi del Governo è finita sotto il cappello della struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri, un’altra altrettanto decisiva è in capo al Mef. Politicamente parlando. Perchè a livello economico non si muove soldo senza il via libera della Ragioneria generale dello Stato, il controllore dei conti.
La strategia economica anti Covid va ora aggiornata. Bisogna capire fino a quando allungare la cassa integrazione, come prorogare lo sblocco dei licenziamenti, più in generale settare la macchina degli aiuti.
E poi ci sono questioni che il virus ha portato alla luce e che hanno bisogno di risposte altrettanto pesanti: il destino del reddito di cittadinanza, quello di quota 100, la necessità  di tirare su una riforma degli ammortizzatori sociali e delle pensioni. Un mix tra misure ancora emergenziali e interventi strutturali che mette il Mef al centro della partita.
Ma essere ministro dell’Economia oggi, con una pandemia che impone di pensare già  al dopo, non è solo questo. Si apre qui un’altra finestra, che allarga ancora di più il perimetro delle competenze e delle responsabilità  (quindi anche del peso politico): il Recovery plan.
È al Tesoro che sono arrivati i contenuti e i numeri dai diversi ministeri per tirare su il piano italiano da 209 miliardi (poi cresciuto a 222 miliardi con l’aggiunta dei soldi del Fondo per lo sviluppo e la coesione).
È qui che è stato fatto un lavoro di incastro e di aggiustamento che è risultato determinante per far corrispondere le sei missioni, con annessi contenuti, ai parametri europei. E qui, soprattutto, che si sono rifatti i conti quando Matteo Renzi ha di fatto aperto la crisi, proprio sul Recovery, lamentando carenze – anche di risorse – sulla sanità  e su altri temi.
Fu Gualtieri, insieme al ministro per il Sud Giuseppe Provenzano e a quello per gli Affari europei Enzo Amendola, a tirare dentro i soldi del Fondo per il Mezzogiorno in modo da ampliare la torta delle risorse e dare spazio alle richieste dei renziani.
Come l’aumento della quota degli investimenti e il taglio di quella destinata ai bonus, ma anche più soldi per la sanità  e per l’agricoltura.
Tra l’altro per blindare Gualtieri, Bonomi ha tirato in ballo proprio il ruolo determinante del ministro nell’aggiustare il tiro del Recovery, in questo caso in favore delle imprese (“Quel che portiamo a casa con il Recovery Fund è merito del ministro Gualtieri”).
E sempre al Tesoro è legato il passaggio successivo e altrettanto cruciale del Recovery: chi gestirà  i soldi che arriveranno dall’Europa.
Il tema della governance – anch’esso tra le cause della crisi di Governo – è stato annacquato, meglio cancellato, proprio da Giuseppe Conte per provare a contenere le critiche di Renzi.
Ma l’ultima bozza del piano italiano, depurata dalla questione che ha generato discordia e veleni dentro all’esecutivo, ha solo rimandato il problema. E l’assetto iniziale faceva del Tesoro, insieme a palazzo Chigi e al ministero dello Sviluppo economico, uno dei perni del triumvirato a cui affidare la guida della macchina con i soldi.
L’altro grande bottino del Tesoro sono le nomine. Anche qui Renzi vuole toccare palla e il Mef, azionista di riferimento di molte società , è fondamentale nell’indicazione dei nuovi vertici. A iniziare da quelli della Cassa depositi e prestiti, che scadono in primavera, e quelli della Rai, che andranno rinnovati in estate. Tutte le nomine implicano trattative, accordi, tradimenti, compromessi.
Anche la prossima tornata da circa 500 nomine pubbliche tra posti nei consigli di amministrazione e collegi sindacali non farà  eccezione. Non è la tornata della primavera dell’anno scorso, quando toccò alle poltrone più ambite: Eni, Enel, Leonardo e Poste. Ma non per questo, la nuova tranche sarà  meno ambita. Il tema – tra l’altro – riguarda tutti, Conte come Renzi.
Nel risiko delle nomine contano palazzo Chigi, il Tesoro e gli equilibri di maggioranza. In questa operazione, Renzi ha potuto giocare in attacco perchè un giro di nomine importanti fu fatto proprio quando era premier. E la scorsa primavera, al netto del suo peso politico più ridotto, riuscì a incassare parecchio. Era il 20 aprile 2020
Scorrendo la lista di quella tornata, Renzi ottenne la conferma di Claudio Descalzi ad Eni, di Francesco Starace ad Enel e di Matteo Del Fante a Poste. E poi altri posti strategici dentro Leonardo e Terna.
Pochi mesi prima, a gennaio, il ritorno di Ernesto Maria Ruffini all’Agenzia delle Entrate. Lo scoppio della pandemia impose un effetto freezer su gran parte delle nomine, ma questo non riduce il ruolo giocato da Renzi nella partita.
Nei mesi a venire si apre un nuovo round. Come si diceva, Cdp e Rai su tutte le altre partite. Alla Cassa scade il mandato di Fabrizio Palermo.
Da settimane si rincorrono voci di un cambio per opera di Conte, che preferirebbe al suo posto Arcuri. Ma il commissario per l’emergenza Covid è impegnato su più fronti, la campagna vaccinale in primavera sarà  in pieno fermento. Toto-nomi a parte, è la casella a essere ambitissima.
E il ministro dell’Economia dice eccome la sua dato che l′82,77% di Cdp è proprio del Tesoro. Tra l’altro guidare la Cassa significa guidare la Ferrari del Paese. Ha in mano le partite industriali più calde: Autostrade, Borsa Italiana, la rete unica, Nexi-Sia per i pagamenti digitali. Attraverso il Fondo Patrimonio Rilancio gestirà  44 miliardi di soldi pubblici destinate alle imprese.
L’altra partita clou è la Rai. E poi c’è una miriade di altre partite che impattano su temi altrettanto cruciali. Nel piano 2016-2020 di Anas ci sono 36 miliardi di investimenti: i vertici di questa società  rappresentano posti cruciali nel determinare le politiche dei prossimi anni in materie di opere pubbliche stradali.
Altro aspetto, molto importante per i renziani: nella lista dei commissari per la realizzazione o lo sblocco delle opere c’è una sfilza di nomi targati Anas. Ancora le partite di Invimit (la società  al 100% del Tesoro che si occupa delle operazoni sul patrimonio immobiliare pubblico), di Sogei, il big dell’informatica, le controllate di Eni tra cui la petrolifera Snam.
Il bottino del Tesoro cresce a dismisura.

(da “Huffingtonpost”)

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IL TAVOLO SUL PROGRAMMA NON PARTORISCE UN PROGRAMMA

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

TUTTO RINVIATO AL CONFRONTO FRA LEADER

Al tavolo di maggioranza sul programma di governo, oltre ai leader, il grande assente è il programma stesso.
Eppure la maxi riunione tra i capigruppo di maggioranza e i tecnici era stata convocata dal presidente Roberto Fico per mettere a punto “un crono-programma”, accogliendo così nel suo mandato esplorativo le richieste di Matteo Renzi.
E invece a distanza di poche ore dall’inizio dalla riunione si apprende che non ci sarà  un documento scritto, bensì i presenti stanno discutendo, in generale, dei temi che in un secondo momento saranno sottoposti al premier incaricato. Solo allora questi temi potranno confluire in un testo scritto con dettagli, tempi e soprattutto, in teoria, si dovrebbe arrivare al senso pratico di tutto questo, ovvero il “come”, così da rispondere alla seguente domanda: “Come il prossimo governo vorrà  risolvere l’emergenza economica e sanitaria che il Paese sta vivendo?”.
Durante una pausa dei lavori la conferma arriva dal senatore Maurizio Buccarella del gruppo Maie: “La giornata verosimilmente non si concluderà  con un documento scritto, a noi non è stato chiesto. Fico ha detto che vorrà  sapere da noi se ci sono le condizioni generali per il proseguo della maggioranza”. Di fronte all’incertezza dei cronisti ribadisce: “Non è previsto un documento, una carta, un accordo. Decideremo insieme se redigere un verbale”.
Pur non dovendo stilare un programma vero e proprio, il tavolo procede comunque a rilento. Dopo oltre 3 ore di riunione, i capigruppo delle forze di maggioranza hanno chiuso il primo tema, quello sulle politiche attive del lavoro. “Si è deciso che il documento della maggioranza del 2 dicembre scorso contiene considerazioni che sono valide ancora oggi”, dice uno dei rappresentati politici presenti alla riunione facendo riferimento alle riunioni che aveva avviato il ministro Federico D’Incà .
Non sarebbero mancati poi momenti di tensione sul reddito di cittadinanza, Inps e Anpal. In particolare, viene riferito, il M5S si sarebbe opposto alla richiesta di separare il reddito di cittadinanza dalle politiche attive per il lavoro, concedendo soltanto “piccole modifiche” al sussidio istituito nel corso del Governo giallo-verde. Muro dei pentastellati, anche, su un possibile ricambio alla Governance di Inps e Anpal.
È complicato, come spiega una fonte, “risolvere in poco tempo uno stallo che va avanti da un anno”. E forse è proprio per questa ragione che il tavolo di maggioranza è stato derubricato a discutere solo dei temi, senza stilare un documento scritto. Non a caso in passato ci sono volute settimane per raggiunge una bozza di accordo.
Per sbloccare lo stallo è necessario un confronto che parta dai leader. Nessuno ha dubbi in proposito. Anzi, per utilizzare le parole di un capogruppo presente al tavolo: “Il nodo è la premiership, più una serie di altre posizioni-chiave. Sul programma ci eravamo arenati a dicembre, non è che sblocchiamo ora…”. Tutti si attendono, insomma, un vertice dei leader di partito o almeno contatti che possano sbloccare lo stallo affinchè il presidente Fico possa salire domani al Colle indicando il nome del possibile premier.
Tra sospensioni all’ora di pranzo e la richiesta di tavoli tematici nel pomeriggio si procede un po’ stancamente a vista, in attesa che le trattative parallele fra i leader e l’ipotetico incontro sblocchi la trattativa vera: chi si siederà  a Palazzo Chigi? Con quale squadra? Il vero contratto lo si firma lì.

(da “Huffingtonpost”)

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A SALVINI NON BASTA LA D’URSO E TELEFONA A SORPRESA DA GILETTI

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

LO SCONCIO: VA IN DIRETTA IN DUE PROGRAMMI SU TRE DI INTRATTENIMENTO NELLO STESSO GIORNO, DI DOMENICA SERA E SENZA CONTRADDITTORIO

Dal salotto di Barbara d’Urso (in collegamento video) a quello di Massimo Giletti (al telefono). Chi era sintonizzato su Canale 5 poco prima delle 22 ha potuto assistere all’ennesimo comizio di Matteo Salvini “intervistato” dalla regina di Canale 5 su “Live, non è la d’Urso”.
Se durante la pubblicità  avete poi cambiato canale e siete finiti su La7, magari sarete incappati nell’intervento telefonico — sempre di Matteo Salvini — nello studio dell’amico Massimo a “Non è l’Arena”.
Sarà  perchè attratto dai due nomi di programmi negazioni di loro stessi (“Non è la D’Urso, Non è l’Arena”. I più maliziosi darebbero una definizione anche per Salvini iniziando con un “Non è…”), ma i due programmi se lo contendono spesso la domenica sera.
Il primo perchè della rete amica (di Silvio Berlusconi), che da tempo ha sposato la linea sovranista e populista, e quindi salviniana.
Il secondo perchè a condurre è Massimo Giletti, con cui li lega un’amicizia datata. Basta ricordare che quando il conduttore era in Rai (con il programma quasi omonimo “L’Arena”), e Matteo Salvini aveva percentuali di consenso bassissime, a lanciarlo e a invitarlo in studio a esibire felponi con tanto di nomi di città  era proprio Massimo Giletti. L’unico tra i programmi di intrattenimento giornalistico della domenica sera che non lo desidera come ospite è invece Fabio Fazio su Rai Tre con “Che tempo che fa”.
Insomma, ieri sera il senatore della Lega ed ex ministro dell’Interno è stato ospite di Barbara D’Urso. In collegamento ha parlato di elezioni, chiedendo che si possa tornare alle urne per la Pasqua (quest’anno cadrà  di domenica 4 aprile), dicendo no all’ipotesi di un governo guidato da Mario Draghi, perchè: “La stima per lui c’è, ma non per i parlamentari”.
Ha poi attaccato la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina per i famosi banchi a rotelle, e altre varie così. Quindi ha salutato Barbara e — sotto consiglio della Bestia — ha cambiato canale. In quello momento su La7 c’era il magistrato Luca Palamara, cacciato dall’Anm e radiato dal Csm, sotto indagine per corruzione.
Il magistrato era in studio da Giletti per promuovere il libro scritto a quattro mani con il direttore del Giornale Giovanni Sallusti, dal titolo “Il Sistema”.
E figurarsi se Giletti non ne avrebbe approfittato per mostrare le chat in cui Palamara scriveva “bisogna attaccare Salvini”. Proprio in quel momento chiama Salvini: lui si scusa pubblicamente con il leader della Lega, che lo assolve. Apparendo come l’uomo giusto pronto a perdonare. E voilà  che Matteo Salvini entra nelle casi di milioni di italiani senza un contraddittorio.

(da agenzie)

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CRISI DI GOVERNO, A DESTRA C’E’ UN FRONTE INVISIBILE CHE SPERA DI RESTARE OPPOSIZIONE

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

RENDE PIU’ STARE ALL’OPPOSIZIONE CHE GOVERNARE…I PROGETTI DI MELONI, ZAIA, TOTI E CARFAGNA

C’è un partito trasversale a destra che sta alla finestra ma tifa ancora “governo istituzionale”. In tanti sperano che fallisca l’esplorazione di Roberto Fico e che la vecchia maggioranza non diventi anche la nuova, per rientrare in partita e magari nella futura coalizione di “salvezza nazionale”.
Ma le speranze sono ormai ridotte al lumicino, a Montecitorio da oggi proveranno a scrivere addirittura il programma di governo. Nulla è scontato, tanto meno il successo.
Ma per il nucleo di “responsabili” in seno alla Lega, per esempio, quello che annovera tra gli altri Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia, Massimo Garavaglia, è tempo del silenzio nel dietro le quinte.
Lasciano il frontman Salvini a urlare, come ieri, per invocare elezioni (“Nuovo governo con la Pasqua di Resurrezione, il problema non è Draghi ma questo Parlamento”, raccontava dalla D’Urso). I tre senatori di Cambiamo di Giovanni Toti hanno sperato nel governo di tutti.
Come loro i tre senatori Udc che fanno capo a Lorenzo Cesa. Tutti in stand-by. Ma poi ci sono tanti altri che – anche se non lo ammetteranno mai pubblicamente – da domani se decollasse davvero un Conte ter o un nuovo esecutivo con la riedizione corretta della maggioranza tirerebbero comunque un sospiro di sollievo. Sono leader e amministratori di primissimo piano, insospettabili, si direbbe.
A cominciare da Giorgia Meloni. Stando ad alcuni studi commissionati da Fratelli d’Italia, la crescita di consensi del partito (oggi al 16-17 per cento secondo le stime più ottimistiche), per lo più a discapito delle Lega, porterebbe a un ipotetico sorpasso nel giro di un anno.
Comunque entro il 2022, come ricostruito ieri da Huffington Post. Tempistica perfetta per poter tornare alle urne un anno dopo, alla scadenza del ’23, appunto. A quel punto, con Fdi primo partito della coalizione, la presidente dei Conservatori europei concorrerebbe per diventare la prima premier donna del nostro Paese, in caso di vittoria del centrodestra.
È più o meno il ragionamento che può fare Luca Zaia nella Lega. Il governatore veneto ha tassi di consenso personale che nei mesi sono stati secondi solo a quelli del premier. Non solo nella sua regione viene considerato un amministratore concreto e capace, con gradimento trasversale e diffuso non solo nel centrodestra.
La lenta ma inesorabile perdita di consensi della leadership Salvini e l’ascesa del Doge potrebbero portare anche lì a un sorpasso interno (come avvenuto in Veneto a settembre), quando bisognerà  scegliere il candidato premier della Lega.
E ancora, Giovanni Toti e Mara Carfagna, il primo leader di Cambiamo, la seconda a capo della corrente “Voce libera” di Fi, stanno lavorando a un nuovo contenitore moderato nel centrodestra.
Possono vantare un numero variabile di una decina di senatori e una ventina di deputati. Entro un paio di mesi il lancio ufficiale. Partire dall’opposizione e con due anni buoni davanti prima delle elezioni non potrebbe che giovare al progetto.
Infine lui, Silvio Berlusconi.
Ha invocato fino a ieri, nell’intervista al Corriere, “un governo con le forze migliori”. Se si precipitasse nel gorgo del voto anticipato – come vogliono Salvini e Meloni – i 143 parlamentari di Fi si ridurrebbero a un drappello di pochissime decine.
Allora, se proprio non può nascere l’esercito della “salvezza” con tutti o quasi dentro, allora meglio restare all’opposizione, ma numerosi. E partecipare così ai giochi quirinalizi da qui a un anno.

(da “La Repubblica”)

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TRAVAGLIO DA LUCIA ANNUNZIATA: “RENZI E’ COME BIN LADEN”

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

UNA DIFFERENZA C’E’: BIN LADEN CI METTEVA LA FACCIA E AGIVA PER CONTRO PROPRIO

Marco Travaglio, ospite a Mezz’ora in più — il programma su Raitre di Lucia Annunziata — ha fatto una similitudine su Renzi come Bin Laden che, in poco tempo, è diventata virale su Twitter.
Si tratta di una delle ennesime battute provocatorie del direttore del Fatto Quotidiano, simile a tante altre che vengono puntualmente scritte nel proprio editoriale del lunedì (Ma mi faccia il piacere). Perchè, tuttavia, la sua frase è diventata virale su Twitter? Proviamo a fare l’analisi di questo fenomeno social di cui si sta parlando da qualche giorno.
La frase su Renzi pronunciata da Travaglio non sembra così centrale nel prosieguo della trasmissione e infatti passa abbastanza inosservata. Il direttore del Fatto Quotidiano dice: «Dire che Renzi è il più bravo perchè ha fatto cadere il governo è come dire che Bin Laden è più bravo perchè ha buttato giù le torri gemelle».
Lucia Annunziata cerca di tagliare corto e di riportare la discussione sul binario dell’analisi politica. Un passaggio — in verità  — di pochi secondi. Perchè, dunque, è diventato così virale?
Il tutto è partito dal deputato di Italia Viva Michele Anzaldi, sempre molto attivo su Twitter. Ha estrapolato un breve video della trasmissione — quello in cui Travaglio fa il paragone Renzi come Bin Laden — e ci aggiunge un ticker di grande richiamo, evidenziato in rosso (“Renzi come Osama Bin Laden”), aggiungendo l’occhiello “Su Raitre Travaglio paragona l’ex premier al terrorista”. In poco tempo, il video supera le 60mila visualizzazioni e il tweet ottiene migliaia di interazioni, tra like, retweet e risposte.
Si tratta del punto uno del fenomeno. Il resto viene fatto da altri esponenti politici di Italia Viva (altro tweet di forte impatto è quello di Anna Rita Leonardi), il che denota che la community legata al partito dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi mantiene un buon engagement su Twitter.
È un po’ l’effetto che si è creato in questi giorni in parlamento: tanti seggi alla Camera e al Senato, nonostante i sondaggi attestino Italia Viva tra il 2 e il 4%.
Nella bolla di Twitter, insomma, c’è tanto spazio per la condivisione di messaggi del partito di Renzi.
Con la parola “Bin Laden” vengono realizzati più di 7500 tweet (ovviamente, ci sono anche messaggi estranei a questo specifico fenomeno, ma tanto basta per far salire “Bin Laden” tra le tendenze).
Ma l’effetto amplificato non ci sarebbe stato se non si fosse innestato su una polemica che, sempre su Twitter, aveva tenuto banco nei giorni scorsi, a partire proprio dall’account Twitter di Michele Anzaldi, esponente anche della commissione di vigilanza Rai. Il deputato di Italia Viva, infatti, sta monitorando la presenza in televisione — ovviamente soprattutto nel servizio pubblico — di giornalisti del Fatto Quotidiano e nei giorni scorsi aveva persino ultimato l’iter di interrogazione in vigilanza grazie alla quale aveva scoperto che alcuni di questi (come, ad esempio, Andrea Scanzi) percepiscono un gettone di presenza per le loro partecipazioni ad alcuni programmi Rai.
Senza un background — come la teoria insegna — è difficile che una polemica diventi virale su Twitter. Ecco, dunque, che la frase di Travaglio può essere considerata — in questo modo — tra i temi dell’agenda politica del 1° febbraio 2021.

(da agenzia)

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IL CORRIERE DELLA SERA COSTRETTO A TORNARE SUI PROPRI PASSI PER LA SUA INTEVISTA A RENZI

Febbraio 1st, 2021 Riccardo Fucile

ORA CRITICA RENZI SULLA TESI DELL’ “ALLEANZA STRATEGICA” CON L’ARABIA SAUDITA

Nella giornata di ieri, Matteo Renzi ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera in cui parlava dell’Arabia Saudita come di un alleato strategico dell’Italia e come il vero e proprio baluardo contro il dilagare dell’estremismo islamico e del terrorismo ad esso connesso in Medio Oriente.
Questa mattina è proprio il Corriere su Renzi a tornare sui proprio passi, affidando un commento a Paolo Lepri all’interno del quale, sostanzialmente, si smentiscono le dichiarazioni che il leader di Italia Viva allo stesso giornale di via Solferino.
Nel suo editoriale di oggi, Lepri sottolinea che l’Arabia Saudita non può affatto essere considerata un alleato dell’Italia, che l’omicidio Kashoggi pesa su qualsiasi contatto diplomatico e che, proprio in questa ottica, la decisione del nostro governo di bloccare l’esportazione di armi verso il Paese si sposa con quella di altri alleati occidentali che hanno fatto lo stesso nelle settimane precedenti.
Insomma, si lascia parlare a braccio il leader di Italia Viva nel corso di una lunghissima intervista, mentre il giorno dopo lo stesso quotidiano è costretto a contestualizzare, quasi a “smentire” le posizioni espresse da Renzi all’interno di quella stessa intervista a cui ha lasciato così tanto spazio.
Quello che abbiamo registrato oggi, dunque, sembra essere un piccolo corto circuito del giornalismo nostrano: lasciare che gli intervistati parlino senza un opportuno contraddittorio fa correre il rischio del commento del giorno dopo.
Ma quanti avranno letto quest’ultima posizione di Lepri rispetto alla più ampia diffusione avuta dall’intervista di Renzi?

(da agenzie)

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