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DI BATTISTA GUIDA IL VAFFA A GRILLO

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

QUASI UN ATTIVISTA SU DUE NON SI E’ FIDATO DI GRILLO E DI MAIO. .. ORA SI TEME L’EFFETTO SLAVINA DOPO L’ADDIO DI DIBBA, RIUNIONI IN CORSO

Il governo di Mario Draghi ha da essere sostenuto, ma quasi un attivista su due non si è fidato di Beppe Grillo. Rousseau fa registrare percentuali striminzite rispetto a quelle bulgare alle quali le votazioni pentastellate avevano abituato: i sì vincono con il 59,3%, i no si fermano al 40,7%. Una vittoria netta, ma in brusco calo rispetto al 90% che diede il via libera al contratto di governo con la Lega e a quasi 80% che disse sì al Pd.
“È una vittoria di Alessandro”, commenta un 5 stelle di rango, fotografando perfettamente la situazione alle otto. Alle nove non risponde al telefono. Perchè quella situazione semplicemente non esiste più.
L’ex parlamentare si palesa su Facebook e consegna a un video di quattro minuti l’addio: “Accetto le decisioni ma non le digerisco. Non posso far altro che farmi da parte, d’ora in poi non parlerò più a nome del Movimento 5 stelle. Se un domani la mia strada dovrà  di nuovo incrociarsi con quella del lo vedremo”.
L’attacco al quartier generale è martellante. A Otto e mezzo, proprio mentre Di Battista certifica la spaccatura, ecco Marco Travaglio: “Il Movimento si è calato le braghe, non conterà  più nulla, Draghi ha intortato Grillo con un ministero supercazzola”.
Il fondatore vince; il suo totem, la sua aura di invincibilità  in un universo di cui è stato per anni motore immobile, vanno in mille pezzi.
Quella di Di Battista è stata l’unica posizione ostinata e contraria in una campagna nella quale tutto lo stato maggiore 5 stelle, dal garante in giù, ha spinto fortissimamente per rimanere in quella stanza dei bottoni nella quale si sono insediati quasi tre anni fa, eppure ha raccolto intorno a sè quasi un attivista su due.
Quella scissione che i vertici hanno provato a scongiurare in tutti i modi inizia fin da subito, e nel modo peggiore. “Iniziamo proprio bene”, commenta sconsolato un esponente del governo uscente.
“Senza Grillo non saremmo dove siamo, il merito è tutto suo” risponde all’obiezione un ministro. Ma l’ex comico sembra aver perso il tocco magico, quel carisma così potentemente attrattivo che è stato sufficiente per anni a indirizzare a destra o a sinistra i 5 stelle senza colpo ferire.
La terza giravolta in tre anni è stata sommersa da una valanga di critiche sotto i post, sul blog e su Facebook, di attivisti disorientati e infuriati. Per la scelta, per la gestione caotica del voto, prima annunciato poi rinviato e poi annunciato nuovamente, per il quesito di cui, per dirla con l’eufemismo usato dal senatore Mattia Crucioli, molti non hanno “riconosciuto la legittimità ”.
“E chissà  cosa sarebbe successo se avessimo messo anche l’astensione”, si chiede un parlamentare. Già , l’astensione. Proprio su questo si è consumato uno scontro, prima, durante e pure dopo il voto. L’opzione richiesta a gran voce dai contrari a Draghi come Barbara Lezzi raccontano fosse stata caldeggiata anche dallo stesso Davide Casaleggio. Opzione bocciata, soprattutto per le serissime chance di vittoria che avrebbe avuto.
Tra il figlio del fondatore e il capo politico il braccio di ferro è proseguito per tutto il giorno. A pochi minuti dall’inizio del voto, l’imprenditore spiegava: “Qualora vincesse il no sarà  necessario definire se la posizione del M5S sarà  di voto negativo alla fiducia o di astensione, come chiedono molti senatori”.
A Roma è montata la rabbia. “Se diamo questo orizzonte in tanti voteranno no”, il ragionamento dei vertici. Parte una girandola di telefonate di fuoco, al termine del quale ecco la smentita di Crimi: “La votazione di oggi sarà  l’unica sul governo”.
Poco prima delle 19 è lo stesso Casaleggio a diffondere i risultati: “Sono contento della volontà  degli iscritti di far partire il governo”. Il capo politico è costretto a inseguire, e diffonde il suo comunicato dopo un quarto d’ora. “Casaleggio ha chiamato Crimi pochi secondi prima di pubblicare il post” racconta una fonte vicina al dossier.
È uno scontro di potere che va avanti da mesi, e che si è riacutizzato negli ultimi giorni, quando da Milano hanno stabilito un timing per il voto online di cui molti fra i maggiorenti sono rimasti all’oscuro, uno scontro che ha come cuore il controllo del Movimento. Una spaccatura così netta tra Grillo, che fino all’ultimo ha provato a tenere tutto insieme, e Casaleggio non si era mai vista.
Il sospiro di sollievo collettivo dei vertici ha tuttavia alzato una brezza che ha lambito i Palazzi della politica romana, prima di venire strozzato dalla porta sbattuta da Di Battista. Per ore il timore che dalle urne virtuali uscisse una sorpresa è stato palpabile.
Riunioni su zoom, messaggi nelle chat, i pronostici si sprecavano, ma nessuno, forse per scaramazia, aveva pronosticato un successo del no. Vito Crimi ha messo subito le cose in chiaro: “Gli iscritti ci hanno dato un mandato chiaro, il Movimento sosterrà  Draghi”. Tutto il vertice M5s è uscito in batteria per celebrare il risultato, da Luigi Di Maio a Roberto Fico, passando per Davide Casaleggio.
Ora si teme l’effetto slavina. Nel pomeriggio erano arrivate dichiarazioni rassicuranti, come quella del pasdaran Elio Lannutti: “Mi adeguerò al risultato”. Crimi avverte i naviganti: “La democrazia nel Movimento passa da un voto degli iscritti e il voto degli iscritti è vincolante. Questo è un patto sottoscritto da tutti quelli che si sono candidati nel Movimento 5 stelle”.
I venti di scissioni non portano aria di catastrofe come sembrava poter essere qualche giorno fa, ma lo strappo di Di Battista fa pronosticare più di qualche addio.
Tra giovedì sera e venerdì gli anti Draghi si sono dati appuntamento su zoom per coordinarsi. Tra Camera e Senato gli indiziati sono Angrisani, Abate, Agostinelli, Cabras, Costanzo, Crucioli, Forciniti, Giuliodori, Granato, La Mura, Maniero, Mantero, Moronese, Raduzzi, Vallascas, Vanin e Volpi. Il deputato Andrea Colletti ha già  annunciato il suo no alla fiducia.
Si guarda agli altri big che si sono espressi per il no, da Barbara Lezzi a Danilo Toninelli, passando per l’influente Emanuela Corda. La loro posizione sarà  importante per frenare la slavina, Toninelli si smarca: “Rispettiamo il voto degli iscritti”.
Gli ‘irriducibili’ che nel Movimento 5 Stelle non intendono appoggiare il governo Draghi stanno pensando, riferisce una fonte parlamentare, ad un gruppo autonomo per posizionarsi all’opposizione. L’obiettivo, viene spiegato, è arrivare ad una nuova formazione. “Per ora ne stiamo parlando, poi vedremo”, spiega la stessa fonte. In serata il gruppo ‘no Draghi’ si incontrerà  in video conferenza e altre riunioni sono previste nelle prossime ore.
Cala il sipario sul definitivo V-day del Movimento 5 stelle. Da domani sarà  un’altra cosa.

(da “Huffingtonpost”)

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LA “STRANA” DIMENTICANZA DELLA MELONI CHE ESCLUDE LEGA E FORZA ITALIA DALL’AMMUCCHIATA DI GOVERNO

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

DEVE AVERE UN PROBLEMA DI MEMORIA

Giorgia Meloni ha un problema di memoria? La leader di Fratelli d’Italia ha pubblicato su Facebook una card per illustrare graficamente cosa ne pensa del governo Draghi.
La Meloni, che rimarrà  all’opposizione definisce l’esecutivo “un’ammucchiata”. E fa anche il disegnino che indica cosa, secondo la sua personale palla di vetro, succederà :
“Un girone infernale che porterà  prima alla crisi e poi all’Italia al collasso”.
I protagonisti dell’ammucchiata sono tutti indicati con il logo del partito che rappresentano: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Italia Viva. Nella card però ci sono due omini senza nome.
E guarda caso sono proprio due le forze politiche che Giorgia non nomina. Lega e Forza Italia. E, un’altra volta, guarda caso sono i suoi alleati di centrodestra.
Ieri la Signora dei Fratelli aveva reagito con una certa freddezza alle parole di Salvini che, dopo l’incontro con Berlusconi aveva spiegato che il centrodestra sosteneva Draghi: “trovo strano, se non frutto di un errore di interpretazione della stampa, che Salvini possa essersi espresso a nome di tutto il centrodestra nei rapporti con Draghi e il governo visto che Fratelli d’Italia ha detto che non voterà  la fiducia e farà  un’opposizione patriottica in Parlamento. Il centrodestra unito parlerà  con una sola voce al prossimo vertice quando dovremo decidere i candidati alle amministrative”, aveva spiegato ad AdnKronos.
Oggi invece ha deciso di essere diplomatica e di non infierire sui suoi sodali. Forse anche perchè, come scrive Repubblica, rimanere all’opposizione le farebbe subito incassare il Copasir?

(da “NextQuotidiano”)

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L’EX LEGHISTA STORICO PAGLIARINI: “LEGA DA SEMPRE EUROPEISTA, IL SOVRANISMO E’ UN’INVENZIONE DI SALVINI”

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

STOCCATA A SALVINI: “C’E’ CHI FA POLITICA PERCHE’ CI CREDE E CHI PER MESTIERE, IL CUI OBIETTIVO E’ NON PERDERE IL LAVORO”

Il Sì della Lega al governo Draghi sta facendo molto discutere perchè si porta dietro una svolta europeista di Salvini che ha avuto già  le sue prime conseguenze reali con il voto favorevole al regolamento sulla “Recovery and resilience facility”a Bruxelles.
TPI ha intervistato Giancarlo Pagliarini, storico leghista “della prima ora”, ex Ministro del bilancio e della programmazione economica
L’appoggio di Salvini a Draghi non equivale a rinnegare l’identità  della Lega?
“Bisogna sempre dividere quelli che fanno politica in due categorie: quelli che fanno qualcosa perchè ci credono e quelli che fanno politica per mestiere. Per questi secondi, che sono la grande maggioranza, l’obiettivo è non perdere il lavoro. Non bisogna chiedersi se Salvini crede o non crede nell’Europa, al momento gli conveniva così. Quindi è evidente che se non è pazzo e non vuole perdere il lavoro, non poteva far niente altro che questo. Quelli che fanno politica di mestiere non credono in niente, fanno solo di tutto per non perdere il loro lavoro”.
Senza questa svolta per Salvini sarebbe iniziato un tramonto?
“Avrebbe perso molti colpi. Facendo così invece ha guadagnato qualcosa. Per esempio se avesse fatto come la Meloni, con un’opposizione feroce, qui al nord le persone normali, gli imprenditori, non lo avrebbero più votato. Posso dire: bravo Salvini, è riuscito a difendere il suo posto di lavoro”.
Ma, ripeto, non le sembra strano questo improvviso europeismo?
“In realtà  Salvini torna alle radici. La vera Lega era per l’Europa dei popoli. Ai tempi della mia Lega era l’idea del federalismo. Poi Salvini si è inventato il sovranismo, per mera convenienza. Noi ci credevamo davvero, invece. Tu stai all’interno dell’Europa e non deve esistere la parola estero. Se un cittadino siciliano trova lavoro in Germania, non si dovrebbe dire che si è dovuto trasferire all’estero, ma che è stato assunto nel ‘cantone’ della Baviera, degli stessi Stati Uniti d’Europa. Io ci credo moltissimo in questo: eliminare i vecchi stati nazione, che hanno fatto solo le guerre. E’ un discorso serio”.
Ma come si fa a fare una campagna elettorale dicendo di uscire dall’euro e pochi anni dopo appoggiare l’ex presidente della Bce?
“Siamo sempre lì. Ha fatto i conti e ha visto cosa conviene dire. Ma sull’uscita dall’euro, voglio ricordare la battuta che facevo sempre in Tv: ‘Vogliamo tornare alla lira? Il governo deve allora fare una legge che garantisca la bara a ogni anziano, perchè non avranno più potere d’acquisti neanche per comprare la cassa….’. Ecco, era un’idea assurda. Preferisco il Salvini che torna sul pianeta terra”.
E’ auspicabile per la Lega e per Salvini fare un governo di larghissime intese, dove si troverà  con Pd, M5S, Leu e Forza Italia?
“Questo è il mio sogno. Però lo devo spiegare bene e vi devo parlare del modello Svizzera”.
Ovvero?
“La costituzione Svizzera non comincia con gli articoli, ma con cinque premesse. Nella terza c’è scritto ‘Noi siamo diversi, ma vogliamo lavorare assieme per trasferire ai nostri figli un Paese migliori’. Questo vuol dire che i cantoni sono diversissimi tra loro, che uno di destra è diversissimo da uno di sinistra, ma c’è un intento politico comune. Questa è la base del federalismo. La prova è che da circa 100 anni nel governo svizzero hai i 4/5 maggiori partiti che prendono più voti che sono diversissimi tra loro, ma che lavorano assieme”.
Nel caso della Svizzera il concetto chiave è compromesso. E’ questo che serve all’Italia?
“Sì. Prendiamo anche il concetto filosofico della tirannia della maggioranza. Non è che se governa una maggioranza del 60 per cento, il 40 per cento deve solo obbedire. Lavorano assieme e si trova il punto di incontro. Ecco, in Svizzera, Paese federale, c’è la cultura di trovare il punto d’incontro. Con la correzione, fantastica, della democrazia diretta con i referendum. Ne votano circa quattro l’anno e possono anche cambiare la costituzione. Spero che non durino solo per Draghi, ma diventino la prassi costante come in Svizzera”.

(da TPI)

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CENTRODESTRA (VEDOVO MELONI) A CACCIA DI POLTRONE: IN LIZZA GIORGETTI, BONGIORNO, TAJANI, BERNINI E GELMINI

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

CHANCE ANCHE PER TABACCI

“Non solo non abbiamo mai parlato di ministri e ministeri, non sappiamo neanche se alla fine saremo in maggioranza…”, allarga le braccia un big leghista. Un po’ di tattica, buona parte di realtà .
Nel buio completo, nelle sole mani di Mario Draghi e Sergio Mattarella come da esplicito richiamo all’articolo 92 della Costituzione, con il brivido aggiuntivo del “ci vediamo in Parlamento” che alle orecchie di molti è suonato come “prendere o lasciare”, i partiti si sono svegliati al mattino con un raggio di sole: l’auspicio di una short list di papabili ministri da sottoporre al vaglio di premier incaricato e Quirinale. Al massimo tre opzioni per due scelte, questa pare la piattaforma.
Sebbene nella nebbia fitta che circonda l’imminente “governo del presidente” qualcuno ventili scarni colloqui telefonici (o a margine delle consultazioni) di Draghi direttamente con i big dei partiti. E poichè, insieme al ministero per la Transizione Ecologica, l’altro punto fermo di questi anomali negoziati sembra la compresenza paritaria di uomini e donne, lo schema emerge. Sebbene tutt’altro che facile da portare a casa.
Fatto sta che a pomeriggio avanzato non si trovano conferme di contatti diretti o indiretti. Solo indiscrezioni. Nella Lega c’è chi giura che il filo sia con Giancarlo Giorgetti, e sia già  stato avviato. Così come dentro Forza Italia, un interlocutore sarebbe Antonio Tajani, che con l’ex presidente della Bce ha interagito in Europa
Dati per fuori i leader in quanto troppo ingombranti, i nomi leghisti dovrebbero essere proprio Giorgetti e Giulia Bongiorno, senatrice e avvocato penalista che difende Salvini nei processi nati dal suo operato al Viminale.
Con la subordinata del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari o dell’ex ministra degli Affari Regionali Erika Stefani. Collocati dove però? Le mani che comporranno il cubo di Rubik sono appunto fuori dal perimetro delle forze politiche.
Draghi ha lasciato intendere che i ministri di peso saranno gestiti da “tecnici” mentre i politici serviranno a stabilizzare l’esecutivo (ed evitare che finisca impiombato a metà  strada).
In più il Quirinale vorrebbe “blindare” Difesa, Esteri, Viminale e Salute. Se così fosse, senza cedimenti ai desiderata politici, il primo bivio per il centrodestra sarà  tra ministeri senza portafoglio o (assai meno appetibili) vice-ministeri di peso.
Giorgetti è un jolly: ministro dei Rapporti con il Parlamento, sottosegretario di Palazzo Chigi, titolare di qualche delega economica.
Dentro Forza Italia la terna è Tajani più le due capogruppo parlamentari Anna Maria Bernini e Mariastella Gelmini. Naturalmente, conterà  la collocazione sulla scacchiera, e la portata di ministeri di prima fascia.
Al momento si ipotizza il numero due del partito al dicastero degli Affari Europei, più un vice-ministero, magari alla Giustizia. Se al governo andasse Bernini, il suo posto al Senato potrebbe finire a Licia Ronzulli; se si optasse per Gelmini, in corsa a Montecitorio c’è Giorgio Mulè. Variante: se Tajani fosse considerato “leader facente funzione” e rimanesse fuori, ecco una squadra tutta al femminile. Nel toto-nomi anche l’ex ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna, considerata però troppo “distante” dalla linea del partito.
C’è poi la questione dei “piccoli”.
Silenziosamente, Bruno Tabacci potrebbe diventare ministro dei Rapporti con il Parlamento: raccordo cruciale che Draghi vorrebbe affidare a un uomo di fiducia ben consapevole delle dinamiche dei palazzi. Con una subordinata: il gruppo “centrista”, al momento in stand-by, resta una “risorsa dormiente” che potrebbe tornare utile in una seconda fase della navigazione, ove mai le acque della maggioranza allargata si increspassero.
Alla centrista Paola Binetti non dispiacerebbe una delega alla Famiglia o alle Pari Opportunità  (ma il suo profilo, molto cattolico, potrebbe scontentare le donne che ne chiedono uno più “femminista”). Nè il gruppo di Giovanni Toti, si dispiacerebbe di far parte della squadra. C’è poi il toto-viceministri e sottosegretari, ma rappresenta il secondo tempo della partita e ci sarà  qualche giorno in più per giocarlo.

(da “Huffingtonpost”)

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I POSSIBILI CANDIDATI AL MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

GIOVANNINI E BASTIOLI: GLI ALFIERI DELLA SOSTENIBILITA’ SOCIALE ED ECONOMICA… IL PRIMO E’ UN EX MINISTRO DEL LAVORO, LA SECONDA GUIDA UN’AZIENDA LEADER DELLE BIOPLASTICHE

Sostenibilità  è la nuova parola d’ordine del futuro governo Draghi. Al punto che verrà  istituto un apposito ministero della Transizione ecologica che dovrà  occuparsi delle ricadute delle scelte economiche sull’ambiente ma anche sulla società . E per dirigerlo si fanno i nomi di due personalità  di primo piano, di due “addetti ai lavori” che di sostenibilità  si occupano da anni.
Il primo, Enrico Giovanini, perchè l’ha teorizzata, insegnata all’Università  e se ne è occupato in decine di enti internazionali. La seconda Catia Bastioli, perchè l’ha messa in pratica nell’azienda che dirige — il gruppo Novamont – e che è all’avanguardia dei materiali bio-chimici
Sono i due nomi indicati come possibili ministro della Transizione ecologica, dicastero destinato — secondo le indiscrezioni — a diventare uno dei cardini per la gestione italiana dei fondi del Next Generation Ue e che saranno il cuore dell’attività  del governo in via di formazione.
Ma chi sono i due possibili candidati?
Enrico Giovannini viene dato come il favorito per la carica. Non fosse altro perchè Palazzo Chigi l’ha già  frequentato da ministro del Lavoro durante il governo presieduto da Enrico Letta. Una lunga carriera universitaria alla spalle, Giovannini è ora docente di Statistica a Tor Vergata a Roma. La statistica è il centro della sua attività , come ha dimostrato nel sei anni alla guida di Istat (dal 2009 al 2013), quando ha cambiato volto all’istituto, dandogli una nuova spinta e portandolo al centro del dibattito socio-politico.
Proprio a partire dai temi di una società  in cui si sono accentuate le differenze di reddito, in cui l’ascensore sociale ha smesso di funzionare e dove lo sviluppo delle attività  economiche se non guidate da criteri legati alla qualità  della vita finiscono per incrementare disagi e diseguaglianze.
Non per nulla, Giovannini è co-fondatore e portavoce dell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo Sviluppo sostenibile, una rete di 270 associazioni che ha come scopo la diffusione e il sostegno all’Agenda dello sviluppo sostenibile, 17 obiettivi interconnessi definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Di cosa si stratta? Secondo l’Agenda “fli obiettivi mirano ad affrontare un’ampia gamma di questioni relative allo sviluppo economico e sociale che includono fame e povertà , diritto alla salute e all’istruzione, l’accesso all’acqua e all’energia, il lavoro, la crescita economica inclusiva e sostenibile, il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente, i modelli di produzione e consumo, l’uguaglianza di genere”.
L’alternativa a Giovannini potrebbe essere Catia Bastioli: in comune hanno l’anno di nascita (il 1957), ma il profilo è completamente diverso. O meglio: anche Bastioli si è sempre occupata di sostenibilità  ma all’interno dei processi industriali. Chimica di formazione, ha fatto parte del centro studi Montedison per poi approdare a Novamont, azienda che ha trasformato e traghettato da centro di ricerca a industria di riferimento per tutto il settore delle bioplastiche e dei prodotti da fonte rinnovabile con un basso impatto ambientale. Il prodotto più noto è Mater-Bi, utilizzato per sacchetti destinati agli alimenti, ma con cui si producono anche posate, piatti, bicchieri, teli da usare in agricoltura. Tutti prodotti completamente biodegradabili.
Bastioli, qualche anno fa, era stata al centro delle polemiche sollevate dai Cinquestelle che avevano messe in relazione la sua nomina alla presideza del gruppo Terna da parte del governo Renzi con legge che ha imposto la tassa sui sacchetti di plastica per alimenti. Un modo — era l’accusa – per favorire i prodotti delle aziende di bioplastiche, tra cui appunto Novamont.
Polemica poi rientrata quando anche gli esponenti del movimento si sono resi conto delle attività , nel corso della sua carriera, di Bastioli e di come ha sempre guidato l’azienda, nota perchè ha sempre reinvestito in ricerca i suoi utili. Motivo che ne fa una candidata ideale per il ministero della Transizione ecologica.

(da La Repubblica)

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IL MINISTERO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA: I MODELLI ESISTONO IN EUROPA

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

DI COSA SI OCCUPA IN FRANCIA, SPAGNA E SVIZZERA

Lo aveva anticipato Beppe Grillo nel video in cui invitava gli attivisti del Movimento ad aspettare prima di votare sul governo Draghi e lo ha confermato lo stesso premier incaricato durante il colloquio con le delegazioni ambientaliste: se il governo si farà , avrà  un super-ministero per la Transizione Ecologica, forte anche dei 74 miliardi di euro previsti nel Next Generation Eu proprio per la rivoluzione verde e la transizione energetica.
Sarà  “super” perchè — come aveva anticipato Grillo e come hanno confermato i rappresentanti di Wwf, Greenpeace e Legambiente — dovrebbero essere accorpati il ministero dello Sviluppo economico e il ministero dell’Ambiente.
Non è ancora chiaro se a guidarlo sarà  un tecnico o un politico. Gli ambientalisti, come ha spiegato a Open il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, avrebbero semplicemente chiesto a Draghi di scegliere «una figura molto competente, perchè bisogna fare scelte giuste in poco tempo».
Per quanto riguarda le funzioni del ministero sono diversi i modelli a cui potrebbe ispirarsi l’Italia.
«Il modello francese funziona — continua Ciafani -. Mi viene da pensare anche all’approccio statunitense, dove la stessa amministrazione si occupa sia di politiche ambientali sia energetiche. Non dobbiamo inventare nient’altro, ma seguire quello che fanno altri paesi».
Lo stesso Grillo ha citato l’esempio francese, ma anche la Spagna e la Svizzera, piuttosto diversi fra loro.
Il modello francese
Affidato da Emmanuel Macron alla ministra Barbara Pompili, in Francia il ministero dell’Ecologia è stato ribattezzato ministero della Transizione ecologica nel 2020. Si tratta di un’evoluzione del ministero dell’Ambiente creato nel 1971 e che negli anni ha assunto una posizione sempre più di rilievo nell’esecutivo francese, come si evince dall’organigramma sul sito del governo francese.
Sono di competenza del ministero guidato da Pompili, ex esponente dei Verdi oggi membro del partito di Macron, l’attuazione delle politiche in materia di sviluppo sostenibile e protezione ambientale — che vanno dallo sviluppo di tecnologie verdi alla prevenzione dei rischi naturali — ma anche di quelle sui trasporti e dell’energia (dal 2017).
Come scrive Le Monde, il budget complessivo del Ministero dovrebbe ammontare a circa 48,6 miliardi di euro, di cui 16,2 per l’edilizia abitativa, più di 9 per il servizio pubblico energetico e le energie rinnovabili, quasi 8 miliardi per i trasporti e 2,5 per la tutela della biodiversità .
La via spagnola
In Spagna il premier socialista Pedro Sanchez ha affidato il ministero per la Transizione ecologica a Teresa Ribera Rodriguez, giurista e professoressa universitaria. Tra gli obiettivi che si era posta Ribera nel 2018 c’era quello di portare al Congresso la futura legge contro i cambiamenti climatici che la Camera bassa reclama dal 2011.
Un altro obiettivo era l’elaborazione di un piano energetico per i prossimi 10 anni e presentarlo a Bruxelles. Tra le competenze del ministero, oltre a quella di contrastare i cambiamenti climatici, c’è la prevenzione dell’inquinamento, la protezione del patrimonio naturale e la biodiversità , ma anche le politiche energetiche.
Inoltre Rodriguez è responsabile anche per l’attuazione di politiche per superare le sfide demografiche a cui va incontro la Spagna, come il divario tra le zone rurali e le città  dove vive il 90% della popolazione spagnola in spazi che corrispondono al 10% del territorio nazionale.
Così fa la Svizzera
L’approccio svizzero è più vicino a quello della Francia e il ministero per la Transizione si occupa di politica ambientale, gestione e sviluppo dei trasporti, gestione e vigilanza sulle fonti energetiche ma anche dei mezzi di comunicazione, in particolare della televisione. Noto ufficialmente come il Dipartimento federale dell’Ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (Datec), dal 2019 a guidarlo è la socialista Simonetta Sommaruga.
Come mostra l’organigramma sul sito del governo elvetico, è suddiviso in sette uffici federali: dei trasporti, dell’aviazione civile, dell’energia, delle strade, delle comunicazioni, dello sviluppo territoriale e infine dell’ambiente. Quest’ultimo è responsabile «dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, della protezione della popolazione dai pericoli naturali e della tutela dell’ambiente da carichi eccessivi».

(da agenzie)

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VACCINI, GALLI BOCCIA IL “MODELLO INGLESE” A CUI PENSA DRAGHI

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

“UNA SOLA DOSE PER TUTTI? FACILITA LE VARIANTI, PERICOLOSO CREARE VACCINATI A META’ SENZA RISPETTARE I TEMPO DELLA SECONDA DOSE”

Da una parte, l’ordinanza del Ministero della Salute che raccomanda la seconda somministrazione del vaccino di AstraZeneca dopo almeno 10 settimane dalla prima.
Dall’altra, l’indiscrezione trapelata durante le consultazioni, che vorrebbe Mario Draghi proiettato su un modello inglese per la campagna vaccinale contro il Coronavirus — quello, cioè, che punta a fornire a più persone possibili la prima dose, anche col rischio di dover rimandare il richiamo.
I ritardi delle case farmaceutiche e il rallentamento delle forniture europee aumentano il pericolo di allargare la forbice temporale tra una somministrazione e l’altra. E potrebbe non essere una buona idea.
Secondo il professor Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive al Sacco di Milano, si tratta di una prospettiva per nulla auspicabile. «Non posso che esprimermi in maniera non favorevole all’ipotesi di puntare principalmente sulla prima dose», sottolinea l’infettivologo. Anche nel caso del Regno Unito — in testa per numero di persone a cui è stata fatta almeno una dose — mancano evidenti prove scientifiche a sostegno del fatto che un approccio del genere aiuti a ridurre in maniera significativa la possibile risposta al Sars-Cov-2.
«Non ci sono studi che dimostrino cosa può succedere dopo una prima vaccinazione di massa», spiega Galli. «Quando e se gli inglesi ci manderanno dati sufficienti a dimostrare che esiste un numero importante di persone rimaste esenti dalla malattia nonostante abbiano ricevuto una sola somministrazione — aggiunge — allora potremmo considerarla efficace».
Il rischio di una nuova variante
Secondo il professore, aumentare la distanza tra le due dosi «per necessità  di distribuzione» potrebbe addirittura comportare dei «rischi».
«I vaccinati a metà  — dice Galli — potrebbero facilitare la comparsa di un’ulteriore variante». Come spiega il professor Galli, un soggetto non completamente immunizzato corre il pericolo di essere infettato con «una specifica frequenza» e di «esprimere nei confronti del virus una pressione selettiva che, se da una parte non è sufficiente a eliminare l’infezione, dall’altra potrebbe contribuire al sorgere di un’ulteriore mutazione del virus».

(da agenzie)

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FONDI LEGA, IL COMMERCIALISTA SCILLIERI CHIEDE DI PATTEGGIARE TRE ANNI E OTTO MESI CON 85.000 EURO DI RISARCIMENTO

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

NEL SUO STUDIO DOMICILIATA LA LISTA “PER SALVINI PREMIER”… DIVENTEREBBE TESTIMONE NEL PROCESSO CONTRO I COMMERCIALISTI MANZONI E DI RUBBA

Dopo il prestanome Luca Sostegni (patteggiato a 4 anni e 10 mesi) un mese fa, anche altri due protagonisti dell’affaire Lombardia Film Commission hanno chiesto di patteggiare. Per il commercialista Michele Scillieri, nel cui studio è stata domiciliata la lista “Per Salvini premier”, la richiesta fatta al gip è di tre anni e otto mesi con 85 mila euro di risarcimento. Per il cognato di Scillieri, Fabio Barbarossa, di due anni e due mesi con trentamila euro di risarcimento.
Ora le istanze saranno valutate dal giudice per le indagini preliminari. L’eventuale accoglimento delle richieste di pena, concordata con la procura   farebbe uscire i due soggetti – accusati di peculato ed evasione fiscale – dall’inchiesta, ma permetterebbe ai magistrati titolari dell’indagine (il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Stefano Civardi) di utilizzare le loro testimonianze – con l’obbligo di dire la verità  – nel processo contro gli altri tre indagati, i due revisori contabili della Lega Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni e l’imprenditore Francesco Barachetti. Per loro, tutti ancora ai domiciliari, la procura si appresta a chiedere il giudizio immediato.
Secondo l’accusa, Manzoni e Di Rubba, insieme a Scillieri, sarebbero gli architetti dell’operazione sull’immobile di Cormano, a nord di Milano, individuato come nuova sede della Lombardia Film Commission, di cui Di Rubba era presidente. L’immobile venne acquistato da una società  sull’orlo del fallimento, Paloschi srl, intestata a Sostegni ma gestita di fatto da Scillieri, senza effettuare alcun pagamento. Il denaro incassato dalla Regione Lombardia per l’acquisto – circa 800 mila euro – venne invece dirottato nelle tasche dei tre soggetti privati. “Una distrazione di denaro pubblico”, aveva scritto il gip Giulio Fanales disponendo i domiciliari per i tre, lo scorso settembre.
Secondo le indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza, gli 800 euro tornarono ai due revisori contabili leghisti anche attraverso pagamenti all’imprenditore Francesco Barachetti, per lavori mai realizzati. Barachetti, che da semplice idraulico è diventato in pochi anni un colosso dell’impiantistica, è considerato “personaggio legato a Di Rubba e Manzoni e più in generale al mondo della Lega”. E molte Sos (segnalazione di operazioni sospette) dell’Antiriciclaggio di Banca d’Italia, lo indicano come l’imprenditore a cui arrivano i fondi distratti dalla Lega e poi dirottati da lui a società  e altri soggetti vicini al Carroccio.

(da agenzie)

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ROUSSEAU, VINCE IL SI’ A DRAGHI MA IL 40,7% VOTA NO, NONOSTANTE LA GRANCASSA DI GRILLO, CONTE, DI MAIO E MEDIA

Febbraio 11th, 2021 Riccardo Fucile

DI BATTISTA LASCIA IL M5S: “LA MIA COSCIENZA POLITICA NON CE LA FA”… E’ IL PREZZO CHE SI PAGA QUANDO SI PREFERISCONO LE POLTRONE AI VALORI FONDANTI

Vince il sì a Mario Draghi. Il 59,3 per cento degli iscritti del M5s ha espresso la propria preferenza a favore della formazione del nuovo governo guidato dall’ex presidente della Bce sulla piattaforma Rousseau.
La votazione sul web, iniziata alle 10, si è conclusa alle 18 ma i risultati, come annunciato sul Blog delle Stelle, sono stati pubblicati dopo le 19.
Dei 74.537 grillini che hanno votato sul nuovo esecutivo, il 59,3% si è espresso favorevolmente, pari a 44.177 voti, i no sono stati 30.360 (pari al 40.7 per cento). n
Il segnale comunque è pesante: il 40,7% dei militanti rimasti (altri se ne sono già  andati da tempo) ha votano No nonostante gli appelli di Grillo, Conte, Di Maio e la stragrande maggioranza dei parlamentari che vogliono conservare lo stipendio per altri due anni. E’ una sconfessione della propria classe dirigente, l’ennesima, che ha portato il Movimento dal 34% al 15%, percentuale di cui è accreditato nei sondaggi.
Poco fa l’addio di Di Battista: “La mia coscienza politica non ce la fa più d’ora in poi non parlerò più come Movimento 5S”. “Ho grandissimo rispetto per la decisione degli iscritti – ha aggiunto – reputo gli attivisti e coloro che votano persone raziocinanti, persone perbene che non si lasciano influenzare. Il sì ha vinto col 60%, quindi zero polemiche. Allo stesso tempo però dico che le decisioni si devono rispettare quando si possono accettare. Anche in questo caso io le accetto ma non riesco a digerirle. La mia coscienza politica non ce la fa”.
Ora si prevedono altri addii di qualche parlamentare, ma il problema non è tanto questo ma il riverbero sui territori e sulle future elezioni amministrative.
Il rischio è un ulteriore calo di voti e la marginalizzazione dalla vita politica.

(da agenzie)

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