Destra di Popolo.net

MINZOLINI VA ALLA GUIDA DEL “GIORNALE”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

EX SENATORE E DIRETTORE DEL TG1, NEL 2015 LA CONDANNA DEFINITIVA PER PECULATO A DUE ANNI E SEI MESI PER L’USO IMPROPRIO DELLA CARTA DI CREDITO RAI PER SPESE PERSONALI

Augusto Minzolini è il nuovo direttore de il Giornale. La notizia – anticipata da Dagospia il 10 giugno – è stata ufficializzata lunedì.
Opinionista televisivo nei talk show di La7, già senatore di Forza Italia e direttore del Tg1 dal 2009 al 2011, Minzolini prende il posto di Alessandro Sallusti, passato a dirigere Libero dopo 12 anni.
Nato a Roma nel 1958, Minzolini è giornalista professionista dal 1980. Secondo l’enciclopedia Treccani si è “distinto per il suo giornalismo sensazionalistico, indagatore del retroscena politico (che è stato chiamato “minzolinismo”), attirandosi le critiche di molti (soprattutto di chi lo considera politicamente schierato a destra)”.
Nel giugno del 2009, durante il quarto governo Berlusconi, diventa direttore del tg della prima rete Rai, restando in carica fino al dicembre 2011, subito dopo l’investitura a premier di Mario Monti. Alle elezioni politiche del 2013 è eletto senatore con Il Popolo della Libertà.
Nel 2015 è stato condannato in via definitiva a due anni e sei mesi per peculato continuato per aver utilizzato in maniera impropria la carta di credito fornitagli dalla Rai durante la direzione del Tg1, sostenendo spese di vitto non giustificate per un importo di 65mila euro in un anno e mezzo.
Nel luglio del 2016, in base alla legge Severino, la Giunta per le immunità del Senato lo dichiarò decaduto dalla carica parlamentare perché condannato con sentenza passata in giudicato.
Il 17 marzo 2017 l’Aula votò invece contro la decadenza riconoscendo l’esistenza di fumus persecutionis, ma Minzolini si dimise il 28 marzo successivo.
(da agenzie)

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LA FEDERAZIONE DI CENTRODESTRA SI E’ FERMATA A EBOLI

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

AL SUD E’ RIVOLTA DEGLI ELETTI

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. In questo caso, lo Stretto di Messina.
Mentre il leader della Lega coccola il suo progetto di riorganizzazione del centrodestra, a partire dalla manifestazione di sabato 19 a Roma senza simboli di partito, in Sicilia le acque sono agitate.
“Se Salvini vuole la federazione, deve venire qui a trattare con me” si è sfogato con più di un interlocutore un infuriato Gianfranco Micciché, presidente dell’Ars e proconsole forzista sull’Isola. Dove l’anno prossimo si voterà per le regionali, ed eventuali trattative partiranno proprio da quelle liste. Un bel problema per l’avanzata del disegno salviniano nel frastagliato Sud.
La Sicilia, governata dall’ex europarlamentare di An Nello Musumeci, è il “laboratorio del centrodestra” nel Mezzogiorno.
La regione più forte (seguita dalla Calabria), dove si beneficia maggiormente della disfatta grillina. Soprattutto tra le file azzurre: nel 2017 Forza Italia è stato secondo partito, al 16,3% dopo l’M5S del candidato sconfitto Giancarlo Cancelleri al 26,6%.
L’Isola del 61 a zero ottenuto dalla CdL nel 2001 (grazie ad Alfano) è una “fortezza Bastiani” nelle zone in cui l’impero berlusconiano è in via di disfacimento: alle Regionali dell’anno scorso in Campania ha preso il 5,2%, mentre l’8,9% in Puglia, a sostegno di Fitto, non rispecchia i sondaggi attuali.
Ecco perché strappare il sì del ras liberal azzurro conta. Soprattutto se, come pare, anche l’ex presidente del Senato Schifani alla federazione crede poco. Micciché non è uomo facile: inviso a Tajani, altalenante nei rapporti con Musumeci, non lesinò epiteti – “traditore, prende tutti in giro” – al Salvini che governava con Di Maio.
Tuttavia, anche lui ha un soft spot: sogna il bis alla guida dell’Ars. E non può arrivarci da solo
Le spine non si fermano qui: il candidato del centrodestra in Calabria, dove si vota in autunno, è Roberto Occhiuto, un tempo vicino a Mara Carfagna. Cioè, la ministra che insieme a Maria Stella Gelmini si è messa di traverso alla prospettiva di federarsi – o peggio, fondersi – proponendo piuttosto il rilancio del partito berlusconiano e chiedendone – che audacia – il congresso.
Da capogruppo Occhiuto si è mosso bene, legandosi al “cerchio magico” di Arcore e rassicurando in più occasioni il Capitano, che ha dato luce verde alla corsa calabrese.
Ad adiuvandum, alla ministra del Sud è stato recapitato un messaggio, come scrive “Il Mattino”: se non deporrà le armi, il primo atto dei nuovi gruppi “federati” potrebbe essere la richiesta a Draghi di “esautorarla” in quanto non più rappresentativa di quelle forze politiche.
Mentre in Campania il pericolo non viene dalla salernitana Carfagna, del tutto concentrata sulle strategie nazionali.
Né dai vertici regionali – il coordinatore De Siano e il suo vice Fulvio Martusciello – allineati con la linea filo-leghista di Tajani e Ronzulli.
Bensì dalle perplessità dei “soldati” sul territorio. Nella regione che l’anno scorso ha trionfalmente riconfermato De Luca, Fi si aggira intorno al 5% (come la Lega), a Napoli non è arrivata al 3% con un solo consigliere comunale. Una débacle a cui l’ircorcervo chiamato “Forza Lega” o “Lega Italia” darebbe il colpo di grazia: “Qui Salvini non ha mai sfondato perché sconta un pregiudizio anti-meridionalista – spiega un deputato – Vero o presunto che sia, chi si candiderebbe nelle liste con i suoi? E soprattutto, chi le voterebbe?”.
Il timore è palpabile: federazione uguale esodo. Verso Giorgia Meloni. O peggio, come è accaduto in Puglia: dove l’ex mister 100mila preferenze Massimo Cassano ha fondato “Puglia Popolare” in campo per il secondo mandato di Emiliano.
Del resto, gli eletti campani della Lega sono Gianpiero Zinzi a Caserta, figlio dell’ex presidente Dc della provincia, e Severino Nappi a Napoli, ex Fi-Ncd-Fi. Se non traghetta ceto politico da altri lidi, il Carroccio non tocca palla.
L’operazione in vista del partito unico è partita. Berlusconi vuole lasciare un testamento politico, Salvini scrollarsi di dosso la pregiudiziale anti-sovranista.
Al Sud però è rivolta. E la federazione rischia di fermarsi a Eboli.
(da Huffingtonpost)

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IL VICESINDACO LEGHISTA DI SAVONA LASCIA IL PARTITO: “NON MI RITROVO PIU’ NEI VALORI, MEGLIO ANDARE VIA”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

E’ IL QUINTO ELETTO DEL CARROCCIO A TOGLIERE IL DISTURBO, GRUPPO DECIMATO… “STAVO NEL PARTITO QUANDO AVEVA IL 2%, NON CI SONO PIU’ IDEALI, PENSANO SOLO ALLE POLTRONE”

“Lascio in contrasto totale con la segreteria provinciale e cittadina. Le divergenze sono insanabili ed è giusto prenderne atto, se non ti ritrovi più nei valori meglio andare via”. Con queste parole il vicesindaco e assessore del comune di Savona Massimo Arecco ha deciso di lasciare la Lega.
Una decisione che era nell’aria dopo le sfuriate del febbraio scorso che gli avevano visto puntare il dito contro i vertici provinciali e savonesi su diverse decisioni che non l’avevano mai visto coinvolto
Iscritto dal 2008, Arecco fa parte di una schiera di esponenti politici del consiglio comunale che hanno deciso di abbandonare le file del Carroccio. Dal presidente del consiglio Renato Giusto passato a Fratelli d’Italia, passando per Emiliano Martino rientrato nel gruppo misto e i tre consiglieri Alda Dallaglio, Silvio Rossi e Giancarlo Bertolazzi (poi rientrato nei ranghi leghisti) che avevano creato il gruppo Savona Capoluogo.
“C’ero quando la Lega era al 2%, ma sono cambiati gli ideali, una volta non c’erano problemi di posti, di potere, eri nel partito perché avevi piacere di starci, ne difendevi i principi e le linee guida – continua Arecco – la Lega che prende decisioni è cambiata, il dna si è modificato. Me ne vado con una percentuale a due cifre, non scappo per qualche ruolo”.
“È stato tutto talmente faticoso, non sono stato supportato dal partito e sono stato visto dal primo giorno come un problema. Tutto ciò l’ho pagato sulla mia pelle, sono arrivato alla fine del percorso ed è stata una fatica immane. Però è stata una soddisfazione avendo contro tutti” ha proseguito il vicesindaco e assessore savonese.
“Nel partito c’è un malessere molto grande, piano piano i consiglieri sono rimasti pochini, non è stato gestito al meglio il gruppo, tanti vecchi iscritti sono perplessi, i nuovi entrati, in molti di loro, non ne riconosco i valori” precisa Arecco
“Cercavo di portare avanti le idee di città, invece per qualcuno ero uno da cancellare a tutti i costi” puntualizza Massimo Arecco anche in merito alle prossime elezioni comunali.
Per le amministrative infatti prende tempo sul suo futuro: “Sto andando per gradi, da qui ad ottobre sarà ancora lunga e progetti non ce ne sono. Al momento ognuno va per conto suo. Tolgo il problema”.
(da SavonaNews)

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PAGNONCELLI REPLICA ALLE ACCUSE DI SALVINI: “E’ LO STESSO METODO DI QUANDO DAVO LA LEGA AL 35% E SALVINI NON AVEVA NULLA DA DIRE, ORA FA LA VERGINE OFFESA”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

LA REAZIONE ISTERICA DI CHI SA DI AVERE I GIORNI CONTATI E SE LA PRENDE CON I SONDAGGISTI

Dall’ultimo sondaggio Ipsos il Pd è risultato essere il primo partito italiano, per indice di gradimento, sorpassando la Lega che addirittura sarebbe scesa in terza posizione.
A quanto pare Matteo Salvini non ha gradito il responso ufficiale ed ha attaccato, su Facebook, Nando Pagnoncelli, il sondaggista di Ipsos, amministratore delegato della società, che a sua volta ha risposto per le rime.
“Non si capisce perché diversi politici in privato esprimano apprezzamento nei confronti dell’istituto e del ricercatore per le analisi che aiutano a capire i motivi del calo di consenso, ma se viene pubblicato un sondaggio dello stesso istituto che fa registrare il calo di consenso reagiscono come vergini offese”.
Riferendosi all’ultimo sondaggio, con il Pd primo partito, e Fi e Fdi a ridosso Pagnocelli ha spiegato “che non bisogna essere Gallup per capire che tre partiti nello spazio di 0,7% non significa nulla, perché la differenza rientra nel margine di errore statistico”.
“Proprio per evitare le illazioni come quelle di Salvini – ha sottolineato Pagnoncelli, tornando sulla polemica di oggi – Ipsos dal 2004 realizza un barometro settimanale denominato ‘Polimetro’ che viene venduto in abbonamento a partiti, aziende, banche, associazioni di categoria, sindacati, ecc. quindi una sola stima, la nostra, uguale per tutti”.
Riferendosi a ‘Polimetro’ Pagnocelli, ha ricordato come si tratti dello “stesso strumento che nel 2019 dava la Lega al 35% e l’indice di popolarità di Salvini al 56”.
“Faccio questo mestiere da 36 anni e quando un sondaggio non piace mi affibbiano una casacca politica, in tutti questi anni avrei coperto tutto l’arco parlamentare, ma non mi faccio certamente intimidire dal leader pro tempore di turno”, ha replicato ancora il sondaggista.
Non è la prima volta che scoppiano scintille tra Salvini e Ipsos. Lo scorso settembre, casus belli fu il sondaggio sulle regionali in Campania, del 29 agosto, pubblicato dal Corsera, che la Lega aveva definito fazioso, con tanto di promessa di azione giudiziaria. In quel caso, Pagnoncelli aveva ‘quotato’ la Lega, nella regione amministrata da De Luca, al 3,3%, in forte arretramento rispetto alle europee. Per la cronaca la Lega si attestò, in Campania, al 5,5%.
(da Globalist)

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IL SONDAGGIO DI IPSOS CHE DA’ LA LEGA DIETRO PD E FDI NON PIACE ALLA ZECCA PADAGNA CHE ACCUSA PAGNONCELLI DI “LAVORARE PER IL PD”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

MA IL SONDAGGISTA CONTRATTACCA E LETTA REPLICA: “SALVINI E’ COME IL MALATO CHE ROMPE IL TERMOMETRO PERCHE’ GLI DICE CHE HA LA FEBBRE”

Un sondaggio di Ipsos che dà il Partito Democratico e Fratelli d’Italia sopra la Lega fa arrabbiare Matteo Salvini, che prima accusa Nando Pagnoncelli di «lavorare per il Pd», ricevendo la risposta piccata del sondaggista, e poi riceve anche una replica – l’ennesima – di Enrico Letta. Che lo accusa di infantilismo e, soprattutto, fa notare le difficoltà del partito del Capitano da quando è entrato nel governo Draghi.
Andiamo con ordine. Lunedì 14 giugno il Corriere della Sera pubblica i risultati di una rilevazione di Ipsos, di cui avevano parlato nei giorni scorsi anche la Repubblica e La Stampa, che vede i tre partiti maggiori racchiusi in una differenza di appena 0,7 punti percentuali.
Ma soprattutto, ed è questo che ha fatto arrabbiare il Capitano, nel sondaggio il Carroccio perde la prima piazza a vantaggio del Pd (20,8% contro 20,1%) e viene scavalcato anche da Fdi, a cui Ipsos attribuisce il 20,5%. La differenza è di pochi decimali, ma sancisce un trend che dura già da qualche tempo: il declino della popolarità di Matteo Salvini e il calo della Lega sono rilevati da tutti gli istituti.
Anche se quando la differenza è così piccola scatta il margine di errore statistico, il trend è abbastanza chiaro: da mesi il Carroccio perde voti (o, per meglio dire, intenzioni di voto) a vantaggio del partito di Giorgia Meloni, che lucra consensi per l’opposizione al governo Draghi (in crescita di popolarità) a cui la Lega ha deciso di partecipare.
Il Pd invece dopo un effetto-Letta che è durato poche settimane rimane sostanzialmente stabile (la percentuale di questa rilevazione è uguale a quella dello scorso aprile). Tuttavia il calo della Lega lo avvantaggia e gli consente di sorpassare il Carroccio pur rimanendo sostanzialmente fermo.
Salvini e Ipsos che «lavora per il Pd»
Sarà per questo che Salvini sbotta su Facebook: «Ipsos lavora per il PD e, miracolosamente, sforna l’unico sondaggio italiano che vede il PD primo partito davanti alla Lega. Mentre TUTTI gli altri vedono la Lega nettamente primo partito”
Poi ripete la stessa accusa a Un Giorno da Pecora su Radio Uno: «L’unico sondaggio in cui il Pd è primo è della casa di sondaggi che lavora col Pd. Non voglio trarre conclusioni, offro questo elemento agli ascoltatori. Ci sono 6 case di sondaggi e 5 danno la Lega primo partito. Una dà il Pd primo, e casualità vuole che sia del Pd.. Io non vivo di pane e sondaggi».
Ma l’accusa di parzialità non va giù a Pagnoncelli, che all’AdnKronos replica respingendo le accuse: «Non si capisce perché diversi politici in privato esprimano apprezzamento nei confronti dell’istituto e del ricercatore per le analisi che aiutano a capire i motivi del calo di consenso, ma se viene pubblicato un sondaggio dello stesso istituto che fa registrare il calo di consenso reagiscono come vergini offese».
Eppure, ricorda il sondaggista, «si tratta delle stesse metodologie che nel 2019 davano la Lega al 35% e la popolarità di Salvini al 56%».
La rissa tra Salvini e Letta
Non è la prima volta che Ipsos e il Carroccio litigano. Nell’agosto 2020 la Lega aveva addirittura promesso “azioni giudiziarie” per una rilevazione che la dava al 3,3% in Campania in attesa delle elezioni regionali. Dove alla fine raggiunse il 5,5%.
Ma Salvini deve anche difendersi dal sarcasmo di Letta. In un intervento a Radio Immagina il segretario del Pd prima fa notare che «stando al governo con Draghi noi cresciamo. Salvini invece cala pesantemente: questa è la notizia».
Segnalando che la strategia “di lotta e di governo” finora perseguita dal Capitano non sta dando i suoi frutti. E poi gli dà del bambino: «Se l’è presa con Ipsos, mi sembra di cattivo gusto. È come il malato che rompe termometro perché gli dice che ha la febbre. Da Salvini oggi un atteggiamento infantile».
(da agenzie)

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L’ISTITUTO DI RICERCA CATTANEO: “M5S DIVENTERA’ PARTITO, LE LORO UTOPIE SONO FALLITE”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

IL DIRETTORE CORBETTA: “CONTE ABOLIRA’ IL VINCOLO DEI DUE MANDATI, E’ INAPPLICABILE”

Nel lontano 2012 scrisse “Il partito di Grillo”, la prima ricerca politologica sull’allora movimento del comico che incassava i primi risultati degni di nota alle amministrative. Piergiorgio Corbetta, già professore di Metodologia della ricerca sociale all’Università di Bologna e direttore di ricerca dell’Istituto Carlo Cattaneo, a quasi dieci anni di distanza fa il punto sul nascente M5s a trazione Giuseppe Conte: “Sta trasformando il Movimento in un partito, ed è una strada inevitabile, ma tutte le loro grandi utopie fondative sono fallite”.
Professore, quando tutti parlavano di Movimento, di aggregazione dal basso, di una struttura innovativa, lei ha scritto un libro intitolato “Il partito di Grillo”. Cosa vedeva allora che noi non vedevamo
Allora si vedeva poco. La spinta che ci ha indotto ad approfondire la vicenda con una ricerca sul campo sono stati i primi successi alle amministrative. In ogni caso, qualsiasi ragionamento non può prescindere da due elementi fondamentali. Anzitutto il successo elettorale: hanno dato voce, al netto degli errori commessi, a un’istanza che era fortemente presente nella società. E poi il fatto che hanno costituito l’unica innovazione politica degli ultimi decenni
Dal suo osservatorio come è cambiato il partito di Grillo nel corso degli anni?
I punti di svolta sono stati due. Il primo gennaio 2016 Grillo disse al Corriere “faccio un passo di lato e torno a far ridere”, e viene tolto il suo nome dal simbolo. Ad aprile scomparve Casaleggio e M5s non esisterebbe senza i due co-fondatori. In quel momento è intervenuto nel movimento populista un cambiamento radicale. Il secondo, corollario del primo, è quando nel giugno 2018 nasce il Conte1. Passano dalla critica indifferenziata delle élite a partito di governo, diventano essi stessi un’élite, e perdono l’essenza stessa dei movimenti populisti
La mutazione gli ha giovato?
Direi piuttosto che tutti i punti di innovazione su cui sono nati sono falliti. Da partito antisistema a parte essenziale del sistema, da critica alle élite a élite essa stessa, dal vanto del Non-Statuto al pantano burocratico degli ultimi mesi, lo streaming usato solo per irridere gli avversari e poi archiviato. Senza contare Rousseau con il grande mito della democrazia diretta che ha avuto risultati molto modesti.
Ecco, come lei dice M5s è sempre stato il partito dell’uno vale uno, della democrazia diretta, della disintermediazione. Però nella sua storia ha subito sempre il fascino del leader assoluto, al quale chiedere la linea e al quale attribuire gli oneri. Prima Grillo, poi Di Maio, oggi Conte, tutti gli esperimenti di collegialità e direttori vari sono falliti. Qual è la ragione?
Non metterei insieme i tre. Grillo è stato il leader fondatore. L’uno vale uno e la rinuncia a forma partito generano il bisogno di una voce politica identificata nel leader carismatico. Poi Grillo ha dimostrato di non avere la vocazione alla politica, si è sempre tenuto lontano dalla sua quotidianità fastidiosa.
Il Movimento di Conte sarà invece un partito strutturato?
Lo sta trasformando in partito, ma è inevitabile. Un movimento senza una struttura organizzativa non può reggere a lungo. Devono passare da movimento a istituzione, chi non lo ha fatto si è sciolto nella nebbia. È un itinerario indispensabile e necessario, ma non si sa se riuscirà a percorrerlo, perché Conte, a differenza di Di Maio o Di Battista non è un leader, è più un mediatore, e anche per questo a Palazzo Chigi ha funzionato.
Per Conte il voto degli attivisti sarà solo una formalità, l’incoronazione è avvenuta per cooptazione di Grillo un pomeriggio all’hotel Forum. C’è un problema di democrazia interna nella vita del Movimento?
M5s ha sempre avuto problemi di democrazia interna. Il grande salto verso la democrazia diretta non è riuscito e sono impreparati sul piano della democrazia mediata. Era inevitabile che si procedesse in questo modo, con una decisione di un gruppo ristretto di capi. Poi magari Conte si sgancerà da quel modello di cooptazione, ma la grande utopia di Rousseau è fallita.
Conte non scioglie il nodo del limite dei due mandati. Non è un controsenso avviare una fase rifondativa senza sciogliere i dilemmi alla base delle incertezze e delle contraddizioni degli ultimi mesi
Non viene detto chi si vuole essere. Ma il fatto stesso che non lo si dica è una dichiarazione d’intenti. Non possono ancora dire che i due mandati sono inapplicabili. Il fatto stesso che Conte sia sfuggente significa che pensa di abolirlo. Sarà una strada dolorosa, uno dei punti più evidenti di contraddizione, ma alleanze e governo sono state assai più dirompenti rispetto alle loro parole d’ordine, supereranno anche questo trauma.
Grillo non vuole che venga tolto il limite per rinnovare la classe dirigente. Ma nel 2012 aveva fatto leva sul tema della casta, sulla “conquista” del Parlamento per aprirlo come una scatoletta di tonno. Su quali parole d’ordine si può aggregare una nuova generazione di 5 stelle? L’appeal rischia di essere molto minore.
Grillo ha ribadito regola dei due mandati, ma non è una linea che Conte può accettare. Non c’è alternativa a rivalorizzare vecchia classe dirigente. All’uno vale uno non ci crede più nessuno, anche loro si sono piegati alla giusta logica del metodo. Il problema sarà selezionare all’interno della classe politica le persone più valide.
Cosa si aspetta che diventi il Movimento del futuro
Cosa abbia in mente Conte non so. Ma ci sono due territori che la politica ha lasciato sguarniti, l’ambiente e i giovani. Mettendo al centro questi due argomenti possono caratterizzare una loro diversità, ma dal punto di vista interno devono diventare un partito come gli altri.
Nonostante Di Maio prima, la reggenza poi, il passaggio dall’opposizione al governo, nonostante Conte e la sua leadership, Grillo continua a condizionare la direzione di M5s. Prima traghettandolo al Pd, poi a Draghi, ora imponendosi sulle regole interne. A distanza di quasi 10 anni dal suo libro, il Movimento è ancora il partito di Grillo?
Non è più il partito di Grillo, perché Grillo stesso è diventato un’altra cosa, o è tornato a essere quel che ha voluto sempre essere. Tornerà a intervenire, quando vuole, gioca nelle retrovie, cerca di sanare i conflitti, se non è esploso il dissenso intorno a Di Battista sul governo Draghi è suo merito. Ma è ormai una presenza che vuole essere assenza. M5s si deve muovere sulle proprie gambe.
(da Huffingtonpost)

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VARIANTE DELTA, LO STUDIO SU LANCET

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

LA PROTEZIONE DI PFIZER SCENDE DAL 92% AL 79%, QUELLA DI ASTRAZENECA DAL 73% AL 60%

È uno studio su The Lancet pubblicato oggi carriva a questa conclusione.
L’analisi – condotta dall’Università di Edimburgo – ricorda in premessa che il rischio di ricovero in ospedale dopo essere rimasti contagiati con la variante Delta (indiana) di Sars Cov 2 è quasi doppio rispetto a quello della variante Alfa (inglese).
Ma un completo ciclo vaccinale fornisce comunque contro di essa una forte protezione, sebbene inferiore rispetto alla variante inglese. Lo studio – scrivono gli scienziati – non è in contrasto con quelli pubblicati e resi noti nei giorni scorsi.
Secondo i dati analizzati dai ricercatori la variante indiana è ormai la forma predominante di coronavirus nel Regno Unito e si ritiene che sia al 60% più trasmissibile di quella inglese.
Come le precedenti varianti del virus, anche nel caso di quella indiana le persone che corrono più rischi di ospedalizzazione sono quelle con patologie preesistenti. I vaccini, è stato rilevato dagli scienziato, riducono il rischio di ospedalizzazione, ma occorrono 28 giorni dopo la somministrazione della prima dose per riscontrare forti effetti di protezione contro la variante indiana.
In particolare, il vaccino Pfizer-Biontech fornisce contro questa variante una protezione del 79%, rispetto al 92% di protezione con la variante inglese. Per il vaccino Oxford-AstraZeneca, invece, è stata rilevata una protezione del 60% contro le infezioni dovute alla variante indiana, rispetto al 73% della variante inglese.
La ricerca riguarda il periodo dal 1 aprile al 6 giugno 2021 della popolazione scozzese. Questi i dettagli che hanno portato i ricercatori alla conclusione.
Entro il 1 aprile 2021, il 44,7% aveva ricevuto una dose del vaccino e il 7,6% aveva ricevuto due dosi. Tra le persone di età pari o superiore a 65 anni, le percentuali erano rispettivamente del 91,2% e del 15,9%.
Alla fine del periodo di studio cioè il 6 giugno 2021 le percentuali erano ovviamente cambiate: il 59,4% aveva ricevuto una dose e il 39,4% due dosi. In questo arco temporale le proporzioni corrispondenti erano rispettivamente del 91,7% e dell’88,8% per le persone di età pari o superiore a 65 anni.
Ebbene nel periodo analizzato ci sono state 19.543 infezioni: tra questi 377 persone sono state ricoverate in ospedale per Covid 19; 7.723 persone (pari al 39,5%) di questi casi e 134 pazienti (pari al 35,5%) ricoverati in ospedale erano positivi al gene S presente nel 99% dei casi di variante Delta.
Il 70% dei casi positivi al gene S presi in esame non aveva ricevuto alcuna dose di vaccino. Gli scienziati ricordano anche che la mutazione, che inizialmente era stata chiamata indiana, è stata individuata principalmente nella fascia più giovane della popolazione.
(da agenzie)

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L’INFETTIVOLOGO MENICHETTI: “CON LA VARIANTE INDIANA VACCINI IN SOFFERENZA”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

“LE SUE CAPACITA’ DI ELUDERE IL VACCINO SONO RILEVANTI”

Francesco Menichetti, primario di malattie infettive dell’ospedale di Pisa ha descritto la variante indiana del coronavirus Sars-CoV-2, come quella più resistente ai vaccini in quanto presenta una doppia mutazione.
“E’ conosciuta come la variante con la doppia mutazione: ha la mutazione della californiana e una della brasiliana-sudafricana, e quindi le sue capacità di elusione della risposta anticorpale indotta dal vaccino sono importanti”.
“Mentre noi sappiamo che il vaccino induce una risposta anticorpale adeguata nei confronti della variante inglese e discreta nei confronti di quella sudafricana, anche se non ottimale, nei confronti dell’indiana – ha sottolineato l’esperto – i vaccini a nostra disposizione soffrono di più”.
Nel Regno Unito cosa è successo?
“Il Paese – ha analizzato Menichetti – ha puntato su una politica vaccinale basata su una singola dose e nel nord si è diffuso un focolaio importante di variante indiana che ha indotto il premier Boris Johnson a rimandare di un mese il calendario delle riaperture e a completare il ciclo vaccinale con le seconde dosi”
Questo perché, ha spiegato il virologo, “c’è presunzione che il ciclo vaccinale completo sia più adeguato”
Ma anche con il ciclo completo di vaccino nel Regno Unito sono stati registrati 12 morti “e questo – ha avvertito Menichetti – deve essere di monito a chi ritiene che la battaglia è conclusa ed è stata vinta. La battaglia è in corso, la campagna vaccinale è in corso e, come ci insegnano le esperienze, dovrà avere dei correttivi. E non è possibile pensare di abbandonare le precauzioni, ovvero distanziamento, aerazione, lavaggio delle mani e mascherina – ammonisce – perché abbandonarle è suicida”.
In Italia “noi finora siamo favoriti dal punto di vista epidemiologico perché abbiamo avuto solo un piccolo focolaio alla palestra di Milano con un caso su 10 con la variante indiana. Io però – ha precisato Menichetti – rimango piuttosto perplesso, perché non so valutare se la nostra capacità di sorveglianza delle varianti sia così adeguata come quella britannica. Bisogna continuare a sorvegliare e tracciare. Non è solo il ritmo di 500-600mila vaccini al giorno che ci porta fuori dall’emergenza. Le variabili – ricorda il virologo – sono l’efficacia dei vaccini in funzione della circolazione delle varianti”.
Anche per i vaccinati, infatti, “potremmo avere qualche difficoltà.
Non a caso – ha ricordato – si sta studiando la famosa terza dose. E quando si dibatte sulla terza dose si sta proprio riflettendo su come adeguare il vaccino, soprattutto quello a Rna messaggero, in modo tale da fronteggiare le varianti difficili che meglio sfuggono all’immunità. Ma le varianti difficili – ha concluso Menichetti – se uno non fa monitoraggio, chi deve riuscire a identificarle”?.
(da Globalist)

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REGNO UNITO, JOHNSON: “VARIANTE DELTA CI PREOCCUPA, NON RISCHIO MIGLIAIA DI MORTI”

Giugno 14th, 2021 Riccardo Fucile

RESTRIZIONI ANTI-COVID PROLUNGATE AL 21 LUGLIO: I CONTAGI AUMENTANO DEL 64% A SETTIMANA

L’ipotesi circolava da settimane, adesso il primo ministro britannico, Boris Johnson, l’ha ufficializzata: le riaperture totali previste per il 21 giugno slitteranno al 19 luglio a causa del diffondersi della variante Delta.
Il premier ha spiegato che la decisione arriva anche con la speranza che in questo lasso di tempo si possa continuare a somministrare le seconde dosi di vaccino anti-Covid e limitare così al minimo i rischi di una nuova ondata nel Paese.
“Serve più tempo”, ha spiegato il premier britannico, perché il “Covid non si può semplicemente eliminare, bisogna conviverci”. Aggiungendo poi che il governo è preoccupato per la diffusione della variante, con i casi che crescono di circa il 64% a settimana.
Il primo ministro ha detto che “il governo ha dovuto affrontare una scelta difficile. Andare avanti con la fase quattro di riaperture il 21 giugno, con la possibilità molto concreta che il virus superi i vaccini causando migliaia di morti che altrimenti si sarebbero potute evitare”. Oppure “dare al Nhs (il sistema sanitario britannico, ndr) qualche settimana in più per somministrare i vaccini a chi ne ha bisogno”.
Da settimane esperti e scienziati chiedevano, motivandola con l’aumento dei contagi e dei ricoveri dati dall’incalzare della variante Delta, cioè quella indiana, una proroga delle restrizioni. La decisione, sottoscritta da esponenti di spicco del governo, implica tra le altre cose che i locali notturni resteranno chiusi e che la gente sarà incoraggiata a continuare il lavoro a distanza dove possibile.Nei giorni scorsi il ministro della Salute britannico Matt Hancock aveva dichiarato che la variante Delta era “del 40% più trasmissibile” rispetto a quella inglese, ma venerdì il dato è stato rivisto da Public Health England (Phe), che alza il tasso al 60%.
Lo stesso istituto conferma anche che il 90% dei nuovi casi in Inghilterra sia dovuto alla mutazione: nel Regno Unito finora sono stati diagnosticati 42.323 casi, con un aumento di 29.892 infezioni rispetto a una settimana fa, secondo dati del sistema sanitario inglese.
E da giovedì a venerdì le infezioni sono risalite a 8.125 rispetto ai 7.393 del giorno precedente, il livello più alto da febbraio, con 17 vittime.
Anche la British Medical Association aveva lanciato un appello a ritardare l’allentamento delle ultime restrizioni ancora in vigore a causa del “rapido incremento” dei casi. Una richiesta che oggi è stata definitivamente accolta da Downing Street
(da agenzie)

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