Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
I POTERI FORTI HANNO CAMBIATO CAVALLO: TUTTI LA CERCANO, TUTTI LA VOGLIONO IN TV… CON SALVINI BOLLITO HANNO DOVUTO COSTRUIRE, SDOGANARE E POMPARE UN NUOVO REFERENTE PER TUTELARE I PROPRI INTERESSI
Nell’era della politica fluida e dell’elettorato volubile, che illude i leader lasciandosi sedurre per abbandonarli al mancato incasso della prima cambiale, il momento è d’oro per Giorgia Meloni.
Dal lato politico, bastano due fotografie.
L’ultimo sondaggio Ipsos che ha certificato il sorpasso di FdI sulla Lega: 20,5% a 20,1%. Pochi decimali ma simbolici: frutto di lenta e costante erosione del salvinismo, dividendo dell’ossimoro di un’opposizione moderata e “responsabile” contrapposta al populismo di governo. E poi l’effetto calamita sui sui territori: proprio oggi il sindaco di Verona, città “nera” nel bianco veneto di Zaia, lascia il Carroccio per il partito meloniano.
Ma questa fase da Regina Mida, a cui tutto va inesorabilmente bene, non può prescindere dallo storytelling di “Io sono Giorgia”, titolo dell’autobiografia che svela alle masse il volto umano della grintosa militante di destra: la paura di annegare (che non ne ammorbidisce la posizione sugli sbarchi dei migranti), il rischio che sua madre scegliesse di abortirla, il “pozzo nero” del padre che non l’ha amata, la lotta adolescenziale contro il sovrappeso, l’ansia da prestazione che rende la politica una sfida continua.
Uscito l’11 maggio per Rizzoli, anticipato da una maxi-intervista di Aldo Cazzullo, il libro svetta al primo posto delle classifiche di saggistica da quattro settimane e si parla di 100mila copie vendute alla decima edizione, un record anche ora che le biografie politiche tirano.
E’ la ciliegina sulla torta di un’Operazione Empatia lanciata sui social e in tv in parallelo alle battaglie sui sostegni alle partite Iva, le riaperture dopo il covid, le terapie domiciliari, la redistribuzione dei migranti, la contrarietà alla liberazione di Brusca. Opinioni condivise con Salvini, che però sconta l’ambivalenza dell’essere di lotta e di governo.
E dunque la freccia per la corsia di sorpasso Meloni l’ha messa da tempo: ad aprile YouTrend ne ha monitorato l’ascesa settimanale: l’8 era al 17,2%, il 15 al 17,4%, il 21 al 17,9%; Swg a maggio l’ha misurata al 19,5%. Sale anche il gradimento personale, fino al recente 37% della leader FdI contro il 31% del Capitano.
Insomma “Giorgia” – donna, mamma, italiana, cristiana, come nel suo discorso remixato e diventato tormentone su YouTube – incontra il “sentiment social” degli italiani (di centrodestra).
Un articolo del “Corriere della Sera” ha approfondito queste dinamiche nei primi tre mesi del governo Draghi. Scoprendo che su Facebook Meloni ha conquistato 72mila followers contro i 34mila di Salvini (ma il secondo resta in testa con 4,3 milioni di seguaci contro l’1,8 di lei), quasi doppiandolo sull’engagement (l’interazione con la gente): 11%, con picchi del 24% rispetto al 6,6%, con picchi del 14%.
Meccanismo analogo per Instagram: Salvini ha 2,3 miloni di fans ma ne ha persi 4600, Meloni ne ha soli 940mila però ne ha guadagnati 33mila. A fronte del divario di forze profuse: nel triennio 2019-2021 Salvini avrebbe investito 351mila euro per sponsorizzare i suoi post (grazie ai 25-30 collaboratori della Bestia) contro i 46mila erogati dallo staff meloniano, 6 persone guidate dal 30enne Tommaso Longobardo.
Più frastagliato il discorso delle ospitate in tv, dove Meloni evita (per ragioni familiari) la mattina presto e dove lo share è appeso a mille variabili.
Ma si conferma il “tocco magico” dell’ex ministra della Gioventù. Molto bene su Mediaset, pubblico femminile del centro-sud: in trasmissioni come “Quarta Repubblica” di Porro o “Dritto e Rovescio” di Del Debbio vale mezzo punto di share in più.
Anche su La7, rete sulla carta meno “compatibile”, funziona: il 10 giugno a “L’aria che tira” di Myrta Merlino ha fatto un ottimo 4%, quanto con Enrico Letta ma con più spettatori (540mila lei, 400mila lui). Inoltre, garantisce un “effetto rimbalzo” delle dichiarazioni sui siti di notizie.
Si dice che a forza di nuotare controcorrente il salmone finisca sashimi, che a forza di navigare controvento la barca si capovolga.
Adesso “Giorgia” ha il sole in fronte, e gli alleati – vedi la candidatura di Michetti a Roma – non possono fare altro che pazientare.
Alla finestra per capire se è un’effimera rendita di opposizione, destinata a squagliarsi con questa premiership, o se l’arte diplomatica di Meloni, la sua abilità di evitare scivoloni, preludano all’evoluzione di un nuovo partito conservatore.
Impresa a cui lavora dietro le quinte Guido Crosetto, soprannominato “il Giorgetti di Giorgia” (ma con un’interlocutrice meno riottosa della versione originale) incontrando professori, imprenditori, futuri dirigenti.
Fu vera gloria? Non tanto alle, urne quanto alla successiva capacità di governare l’ardua sentenza.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
“HA CERTIFICATO COME AUTENTICI 119 LAVORI ATTRIBUITI ALL’ARTISTA DE DOMINICIS SENZA RISCONTRI FOTOGRAFICI PER 170.000 EURO”
Ha certificato come autentici alcuni lavori riconducibili all’artista Gino de Dominicis, ritenuti falsi dal nucleo di Tutela del patrimonio artistico dei carabinieri. Accuse per le quali la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per Vittorio Sgarbi.
Un eventuale processo su cui domani è chiamato a decidere il giudice per le udienze preliminari di piazzale Clodio e che arriva nel bel mezzo della campagna elettorale per il Campidoglio nella quale il critico d’arte compare ora come candidato all’assessorato alla Cultura per il ticket di centrodestra Michetti-Matone.
Si tratta dell’indagine che nel novembre del 2018 portò all’arresto di due persone, poste ai domiciliari.
Nel procedimento erano finite sul registro degli indagati venti persone tra cui anche il noto critico d’arte a cui i magistrati contestano, nel suo ruolo di presidente della Fondazione Archivio Gino De Dominicis di Roma, la violazione dell’articolo 178 lettera C del codice dei beni culturali e del paesaggio.
Nel novembre di due anni fa, su disposizione del gip, furono sequestrate oltre 250 opere considerate contraffatte per un valore di oltre 30 milioni di euro e venne individuato il locale adibito a laboratorio dove sono state trovate opere con tutto il materiale idoneo alla produzione di falsi.
I pm di Roma contestano al parlamentare di Centrodestra di aver autenticato almeno 32 quadri del defunto maestro marchigiano Gino De Dominicis, morto nel 1098 e protagonista della scena artistica pittorica del Secondo Dopoguerra: quadri però falsi e di cui, spiega l’accusa, Sgarbi ne era pienamente a conoscenza.
Una lunga inchiesta quella partorita dalla Procura di Roma che sospetta addirittura di una «associazione a delinquere che fabbrica finti quadri di De Dominicis, De Chirico, Carrà, Capogrossi, Fontana riproducendone la tecnica pittorica»: il critico d’arte ovviamente respinge ogni tipo di accusa e si appresta ad affrontare tra due giorni l’udienza preliminare, con il giudice chiamato a prosciogliere definitivamente Sgarbi o mandarlo a processo insieme agli altri imputati appartenenti alla Fondazione Gino De Dominicis (di cui Sgarbi era presidente e Marta Massaioli vice).
L’ipotesi di reato che l’associazione con a capo Massaioli smerciasse opere false e le facesse autenticare da firme prestigiose, proprio come Sgarbi, per un valore complessivo di 10 milioni di euro: «il compenso per Vittorio Sgarbi fu di 170mila euro», riporta “La Repubblica” da fonti di indagine a Roma.
Il candidato Assessore alla Cultura di Roma viene pedinato e intercettato per mesi finché finisce nei guai per un incontro avvenuto i il 25 giugno 2014 all’hotel Carlyle a Milano, videoregistrato dai carabinieri: qui, racconta “Rep”, Marta Massaioli scende da un un taxi portando un trolley grigio mentre Sgarbi l’aspetta nella hall. «Massaioli si siede in ginocchio davanti a lui, tira fuori dal trolley un faldone di certificati di autentica e li sottopone al critico.
Il quale, senza smettere di parlare al telefonino, appone la sua firma», riportano le indagini.
Il gip di Roma già nel 2018, disponendo l’arresto di due membri della Fondazione, scriveva «L’operazione di expertise è avvenuta senza una visione diretta delle opere, ma al massimo attraverso una riproduzione fotografica delle medesime, in maniera del tutto inusuale in una hall dell’albergo».
Insomma, autenticazioni “al buio” in cui poi la piena iscrizione veniva fatta in un secondo momento dopo la firma “in bianco” di Sgarbi e Massaioli: «I certificati venivano firmati in bianco e completati poi in relazione all’opera falsa da realizzare», scrivono ancora i pm. Accuse gravissime che fanno il paio con i quadri trovati dagli inquirenti nelle perquisizioni degli scorsi anni: 170 certificati, di cui 119 firmati da Sgarbi e 51 da Massaioli, «tutti privi di riscontro fotografico dell’opera autenticata».
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
COSA NON HA FUNZIONATO E COSA SUCCEDERA’
Alla prova si è presentato solo il 65% dei candidati (con picchi del 50% in Puglia e Lazio). Perché in così tanti hanno rinunciato? Le assunzioni adesso avverranno davvero entro luglio?
Il Concorso per il Sud – che prevede l’assunzione di 2.800 tecnici nel Mezzogiorno «entro luglio» – doveva segnare la svolta per la pubblica amministrazione.
E, invece, molti dei candidati non si sono nemmeno presentati alla prova. La partecipazione è stata piuttosto bassa: inferiore al 65 per cento, con picchi del 50 per cento nelle regioni Lazio e Puglia.
I convocati, in tutto, erano 8.582 ma di questi di fatto ha aderito soltanto una parte. Il risultato è stato che i posti messi a bando, adesso, rischiano davvero di rimanere scoperti.
Da qui l’idea del ministro Renato Brunetta di ampliare la platea dei partecipanti: saranno 70 mila in più le persone che, dal 22 giugno, potranno accedere alla prova (scritta, digitale, dalla durata di un’ora, che consiste in 40 domande e che si terrà in sei regioni, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna).
Ammessi al concorso tutti coloro che avevano presentato domanda di partecipazione e per le quali era già stata effettuata la valutazione dei titoli. In altre parole, gli esclusi sono stati di fatto “ripescati”.
Perché in pochi si sono presentati alla prova
Ma la domanda che in molti si stanno facendo in queste ore è: perché in molti hanno preferito non presentarsi nemmeno alla prova? Com’è possibile che non ci sia la volontà di lavorare nella pubblica amministrazione in un momento di grave crisi economica e di crisi dell’occupazione come quello che stiamo vivendo?
I motivi sarebbero molteplici, secondo chi si è rifiutato di partecipare al concorso.
Il primo: il contratto. Non si tratta di un tempo indeterminato, non è il classico “posto fisso” alla Checco Zalone. Tutt’altro.
Si tratta di contratti strettamente legati alla gestione dei fondi di coesione territoriale, quindi – considerando il momento – anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). La durata, poi, è di tre anni.
A questo si aggiunga che la preselezione è stata fatta – anziché coi classici quiz – con una valutazione per titoli ed esperienze. Modalità, quella della preselezione per titoli ed esperienze, molto contestata soprattutto dai più giovani che sostenevano di sentirsi penalizzati, non avendo esperienze e titoli a sufficienza per “concorrere” con gli altri candidati più anziani e più titolati.
Perché il concorso non “attrae”
I profili ricercati (si tratta di figure esperte che devono essere immediatamente operative, non c’è tempo per la formazione) erano cinque: esperto amministrativo-giuridico; esperto in gestione, rendicontazione e controllo; esperto tecnico; esperto in progettazione e animazione territoriale; analista informatico.
«La pubblica amministrazione in questi anni ha perso appeal. Rimane attraente per qualcuno solo quando si parla di posto fisso. Quando, invece, salta fuori il tempo determinato non viene più ritenuta conveniente», commentano alcune fonti del dipartimento della Funzione pubblica, contattate da Open.
C’è chi forse ha presentato domanda per «inerzia», chi «non ha studiato» e chi «preferisce rimanere dov’è senza volersi mettere in gioco».
Dal dipartimento della Funzione pubblica ci tengono a precisare che il flop delle prova scritta non è da attribuire alle nuove modalità di selezione, visto che i profili selezionati «c’erano eccome» ma il problema piuttosto è che «non si sono presentati».
«Nessuno è stato scoraggiato visto che chi non si è presentato si trovava in cima alla classifica», ci spiegano. Si esclude, invece, che a scoraggiare i candidati possa essere stato il reddito di cittadinanza.
I motivi sarebbero due: difficilmente, ad esempio, «un ingegnere percepisce il reddito di cittadinanza» e soprattutto, a parità di retribuzione, sarebbe stato certamente più conveniente lavorare nella pubblica amministrazione per 3 anni che percepire il sostegno economico erogato dallo Stato.
Cosa non funziona nel piano per il Sud
Fortemente critico è l’avvocato Francesco Leone, dello studio Leone-Fell, da sempre al fianco dei “concorsisti”, secondo cui il problema è che questo modo di selezionare personale nella pubblica amministrazione «non funziona affatto».
«Se alle preselettive vengono fatte passare solo persone altamente qualificate, con un curriculum importante, il risultato è ovviamente questo. Per quale motivo, io che ho un buon lavoro o comunque una buona situazione economica, devo presentarmi a un concorso che mi offre il contratto a tempo determinato per tre anni? Chi ha avuto accesso a questo concorso è gente più anziana, che già lavora e che di certo non si sta contendendo il lavoro della vita. Ecco perché non si sono presentati», dice a Open.
E non è finita qui.
L’avvocato Leone, inoltre, si domanda come mai molti di quelli che si sono presentati al concorso non hanno comunque superato la prova: «Come è possibile? Non dovevano essere il “meglio” dei candidati? Questo significa che la riforma Brunetta non funziona affatto. Non basta avere un buon curriculum o dei buoni titoli di studio per fare la differenza. Diamo la possibilità alla persone di mettersi in gioco, di accedere alle prove preselettive. Solo così si seleziona il merito».
Per il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, il concorso per titoli voluto dal ministro Brunetta «è stato un fallimento totale»: «Moltissimi non si sono presentati e molti altri non hanno raggiunto il punteggio minimo. Ma come, non era l’unico modo per selezionare le migliori menti del nostro Paese? È ora che il Ministro ci ascolti. I concorsi pubblici devono dare a chiunque la possibilità di dimostrare le proprie capacità e selezionare le migliori figure professionali per l’amministrazione pubblica. E per fare ciò è necessario essere, veramente, uguali alla partenza», ha scritto su Facebook.
Nessuno si aspettava questa bassa affluenza
Dal canto suo il dipartimento della Funzione pubblica «non si aspettava questa bassa partecipazione» anche se – ci fanno sapere – sapeva bene di avere davanti una sfida difficile. Si tratta, infatti, del primo concorso in modalità fast track che arriva «nel momento in cui il Paese non è ancora uscito dall’emergenza» e che all’improvviso apporta, nel bene o nel male, un «cambiamento notevole per tempi, modalità e protocolli di sicurezza».
«Erano tutti abituati ai quiz… Era davvero questo il sistema giusto per accedere alla pubblica amministrazione?», si chiedono al ministero. Nessuno, però – precisano – ha mai pensato che un concorso «possa esaurirsi nella valutazione dei titoli»: «Ci sarà sempre una prova, non si può pensare di toglierla. Prova che, anche in questo caso, ha rimesso tutti in gioco, anche i super titolati. Insomma, non basta un titolo per lavorare nella pubblica amministrazione», ci assicurano.
Assunzioni veloci o rallentate dal flop?
Si pone, poi, il problema dei tempi. Il ministero riuscirà ad assicurare le assunzioni veloci entro luglio? «I tempi rischiano di allungarsi, non sarà una passeggiata di salute», tuona l’avvocato Leone, sul piede di guerra.
E, in effetti, valutare altre 70 mila persone – contro le 8 mila iniziali – rischia di appesantire il concorso veloce. Al momento non è stata presa in considerazione la possibilità di riaprire i termini del concorso nonostante i tanti giovani che non hanno nemmeno inviato la domanda. Il motivo? Non avevano titoli ed esperienze a sufficienza, dicono. Scoraggiati alla partenza: il concorso prevedeva, infatti, l’assegnazione di un massimo di 10 punti di cui 4 per i titoli di studio e 6 per quelli professionali. I neolaureati, di conseguenza, avrebbe incassato un punteggio bassissimo ma comunque avrebbero potuto partecipare.
(da Open)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
TRA UNA PIZZA E UN CAFFE’
Una pizza margherita da “Michele”, storica pizzeria di Forcella in compagnia di Gaetano Manfredi e Luigi Di Maio, poi una passeggiata per le vie del quartiere Pignasecca.
Giuseppe Conte va a spasso per Napoli dopo aver presentato il candidato al Comune condiviso con il Partito democratico, Gaetano Manfredi.
Passeggiate programmate per segnare il “ritorno in mezzo alla gente” del leader in pectore del Movimento 5 stelle. Riparte dal capoluogo partenopeo l’ex premier, alla sua prima iniziativa pubblica nelle sue nuove vesti, lo definisce un cammino “più semplice, perché abbiamo la possibilità di tornare tra la gente”.
Riparte da Forcella e Pignasecca, che il quotidiano della città il Mattino descrive come zone che “hanno una media di percettori del reddito di cittadinanza da paura”.
Riparte dal granaio pentastellato, 157mila famiglie che ricevono il sussidio ideato dal Movimento a dar retta agli ultimi dati dell’Inps, 459mila persone coinvolte su una città che a dar retta ai numeri ufficiali conta 940mila abitanti, una spesa (102 milioni di euro) di un soffio inferiore a quella dell’intero Nord Italia (dove i milioni elargiti si fermano a 109).
“Per quella misura ci sarà sempre spazio, la povertà non è facile eliminarla”, dice Conte che per l’occasione ha dismesso cravatta e pochette pur non rinunciando alle immancabili giacca blu e camicia bianca, con buona pace di Di Maio che lo ascolta dalla prima fila, lui che la povertà l’aveva abolita.
Fioccano le domande sul reddito di cittadinanza, arriva la difesa d’ufficio: “Tanti professoroni ci hanno detto che è una misura assistenziale, ma io la rivendico, è una misura di giustizia sociale”. Non creerà poi così tanto lavoro, ma definirla “assistenzialismo” non è più un insulto, come gli esponenti M5s la prendevano fino a qualche tempo fa, non lo è più qui, non lo è più ora.
Conte si circonda della nomenklatura del partito. In prima fila accanto a Di Maio il presidente della Camera, Roberto Fico, entrambi per ragioni istituzionali e di opportunità giù dal palco, sostituiti da Valeria Ciarambino e Gilda Sportiello, consigliera regionale e deputata storicamente annoverate tra le truppe del ministro degli Esteri, la prima, e del presidente della Camera, la seconda.
È un Cencelli delle correnti che ci sono ma ufficialmente non esistono, la blindatura di una discesa in campo che ha l’elefante nella stalla della non decisione sulla regola dei due mandati, sulla quale Conte ha uno dei pochi scatti d’autorità: “Deciderò io il momento in cui parlarne”, taglia secco di fronte a chi gli pone la più ovvia delle domande, se nel suo Movimento quei due lì davanti non siano fondamentali.
Ad accoglierlo attivisti festanti ma anche un drappello di contestatori, che di fronte all’hotel Bellini dove è atteso per incoronare Manfredi inalberano lo uno striscione con su scritto “No alleanze”, ispirati dal capogruppo in comune Matteo Brambilla e dalla consigliera regionale Maria Muscarà, che sul nuovo corso con il Pd sono più che scettici.
“Il Movimento è unito, se ci sono altre opinioni sono opinioni personali”, dice il nuovo leader (come si auto definisce) salvo poi fare retromarcia: “Ammettiamo i dissenzienti, non siamo una forza politica bolscevica”, qualunque cosa avrebbero pensato i bolscevichi nell’essere definiti “forza politica”.
Conte incontra una delegazione della Whirpool, uno dei grandi boomerang dei suoi anni di governo, una mediazione con l’azienda sbandierata come cosa fatta prima che i vertici decidessero di abbandonare la città. Poi l’incontro con gli eletti campani, quindi la passeggiata alla Pignasecca, un caffé in piazza della Carità, un selfie per Manfredi con la maglia di Maradona, che sulla juventinità del candidato sindaco si gioca un pezzo della campagna elettorale e dunque di corsa a convertirsi, a spiegare che bianconero lo era sì da bambino, ma che oggi esulterebbe per il Napoli.
“Conosco il grande entusiasmo di Napoli e oggi è stata una bella sensazione trovarmici. La gente crede nella politica e non dobbiamo deluderla”, dice il premier passeggiando e prestandosi alle foto, che qui nel granaio dei 5 stelle e con l’unico candidato frutto di un’intesa con la sinistra si gioca il primo pezzo della sua credibilità di leader, e che si gioca la partita tenendosi in equilibrio tra le varie anime pentastellate e invocando il “patto per Napoli”, una pioggia di soldi da far arrivare in città attraverso “interventi legislativi ed emendamenti che presenteremo al più presto”, ma non si parli di assistenzialismo.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
STUCCHEVOLI LE CRITICHE DI CHI NON HA MAI DOVUTO INVIARE UN CURRICULUM
E’ spesso comodo se non del tutto retorico, pontificare sui giovani fannulloni che anziché darsi da fare per trovare un lavoro anche se mal pagato, preferiscono vivere di sussidi.
Diventa stucchevole e irritante quando quell’appello lo fa chi non ha mai dovuto mandare un curriculum in vita sua.
È il caso dell’ultima esternazione di Guido Barilla che esortava i giovani a trovarsi un lavoro anche mal retribuito. Lui figlio d’arte un posto di lavoro non ha mai dovuto pietirlo. Ce l’aveva lì pronto (e che impiego) nell’azienda di famiglia. Un ruolo da presidente del gigante alimentare italiano che comporta certo grandi responsabilità, ma anche grandi remunerazioni senza doverle costruirle da zero. Il posto da grande capo di Barilla gli era predestinato fin da ragazzo.
Ebbene Guido Barilla, quel posto l’ha di fatto ereditato, senza concorrere e senza competere. In più con un fior di stipendio.
Scorrendo il bilancio del colosso della pasta made in Italy si scopre che gli amministratori e i sindaci del gruppo, tra cui ovviamente il presidente Guido Barilla, hanno incassato solo nel 2020 la bellezza di 5,25 milioni di euro di remunerazione, come risulta dall’ultimo bilancio del gruppo.
E il bello è che sono tutti pressoché in famiglia. Gli amministratori di Barilla Holding sono infatti il presidente Guido e i fratelli Luca, Paolo ed Emanuela che nei fatti si spartiscono, esclusi i sindaci, quegli oltre 5 milioni di euro l’anno di stipendio fisso.
Tanti, pochi. Saranno anche commisurati al valore che Barilla produce ma è un fatto che da solo i vertici del gigante agro-alimentare italiano valgono poco meno dell’1% di tutto il costo del lavoro del gruppo a livello mondiale.
Gli oltre 8.500 dipendenti costano ogni anno all’azienda di Parma poco più di 550 milioni. Ogni dipendente contribuisce a creare fatturato dell’azienda per 459mila euro l’anno a fronte di un costo per l’azienda di soli 64mila euro.
Il costo del lavoro globale pesa infatti sui ricavi del gruppo, che a fine 2020 sono saliti a sfiorare i 3,9 miliardi di euro, appena per il 14%. Certo poi Barilla paga le materie prime, i costi di produzione, le spese di marketing e tutti gli altri costi operativi compreso gli stipendi.
Alla fine il colosso della pasta gode comunque di ottima salute. Il margine operativo – che è la differenza tra ricavi e tutti i costi – vale 372 milioni su 3,9 miliardi di fatturato. E spesate le poste finanziarie e le tasse ecco che Barilla l’anno scorso ha prodotto utili netti per la bellezza di 351 milioni, quasi il 10% del fatturato globale.
Difficile trovare un’industria alimentare nel mondo con una redditività netta così elevata. E per un’azienda familiare quegli utili finiranno in parte reinvestiti in parte in dividendi alla famiglia.
Basti pensare che a furia di fare utili anno su anno il patrimonio netto nel 2020 è arrivato a quota 1,4 miliardi. Su questo tesoro capitalizzato nel tempo siede quindi la famiglia Barilla. Lo stipendio fisso milionario annuale è quindi solo un piccolo di cui dell’immensa ricchezza creata dall’azienda di famiglia.
Di fatto una delle eccellenze imprenditoriali italiane. Utili copiosi, niente debiti e un patrimonio cumulato miliardario.
Guido Barilla dall’alto di cotanta ricchezza, in parte ereditata in parte costruita, andrà sicuramente fiero di tanta capacità imprenditoriale.
Si ricordi però di ringraziare non solo simbolicamente, come ha fatto lodando pubblicamente di recente i suoi dipendenti per la dedizione in era Covid, ma nei fatti. E grazie anche ai suoi 8.500 dipendenti, che creano valore aggiunto pari a 7 volte quanto guadagnano, se l’impresa Barilla è quel che è.
E lasci le prediche moralistiche a chi è più titolato di lui a farle. Si goda fino in fondo i suoi successi e quell’investitura ereditaria e lasci stare i cosiddetti fannulloni che quell’opportunità non l’avranno mai.
(da TPI)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
IL VIROLOGO: “NON MI STUPISCE”
Sono in totale dieci le persone contagiate all’interno della palestra Virgin di Città Studi, a Milano. Altre 140, invece, sono stati sottoposti a tampone e sono in attesa di esito. Il focolaio scoppiato nel centro di allenamento è seguito con grande attenzione dall’Ats di Milano.
A quanto risulta ad oggi, uno di loro è stato contagiato dalla cosiddetta variante “Delta”, quella indiana del virus, nonostante avesse già completato il ciclo vaccinale con prima e seconda dose.
Anche gli altri nove contagiati verranno posti sotto controllo per verificare il contagio da parte della stessa variante, considerata più trasmissibile di quella inglese. I risultati dovrebbero arrivare in settimana.
Secondo quanto riportato dal Corriere della sera, la palestra è ancora aperta: la struttura ha rispettato tutte le normative anti Covid vigenti.
Gli iscritti alla Virgin di Città Studi, però, hanno chiesto comunicazioni in merito ad eventuali contatti diretti con le persone trovate positive, sapendo che il rischio zero non esiste.
La variante “Delta” non è una novità in Lombardia. Come dichiarato da Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di Virologia molecolare del Policlinico San Matteo di Pavia, al Corriere, “da gennaio abbiamo intercettato 12 casi. Tra questi, 11 erano viaggiatori di rientro dall’India e uno era un contagio “autoctono””.
Nessuno di loro era vaccinato. Per mappare la diffusione della variante, l’Iss ha decretato che le Regioni analizzino un determinato numero di campioni casuali ricercando le varianti.
Stando all’ultima indagine, in Lombardia sono stati trovati sei casi da Covid indiano per un totale del 2,5 per cento circa. Tali numeri sono considerati “bassi” da Baldanti che sottolinea come “non stupisce l’infezione in un vaccinato. Al San Matteo su 4 mila immunizzati, 33 si sono re-infettati: tutti con variante inglese, tutti senza sintomi o con sintomi lievi”.
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
PIU’ TRASMISSIBILE E PIU’ RESISTENTE AI VACCINI
La variante Delta del coronavirus, precedentemente conosciuta come variante indiana, è già presente in oltre 70 Paesi e si sta diffondendo rapidamente in tutto il mondo. Focolai covid della variante Delta sono stati confermati oltre che in Asia, anche negli Stati Uniti, in Africa, in Europa e nei paesi del Pacifico.
Secondo gli scienziati, grazie al fatto che è più trasmissibile e in parte più resistente rispetto alle precedenti varianti, è destinata soppiantarle ovunque se la campagna vaccinale anti covid non proseguirà a ritmo serrato in tutto il mondo.
Una riprova sono il Regno Unito e gli Stati uniti dove costante una campagna vaccinale in stato avanzato i casi di nuova variante delta aumentano a ritmo costante.
I casi della variante Delta nel Regno Unito rappresentano ormai oltre il 90% dei nuovi casi e sono è in gran parte responsabili del nuovo picco di contagi che hanno spinto il premier Boris Johnson ritardare le riaperture di 4 settimane.
Negli Stati Uniti, secondo l’ex commissario della Food and Drug Administration Scott Gottlieb, i casi della variante Delta raddoppiano all’incirca ogni due settimane e rappresentano ormai il 10% di tutti i nuovi casi. Casi in aumento anche nel resto d’Europa compresa l’Italia, ma anche in Africa e Australia dove sono stati osservati casi a Melbourne nonostante rigidi controlli.
In Europa, in Portogallo a maggio i campioni analizzati per il sequenziamento si sono rivelati al 50 per cento varianti Delta. La Germania conta il 50% di sequenze Delta aggiuntive in meno di due settimane e il Belgio il 60% in più.
In Asia i casi in India sono diminuiti nelle ultime settimane dopo un boom di contagi ma l’Indonesia ad esempio ha dichiarato lunedì di aspettarsi una nuova ondata di infezioni da coronavirus poiché la variante Delta diventa più dominante in alcune aree
Il timore ora è che nei paesi poveri e in via di sviluppo con sistemi di monitoraggio meno robusti, la variante Delta possa già essersi diffusa molto più di quanto riportato. Questo perché si tratta degli stessi Paesi dove la campagna vaccini è molto indietro. Anche se la variante delta sembra causare sintomi più gravi, secondo le prove osservate in India, e sembra essere resistente alla prima dose dei vaccini, gli studi più recenti sembrano evidenziare una parziale resistenza alla seconda dose dei vaccini Pfizer e AstraZeneca.
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
SONO IL 17% DEGLI AVENTI DIRITTO
Spaventa l’effetto del cambio di marcia sui vaccini anti-Covid da parte del governo, avvallato dalle nuove disposizioni dell’Aifa, che ieri hanno dato il via libera al “mix” di dosi: gli under 60 a cui è già stato somministrato il siero di Oxford completeranno il ciclo d’immunizzazione con un vaccino a mRna (Pfizer o Moderna). E intanti AstraZeneca si inoculerà solo agli over 60.
Il rischio è che la comunicazione schizofrenica su AstraZeneca influisca sugli scettici, che secondo un rapporto di Agenas e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa sono circa 10 milioni, pari cioè al 17 per cento della popolazione.
Un dato rilevato già all’inizio della campagna vaccinale e confermato oggi dai medici Sergio Abrignani e Sergio Harari, che dalle colonne del Corriere della Sera lanciano la proposta: “Discutere della necessità di un obbligo vaccinale per tutta la popolazione adulta, almeno fino a quando non avremo vaccini disponibili anche per la fascia pediatrica”. “Non possiamo permetterci di lasciare 10 milioni di adulti senza vaccino“, affermano.
“Non è facile scrivere di vaccini nei giorni in cui piangiamo la scomparsa di una ragazza diciottenne deceduta a causa di un effetto collaterale del vaccino AstraZeneca. È bene però fare alcune considerazioni che avremmo voluto condividere lontano da momenti così tragici”, scrivono i medici.
“Accettare di avere una fetta significativa della popolazione adulta non vaccinata per rifiuto all’immunizzazione, che le stime valutano attorno al 17 per cento degli italiani ovvero circa 10 milioni, significa spalancare una porta al virus e offrirgli una nuova possibilità di continuare a replicarsi, infettare, uccidere, consentendo il mantenimento della circolazione virale”, continuano.
Per Harari e Abrignani ridurre le possibilità che il virus, che continua a circolare tramite varianti più resistente, attecchisca su di noi, significa “aumentare le probabilità di circoscrivere i focolai epidemici”, spiegano.
(da agenzie)
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Giugno 15th, 2021 Riccardo Fucile
AVREBBE FORSE POTUTO SCAPPARE MA HA CERCATO DI SALVARE IL PIU’ PICCOLO
Mentre il lavoro degli investigatori va avanti per chiarire tutti i contorni della terribile vicenda, nel pomeriggio all’istituto di medicina generale del policlinico Tor Vergata a Roma sono iniziate le autopsie sui corpi delle vittime della strage di Ardea. Gli esami autoptici in questa prima fase riguarderanno i fratellini Fusinato e il pensionato Salvatore Ranieri.
Poi l’ultimo saluto alle vittime nella Capitale. I funerali dovrebbero esserci tra giovedì e venerdì, quello dei bimbi ad Ostia.
Intanto le indagini dei carabinieri vanno avanti per chiarire ogni aspetto.
Dalla ricostruzione degli investigatori, domenica mattina Pignani è uscito di casa intorno alle 11 con felpa, zainetto e guanti e avrebbe percorso con la pistola in pugno alcune strade del comprensorio Colle Romito.
Ci sarebbe un testimone che lo ha visto arrivare e per mettersi in salvo, si sarebbe chiuso in casa. Pignani ha puntato la pistola contro le prime persone che ha incontrato. I primi sono stati i fratellini Fusinato a cui avrebbe sparato un colpo ognuno.
E a tal proposito emergono particolari raccolti dalle testimonianze. Il più grande dei due bimbi Daniel, 10 anni, promessa del calcio giovanile, invece di scappare dopo il colpo esploso contro il fratellino sarebbe tornato indietro proprio per difendere David. E a quel punto sarebbe stato colpito dal killer.
Poi è passato in bicicletta il pensionato contro il quale ha sparato due volte. A quel punto è tornato a piedi a casa dove, dopo aver fatto uscire la madre, si è barricato. Appena i carabinieri hanno avuto la certezza che l’aggressore si trovasse nell’abitazione hanno attivato le procedure previste e creato una doppia cinturazione attorno alla villetta.
Contestualmente è stato informato il Gis. Al lavoro anche i negoziatori del Comando provinciale di Roma che hanno acquisito informazioni dalla madre di Pignani per tentare una mediazione con lui che, di fatto non c’è stata.
Quando il «contatto» ha dato esito negativo è scattata l’irruzione in casa e l’uomo è stato trovato morto in camera da letto. Dopo aver compiuto la strage l’ingegnere ha deciso di farla finita puntandosi la stessa arma alla testa.
(da agenzie)
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