Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile BENE, SONO 72 SE LA MELONI NON LO SAPESSE, COMINCIAMO DALL’EGITTO E DALLA LIBIA DOVE NON HAI MOSSO UN DITO PER DENUNCIARE IL REGIME DI AL SISI CHE HA TORTURATO E UCCISO UN ITALIANO E DAL PAESE IN CUI LE DONNE VENGONO STUPRATE NEI LAGER LIBICI DOVE VUOI RIMANDARLE RESPINGENDO I BARCONI
“Ipocrisia e contraddizioni nella lotta alle discriminazioni di genere». Giorgia
Meloni punta il dito contro il governo Draghi e preannuncia che presenterà in Parlamento un atto per «chiedere di fermare gli accordi commerciali con tutti quei Paesi che considerano l’omosessualità un reato».
«Vogliamo vedere che cosa succederà con la storia dei mondiali del Qatar? Vediamo come voteranno i vari partiti che ci fanno sempre la morale», sono le parole della leader di FdI.
«Il tema della legge Lgbtq+ viene usato verso Ungheria e Polonia come clava, ma il problema è altro», osserva ancora Meloni, ospite del Caffè della domenica di Maria Latella su Radio24.
Infatti è un altro, con la differenza che Ungheria e Polonia fanno parte della Ue e risanano le loro economie succhiando contributi all’Europa senza condividerne i valori.
Come quei parlamentari sovranisti che prendono 15.000 euro al mese al Parlamento europeo e poi sostengono interessi anti-europei.
Nel merito comunque siamo d’accordo con la proposta della Meloni: rinunciamo ai mondiali nel Qatar e blocchiamo gli affari con l’Arabia Saudita, gli unici due Paesi che la Meloni pare di conoscere.
Peccato che siano in totale 72 ( a fondo articolo l’elenco in modo che la Meloni possa studiarlo).
Iniziamo con altri due Paesi da aggiungere ai due indicati dalla Meloni: Egitto e Libia, dove l’omosessualità è un reato.
Chiudere rapporti con il Paese che ha assassinato un giovane italiano nel silenzio dei sovranisti che non hanno mai chiesto la fine dei rapporti commerciali con l’Egitto e condannato le violenze del regime di Al Sisi.
Chiudere rapporti con il regime libico e relativi finanziamenti alla banda criminale della Guardia Costiera libica, quella che fa esultare i sovranisti quando riporta nei lager libici i disperati sui barconi, in modo che le donne possano essere nuovamente stuprate.
Ovviamente fuori Ungheria e Polonia dall’Europa, sempre in base alla tua proposta.
Così vediamo se la tua è stata una proposta seria o solo l’ipocrisia di un politico in cerca di uscire dal ghetto sovranista.
Di seguito, l’elenco dei 72 Paesi in cui essere omosessuali è considerato un crimine.
Afganistan Algeria Antigua e Barbuda Bangladesh Barbados Bhutan Brunei Burundi Cameroon Chad Comoros Isole Cook Dominica Egitto Eritrea Eswatini Etiopia Ghana Grenada Guinea Guyana Indonesia (alcune isole a maggioranza islamica) Iran Iraq Jamaica Kenya Kiribati Kuwait Libano Liberia Libia Malawi Malesia Maldive Mauritania Mauritius Marocco Myanmar Namibia Nigeria Oman Pakistan Palestina Papua Nuova Guinea Qatar Saint Kitts e Nevis Saint Lucia Saint Vincent and the Grenadines Samoa Saudi Arabia Senegal Sierra Leone Singapor Isole Solomon Somalia Sudan del Sud Sri Lanka Sudan Siria Tanzania Gambia Togo Tonga Tunisia Turkmenistan Tuvalu Uganda Emirati Arabi Uzbekistan Yemen Zambia Zimbawe
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile CONTE NON SEMBRA IL TIPO CHE VOGLIA COMPLICARSI LA VITA
C’è chi la fa semplice sulla pelle di Conte. “Se ti metti in proprio”, gli sussurrano i presunti amici, “come minimo prenderai il 10, anzi il 15, forse addirittura il 20 per cento rastrellando voti di qua e di là, centrodestra compreso”.
Morale: che cosa aspetta l’Avvocato del popolo? Perché indugia nelle mediazioni con Grillo anziché mandarcelo direttamente?
Tutte domande di chi non sa cosa voglia dire creare un partito, e nemmeno immagina in quali grane Giuseppe si andrebbe a ficcare. Lui invece se ne rende conto; e a sentire chi gli sta intorno, lanciare una ditta politica non è prospettiva che lo faccia impazzire. Mille volte, potendo, preferirebbe sedersi a un tavolo già apparecchiato. Mettiamoci nei suoi panni per capire perché, iniziando dagli aspetti nobili.
A un nuovo partito occorre anzitutto un programma, accompagnato da qualche ricetta che susciti l’interesse. Quale sarebbero programma e menù di Conte, finora a nessuno è dato sapere. Non per colpa sua, sia chiaro: da premier l’uomo aveva dovuto barcamenarsi, prima tra Cinquestelle e Lega in seguito tra Cinquestelle e Pd. Di suo poteva aggiungere poco, al massimo tenersi a galla. Dopodiché, poveretto, Conte si è immerso nelle beghe grilline.
Invece di mettere al lavoro una squadra, un “brain trust” o un “think tank” per confezionargli un manifesto politico pieno di belle pensate, ha preferito fare tutto da solo; cioè nulla.
Al massimo si è appuntato qualche suggestione senza però svilupparla. Così non si capisce adesso cosa direbbe il suo nuovo partito (a parte sostenere lui s’intende) sull’Europa, sui diritti, sulla giustizia, sulle tasse, sull’immigrazione.
Vuoto propositivo che gli altri leader perlomeno provano a colmare twittando, rilasciando raffiche di interviste, litigando nei talk-show, spesso più rapidi del pensiero, comunque sbattendosi 24 ore su 24 laddove Conte finora non si è visto né sentito. E qui sorge un ulteriore problema.
Per mettere su un partito occorre sgobbare. Ascoltare la gente. Approfondire i problemi. Dirimere liti. Tirar fuori gli artigli. Scovare i candidati, lusingarli, mandarli al massacro. Tenere comizi, presenziare convegni, scapicollarsi su e giù per lo Stivale in una campagna elettorale perenne senza voli di Stato. Dare spettacolo gratis come Grillo; fare il fenomeno come Salvini; inghiottire salsicce alle sagre del maiale.
E poi stringere mani sudate, baciare vecchiette, fare selfie con perfetti sconosciuti magari un po’ mafiosi, sottoporsi a degradanti bagni di folla, rischiare il matto che ti molla un ceffone o ti rompe una statuetta in testa (come al Cav nel 2009).
Dedicare giornate intere a riunioni politiche verbose, dove l’ultimo arrivato dice la sua e il Capo deve prestare attenzione.
Fondare un partito significa scegliersi consiglieri in gamba, non quelli che suggerivano di “spianare Renzi”, di arruolare i “responsabili” o di puntare dritto alle elezioni anticipate: se partisse da zero, Conte dovrebbe cacciarli a pedate e ingaggiarne di nuovi, sapendo che quelli bravi non lavorano gratis.
Già, perché un partito costa. Non spiccioli: fiumi di soldi. Per affitti e bollette. Per sfornare la propaganda, compresa quella via web (chiedere al Capitano quanto costa la Bestia). Per organizzare comizi, prenotare teatri, allestire gazebo.
Come può mantenersi un leader che, tra l’altro, non è nemmeno onorevole? Chi gli ripaga aerei, trasferte, cene, hotel? Nel 2015 Silvio scucì quasi 100 milioni per ripianare i debiti di Forza Italia, che però nel frattempo è andata in rosso per altri 90. Se facesse il partito, Conte avrebbe due strade: trovarsi un gruppo di sponsor rispettabili, generosi, disinteressati, disposti a finanziarlo senza nulla in cambio, nemmeno una spintarella, un aiutino legislativo piccino così (chiedere a Renzi se ne consiglia qualcuno).
Oppure torchiare i parlamentari fedeli, a costo di perderne un po’, e andare alla cerca francescana come i Radicali di Marco Pannella, che spremevano continuamente soldi agli iscritti ricattandoli moralmente (perfino con gli scioperi della fame).
Ricapitolando: per liberarsi del “padre padrone”, a Conte occorrerebbe un partito. Ma per farne uno nuovo servirebbero idee, soldi, radicamento sul territorio.
Soprattutto una gran voglia di mettersi in gioco e, all’occorrenza, complicarsi la vita. La scommessa di Grillo è che il suo rivale alla fine calerà le piume. Perché lo considera troppo fighetto, educato, griffato, perbenino.
Con tanta ambizione di comandare e poca di farsi un mazzo così.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile STANZIATI PURE 500.000 EURO IN PIU’ NEL 2021, IL TOTALE IN 4 ANNI E’ ARRIVATO A 32,6 MILIONI REGALATI A UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Il Mediterraneo continua ad essere il “Mar della morte”. Oggi si registra
l’ennesima strage di innocenti al largo delle coste della Tunisia. Oltre 43 le vittime. Nessuno ha soccorso quel barcone partito da uno dei porti libici controllati dai trafficanti di esseri umani in combutta con funzionari dell’amministrazione libica e con quella organizzazione a delinquere denominata Guardia costiera libica.
Finanziamenti che continuano a crescere da parte dell’Italia. Una vergogna.
Di più: è la complicità nei crimini commessi da coloro a cui l’Italia ha affidato l’esternalizzazione della frontiera Sud.
Continuano ad aumentare gli stanziamenti italiani alla Guardia costiera libica. Il Governo ha infatti deciso di destinare 500 mila euro in più nel 2021 per sostenerne le attività, per un totale di 32,6 milioni di euro spesi dal 2017, anno dell’accordo Italia-Libia.
Sale anche a 960 milioni il costo sostenuto dai contribuenti italiani per le missioni navali nel Mediterraneo, (nessuna delle quali ha compiti di ricerca e soccorso in mare) e nel paese nord africano, con un aumento di 17 milioni rispetto al 2020 per la missione Mare Sicuro e 15 milioni per Irini.
Tutto ciò, nonostante si continui a morire lungo la rotta del Mediterraneo centrale – con oltre 720 vittime dall’inizio dell’anno– e siano oramai ben note le modalità di intervento della cosiddetta Guardia Costiera libica, come testimoniato dal video diffuso in questi giorni da Sea-Watch.
È l’allarme lanciato da Oxfam, alla vigilia del dibattito parlamentare sul rinnovo delle missioni militari italiane. In un anno che vede il record di persone intercettate e riportate in Libia: più di 13.000.
Dato che non ha suggerito evidentemente al Governo, né una profonda riflessione sul destino dei migranti, tra cui donne e bambini, che una volta rientrati nel paese nord-africano sono destinati ad essere vittime di abusi e torture sistematiche dalle quali stavano scappando, finendo nei centri di detenzione ufficiali e in altri luoghi di prigionia clandestini.
Né tantomeno si è attuata una revisione dello stesso accordo con le autorità libiche, nonostante numerose inchieste e testimonianze abbiano confermato il coinvolgimento della Guardia Costiera libica nel traffico di esseri umani.
“Mentre lungo la rotta del Mediterraneo centrale si continua a morire, come dimostrano i continui naufragi di queste settimane, con l’ennesima tragedia avvenuta a Lampedusa pochi giorni fa, – sottolinea Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – il Governo Draghi sta agendo in perfetta continuità con gli esecutivi precedenti sulle politiche migratorie, come dimostrano anche le recenti richieste al Consiglio europeo per un maggior coinvolgimento dell’Unione nel rafforzamento degli accordi con le autorità libiche. In sostanza si va avanti nella stessa direzione, in un paese dove “l’industria del contrabbando e tratta” è stata in parte convertita in “industria della detenzione” con abusi e violenze oramai note a tutti, anche grazie a questo considerevole flusso di denaro”.
“A pochi giorni dalla discussione parlamentare sul rinnovo delle missioni militari italiane all’estero, – conclude Pezzati –chiediamo perciò ai partiti di maggioranza di interrompere immediatamente gli stanziamenti per il 2021 diretti alla Guardia Costiera libica, che solo quest’anno ha intercettato e riportato in un paese non sicuro il triplo dei migranti, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Assieme è necessaria una revisione delle missioni che contengono iniziative legate alla sua formazione e al suo supporto. Quello che serve è un cambio deciso di approccio, una gestione diretta dei flussi e non la mera chiusura delle frontiere delegata a paesi come la Libia o la Turchia”.
Una direzione che Oxfam ritiene possa essere intrapresa solo con una serie di interventi diretti a superare la legge Bossi-Fini ed estendere i canali di ingresso regolari per i migranti in Italia e in Unione europea approvare un piano di evacuazione delle persone detenute illegalmente in Libia; istituire una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare; riconoscere il ruolo fondamentale delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana in mare; interrompere l’accordo Italia-Libia, subordinando qualsiasi futuro accordo alla fine della fase di transizione politica nel paese, nonché alle necessarie riforme che eliminino la detenzione arbitraria e prevedano adeguate misure di assistenza e protezione, in particolare per migranti e rifugiati”.
Un appello che va colto: lo scempio del finanziamento ai criminali in divisa libici deve finire. L’Italia è complice di questi aguzzini che torturano, trasformano le donne detenute nei lager libici in schiave del sesso. E tutto questo con i soldi italiani.
(da Globalist)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile E’ LUCA BERNARDO, DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO DI PEDIATRIA AL FATEBENEFRATELLI
Beppe Sala lo dice apertamente presentando Milano Unita, la lista di sinistra con Paolo Limonta ed Elena Lattuada che appoggerà il sindaco alle elezioni in autunno.
“Se vinceremo, avremo da governare cinque anni che saranno difficili, dovremo passare attraverso un periodo non semplicissimo”. Aggiunge comunque subito dopo di credere di avere fatto “una profonda maturazione politica” che gli farà “avere più coraggio nel secondo mandato”.
L’argomento in discussione è il sociale. Perché nelle politiche sociali “non è tanto e solo quanto il Comune investe nel welfare, noi su quello investiamo una cifra già significativa, ma bisogna passare dall’individuazione di bisogni estremi, dalla cura a trovare formule per ridare opportunità a chi è in situazione difficile”.
Sala pensa che “la discontinuità” sia “necessaria, quello che stanno facendo i sindaci di sinistra è trovare una formula per intercettare i trend universali percepiti dai cittadini, come quello di una società più verde e giusta”.
Nel frattempo, nel centrodestra che si ritroverà martedì per cercare di sciogliere una volta per tutte il nodo della candidatura per Palazzo Marino prende sempre più corpo l’ipotesi che il prescelto sia Luca Bernardo, direttore del dipartimento di Pediatria del Fatebenefratelli
Un ulteriore segnale del fatto che l’investitura sarebbe ormai vicina è arrivato proprio ieri. Quando Bernardo, dopo aver sentito al telefono Matteo Salvini, si è presentato al gazebo della Lega in via Fauche per firmare i sei referendum sulla giustizia promossi dai leghisti e dai Radicali.
Ed è proprio sulle politiche sociali che il candidato sindaco ancora in pectore del centrodestra ha lanciato il primo guanto di sfida a Sala anche se con molto fair play. “È stato un bravo sindaco, una brava persona – spiega Bernardo – . Abbiamo probabilmente idee diverse su qualche cosa, forse qualcosa di più. Io faccio il medico, l’ospedale lo vivo con le mani dentro il sociale. Questa è una piccola differenza tra noi. Per il resto lo ritengo un gran signore”.
Di Gabriele Albertini, che ha confermato di essere disposto a fargli da vicesindaco, Bernardo dice: “È una persona favolosa, mi piace perché è uno diretto, ha classe, eleganza, è un uomo che conosce il lavoro”.
Ammette di “voler correre per vincere: ho dato la mia disponibilità”, ma anticipa anche che se dovesse correre per lui “sarebbe una campagna non gridata, ma di ascolto e rispetto reciproco”.
Tanto da assicurare che “non si sentiranno mai da parte mia parole più alte del tono normale”. Perché “dobbiamo spiegare alle persone cosa dobbiamo fare, non cosa vogliamo gridare”. In ogni caso, precisa che “Milano deve essere rilanciata non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello sociale”.
In attesa del vertice di martedì, resta da chiarire se ci sarà un ticket con Gabriele Albertini o con Annarosa Racca, presidente di Federfarma. Roberto Rasia dal Polo completerebbe la squadra.
Per Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa conferma che “Bernardo ha tutte le carte in regola per fare il candidato di tutta l’allenza”. Il leghista Stefano Bolognini lo definisce “persona di valore che siamo felici abbia confermato la sua disponibilità”.
Mentre Alessandro Colucci per Noi per l’Italia ribadisce il no a “figure troppo ingombranti”, come Albertini come vice, ma “sì a un civico da scegliere insieme”.
Bernardo, 54 anni, sposato con Francesca, ha una figlia: Lucrezia. Da militare ha fatto il paracadutista, è appassionato di sport estremi. Come la boxe, il Krav Maga, che ha importato nel suo ospedale per i corsi di autodifesa contro la violenza sulla donne. Ha ideato la Casa Pediatrica del Fatebenefratelli con i disegni e le pareti colorate.
È fratello di Maurizio, ex assessore regionale ed ex parlamentare prima di Forza Italia e poi del Pd. Nel 2006 si era candidato nella lista Moratti, ma aveva raccolto solo 200 voti.
(da Open)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile “LA MIA STORIA E IL MIO LEGAME CON LA DIVISA NON POTEVA PERMETTERE ATTI DEL GENERE”
Il Gip, nell’ordinanza, ricostruisce il comportamento dell’ispettore Giuseppe
Crocco, 52 anni, che si ferma accanto a un detenuto che piange e prova a evitare i colpi dei manganelli su altri. Poi, però, viene bloccato da un collega che lo invita a farsi i fatti suoi
Il 6 aprile 2020, al carcere di Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, durante quella «orribile mattanza», un pestaggio ai danni dei detenuti che avevano osato protestare il giorno prima, c’era anche l’ispettore Giuseppe Crocco (che è tra i 52 indagati). L’unico che, secondo il Gip, «prova a fermare i suoi colleghi» che pestano i reclusi, l’unico «tra gli ispettori di quel reparto» che non realizza carte false dopo la violenza per coprire le spalle agli agenti della Penitenziaria.
L’unico che si ferma accanto a un detenuto che piange, che evita alcuni colpi ad alcuni di loro. Alla fine, però, l’ispettore Crocco viene fermato da un collega che gli dice, in sostanza, di farsi i fatti suoi: «Pensa a te».
Anche l’ispettore, che oggi parla a Repubblica tramite il suo avvocato Dezio Ferraro, sarebbe stato colpito da alcune manganellate nella foga del momento.
«Non so come nacque quella “perquisizione”, so che ci trovammo in istituto i colleghi del gruppo speciale di supporto che venivano da fuori. Era impossibile arginare ciò che stava avvenendo. Ci ho provato, in più occasioni ho tentato di evitare dei colpi ai detenuti. Alcuni dei carcerati possono raccontarlo. E dai filmati si vede che cerco di sottrarne alcuni alle percosse», racconta sostenendo di aver preso anche lui alcune manganellate.
A un certo punto, però, è stato costretto a fermarsi: «Sono cardiopatico, ho subito un’operazione a cuore aperto anni fa. Ho prodotto al giudice tutta la mia documentazione sanitaria».
Crocco, 52 anni, ha la famiglia nel Casertano ed è sottoposto all’obbligo di dimora. Non al carcere, come chiesto dalla Procura. Il Gip gli ha creduto anche perché l’ispettore è stato «pressoché l’unico a essersi fattivamente attivato per contenere l’escandescenza dei suoi sottoposti, intervento più volte energicamente»
E lo dicono anche alcuni detenuti: Crocco li ha protetti o comunque ha evitato di picchiarli. Ed è lui stesso a ripeterlo al Gip: «Questa vicenda non appartiene alla mia storia e al mio legame con la divisa. In più occasioni ho cercato di evitare che i detenuti prendessero colpi».
(da Open)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile “IL GOVERNO VALUTI L’OBBLIGO VACCINALE PER TUTTI O SI RISCHIA GROSSO”
«SARS-CoV-2 è qui ed è diventato molto più pericoloso, se non vi vaccinate vi fotte e sono cavoli amari»: il professore di Virologia all’Università San Raffaele di Milano mette in guardia sull’alto tasso di contagiosità della nuova mutazione di Covid e sprona a vaccinarsi
Il timore di non raggiungere quanto prima una sufficiente copertura di vaccinati contro la Covid-19 alimenta da mesi il dibattito sull’obbligo vaccinale da estendere a tutta la popolazione italiana.
Ma ora, secondo il professor Roberto Burioni, sembra esserci un pericolo in più da considerare affinché la misura, già introdotta per gli operatori sanitari, diventi valida per tutti e nel più breve tempo possibile.
È la variante Delta, mutazione del virus che sta mettendo nuovamente in ginocchio il Regno Unito e che attualmente risulta presente in ben 16 Regioni italiane. «Se come pare la Delta ha un R0 tra 8 e 10 bisogna che la politica prenda seriamente e VELOCEMENTE in considerazione l’obbligo vaccinale per tutti o si rischia grosso». Il professore di Virologia all’Università San Raffaele di Milano mette in guardia su un alto tasso di contagiosità della nuova mutazione di Covid-19. Da qui il chiaro invito al governo per agire in modo definitivo sulla questione dell’obbligo.
L’indice R0 di cui scrive Burioni rappresenta il potenziale di trasmissibilità di una malattia infettiva. Un valore che esprime le effettive probabilità di contagio che ci sono per ogni contatto tra una persona infetta e una non infetta, esposta al contagio.
La differenza con l’indice Rt, di cui spesso abbiamo sentito parlare nei monitoraggi dell’Istituto superiore di sanità, è che, al contrario dell’R0, quest’ultimo viene calcolato nel corso del tempo ed è utile quindi a monitorare l’efficacia di interventi restrittivi nel corso di un’epidemia.
Burioni collega l’alto tasso di trasmissibilità, e quindi l’indice R0 della variante Delta, con la necessità di vaccinarsi perché il calcolo che viene effettuato prende come campione la cosiddetta popolazione “totalmente suscettibile”, e cioè tutte quelle persone che attualmente non risultano immunizzate al virus. L’urgenza di cui parla il professore si riferisce a un indice R0 tra 8 e 10, numeri decisamente alti se si pensa all’R0 della variante Alfa, anche conosciuta come “inglese”, tra 2-3 a 3,5-4.
«Il virus non è più quello che abbiamo conosciuto», continua Burioni, «è diventato molto più pericoloso». La necessità è ora quella di accelerare il ritmo della campagna vaccinale andando soprattutto a raggiungere tutti i fragili che risultano ancora senza neanche la prima dose. Il timore è che tra gli over 60 e gli over 70 tutt’ora non vaccinati si annidi una tenace fronda no vax, oggi ancora più pericolosa considerata l’alta potenzialità di contagio della variante Delta.
«Ecco il primo Stato che rende obbligatorio il vaccino per tutti i cittadini», continua Burioni portando come esempio la decisione delle ultime ore presa dal governo del Tajikistan. «Se fate i fenomeni rischiate di pentirvi amaramente, questa non è la polio, un pericolo lontano. SARS-CoV-2 è qui, se non vi vaccinate vi fotte e sono cavoli amari».
(da agenzie)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile E SCATTANO ANCHE I RICORSI AL TAR… SOLO 821 ASSUNTI A FRONTE DI 2.800 PROFILI RICERCATI
Non ha pace il Concorso per il Sud. Dopo le polemiche per la preselezione con
titoli ed esperienze, dopo il flop della prima prova scritta, adesso arriva un’altra batosta. L’ennesima.
Solo 821 i candidati idonei, pronti a essere assunti «entro luglio», a fronte dei 2.800 profili ricercati per dare una boccata d’ossigeno alla pubblica amministrazione alle prese con i fondi di coesione.
In altre parole, meno di un terzo dei posti da assegnare è rimasto coperto. La colpa, secondo il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, sarebbe da attribuire al precedente governo che ha “pensato” questo concorso e che ha voluto offrire ai candidati contratti a tempo determinato e retribuzioni medio-basse.
I numeri parlano chiaro: 821 assunzioni a fronte dei 2.800 candidati ricercati. Il tasso di idonei ha raggiunto il 53 per cento mentre l’affluenza è stata del 36 per cento (37mila su 102mila iscritti).
Un mezzo flop nonostante l’idea rivoluzionaria di un concorso veloce, digitale, in 100 giorni e con assunzioni assicurate entro luglio. A superare la prova sono stati in tutto 1.484 candidati ma per due dei cinque profili richiesti i vincitori sono più dei posti disponibili.
Per le altre figure professionali, invece, i posti restano vuoti. Facciamo qualche esempio. Per la figura di “funzionario esperto tecnico”, ad esempio, sono state registrate 22mila domande: solo 9mila le persone che si sono presentate. 167 gli idonei, lasciando scoperto l’88 per cento dei posti messi a bando (1.412, ndr).
Stesso discorso per gli esperti in gestione, rendicontazione e controllo: 918 da assumere, solo 196 gli idonei. C’è abbondanza, invece, per la figura di funzionario esperto amministrativo giuridico: 169 posti a bando, 765 gli idonei (che, di fatto, in gran parte resteranno fuori).
Perché il Concorso per il Sud non attira i professionisti
Un concorso che voleva attrarre professionisti ma che, a causa di retribuzioni medio-basse e contratti di breve durata, al massimo avrebbe potuto al massimo coinvolgere (e convincere) i neolaureati.
Quest’ultimi – ed è qui che scatta il corto circuito – hanno rinunciato a partecipare poiché scoraggiati dalle preselezioni che “privilegiavano” titoli di studio ed esperienze professionali.
Il risultato? I professionisti, che un lavoro ce l’hanno già e che non avrebbero accettato contratti per così poco tempo e con retribuzioni così basse, non si sono nemmeno presentanti alle prove. I neolaureati, invece, non ci hanno nemmeno provato, scoraggiati alla partenza, come denunciato da numerose associazioni.
I ricorsi al Tar
Un concorso che, come vi abbiamo raccontato, è stato rivisto in corso d’opera. Solo 8mila gli ammessi alla prova scritta in un primo momento. Poi, però, le porte sono state spalancate agli altri 70mila esclusi: il ministero temeva che quegli 8mila non sarebbero stati sufficienti a ricoprire tutti i posti. E proprio per questo motivo, per le modifiche al bando avvenute all’improvviso, a concorso già cominciato, iniziano a piovere ricorsi al Tar, come denunciato stamattina da La Stampa. Decine quelli presentanti per chiedere l’annullamento. Le 70mila riammissioni, infatti, hanno fatto storcere il naso a chi ha visto rientrare in corso d’opera potenziali rivali.
(da agenzie)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile E ORA TEME LA CANDIDATURA DEL GIORNALISTA ERIC ZEMMOUR, RAZZISTA PLURICONDANNATO PER ISTIGAZIONE ALL’ODIO, CHE POTREBBE PRESENTARSI ALLE PRESIDENZIALI
Serrare i ranghi in vista dello scontro finale: le presidenziali del prossimo anno. Ma per vincere la guerra, la leader del Rassemblement National, Marine Le Pen, deve far dimenticare alle sue truppe la cocente sconfitta incassata la scorsa settimana all’ultima battaglia delle elezioni regionali e dipartimentali.
Adesso l’importante è “convincere i francesi”, ha detto al leader dell’estrema destra nel discorso tenuto al termine del 17imo congresso del partito tenutosi a Perpignan, durante il quale è stata rieletta presidente per la quarta volta con il 98,35% dei voti. Una pura formalità, vista la mancanza di pretendenti all’interno della formazione. Ma la batosta di domenica scorsa ha fatto emergere molti dubbi sulla linea intrapresa in questi ultimi anni.
Rispetto al precedente scrutinio del 2015, il partito ha perso 9 punti percentuali su scala nazionale e 142 consiglieri regionali e dipartimentali.
Nonostante i sondaggi lo vedessero favorito in diversi territori, il Rassemblement National non si è aggiudicato nemmeno una regione o un dipartimento. Una débâcle totale, che conferma la tendenza registrata alle municipali del 2020, quando la Le Pen perse circa la metà dei suoi consiglieri
La colpa, secondo il partito, è tutta dell’astensionismo, arrivato al 65 per cento al secondo turno. Per questo Le Pen lancia “un appello alla responsabilità civica” rivolgendosi proprio a coloro che non hanno votato: “Credo che al punto in cui si trova il Paese, l’astensione non è il segno di una contestazione ma di una evaporazione civica”.
Nessun mea culpa dal palco di Perpignan. Le Pen parte subito all’attacco come se niente fosse, e durante il suo intervento riemergono toni che non si sentivano da tempo.
Ma tra il pubblico che l’ascolta e i dirigenti dietro le quinte gli interrogativi sono tanti. Primo fra tutti, il cambiamento di rotta degli ultimi anni, che ha fatto uscire il partito dalle torbide acque razziste e antisemite per andare a pescare consensi nelle zone più moderate del centro-destra.
Una strategia che potrebbe aver allontanato lo zoccolo duro dell’elettorato storico, sovrapponendo il Rassemblement National in un’area già contesa dai Repubblicani e da La République en marche del presidente Emmanuel Macron.
La voce più forte che si è alzata per criticare questa linea è quella del fondatore Jean-Marie, che non perde occasione di attaccare la figlia dopo essere stato espulso dal partito nel 2015. “Marine Le Pen ha voluto rendere insipido il suo progetto, renderlo più accettabile per cercare d entrare nella comunità politica della Francia, che la continua a rigettare”, ha detto a Libération l’ex presidente del Front National.
“Con tutto il rispetto che abbiamo per la nostra storia, non torneremo al Front National”, risponde la figlia, mettendo un punto definito alla questione. Ormai il Rassemblement National si è imposto come un “polo di stabilità” e punta alla “vittoria”.
Le Pen dice di aver “visto giusto” su tanti temi negli ultimi anni, come “l’immigrazione”, la laicità e “l’inselvaggiamento” della società. I soliti capisaldi, conditi da quella contrapposizione tra “mondializzazione” e “sovranismo” diventata ormai un marchio di fabbrica e chi si riflette nella sfida contro il rivale storico: il presidente Emmanuel Macron. La società “multiculturale” è una “società multiconflittuale” alla quale bisogna opporsi, spiega Le Pen
Ma la vera minaccia resta l’Unione europea. La candidata dell’estrema destra francese torna così su un tema che aveva lasciato volutamente in disparte dopo le presidenziali del 2017. “La nazione francese oggi è attaccata, scossa alla base dal separatismo e dal mondialismo con il suo braccio armato: l’Unione europea” spiega Le Pen, ricordando il manifesto sovranista firmato con i colleghi europei, tra cui il leghista Matteo Salvini e il premier ungherese Viktor Orban, per creare un’alleanza populista all’Europarlamento. Bruxelles come origine di tutti i mali, quindi, tra cui anche l’immigrazione, altro cavallo di battaglia. Il patto dell’Unione europea altro non è che un modo per creare “nuove filiere e regolarizzazioni” di migranti e per questo gli eurodeputati del Rassemblement National si batteranno con l’obiettivo di far fallire questo progetto”.
Ma la candidata tiene un occhio anche alla destra del suo partito, dove è in agguato Eric Zemmour, giornalista e opinionista ultra-conservatore che potrebbe partecipare alla prossima campagna elettorale, andando a cercare voti proprio in quell’area più estremista lasciata libera dal Rassemblement National.
Sebbene non abbia ancora sciolto la sua riserva, Zemmour, più volte condannato per incitamento all’odio, ha già un solido gruppo di giovani che sotto il nome di “Generation Z” ha affisso più di 10 mila manifesti in 86 dipartimenti di Francia con la foto del loro beniamino. Ma una sua candidatura viene definita come “fantapolitica” dalla Le Pen, che dice di non credere ad una discesa in campo del giornalista “fino a quando non avrà fatto la sua dichiarazione”.
La fine del discorso è dedicata al delfino Jordan Bardella, nominato oggi vice-presidente a 25 anni, che a settembre prenderà ad interim le redini del partito mentre la sua leader comincerà la campagna elettorale. “Un giovane generale”, lo ha definito Le Pen, nel corso di una vera e propria standing ovation del pubblico.
Ormai, a dieci mesi dalle presidenziali, Marine Le Pen non ha nessuna intenzione di cambiare traiettoria. Quello che sarebbe dovuto essere il congresso della celebrazione per l’atteso successo alle ultime elezioni che precedono la corsa alle presidenziali si è trasformato in un’operazione di convincimento.
L’unico nemico interno al partito capace di minacciare la sua leadership è l’incertezza, il timore di aver imboccato la strada sbagliata per l’ennesima volta, che potrebbe essere anche l’ultima.
(da Huffingtonpost)
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Luglio 4th, 2021 Riccardo Fucile “SFRUTTAMENTO DEL LAVORO AGGRAVATO DA MINACCE”
Sfruttamento del lavoro aggravato da minacce: è il reato che ha messo nei guai i
responsabili di una ditta di autotrasporto del Savonese. Tre le persone finite agli arresti domiciliari e per altre due c’è la denuncia.
E’ il frutto dell’operazione “Under pressure’ condotta dalla polizia stradale di Savona in collaborazione con l’Ispettorato del lavoro e coordinata dal sostituto procuratore di Savona Marco Cirigliano.
L’indagine ha accertato diversi comportamenti scorretti da parte dei titolari dell’azienda. Secondo gli investigatori, “con l’aggravante della minaccia e della pressione psicologica, costringevano i propri dipendenti ad effettuare turni di lavoro estenuanti, oltre gli orari consentiti e senza concedere i riposi previsti dai contratti di lavoro e dalla normativa nazionale”.
Tutto questo per ottenere maggiori risultati in termini di consegne e viaggi di trasporto in tempi sempre più brevi. L’indagine ha anche permesso di scoprire che i titolari della ditta “applicavano decurtazioni allo stipendio” o “mancate retribuzioni nel caso in cui il dipendente si rifiutasse di fare dei trasporti con mezzi non idonei o non perfettamente efficienti”, situazione questa, sottolineano gli investigatori che metteva a rischio la sicurezza stradale.
L’azienda, secondo la polizia stradale, violava anche le norme sulla sicurezza sul lavoro e non forniva i dispositivi di protezione individuale.
(da agenzie)
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