Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
FRANCIA, SPAGNA, GERMANIA, REGNO UNITO, SCOZIA , NORVEGIA, SVEZIA, PORTOGALLO: TUTTI HANNO UNA LEGGE SPECIFICA, TRANNE NOI
Negli ultimi mesi ha fatto molto discutere la proposta di legge contro l’omotransfobia nota come “legge Zan”, dal nome del suo principale promotore, il deputato del Partito democratico Alessandro Zan
Al di là delle opinioni personali, legittime o meno, è un fatto che oggi in Italia non sia in vigore una legge che condanni esplicitamente i casi di discriminazione fondati sull’orientamento sessuale, l’identità di genere o la disabilità.
In carenza di una norma esplicita, per punire chi – ad esempio – commette un delitto mosso dall’odio verso gli omosessuali si può fare ricorso all’aggravante generica dei motivi abietti o futili (art. 61 del codice penale).
Ma come funziona negli altri Paesi europei? Abbiamo controllato, e molti tra i principali Stati europei hanno una legislazione che si occupa in maniera esplicita di crimini e discriminazioni legate all’omotransfobia.
La mancanza di una normativa in Italia specifica per la repressione delle violenze e delle discriminazioni di matrice omostransfobica emerge peraltro in modo molto evidente da un confronto con gli ordinamenti degli altri principali Paesi europei.
Francia, tra i più severi
La Francia ha leggi particolarmente rigide nei confronti delle discriminazioni basate su sesso o genere. Nel 2003 infatti questi elementi sono stati riconosciuti dal Codice penale come possibili motivi di discriminazione (art. 225 1-4) – insieme tra le altre cose alle idee politiche, la situazione familiare, l’età o lo stato di gravidanza – e sono punibili in quanto reati autonomi con un massimo di cinque anni di carcere o una multa fino a 75 mila euro.
La legge punisce con un anno di carcere e una multa fino a 45 mila euro anche il reato di provocazione alla discriminazione, all’odio o alla violenza, la diffamazione e l’ingiuria se questi avvengono, tra le altre cose, anche sulla base dell’«orientamento sessuale» o dell’«identità di genere».
Inoltre, dal 2017 le discriminazioni omotransfobiche sono considerate come possibili aggravanti per tutti i reati che prevedono il carcere come pena.
Spagna, una legislazione chiara
Anche l’ordinamento spagnolo è dotato di leggi che contrastano le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale o l’identità di genere. Il codice penale spagnolo prevede infatti (articolo 510) una pena fino a quattro anni di carcere per l’istigazione all’odio o alla violenza sulla base di elementi legati al sesso o al genere, oltre che alla religione, l’etnia, o la condizione di disabilità. Queste condotte, se associate ad altri reati, possono anche essere considerate come circostanze aggravanti (articolo 22).
Se la discriminazione viene portata avanti da un pubblico ufficiale, questa va anche incontro all’interdizione dai pubblici uffici (articolo 511) da uno a tre anni. Sono infine vietate le associazioni che promuovono comportamenti discriminatori (articolo 515) e i loro fondatori, direttori o soci attivi sono punibili con la detenzione fino a quattro anni.
La Germania non utilizza termini specifici
In Germania le discriminazioni omofobiche non vengono menzionate espressamente nel Codice penale. Spesso in questi casi viene fatto riferimento all’articolo 130, il quale condanna coloro che incitano odio e violenze o ledono la dignità, tramite insulti o diffamazione, di gruppi nazionali, etnici o religiosi, oppure di particolari individui o settori della popolazione.
Il richiamo diretto all’omotransfobia non compare neppure nell’articolo relativo alle aggravanti (articolo 46), dove però si legge che nel decidere la pena il tribunale dovrà tenere in considerazione anche l’eventuale presenza di motivi o obiettivi di stampo razzista o xenofobico.
Il Regno Unito distingue tra orientamento sessuale e identità di genere
Nel 2008 il Regno Unito ha approvato per l’Inghilterra e il Galles il Criminal Justice and Immigration Act che, tra le tante misure, ha equiparato i crimini basati sull’odio religioso a quelli causati da discriminazioni nei confronti dell’orientamento sessuale.
Il documento però non fa riferimento a episodi di ostilità verso persone transgender, e in un report del Servizio della procura della Corona (Crown prosecution service, Cps) del 2017 si legge infatti che non esiste al momento un reato specifico per incitamento all’odio sulla base dell’identità di genere. Un altro report rilasciato nel dicembre 2020 da una commissione indipendente dell’Irlanda del Nord afferma che fino a quel momento nessuna delle legislazioni del Regno Unito contemplava la discriminazione basata sull’identità di genere tra i crimini d’odio.
Le leggi in vigore Inghilterra e Galles permettono comunque al giudice di tenere in considerazione e dichiarare la presenza di un eventuale movente sia omofobico che transfobico nel processo di decisione di una sentenza, ma questa motivazione non può comunque essere considerata come una vera e propria aggravante capace di aumentare la pena massima stabilita per il reato in questione.
In questo caso la presenza di un crimine d’odio su base etnica, razziale, religiosa o sessuale dovrà essere determinata dalla polizia e comunicati al Cps, che dovrà dimostrare la presenza o meno della discriminazione e farla presente alla Corte.
Il Parlamento scozzese invece ha recentemente approvato un nuovo provvedimento, chiamato Hate Crime Bill, che include nella legge contro i crimini d’odio anche gli episodi di discriminazione basati, tra le altre cose, sull’identità di genere. Le nuove disposizioni sono entrate in vigore lo scorso 23 aprile.
Gli altri Paesi
Tra gli altri Paesi europei si distingue la Svezia, dove i casi di discriminazione contro tutti gli esponenti della comunità Lgbtq+ sono chiaramente regolamentati e sanzionati.
Al capitolo 16, articolo 8 del Codice penale svedese infatti si legge che chiunque «minacci o esprima disprezzo per una popolazione facendo allusione alla sua razza, colore della pelle, origini nazionali o etniche, credo religioso, orientamento sessuale o identità di genere» è colpevole di agitazione e può essere condannato fino a un massimo di quattro anni di carcere. Le discriminazioni in questi ambiti sono anche considerabili come possibili aggravanti.
Altro esempio virtuoso è la Norvegia, che dal primo gennaio 2021 ha aggiunto l’identità o l’espressione di genere e l’orientamento sessuale alla lista di fattori che possono determinare “discorsi d’odio”, punibili con fino a tre anni di carcere (articolo 185 del Codice penale).
In Portogallo poi l’articolo 240 del Codice penale punisce con fino a 5 anni di carcere chiunque provochi atti di violenza, minacci o discrimini una persona o un gruppo di persone a causa delle loro origini etniche o nazionali, del sesso, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o di particolari mancanze fisiche o psichiche.
Diversi Paesi in Europa hanno già in vigore leggi che assicurano punizioni simili a quelle previste dalla legge Zan: è il caso soprattutto di Spagna, Francia, Svezia, Portogallo e Norvegia, dove le discriminazioni sulla base dell’orientamente sessuale e l’identità di genere vengono espressamente punite dal Codice penale. La situazione in Germania, che non menziona espressamente questi termini ma applica le leggi contro l’incitamento all’odio in modo più generale, è invece più simile a quella dell’Italia.
In Inghilterra e Galles vengono condannate le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, mentre quelle fondate sull’identità di genere possono essere considerate come potenziali aggravanti. Dal 2021 la Scozia invece punisce entrambe le forme di discriminazione.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
I SENATORI ASPETTANO DI CONOSCERE LO STATUTO
L’unica certezza, dopo settimane incredibili condotte tra preoccupazione, ansia e
indecisione all’interno del Movimento cinque stelle, è che i lavori per risolvere lo scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte proseguono a oltranza.
Segno che la volontà di giungere a una mediazione c’è, ma che la stessa non è poi così scontata.
Ed è per questa ragione che i tempi stretti di cui pure aveva parlato Grillo, difficilmente verranno assicurati. Il lavoro del Comitato dei 7 per limare le differenze su nuovo Statuto, Carta dei valori e Codice etico andrà avanti dunque per più di tre giorni.
Nella “camera di compensazione”, infatti, ci sono due ministri, Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli (nella foto insieme), il presidente della Camera, Roberto Fico, i capigruppo di Camera e Senato, Davide Crippa ed Ettore Licheri, la capodelegazione al Parlamento europeo, Tiziana Beghin, e il senatore Vito Crimi.
Conciliare le agende e gli impegni per organizzare le riunioni, sebbene da remoto tramite Zoom, è comunque un’impresa titanica.
Dunque, facendo due calcoli, considerata la mole di punti divergenti da sistemare, il timing si dilata. Difficile anche capire fino a che punto. Un’indicazione, ma non certo esaustiva, la fornisce il ministro Patuanelli: “Cercheremo di essere brevi, ma ovviamente il tempo necessario ce lo prenderemo tutto”.
Intanto ieri a fare il punto sullo stato dell’arte è stato Ettore Licheri che, in un breve summit online nel primo pomeriggio, ha ragguagliato il gruppo parlamentare di Palazzo Madama.
Due i punti su cui il capogruppo ha premuto: si continua a lavorare a oltranza, ma restano differenti visioni sul perimetro di potere tra capo politico e garante.
Insomma, la quadra è da trovare sugli equilibri tra le diverse autorità interne al Movimento. Nessun cenno, invece, allo statuto che di fatto resta ancora top-secret per gli stessi parlamentari. La riunione, però, ha avuto anche il “merito” di rendere chiare le posizioni interne ai senatori cinque stelle.
Tra i vari interventi che nel corso della riunione pomeridiana si sono susseguiti molto apprezzato è stato quello di Danilo Toninelli (uno dei 19 senatori firmatari dell’appello rivolto a Conte per lavorare a una mediazione con Grillo): “Vorrei che la discussione non fosse impostata sullo Statuto di Grillo contro lo Statuto di Conte, ma sullo Statuto del Movimento 5 Stelle”, avrebbe sottolineato l’ex ministro il quale avrebbe ribadito che, proprio per questa ragione, anche se non si dovesse trovare un accordo, il Movimento non potrà dirsi morto.
A prendere parola è stata anche la vicepresidente del Senato Paola Taverna che, da contiana convinta, ha chiesto che lo statuto dell’ex premier venga in ogni caso sottoposto al voto degli attivisti.
Il confronto prosegue, dunque.
(da La Notizia)
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
NESSUN CONTROLLO A FIUMICINO E MALPENSA… TIFOSI UCRAINI A ROMA CON DOCUMENTI FALSI
“Controlli all’arrivo? Ma non scherziamo, in aeroporto non ce n’era neanche l’ombra…”. Barbara Gallucci, nota giornalista di viaggi, è da poco rientrata a Milano dopo due settimane trascorse alle Isole Azzorre.
È atterrata domenica notte a Malpensa, con un volo Tap da Lisbona. Una trasferta che si è conclusa senza nessun accertamento sanitario nello scalo lombardo.
“Quando sono partita – racconta –, ho dovuto fare un tampone prima di imbarcarmi e un altro appena arrivata alle Azzorre: un test molecolare gratuito, tra l’altro, non come in Italia dove lo paghi. Ma lì sono seri, sono consapevoli del pericolo e ti tracciano in ogni movimento che fai. Poi ho dovuto farne un altro prima di imbarcarmi due giorni fa per l’Italia e uno all’aeroporto di Lisbona. Ed ero preoccupata perché non avevo ancora il Green pass”.
Preoccupazioni che si sono poi rivelate del tutto inutili: “Quando siamo atterrati a mezzanotte e mezza di domenica – prosegue Gallucci – nessuno ha chiesto niente né a me, né a quelli che viaggiavano con me”.
Non solo. Contemporaneamente al volo da Lisbona, all’aeroporto Malpensa ne è atterrato anche uno da Ibiza. E anche in questo caso nessuno è stato controllato, nonostante la Spagna sia uno dei Paesi da bollino rosso, in quanto esposto a una crescita dei contagi.
L’estate italiana, iniziata sotto l’egida del Green pass, che permette di spostarsi nei Paesi Ue e dell’area Schengen, avrebbe dovuto essere a prova di sicurezza. E invece il sistema di sorveglianza negli aeroporti sembra avere più di una falla.
C’è persino chi, negli ultimi giorni, è ricorso indisturbato a false documentazioni. Proprio come hanno fatto centinaia di tifosi ucraini venuti in Italia per assistere al quarto di finale di Euro2020 Ucraina-Inghilterra in programma a Roma sabato scorso. “Conosco decine di ucraini che si sono fatti fare finte attestazioni di appuntamenti di lavoro oppure certificati medici assai discutibili: tutti documenti mostrati al check in a Kiev per evitare la quarantena obbligatoria in Italia”, racconta F. B., che una settimana fa è atterrato a Orio al Serio, proveniente da Barcellona: anche per lui nessun controllo.
Così come nessuno ha verificato che i documenti in mano ai tifosi ucraini atterrati a Roma, Milano, Catania, fossero certificazioni autentiche.
Questo nonostante l’Ucraina sia un Paese inserito in “lista E”, cioè uno di quelli dove il Green pass non esiste. “Io viaggio molto per lavoro – spiega F. B. – e posso tranquillamente testimoniare che è sufficiente imbarcarsi in un Paese dell’Ue per non subire verifiche. Per esempio all’aeroporto di Amsterdam passano tutti senza problemi. Del resto, se faccio il check in online, chi mi controlla la documentazione alla partenza? Nessuno”.
Il fatto è che tutto questo accade mentre si sta invertendo la tendenza alla diminuzione dei contagi, secondo le ultime tabelle previsionali dell’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie: nell’ultima settimana i casi di Covid-19 sono aumentati più del previsto e anche in modo vistoso in vari Stati. Così è stato in Belgio, Danimarca, Finlandia, Grecia, Irlanda, Norvegia, Portogallo, Regno Unito e Spagna. Sono cresciuti anche in Italia
Secondo le stime dell’Ecdc tra il 26 giugno e il 3 luglio nel nostro Paese avrebbero dovuto esserci 3.909 casi, invece ce ne sono stati 5.222. In Spagna ne sono stati registrati oltre il doppio di quelli previsti: 51.405 contro 21.743. il doppio anche in Belgio, dove si è arrivati a più di quattromila e ne erano stimati 1.960. Tutto mentre incombe la variante Delta.
Ma come può accadere che il sistema di controllo non funzioni?
Il compito di verificare che i passeggeri siano in possesso di tutte le certificazioni anti-Covid necessarie spetta alle compagnie aeree. Devono cioè accertarsi che i passeggeri siano in possesso del Green pass se sono cittadini Ue o dell’area Schengen ai quali è già stato somministrato il vaccino.
Oppure che si siano sottoposti a tampone molecolare o a test antigenico rapido (risultato ovviamente negativo), o ancora che siano guariti dalla malattia.
Poi ci sono i controlli affidati all’Usmaf, vale a dire l’ufficio di sanità marittima, aeroportuale e di frontiera, la struttura che dovrebbe controllare chi sbarca.
“Ma fare le verifiche su tutti è impossibile – dicono al ministero dell’Interno –, significherebbe bloccare completamente il turismo e l’economia. I controlli sono necessariamente a campione e si concentrano soprattutto sui voli provenienti da Stati dove la situazione pandemica è maggiormente grave, come Sudafrica, India, Pakistan, per fare qualche esempio”.
Chi arriva da Israele, ma anche dal Giappone, dagli Stati Uniti, dal Canada, di fatto beneficia delle stesse condizioni assicurate ai cittadini Ue. Poi ci sono i britannici e gli irlandesi del nord, per i quali vige la misura della quarantena per 5 giorni con obbligo di tampone. Isolamento fiduciario e poi successivo tampone anche per chi arriva dalla Russia. E così tutto dovrebbe filare liscio. Ma questo avviene solo in teoria.
Al Fatto sono arrivate almeno dieci segnalazioni di persone che, tornate da mete europee e sbarcate a Fiumicino, non sono state sottoposte a controlli né per quanto riguarda il Green pass né per il tampone effettuato entro le 48 ore precedenti alla partenza.
La Regione Lazio dice, ovviamente, che non si occupa di controllo documentale: il suo compito era quello di confermare il servizio di tamponi nel parcheggio dell’area C dell’aeroporto di Fiumicino, e lo ha fatto.
Poi scarica sulla società di gestione dello scalo, Adr (Aeroporti di Roma), che a sua volta scarica sulle compagnie aeree, sulle quali pende la responsabilità.
Qui entra in gioco l’Usmaf. E quello di Fiumicino conferma: “Noi facciamo controlli a campione su chi sbarca. In alcuni casi abbiamo verificato che i documenti non erano a norma e l’abbiamo segnalato alla polizia, che ha multato la compagnia”.
Che il sistema non funzioni a dovere lo dimostra anche quanto accaduto a due colleghe del Fatto. Entrambe sono appena rientrate dalla Spagna.
Margarida Ciconte è andata a Madrid, dopo aver fatto la prima dose di vaccino. In Italia, prima di partire, si è sottoposta a un tampone rapido. La stessa cosa ha fatto in Spagna per rientrare a Roma. “All’aeroporto di Madrid, quando sono arrivata – racconta –, sono stata sottoposta a tutti i regolari accertamenti. A Roma Fiumicino, invece, nessuno ha controllato che fosse tutto a posto, né durante l’imbarco né al ritorno, quando sono atterrata”.
Più o meno stessa storia per Wanda Marra, partita con il Green pass alla volta di Ibiza, dopo aver completato il ciclo vaccinale. In questo caso il filtro all’andata c’è stato: gli operatori della compagnia addetti alle operazioni di imbarco le hanno chiesto la certificazione. Poi più nulla. “Al ritorno non sono stata più controllata, né allo scalo di Ibiza né a Fiumicino”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
NEL MIRINO FUNZIONARI REGIONALI E IMPRENDITORI
Dopo la chiusura indagini del febbraio 2020, sembrava dimenticata in qualche
cassetto l’inchiesta sugli appalti e subappalti delle casette realizzate per dare un tetto ai terremotati delle Marche.
Nulla di più sbagliato perché con una mossa inattesa la Procura di Ancona, guidata dal procuratore Monica Garulli, ha chiesto il rinvio a giudizio dei 34 indagati, rispettivamente diciannove persone fisiche e 15 aziende, a cui vengono contestati i reati di abuso d’ufficio, truffa e falso.
Tra i nomi di spicco dell’inchiesta c’è quello del capo della Protezione Civile delle Marche, David Piccinini, all’epoca dei fatti “soggetto attuatore delle procedure”. Oltre a lui, nel mirino della Procura sono finiti dirigenti e funzionari tanto della Regione quanto dell’Erap, imprenditori e una fitta rete di imprese.
CONTESTAZIONI PESANTI
Nella lista delle persone indagate è stata stralciata solo una posizione, quella di un contitolare di una azienda di infissi, rispetto al 415 bis di febbraio 2020 con cui i pubblici ministeri hanno comunicato la chiusura dell’indagine agli indagati. Si tratta di un’indagine lunga e complessa, partita nel lontano 2017, con cui è stato messo in risalto dai magistrati un sistema di appalti a dir poco opaco. In particolare la Procura sostiene che nei lavori sono state impiegate ditte prive della certificazione antimafia, un impedimento bypassato con certificazioni rilasciate dagli uffici della Regione Marche che gli inquirenti ritengono false, e addirittura che tali imprese avrebbero effettuato lavori di scarsa qualità tanto che i moduli abitativi chiamati a risolvere l’emergenza, ben presto avevano iniziato a dare diversi problemi che ne rendevano difficoltoso perfino l’utilizzo.
Così già nel 2018 l’inchiesta ha avuto un vero e proprio sprint con le prime iscrizioni nel registro degli indagati che poi, di settimana in settimana, sono cresciute arrivando, come noto, ad addirittura trentacinque posizioni attenzionate.
LE INDAGINI
Nel mirino della guardia di finanza erano finiti i dipendenti regionali che avevano seguito la procedura d’appalto fino all’assegnazione delle ditte incaricate di realizzare i moduli abitativi e, subito dopo, pure gli imprenditori che avrebbero ricevuto presunti favori nelle gare. Passano pochi mesi e sul caso interviene anche l’Autorità nazionale anticorruzione che, dopo un’attenta indagine, certifica la mancanza della certificazione antimafia in 11 aziende appaltatrici, nelle cui visure camerali figurerebbero solo i codici fiscali e i rapporti di alcune ditte operative nella costruzione delle casette con ambienti legati alla ‘ndrangheta. Dubbi sulla regolarità degli appalti e dei subappalti per la costruzione delle Sae che erano stati palesati anche da esponenti della Cgil di Macerata che, dopo aver collezionato diversi atti, fornirono alla Guardia di Finanza alcuni documenti che avrebbero attestato alcune pratiche sospette tra cui, l’utilizzo nei cantiere di operai romeni sottopagati e sfruttati.
(da La Notizia)
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
FINALMENTE SI TIRA DRITTO… NON HA IMPORTANZA COME ANDRA’ A FINIRE, SE NON PASSERA’ L’EUROPA CIVILE SAPRA’ CHE NON SIAMO DEGNI DI FARNE PARTE… CON OMOFOBI E RAZZISTI IL TEMPO DELLE DISCUSSIONI E’ FINITO
Dopo sette mesi di rimpalli e ostruzionismo, la data adesso c’è ed è ufficiale.
La discussione in Senato del disegno di legge contro l’omotransfobia a prima firma del deputato Pd Alessandro Zan, già approvato dalla Camera lo scorso 4 novembre, inizierà martedì 13 luglio alle 16.30.
Confermata in Aula la scelta già presa nella conferenza dei capigruppo dalla maggioranza favorevole al testo (Pd, Leu, 5 Stelle e Italia viva).
La proposta del centrodestra (Forza Italia e Lega), era invece di rimandare il voto al 20 luglio, ma è stata respinta.
A caldeggiarla anche un irrituale intervento, subito prima del voto, della presidente Elisabetta Casellati: “Invito alla riflessione perché non si dica che in questa aula rinunciamo al dialogo per la differenza di una settimana”.
No dell’assemblea anche alla proposta di Fratelli d’Italia di cancellare il provvedimento dal calendario sostituendolo con una discussione sulla commissione d’inchiesta sui rifiuti.
Sempre azzurri e leghisti avevano chiesto di rimandare la decisione di 24 ore, proposta respinta da Pd, 5 stelle e Leu, senza che il tavolo di maggioranza convocato nel pomeriggio servisse a trovare un accordo.
La sfida, ora, per i promotori del ddl rimane quella di trovare i voti necessari ad approvare il testo: senza i 17 senatori di Italia viva, considerati assai in bilico per le posizioni espresse negli ultimi giorni dal partito, sarebbero circa 141 sì contro i 135 no del centrodestra unito.
“Calendarizzato il DdlZan. Quindi vuol dire che iVotiCiSono. Allora, in trasparenza e assumendosi ognuno le sue responsabilità, andiamo avanti e approviamolo“, twitta il segretario del Pd Enrico Letta.
Gli fa eco il primo firmatario del provvedimento, Alessandro Zan: “Ciascuno si dovrà assumere la responsabilità di dare al Paese una legge contro i crimini d’odio che l’Italia attende da quasi 30 anni. I voti per approvarla, come conferma l’approvazione del calendario, ci sono”.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
DUE GIORNI FA ANNUNCIAVA LA MOZIONE PER “INTERROMPERE I RAPPORTI COMMERCIALI CON GLI STATI CHE PREVEDONO IL REATO DI OMOSESSUALITA'”… OGGI LA PRESENTA MA I RAPPORTI “COMMERCIALI” DA BLOCCARE DIVENTANO “CULTURALI”… I POTERI FORTI CHE RAPPRESENTA DEVONO ESSERSI FATTI VIVI
Due giorni fa, il 4 luglio, Giorgia Meloni puntava il dito contro il governo Draghi
e preannunciava la presentazione in Parlamento di un atto per «chiedere di fermare gli accordi commerciali con tutti quei Paesi che considerano l’omosessualità un reato».
Oggi 6 luglio la Meloni annuncia:
“Fdi ha presentato in Parlamento una mozione per impegnare il Governo ad andare in Europa per chiedere che la Ue condanni apertamente gli Stati che prevedono nei loro ordinamenti il reato di omosessualità e non stringa con loro accordi di cooperazione culturale”.
Ovvero due giorni fa avremmo dovuto interrompere gli “accordi commerciali” con 72 Paesi (compresi Egitto e Libia) indicati nella lista di quegli Stati che considerano l’omosessualità un reato, oggi basta una generica condanna verbale e l’interruzione dei “rapporti culturali”.
Una farsa da avanspettacolo: i “valori” sono durati 48 ore, poi qualche intervento dei poteri forti che vedrebbero compromessi i loro “affari” con mezzo mondo ha fatto ripiegare “lady Coerenza” in un generico e patetico “embargo culturale”.
Il “blocco navale” ai prodotti italiani verso i Paesi incriminati e da quei Paesi verso l’Italia si è ridotto al divieto di convegni, bancarelle di libri e prestiti di opere d’arte e ventagli artistici per qualche esposizione.
Altro che il Che, la rivoluzione sta alla Garbatella.
E non ve ne siete accorti…
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
IN FRANCIA E GERMANIA MAI LA DESTRA MODERATA SI INFETTEREBBE CON IL VELENO SOVRANISTA
La destra di oggi in Italia? Avete presente la favola della rana e dello scorpione? Narra di quella rana che decide di dare un passaggio a uno scorpione dall’altra parte di uno stagno. “Se mi punge muore anche lui, è impossibile che lo faccia!”. Come va a finire? Già lo sapete: muoiono tutti e due.
Alla natura non si comanda. Il buon Rino Gattuso la direbbe in maniera più secca: se uno nasce quadrato non può morire tondo…
Ecco, in Italia la destra che si dice liberale ed europea ha fatto e fa proprio come quella rana: si fida degli scorpioni fino a esserne uccisa, si fida di un’estrema destra alleata con le peggiori destre europee al punto di venirne soffocata politicamente e, ancora peggio, culturalmente.
È la sindrome della “gamba moderata” che fa sì che non esista in Italia davvero una destra moderata. Eppure le lezioni che arrivano dall’Europa qualcosa dovrebbero insegnare.
In Francia la destra gollista è da sempre feroce avversaria del lepenismo di qualsiasi gradazione; in Germania la Cdu di Angela Merkel certo non governerebbe mai con un partito nazisteggiante come Alternative für Deutschland.
Anche in Italia, per esistere davvero, per contare davvero, una destra liberale ed europea deve avere il coraggio di dire no a qualsiasi tipo di estremismo.
Deve avere il coraggio di non farsi prendere in giro. Il coraggio di mettere confini. Senza una trincea “a destra” qualsiasi tentativo di costruire una casa solida sarà fallimentare perché non farà che creare alibi e giustificazioni a estremisti che sguazzano in una palude putrida, fatta di promiscuità valoriale, in cui tutto si mischia e tutto si annulla.
Ecco, la buona destra deve saper diventare cattiva. Deve cominciare a essere seriamente “di destra”, sancendo gerarchie valoriali e incompatibilità politiche.
Deve saper schiacciare gli scorpioni per difendersi dal loro veleno. Eppure il patto sovranista e anti europeo siglato qualche giorno fa tra Salvini, Meloni, Le Pen e Orban dovrebbe aprire gli occhi a tutti coloro che si dicono liberali ma in realtà si appiattiscono sugli estremisti di destra per meri interessi elettorali. E invece niente.
Tutto in Italia scorre come niente fosse, come se, oltretutto, la politica italiana non avesse bisogno impellente di una destra capace di prendere decisioni di fonte alla complessità, capace di riformismo, di cultura imprenditoriale, di innovazione; una destra capace di farsi avanguardia per costruire, finalmente, un nuovo rinascimento nazionale senza attardarsi in una politica intimamente reazionaria, recriminatoria e sindacalizzata.
In questo quadro, non può che far ridere (per non piangere) la Meloni che chiede al governo Draghi di interrompere i rapporti con quei paesi che discriminano i diritti degli omosessuali. Rivendicazione tanto sacrosanta, ci mancherebbe, quanto finta, perché la Meloni che in Italia si mostra “paladina dei diritti” poi firma un patto con Orban che in Ungheria l’omosessualità l’ha messa al bando come fosse un reato.
Il paradosso dei paradossi. Quel che serve è una vera e propria ribellione di quegli italiani di destra che non vogliono morire per veleno populista.
Che non vogliono farsi infettare dall’antipolitica. Che sono stanchi di questo doppiofrontismo cialtrone
Filippo Rossi
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
ORA E’ CHIARA A TUTTI LA COLLOCAZIONE DI RENZI: ALLEATO DI SALVINI
Nel giorno in cui muore Raffaella Carrà, Matteo Renzi lancia la sua offensiva
contro la legge Zan, e la usa per riposizionarsi politicamente.
Queste due notizie non sono scollegate, come si potrebbe pensare a prima vista, perché Raffaella Carrà fu, in sintesi, l’anticonformismo che diventa lingua nazionalpopolare che poi si fa istituzione, e infine che diventa icona gay nel segno della libertà e della gioia di vivere.
Mentre Matteo Renzi è il conformismo che diventa manovra politica, e che nella sua fase crepuscolare si fa propaganda e piccola bugia, in nome della sopravvivenza.
Raffaella fu la semplicità, che è difficile a farsi, Renzi è oggi il politico transgender che passa da sinistra a destra usando come pretesto per il suo transito disinvolto, la legge contro l’omotransfobia.
Notare il dettaglio: il partito di Renzi – Italia Viva – aveva votato la legge alla Camera, solo pochi giorni fa, e adesso il suo leader la ammazza con un paradosso e un trucchetto dialettico degno dell’avvocato Azzeccagarbugli.
Dice Renzi che Italia Viva sta chiedendo di cambiare la legge perché adesso i numeri per approvarla non ci sono più. Ma a far mancare quei numeri è lui, con questa dichiarazione di resa preventiva.
Ed ecco il paradosso: indebolire la legge Zan, dicendo che il fronte che la sostiene si è indebolito. Una nuova piccola balla pinocchiesca, dopo i proclami di lealtà e di intransigenza coerente.
L’uomo è questo, si sa, ormai lo conoscono tutti. Fra l’altro Renzi chiede di emendare la legge al Senato – guarda caso – proprio nei due articoli che non piacciono alla destra.
E ovviamente finge di non sapere che questi due articoli oggi hanno la forma che hanno proprio perché sono già cambiati, e sono cambiati (non tutti lo sanno) perché il relatore ha già accolto gli emendamenti di Italia Viva (!).
Il destinatario della sua offerta, ovviamente, è Matteo Salvini
E quando gli ricordano che lui sta cambiando linea perché il suo partito aveva già votato a favore della legge alla Camera, si incarta: “Lo abbiamo fatto perché lì c’ erano i numeri. Noi siamo a favore della Zan. Ma se al Senato non ci sono i numeri preferisco fare una buona legge modificando qualcosa”.
Nel giorno in cui muore Raffaella Carrà, non si può non ricordare che il suo Tuca Tuca, che oggi consideriamo come una innocua canzonetta, fu – nel 1971 – trasgressione politica e scandalo. Iniziavano gli anni Settanta, si usciva dagli anni della censura e del “comune senso del pudore” e mostrare l’ombelico sembrava un sacrilegio.
Mimare la lingua del sesso in un balletto provocò una scomunica della Chiesa. Ma Raffaella non si piegò. Invitò nel suo programma Alberto Sordi per una ospitata sdoganante. Fu un colpo. Una sdrammatizzazione. Grazie ad Albertone la Rai fu costretta a far cadere la censura del Tuca Tuca (che si era già protratta per due settimane).
Oggi, nei giorni in cui il Vaticano fa sentire la sua voce contro una legge non ancora approvata, nel tempo di un nuovo anacronismo, mentre Renzi subito coglie l’occasione per unirsi al coro neo-confessionale, bisognerebbe ricordare che l’unica colpa della legge Zan è combattere l’omofobia in nome dell’amore.
È una legge per combattere un reato odioso e vigliacco. Oggi, in nome di Raffaella, dovremmo tuttI dire: “A far l’amore comincia tu”.
E mandare a quel paese i bacchettoni.
(da TPI)
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Luglio 6th, 2021 Riccardo Fucile
CHE BEL COMPAGNO DI MERENDE SI SONO SCELTI SALVINI E LA MELONI
Reporter Senza Frontiere (RSF) ha inserito il primo ministro ungherese Viktor Orban nella lista annuale dei “nemici della libertà di stampa”.
È la prima volta che un capo di governo dell’Unione europea appare nella lista, insieme al leader nordcoreano Kim Jong Un e al presidente siriano Bashar Al-Assad, tra gli altri.
L’autorità di vigilanza sui media ha reso noto che Orban e il suo partito Fidesz “hanno assoggettato i media ungheresi passo dopo passo” da quando sono saliti al potere nel 2010.
“Le emittenti pubbliche sono state centralizzate nei media statali che detengono MTVA, che include anche l’unica agenzia di notizie ungherese MTI”, ha affermato la RSF in una nota .
Per l’organizzazione con sede a Parigi, Orbán ha “costantemente minato l’indipendenza della stampa, ha trasformato il servizio pubblico in un organo di propaganda” e ha ridotto al silenzio “i media privati” grazie all’acquisto delle società “da parte di persone vicine al suo partito”. Insomma un giudizio spietato che il portavoce del premier bolla come una fake news.
Rsf ha osservato che la stampa regionale in Ungheria è stata interamente di proprietà di imprenditori amici di Orban dall’estate del 2017. “Nell’autunno del 2018, quasi 500 società di media filo-governative sono state fuse in una holding per coordinare centralmente la loro copertura”, ha affermato RSF.
L’Ungheria è classificata al 92esimo posto su 180 nell’indice RSF World Press Freedom di quest’anno.
(da TPI)
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