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LATINA: L’UOMO DI SALVINI INCONTRO’ IL CLAN

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

RAPPORTO DELLA DDA DI ROMA: IL GIORNO PRIMA DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE L’INCONTRO INTERCETTATO DALLA PROCURA ANTIMAFIA

È il 4 giugno 2016. Il giorno prima delle Amministrative a Latina.
Raffaele Del Prete, secondo la Dda di Roma e la Procura pontina, sta ultimando la raccolta dei voti per Matteo Adinolfi, oggi eurodeputato della Lega, allora candidato al Comune con “Noi con Salvini”.
Quel giorno l’imprenditore, finito ai domiciliari martedì insieme al suo collaboratore Emanuele Forzan con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso, riceve nel suo ufficio Silvana Di Silvio e suo marito Luca Troiani.
Di Silvio non è un cognome qualunque a Latina: a portarlo sono gli esponenti di un clan definito mafioso dalla sentenza con cui la Cassazione a giugno a confermato le condanno ai due pentiti sulle cui dichiarazioni si basano questa e altre importanti inchieste: Renato Pugliese e Agostino Riccardo.
La Di Silvio e Troiani, ingolositi dai pagamenti che Forzan sta facendo negli ultimi giorni a Riccardo – trait d’union tra il clan e l’imprenditore –, offrono a quest’ultimo un pacchetto di voti.
Del Prete li sta raccogliendo, è la tesi dei pm, per fare eleggere Adinolfi, anche lui indagato per scambio elettorale politico-mafioso: in cambio punta agli appalti dei rifiuti nel capoluogo.
Così i due prendono carta e penna e, intercettati, si mettono a contare, facendo “i nomi delle persone che avrebbero votato”. Alla fine le preferenze sono 9.
In cambio Troiani, attivo nel settore della plastica, chiedeva a Del Prete due facilitazioni: una nei rapporti con una ditta toscana intenzionata a comprare da fornitori locali e l’altra nella sostituzione di un cassone dei rifiuti in un centro commerciale.
“Va bene”, acconsente Del Prete, l’importante era che i 9 votassero “solo per Adinolfi”. Che, poco dopo, entrava nell’ufficio.
Del Prete fa subito le presentazioni: “Matte’, lui è Luca”, dice l’imprenditore al politico, “ci dà una grande mano”. E assicura: i voti “se so’ nove, so’ certificati”.
“Poi se ci sta qualcuno in più te lo facciamo sapere”, aggiunge Silvana. Quando i due escono Adinolfi si informa: “Come si chiama? Io lei la conosco, mi sa”. Del Prete fa il nome: “ Lei è Di Silvio”. “Per dinci, Di Silvio proprio?”, domanda l’allora meravigliato candidato di Noi con Salvini. “Sì, Silvana Di Silvio”. “Non sembra una Di Silvio lei, però, eh”, commenta il politico. Però lo è, figlia di Antonio e parente di Ferdinando detto “Il bello”, ucciso da un’autobomba il 9 luglio 2003. Suo marito Luca è un noto pregiudicato, che pochi giorni prima dell’attentato era stato ferito a colpi d’armi da fuoco.
Adinolfi, annotano gli inquirenti, era “consapevole che fra le persone impegnate a sostenere la sua candidatura Del Prete avesse reclutato anche la coppia (…) evidentemente inserita nell’omonima famiglia, fatto che stupiva il candidato, ma al tempo stesso non sembrava preoccuparlo”. Raggiunto dal Fatto l’europarlamentare ha preferito non commentare.
(da Il Fatto Quotidiano)

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IL FOLLE INTERVENTO IN AULA DELLA SENATRICE DELLA LEGA CHE COLLEGA IL DDL ZAN ALLA DROGA DELLO STUPRO

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

ENNESIMA SPARATA SENZA SENSO PER NON PARLARE NEL MERITO DELLA NORMA

La senatrice leghista Erica Rivolta aveva cominciato il suo intervento di questa mattina al Senato definendo il dibattito sul Ddl Zan un mero esercizio oratorio, a cui lei evidentemente non deve aver preso parte.
Senza un ben preciso motivo, nel corso della sua relazione la senatrice Rivolta comincia una disamina sull’importanza del rispetto e il ruolo fondamentale che questo ha nella società moderna. E fin qui, nulla da dire.
Poi il discorso prende una piega diversa, ed ecco che nel dibattito sul disegno di legge immaginato per tutelare la gente da reati per omotransfobia subentrano una serie di altri elementi che davvero poco hanno a che fare con l’oggetto della discussione in aula.
Prima il bullismo, ancora una volta citando i “grassi” come il collega di Forza Italia ieri. Giorni difficili per chi è in sovrappeso.
Poi il richiamo all’assenza di educazione e al rispetto che manca. Fino ad ora uno slogan per il Ddl Zan, sarebbe lecito pensare.
E’ sempre la stessa Senatrice che sottolinea l’importanza della famiglia, forse dimenticando che nel copione leghista si specifica sempre che siano necessario un papà e una mamma perché se ne parli.
Poi l’intervento entra nel vivo. Rivolta evidenzia come la violenza ci sia “anche nelle famiglie del Mulino Bianco”, forse facendo una bieco riferimento alla vicenda che ha interessato in questi ultimi mesi Beppe Grillo. Poi il cuore del suo discorso.
Secondo la Senatrice della Lega il dibattito sul Ddl Zan coinvolgerebbe il tema dello stupro, da parte di gente di buona famiglia, attraverso le pilloline nelle bottiglie.
Come, quando e perché questo sia stato affrontato nel corso del dibattito d’aula non è lecito saperlo.
(da NextQuotidiano)

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L’INCONTRO GRILLO-CONTE A MARINA DI BIBBONA

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

SANCITO L’ACCORDO, VIA AL NUOVO PRESUNTO CORSO

Incontro a Marina di Bibbona, in provincia di Livorno, tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte.
Il ‘padre’ del M5S e l’ex premier sono stati a pranzo insieme in un locale della località di mare dove il comico possiede Villa Corallina, il ristorante il Bolognese da Sauro.
Grillo e Conte, accompagnati solo dagli uomini della scorta, si sono presentati alle 14.30. Hanno ordinato un antipasto di pesce e una spigola al forno con verdure, conversando tra loro, sarebbe stato notato, in un clima molto cordiale. Alle 16 erano sempre al tavolo, in attesa del dolce preparato da Celeste, figlia del proprietario.
Si tratta di un appuntamento fondamentale per dare il via al nuovo corso del M5S dopo l’annuncio dell’accordo trovato tra i due, comunicato da Vito Crimi ai parlamentari in assemblea domenica scorsa.
La prossima tappa adesso è la pubblicazione sul sito del Movimento del nuovo Statuto, che poi va votato dall’assemblea degli attivisti 15 giorni dopo. Ma prima di questo, appunto, c’era la pace de visu.
E anche una preventiva discussione sui possibili esponenti del M5S che faranno parte degli altri nuovi organismi che coadiuveranno l’ex presidente del Consiglio alla guida del Movimento.
(da agenzie)

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RAI, CROSETTO: “A LEGA E FORZA ITALIA DICO: NELLA VITA SE PRENDI UNO SCHIAFFO LO RESTITUISCI…”

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

IL PARTITO DELLA MELONI FUORI DALLA RAI… LE CONTRADDIZIONI DI FDI, ALL’OPPOSIZIONE MA ANCHE ALLEATO

Guido Crosetto, co-fondatore di FdI, oggi fuori dal Parlamento. Nei giochi del cda Rai resta escluso proprio il consigliere del partito di Giorgia Meloni, mentre entrano i nomi di Lega e Fi. FdI è stata fregata dagli alleati?
Ci sono letture diverse del voto di ieri. In primis quella istituzionale: è la prima volta nella storia della tv pubblica che all’opposizione non è dato nemmeno un diritto di tribuna. E’ il vulnus più grave, senza entrare nei rapporti con gli altri partiti di centrodestra e con il governo”
Non esiste una norma che imponga un consigliere di opposizione.
No, ma esiste un’impalcatura complessiva di pesi e contrappesi democratici. Poi certo: nei rapporti interni al centrodestra qualcosa non ha funzionato, qualcuno – Lega e Fi – ha forzato e qualcun altro – FdI – ha subito.
E’ il bis della situazione al Copasir. Ma non è anche colpa di FdI che sta con un piede all’opposizione e con l’altro dentro un’alleanza con due partiti di governo? Cosa si aspettavano di diverso?
Scusi, ma un partito che ha legittimamente deciso per motivi politici di non far parte della grande coalizione che oggi governa, cosa dovrebbe fare? Harakiri? Certo che è il bis del Copasir. Sta emergendo nel centrodestra il problema che FdI ha evidenziato da subito, e difatti Meloni aveva proposto l’intergruppo parlamentare per sedersi a un tavolo e sciogliere i nodi che si sarebbero posti ogni giorno accettando l’idea di governare con gli avversari. Se Lega e Fi avessero detto sì, oggi secondo me non ci sarebbero questi problemi. Invece, c’è una contraddizione che è diventata una ferita e che si allarga ogni giorno.
E si allargherà ulteriormente, se leghisti e azzurri vanno avanti sulla strada della federazione?
Le scelte politiche di alto livello non sono mai origine dolosa di problemi ma le scelte di spartizione di potere, se fatte contro gli alleati, alla fine lasciano un segno. Spero che nei prossimi giorni ci sia un chiarimento politico. Osservo questa partita dall’esterno, ma mi sembra necessario che i partiti coinvolti si confrontino. Se questa ferita non verrà sanata farà infezione. E’ stato fatto uno sfregio all’opposizione, dalla maggioranza e dai sedicenti alleati politici. Attenzione però: gli esecutori materiali sono stati Lega e Fi ma spetta a tutta la maggioranza farsi carico della minoranza e non si può liquidare il tutto come una problematica interna al centrodestra.
Come sanarla, questa ferita? L’azzurro Elio Vito ha chiesto che sia attribuita a FdI la presidenza della Vigilanza, che oggi è guidata da Fi con un ulteriore corto circuito tra controllante e controllato. Lei è d’accordo?
E’ una proposta giusta. FdI non l’ha mai rivendicata, si sarebbe accontentata della situazione come era prima. Adesso non so cosa succederà. Conseguenze politiche saranno inevitabili: nella vita se prendi uno schiaffo, lo restituisci.
(da Huffingtonpost)

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RAI LOTTIZZATA, M5S E FDI COSTRETTI A INGOIARE IL ROSPO

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

IMPLODE IL CENTRODESTRA SUL CDA, CON LA MELONI RIMASTA FUORI

La mossa in anticipo di Mario Draghi, che la settimana scorsa di concerto con il ministro dell’Economia Daniele Franco ha scoperto le carte sul rinnovo del Cda Rai, ha spiazzato quasi tutti i partiti.
Dal Parlamento la partita si sarebbe volentieri posticipata, ma il premier non era dello stesso avviso: dopo l’annuncio, oggi il Consiglio dei ministri ha proceduto alle nomine di Carlo Fuortes come amministratore delegato e di Marinella Soldi in qualità di presidente.
A quest’ultima serviranno ora i due terzi dei voti in Commissione di vigilanza per ottenere l’incarico. I 5 stelle mugugnano, ventilando il rischio di responsabilità sull’indagine che ha coinvolto Matteo Renzi e Lucio Presta per il documentario “Firenze secondo me” trasmesso da Discovery, del quale Soldi è stata ai vertici. Non sono bastate le smentite dell’interessata, all’epoca come anche in questi giorni: “La decisione, la negoziazione dei diritti ed ogni atto propedeutico alla realizzazione del documentario sono estranei alla mia persona, in quanto verificatesi successivamente alla mia uscita dal Gruppo Discovery, effettiva dal 1 ottobre 2018”.
Serpeggiano i dubbi tra i pentastellati, il senatore Alberto Airola ammette le sue “enormi riserve”. Ma alla fine il segnale non arriverà: “Non avrebbe senso con i giochi già fatti – dice un pentastellato di governo – ingoieremo il boccone, che non ci piace, e andremo avanti”.
Senza ancora un capo legittimato, i 5 stelle faticano a trovare una linea, qualunque essa sia. Il consigliere d’amministrazione votato da sei commissari su otto, Antonio Palma, è stato scartato su imposizione di Giuseppe Conte per tramite di Vito Crimi per fare spazio ad Alessandro Di Majo, avvocato gradito all’ex premier. I gruppi sono sfibrati e delusi, le forze si concentrano sulla vituperata riforma della giustizia, difficile un colpo di testa sulla presidenza Rai, anche per lo sgarbo istituzionale che deriverebbe da un atto così palesemente ostile nei confronti di Draghi.
Tuona l’Usigrai, il sindacato interno, che grida alla lottizzazione, contro una legge che “consente ai partiti di prendersi tutto il banco”. E il banco in effetti è stato preso, ma quel meccanismo perfetto che era stata la lottizzazione si inceppa di fronte allo spariglio di Draghi.
Sbandano i 5 stelle, implode il centrodestra. Che si racconta unito, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia a braccetto cantando, ma si muove in ordine sparso. Il Carroccio e gli azzurri si spartiscono la torta da forze politiche che appoggiano il governo, Giorgia Meloni e i suoi rimangono tagliati fuori.
Vengono eletti Igor De Biasio in quota via Bellerio e Simona Agnes per le truppe di Silvio Berlusconi. Matteo Salvini manda avanti il responsabile Editoria del partito, Alessandro Morelli: “I due unici consiglieri indicati dal centrodestra lavoreranno per garantire il pluralismo”.
C’è una critica non proprio velata a Soldi e Fuortes, considerata vicina a Renzi, la prima, “un amico di Veltroni” il secondo, che pur gode di approvazione bipartisan, con felicitazioni che sono arrivate, per esempio, anche da Virginia Raggi e Carlo Calenda. Ma c’è soprattutto un messaggio ai sodali di Fdi.
Non basta, decisamente non basta. “Serve un riequilibrio, altrimenti c’è una deriva totalitaria” tuona Fabio Rampelli, meloniano di lungo corso e vicepresidente della Camera, che invoca un intervento “delle massime autorità italiane”, qualunque cosa significhi. Viene convocata in tutta fretta una conferenza stampa, Ignazio La Russa sbotta: “La Russa sbotta: “Mai nell’Italia repubblicana si era arrivati a una Rai monocolore, anche se i colori della maggioranza sono diversi. Mai la maggioranza si era riservata tutti i posti possibili e immaginabili. Se ne deve occupare Mattarella”. Molto improbabile che il Quirinale si muova, mentre il forzista Elio Vito suggerisce una “compensazione” con la presidenza della Commissione vigilanza, al momento in mano al partito di Berlusconi.
Subito fermato dal suo partito per bocca del capogruppo Paolo Barelli: “Quell’incarico non può e non deve essere messo in discussione perché le norme sono chiare”. C’era una volta la lottizzazione.
(da Huffingotonpost)

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L’INCREDIBILE STORIA DEI 700.000 EURO DI RENZI

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

DAI 15.000 EURO SUL CONTO UNA VOLTA FINITO L’INCARICO DA PREMIER ALLA VILLA DA 1,3 MILIONI COMPRATA 3 MESI DOPO

Vedi alla voce insabbiare. La cosa più bella, sul caso Matteo Renzi, è uno stato d’animo giornalistico ben raccontato dalla prima pagina di Libero di oggi: “La vendetta dei Pm: Renzi indagato”.
Un titolo straordinario perché rivela un certo umore, un sentimento dei media, gli effetti di un’ottima campagna di depistaggio, la tanta voglia di taroccare una notizia che i signori dell’informazione trattano quasi controvoglia.
Renzi è di nuovo indagato, e la colpa, secondo i giornali amici, non è sua, o di una imputazione che andrebbe come minimo verificata, ma dei suoi presunti persecutori togati. Ed ecco il fatto (a dir poco clamoroso) oscurato nel racconto pubblico di questa vicenda.
I magistrati hanno scoperto che Renzi ha preso dall’agenzia dell’amico Lucio Presta 700mila euro firmando un contratto per tre programmi televisivi: il primo, un documentario, è stato realizzato (ma scopriremo tra poco a che prezzo).
Gli altri due programmi, invece, a distanza di quattro anni non hanno mai visto la luce.
Il primo, su cui all’epoca si favoleggiava di una formidabile asta, è stato venduto. Ma i pm hanno anche scoperto che la cifra del contratto è…. Mille euro. Altra notizia interessante: questa fattura non è stata mai pagata.
Quindi, il saldo teorico dell’agenzia Presta è questo: 700mila euro dati all’ex premier. Incasso teorico a fronte di questa impresa: mille euro. Incasso contabile reale: zero. Mica male, no? Se fossimo nel mondo delle favole si potrebbe dire: forse è un investimento andato male. Nel mondo reale una domanda bisogna farsela.
Invece la vicenda scompare, affogata dalla consueta narrazione vittimistica renziana. Ecco La Repubblica, in perfetto stile Gedi: “Quelle inchieste che tengono l’ex premier sulla graticola”. Quindi la colpa è “delle inchieste”, non di questi numeri che ballano.
E subito dopo, sempre nel titolo, c’è il virgolettato del martire di Italia Viva: “Ma a me nessuno fa paura”. Ovviamente Renzi si guarda bene dal spiegare o chiarire: “È tutto in regola”, dice. Cosa, di grazia?
Anche il Giornale sembra in linea con l’ufficio stampa leopoldino: “Attacca le toghe, Renzi indagato”.
Quindi è vittima con dolo: non è indagato per questi bilanci sbarazzini, ma perché le toghe (cattive) ovviamente, si vogliono vendicare. Renzi martire della libertà di opinione, perseguitato solo perché ha minacciato di firmare i referendum radicali: e in realtà, a bene vedere, se le toghe fossero scaltre dovrebbero gioire: il sostegno di Renzi, dopo il 2016, è una buona garanzia per far fallire un quesito referendario.
Ma torniamo alla rassegna stampa. Solo con il Corriere della Sera si tira un sospiro di sollievo, perché il titolo del quotidiano di via Solferino è ineccepibile: “Renzi e Presta indagati per il documentario su Firenze: finanziamento illecito”.
Ecco, il tema che sparisce dal dibattito è questo: qualcuno ha dato 700mila euro a Renzi, senza guadagnare un solo euro in cambio.
Ma siccome Renzi è stato Presidente del Consiglio, ha amministrato la cosa pubblica, ha gestito le nomine in Rai, se qualcuno lo paga 700mila euro, più di Alberto Angela, per un documentario che ne costa mille, qualche domanda è giusto farsela.
Soprattutto perché la storia di questo milione di euro del leader di Italia Viva non comincia con questo avviso di garanzia.
Inizia il 18 gennaio 2018 quando, ospite di Nicola Porro in una puntata di Matrix in piena campagna elettorale, Renzi dice al giornalista: “Le mostro l’estratto conto del mio conto corrente bancario!”. Il colpo di teatro è perfetto: nel saldo si legge che l’ex premier può contare solo su 15.859 euro.
Peccato che cinque mesi dopo, La Verità riveli che l’uomo di Rignano sta comprando a Firenze una villa da 1,3 milioni di euro. E che la notizia susciti parecchio scalpore, se è vero che i coniugi Renzi in quei giorni pagano ancora una rata mensile di 4.250 euro per il mutuo della loro vecchia casa di Pontassieve (che all’epoca non è stata ancora stata venduta).
Da dove vengono, allora, i soldi per il villone di Firenze? Mistero.
Renzi, inaugurando la sua strategia, non lo dice. Lamenta una intrusione nella sua vita privata (già allora) spiega che vende la sua villa di Pontassieve. E dice: “Sono stato eletto parlamentare e prendo un ottimo stipendio. Non avendo più attività di Governo – aggiunge – posso avere ulteriori entrate e persino prendere un mutuo”.
I giornali si accontentano di questa spiegazione, del super-acquisto non si parla più. Renzi si compra anche una Mini Cooper da 29mila euro, mentre dalla dichiarazione patrimoniale si apprende che nel 2017 ha guadagnato solo 29mila euro lordi.
Ma non è finita: nel novembre del 2019, un’inchiesta di Emanuele Fittipaldi, su L’Espresso, rivela da dove arrivano quei soldi.
Per poter stipulare il rogito, Renzi (si era ben guardato dal dirlo), aveva ottenuto un prestito generosissimo e difficile da decrittare a prima vista grazie ai soldi ricevuti dalla madre di un imprenditore fiorentino.
Si tratta di Riccardo Maestrelli, che in passato è stato un generoso finanziatore della fondazione renziana e che, grazie al Presidente del Consiglio, è stato nominato alla Cassa Depositi e Prestiti. Dalla famiglia Maestrelli sono arrivati (fate attenzione alla cifra) 700mila euro.
All’inizio Renzi replica duro a tutte le notizie: “Ho restituito tutto, denuncerò L’Espresso per violazione del segreto bancario”.
Ma intanto il caso monta e diventa molto imbarazzante. Senza la segnalazione della banca per la normativa anti-corruzione il movimento di denaro non sarebbe stato tracciato. E così l’ex premier è costretto ad una nuova correzione del tiro: “Dovendo effettuare un anticipo bancario ho fatto una scrittura privata con un prestito concesso e restituito nel giro di qualche mese, quattro mesi circa”.
Per togliersi dall’imbarazzo di un caso che ha una doppia valenza politica ed economica, insomma, Renzi ha bisogno di una cifra molto importante. E dove la va a prendere? Da Presta, ovviamente: così non si può capire l’importanza di questa inchiesta, se non si capisce che quel contratto “televisivo” era già un enorme “bancomat” con cui l’ex presidente sanava la situazione dopo mille polemiche.
Se non altro perché il percorso era stato questo: i soldi sul conto corrente dell’anziana signora, che erano serviti per il prestito a Renzi, arrivavano dalla Cassa di Risparmio di Firenze, e arrivavano dalla Pida spa.
E cos’era la Pida? Una holding fiorentina fondata dal marito della madre di Maestrelli e in quegli anni gestita dai tre figli della signora e dalla stessa Anna Picchioni. La Pida non aveva iscritto il finanziamento nel suo bilancio.
La causale del bonifico era: “Pagamento in conto acquisto 25 partecipazione Mega srl”. Il nome di Renzi non appariva in nessun modo. Il giorno dopo questa operazione era stato fatto un bonifico di pari importo, da quello stesso conto, a un altro aperto dal leader di Italia Viva presso il Banco di Napoli.
Il 13 giugno i due coniugi Renzi, ritiravano i fondi chiedendo 4 assegni per 100mila euro ciascuno che sarebbero serviti per pagare la caparra. Il giorno prima di andare a comprare la sua villa da 1,3 milioni di euro, dunque, Renzi non aveva un solo euro per l’acconto.
Solo alla vigilia dell’acquisto incassa questa cifra, con cui dispone gli assegni di cui sopra. Quando si ritrova sotto il rischio di una inchiesta e di una polemica e deve risolvere in qualche modo la questione del prestito, onorandolo, Renzi ottiene con perfetto tempismo il contratto provvidenziale di Presta.
Ecco perché non c’è nessuna persecuzione nei suoi confronti: non un filone di inchieste pretestuose, ma un unico percorso intorno ad un unico problema. I finanziatori cambiano, insomma, ma i soldi sono sempre gli stessi. Ecco perché Renzi non ha nessun pretesto per alimentare il suo pianto vittimistico.
Ovviamente può sempre dire che i giornalisti che indagano sulle sue risorse lo facciamo “per invidia”, come scrivono i suoi supporter sui social. E questa è l’unica cosa certa: anche io – infatti – vorrei comprarmi una villa e avere un amico che mi presta 700mila euro per poterlo fare.
(da TPI)

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SI SONO FOTTUTI PURE LE SPIAGGE, ARENILI LIBERI ADDIO, LE CONCESSIONI BALNEARI AI PRIVATI AUMENTATE DEL 12,5%

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

CANONI DI CONCESSIONE RIDICOLI, GUADAGNI MILIONARI…AD ARZACHENA UN GESTORE PAGA IN MEDIA APPENA 322 EURO ALL’ANNO ALLO STATO PER LA CONCESSIONE

In Italia trovare una spiaggia libera è sempre più difficile. Oltre il 50% delle aree costiere sabbiose è sottratto alla libera e gratuita fruizione.
A pesare su ciò, in prima battuta, è l’aumento esponenziale in tutte le regioni delle concessioni balneari che nel 2021 arrivano a quota 12.166 contro le 10.812 degli ultimi dati del Demanio, relativi al 2018, registrando un incremento del +12,5%.
Lo denuncia Legambiente nel rapporto Spiagge 2021. La situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane.
Tra le regioni record ci sono Liguria, Emilia-Romagna e Campania con quasi il 70% dei lidi occupati da stabilimenti balneari.
Altri decisi incrementi si registrano in Abruzzo con un salto degli stabilimenti da 647 nel 2018 a 891 nel 2021 e nelle regioni del sud a partire dalla Sicilia dove le concessioni per stabilimenti balneari sono passati da 438 nel 2018 a 620 nel 2021, con un aumento del +41,5%; seguita da Campania che registra un aumento del +22,8% e dalla Basilicata (+17,6%).
Tra i comuni costieri, il record spetta a Gatteo (Fc) è quello che ha tutte le spiagge in concessione, ma si toccano numeri incredibili anche a Pietrasanta (Lu) con il 98,8% dei lidi in concessione, Camaiore (Lu) 98,4%, Montignoso (Ms) 97%, Laigueglia (Sv) 92,5%, Rimini 90% e Cattolica 87%, Pescara 84%, Diano Marina (Im) con il 92,2% dove disponibili sono rimasti solo pochi metri in aree spesso degradate.
Concessioni, canoni bassi ma giro d’affari da 15 miliardi l’anno
I canoni che si pagano per le concessioni balneari sono ovunque bassi, anche nelle località di turismo di lusso a fronte di guadagni milionari.
Ad esempio, per le 59 concessioni del Comune di Arzachena, in Sardegna, lo Stato nel 2020 ha incassato di 19 mila euro l’anno. Una media di circa 322 euro ciascuna l’anno. Il dossier di Legambiente denuncia anche la poca trasparenza dei canoni pagati per le concessioni e della non completezza dei dati per delle aree che appartengono al demanio dello Stato.
Gli ultimi dati disponibili sulle entrate dello Stato sono del 2019, poiché lo scorso anno nella relazione tecnica del cosiddetto “Decreto Agosto” di risposta alla crisi pandemica, si trova che l’ammontare è pari a 115 milioni, di cui solo 83 però effettivamente riscossi.
Non solo appare rilevante questa differenza tra quando dovuto e effettivamente pagato, ma risultano ancora da versare 235 milioni di euro di canoni non pagati dal 2007.
Sembra quasi che allo Stato non interessino i canoni delle spiagge. Eppure il giro di affari degli stabilimenti balneari è stato stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui. Intanto continua il valzer della proroga senza gara delle concessioni balneari: ultima, in ordine di tempo, quella approvata nella Legge di Bilancio 2019 e nel recente Decreto Rilancio che le estende fino al 2033, nonostante già nel 2009 l’Ue abbia avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia chiedendo la loro messa a gara, visto che la Direttiva Bolkestein del 2006 prevede procedure di evidenza pubblica.
7,7% spiagge italiane interdetto a balneazione per inquinamento
Complessivamente in Italia il 7,7% dei tratti di coste sabbiose è di fatto interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento. Sicilia e Campania contano in totale circa 55 km su 87 km interdetti a livello nazionale. Lo denuncia Legambiente nel rapporto «Spiagge 2021. La situazione e i cambiamenti in corso nelle aree costiere italiane».
Legambiente: serve un limite massimo al 50% per le concessioni
Per tutte queste cose la prima conferenza nazionale dei paesaggi costieri «Coste in movimento» — organizzata da Legambiente e dall’Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani con il contributo del Comune di Lecce, della Regione Puglia e del Parco naturale regionale Bosco e Paludi di Rauccio — chiede di approvare quanto prima una legge per garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge e per premiare la qualità dell’offerta dei lidi in concessione. In particolare, i primi tre obiettivi della legge dovranno essere: stabilire un limite massimo del 50% per le spiagge in concessione in ogni comune, con regole per garantire passaggi e spazi per i cittadini; premiare la qualità dell’offerta dei lidi in concessione; adeguare i canoni delle spiagge in concessione.
(da agenzie)

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LA NUOVA ALITALIA DECOLLERA’ IL 15 OTTOBRE

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

PARTIRA’ CON APPENA 52 AEREI E MENO DI 3.000 DIPENDENTI

Il Cda di Italia trasporto aereo (Ita Spa), riunitosi oggi sotto la presidenza di Alfredo Altavilla, ha approvato le linee del Piano Industriale 2021-2025, illustrato dall’Amministratore delegato e direttore generale Fabio Lazzerini.
Il progetto industriale include le variazioni richieste dalla Commissione europea nel corso delle interazioni dei mesi scorsi con il Governo italiano (leggi l’articolo). Proprio oggi, infatti, Bruxelles ha inviato alle Istituzioni italiane una lettera nella quale ha valutato positivamente il Piano Industriale di Ita.
A seguito dell’interazione fra il Governo italiano e la Commissione europea, il Piano Industriale di Ita, recepisce alcuni elementi di discontinuità: Ita potrà acquisire tramite una negoziazione diretta con Alitalia in Amministrazione Straordinaria gli asset necessari per gestire il settore volo (“Aviation”); Il brand Alitalia sarà ceduto attraverso una gara pubblica, bandita e gestita da Alitalia, alla quale Ita parteciperà in quanto ritiene il brand elemento imprescindibile nella realizzazione del suddetto Piano; Le attività comprese nel settore “Ground Handling” saranno cedute attraverso una gara pubblica, bandita e gestita da Alitalia, alla quale Ita ha la facoltà di partecipare quale azionista di maggioranza di una nuova società, insieme ad altri partner.
Anche le attività comprese nel settore “Manutenzione” verranno cedute attraverso una gara pubblica alla quale Ita ha la facoltà di partecipare come partner di minoranza di una nuova società, affiancando altri investitori.
Fino all’aggiudicazione di queste due gare, Alitalia potrà erogare servizi di handling e di manutenzione a Ita attraverso contratti di fornitura; Ita partirà con una dotazione di slot coerente con la dimensione iniziale della propria flotta, mantenendo l’85% degli slot oggi detenuti da Alitalia sull’aeroporto di Milano Linate e il 43% degli slot su Roma Fiumicino, aeroporto, quest’ultimo, meno congestionato di Linate e con una maggiore disponibilità di bande orarie da poter acquisire per sostenere la crescita dei voli prevista nell’arco di piano.
Non potendo partecipare alla gara pubblica che Alitalia bandirà e gestirà per la cessione degli asset legati al proprio programma di fidelizzazione, Ita ha intenzione di dotarsi sin da subito di un nuovo programma di loyalty efficiente, moderno, orientato alle esigenze dei clienti e che consenta un maggiore accesso all’offerta della compagnia e dei propri partner.
L’approvazione del Piano da parte del CdA costituisce il presupposto affinché l’Assemblea dei soci possa deliberare sull’iniziale aumento di capitale di 700 milioni di euro grazie al quale Ita avrà a disposizione la dotazione finanziaria indispensabile per l’acquisizione degli asset, nonché per il completamento del processo di rilascio delle certificazioni necessarie per la commercializzazione dei biglietti – prevista a partire dal 15 agosto – e per l’avvio dell’attività operativa dal prossimo 15 ottobre.
All’avvio delle proprie attività, Ita opererà con una flotta di 52 aerei di cui 7 wide body e 45 narrow body. Già nel 2022 la flotta crescerà fino a 78 aeromobili (+26 sul 2021) di cui 13 wide body (+6 sul 2021) e 65 narrow body (+20 sul 2021). Dal 2022 è previsto l’inizio dell’inserimento in flotta degli aeromobili di nuova generazione che sostituiranno progressivamente i velivoli di vecchia tecnologia. A fine 2025 la flotta crescerà sino a 105 aerei (23 wide body e 82 narrow body), con 81 aeromobili di nuova generazione (pari al 77% della flotta totale) che consentiranno di ridurre significativamente l’impatto ambientale e ottimizzare efficienza e qualità dell’offerta.
Ita avvierà le proprie operazioni nel 2021 con un numero di dipendenti, assunti per gestire l’attività “Aviation”, pari a 2.750-2.950, che salirà a fine piano (2025) a 5.550-5.700 persone.
Tutte le persone verranno assunte con un nuovo contratto di lavoro che assicuri maggiore competitività e flessibilità nel confronto con altri operatori del settore. Qualora Ita si aggiudicasse le gare bandite da Alitalia relative alle attività di “Ground Handling” e “Manutenzione”, è previsto a conclusione del piano (2025) l’impiego di fino a 2.650-2.700 risorse per la parte “Ground Handling” e di 1.100-1.250 risorse nell’area che attiene alla manutenzione.
L’avvio delle operazioni di Ita sarà concentrato per la maggior parte su rotte scelte in base alla loro profittabilità, a cui si aggiunge un numero selezionato di rotte che, anche se non immediatamente redditizie, sono considerate investimenti per assicurare nel medio periodo una presenza sostenibile su mercati di interesse per il Paese. Ita focalizzerà la propria attività sull’hub di Fiumicino e sull’aeroporto di Milano Linate, dove si posizionerà come la compagnia aerea di riferimento per il traffico business e leisure.
All’avvio delle attività, la compagnia servirà 45 destinazioni con 61 rotte che saliranno a 74 destinazioni e 89 rotte nel 2025, a conclusione del processo di ribilanciamento dei voli verso il settore del lungo raggio che ha l’obiettivo di colmare il gap di connettività del Paese.
Sulla rete di lungo raggio, nella stagione IATA Winter 2021 Ita opererà collegamenti su New York (da Roma e Milano), Tokyo Haneda, Boston e Miami (tutte e tre da Roma), ma già con la stagione IATA Summer 2022 la compagnia prevede di avviare nuovi voli su San Paolo, Buenos Aires, Washington e Los Angeles.
Sulla rete di breve e medio raggio Ita prevede di operare alla partenza collegamenti da Fiumicino e da Linate con le principali destinazioni europee (tra cui Parigi, Londra, Amsterdam, Bruxelles, Francoforte, Ginevra, con previsione di incrementare ulteriormente il numero di destinazioni e frequenze gia’ con la stagione IATA Summer 2022). Si aggiungono poi numerose altre rotte internazionali servite da Roma (tra le quali, per esempio, quelle per Madrid, Atene Tel Aviv, Cairo, Tunisi e Algeri).
Sul network domestico Ita garantirà un’ampia copertura degli scali nazionali, servendo 21 aeroporti nel Paese con un operativo dei voli stabile e un numero di frequenze e orari che rispondano al meglio alle esigenze della clientela business e leisure. Il presidente, Alfredo Altavilla, ha dichiarato: “L’approvazione del business plan di Ita da parte della Commissione europea e la conferma della conformità al MEOP, che certifica la bontà del progetto in una logica di investimento privato da parte dell’azionista pubblico, è un risultato importante che apre la strada alla partenza di Ita.
Ora in 90 giorni dovremo completare la transizione verso il decollo del primo aeromobile il 15 ottobre. Desidero esprimere un sentito ringraziamento al Governo italiano e alla nostra rappresentanza a Bruxelles per un lavoro di squadra che ha consentito di raggiungere dopo mesi di negoziazione un importante risultato e che confidiamo continuerà anche nei mesi a venire.
L’Ad e Dg, Fabio Lazzerini, ha aggiunto: “Sono particolarmente soddisfatto per il riconoscimento della solidità industriale e finanziaria che sono alla base dell’approvazione del Piano. Un progetto che partendo dal cliente e dalle sue esigenze, proietterà Ita tra le migliori compagnie in Europa per sostenibilità economica, sociale ed ambientale, garantendo al contempo connettività a imprese, turisti e cittadini. Voglio esprimere un sincero ringraziamento al team di ITA per l’impegno entusiasta e totale con cui ha lavorato in questi mesi complessi, alle Istituzioni e agli stakeholder del settore (ENAC, ENAV, il sistema aeroportuale) per l’apertura e la fiducia che ci stanno dimostrando. Ora si apre la grande sfida di far partire in tre mesi una compagnia di successo. Una sfida a cui dedicheremo ogni energia”.
(da agenzie)

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LA LIBIA E’ UN INFERNO, MA NON IMPORTA A NESSUNO, DA PD E M5S OK A FINANZIAMENTI AI CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA

Luglio 15th, 2021 Riccardo Fucile

LA DOPPIA IPOCRISIA DI DI MAIO E GUERINI… SOLO UNA QUARANTINA DI DEPUTATI HA VOTATO NO

Il Parlamento si prepara a votare, come ogni anno, il rinnovo delle missioni internazionali in cui è impegnata l’Italia: tra queste c’è anche quella in Libia, un Paese ancora dilaniato dalla guerra civile, snodo fondamentale nella rotta migratoria del Mediterraneo centrale.
Un Paese dove le violazioni dei diritti umani contro i migranti sono state documentante più e più volte. Un Paese che non può essere definito un porto sicuro. E mentre buona parte della società civile scende in piazza per opporsi al rinnovo degli accordi con la Libia, specialmente al rifinanziamento della Guardia costiera di Tripoli, il centrosinistra e i Cinque Stelle si limitano a puntare il dito contro l’Europa accusandola di lasciare sola l’Italia, affermando che solo cooperando con i libici si potranno gestire i flussi migratori.
Noncuranti del fatto che finanziando la Guardia costiera di Tripoli ad essere lasciati soli sono i migranti, in mano di chi calpesta i loro diritti fondamentali sottoponendoli a torture e violenza.
Da parte dei giallorossi non una parola sui respingimenti, sugli attacchi degli stessi militari di Tripoli ai migranti o sulle violazioni dei diritti umani che continuano a verificarsi nei centri di detenzione del Paese, tanto in quelli in mano al governo che in quelli gestiti dai trafficanti.
Anzi: i deputati M5s delle commissioni Esteri e Difesa sostengono che rifinanziare la missione di supporto alla Guardia costiera libica sia necessario al fine di non creare una gestione “ancora più caotica” di quella attuale. Che però, lo ricordiamo, ha visto nelle ultime due settimane i militari libici sparare contro un barcone con a bordo dei migranti in zona Sar maltese e speronarlo nel tentativo di fermarlo.
Il M5s vuole rifinanziare le autorità libiche
Insomma, per i Cinque Stelle l’Italia non può “abbassare la guardia” e permettere che uomini, donne e bambini che hanno attraversato l’inferno libico nel tentativo di fuggire da conflitti, fame e povertà assoluta, arrivino in Italia. Meglio che restino nei lager libici, in altre parole.
I crimini della Guardia costiera libica che non interessano all’Italia
Presentando in Parlamento il programma aggiornato al 2021 sulle missioni internazionali, alcuni giorni fa lo stesso ministro della Difesa, il dem Lorenzo Guerini, aveva riconosciuto che alcuni comportamenti, se tali si possono definire, della Guardia costiera libica contro i migranti fossero semplicemente inaccettabili, ma si era limitato ad affermare che le stesse autorità libiche li avessero condannati.
Come se una parola o due delle autorità insediatesi al governo appena qualche mese fa, in un processo di stabilizzazione ancora tutto da costruire, possano davvero fare la differenza quando si tratta dei militari libici, che da anni ormai si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani dei migranti, stupri e torture nei centri di detenzione.
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rispondendo a un’interrogazione parlamentare ieri ha detto che tutte le iniziative “di sostegno alle autorità libiche in materia migratoria si ispirano al principio della tutela delle condizioni dei migranti e dei rifugiati nel Paese”
Di Maio ha anche sottolineato che in Libia si sia “avviato un processo di stabilizzazione con l’insediamento di un’autorità nazionale transitoria” e che “il rafforzamento delle capacità delle autorità libiche di condurre attività di ricerca e soccorso nella propria area di responsabilità” sia importante per una migliore gestioni “flussi irregolari e per contrastare il traffico di esseri umani”.
Ancora una volta parole lontanissime da quella che è la realtà in Libia, che non considerano minimamente quello a cui vengono sottoposti i migranti che partono dal Paese.
Una retorica dietro cui i Cinque Stelle si nascondono per non ammettere, di fatto, che va bene così, come andava bene votare a favore dei decreti Sicurezza e fare la guerra alle navi umanitarie durante il governo gialloverde.
Per il Pd basta rimandare tutto all’anno prossimo
Le cose non sono molto diverse se si guarda a quanto fatto e detto dal centrosinistra nelle ultime ore. Anche se i deputati Erasmo Palazzotto e Laura Boldrini hanno depositato degli emendamenti per chiedere “di non autorizzare il supporto alla Guardia costiera libica” o comunque di sospenderlo fino a che non ci sia una revisione del Memorandum tra Roma e Tripoli che garantisca il rispetto dei diritti umani e che assicuri che i migranti non vengano riportati nei centri di detenzione del Paese, la linea preferita dai dem sembra essere un’altra.
Quella dell’emendamento presentato da Enrico Borghi e Lia Quartapelle che non fa che spostare il problema all’anno prossimo, impegnando il governo “a verificare dalla prossima programmazione le condizioni per il superamento della missione”. Insomma, il Pd non ne vuole sentire parlare per ora: si rimanda tutto al 2022. Anche se, nel frattempo, i migranti continuano a morire in Libia.
Di fatto quello che chiede il Pd non è di rivedere il rapporto con la Guardia costiera libica, ma semplicemente che sia l’Europa (e non l’Italia) a prendersene la responsabilità attraverso la missione militare Ue Irini.
Si tratta di una missione istituita nella primavera dello scorso anno, una sorta di naturale continuazione della missione Sophia, che avrebbe come primo scopo quello di far valere l’embargo sulle armi nel Paese. Ma che si occuperebbe anche dell’addestramento dei militari libici.
Il condizionale però è d’obbligo perché di fatto non c’è ancora nulla di concreto visto che manca ancora l’accordo con il governo libico insediatosi appena qualche mese fa. Insomma, almeno nel breve termine, spostare tutto sulla missione Irini non risolverebbe in alcun modo la situazione. Eppure è esattamente ciò che propone il centrosinistra.
E intanto, lo ripetiamo, la Libia continua ad essere un inferno per i migranti.
(da agenzie)

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